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Per esigenza di chiarezza con i Lucani che seguono il mio intervento settimanale su Controsenso e circa un episodio che credo significativo non solo della parabola del Psi ma di quella ch’è definita la “crisi del sistema dei Partiti”, riporto di seguito lo scritto inviato a l’Avanti della domenica, giornale del Psi (Partito nel quale, com’è noto, ho militato e sarei molto felice ritornasse possibile). Si tratta di una testimonianza circa il ruolo insostituibile del dibattito e del confronto, del “metodo democratico” indicato dalla Costituzione come essenziale al corretto funzionamento dei Partiti : strumento indispensabile alla Democrazia. Craxi, grande statista, fu definito “decisionista” e tale risulta anche dal “mio” episodio. Son convinto che chi guida debba esserlo per non farsi travolgere dagli eventi, spesso rapidi ed imprevedibili; ma che su questioni strategiche e sui punti cardinali (come ad esempio il sistema elettorale e la stessa selezione dei candidati) sia ineludibile la modalità fissata dalla Carta. Potrei anche testimoniare che lo stesso Craxi, quando constatò di aver sbagliato circa il secondo di tali punti (in una vicenda molto drammatica coinvolgente il Psi lucano) decise di “spiegarsi”.. convocandomi per un’ora di colloquio. Non si può dunque dire che i personaggi “storici” si comportino in modo uniforme: anche in relazione ad un giudizio laudativo di Pajetta su di un suo intervento in Aula, mi si rivelò tutt’altro che duro ed anzi molto “sensibile” (come del resto appare nell’ormai famoso Hammamet). Nel caso della divergenza che riporto di seguito, si trattava purtroppo della legge elettorale e con richiamo ad un articolo apparso la settimana precedente sull’Avanti. Eccolo : “Ugo Intini….. individua giustamente nel “sistema elettorale forzatamente bipolare” l’ostacolo al “crescere”, anche in Italia come in molti Paesi europei, di “una forza ….socialdemocratica organizzata”. Quando la strada del bipolare fu intrapresa con il Mattarellum, non soltanto votai contro.. temendo esattamente questa involuzione, ma- nella Commissione Affari Costituzionali della Camera - mi opposi ripetutamente. Ed in contrasto con la linea assegnata dal Partito a Silvano Labriola, che dirigeva il Psi sulla materia. Avevo già insistito, in quella che forse fu l’ultima riunione del Gruppo al Quarto piano di Montecitorio, a sostegno del proporzionale: in favore del ruolo di ago della bilancia svolto dal Psi e per la sua stessa sopravvivenza.! Craxi non argomentò, ma mi redarguì bruscamente come “incompetente” (seppure il Psi mi avesse assegnato in Prima Commissione, alla Presidenza in quella dell’inchiesta sulla Condizione Giovanile, oltre che a Cultura e Scuola nella Settima !), suscitando l’ilarità di quasi tutti gli altri deputati (Martelli era uscito dall’inizio; l’estensore del verbale ne sosterrà poi lo smarrimento; quei locali da tempo assegnati ai Socialisti ben presto furono occupati dai Berlusconiani! ). Noto che autorevoli “nostri” intellettuali avevano ipotizzato un percorso alla Mitterand e che non a caso Intini ricorda come “nella fase finale della sua segreteria, Craxi (avesse) immaginato ...un’alleanza a guida socialista con l’ex Pci”. Del resto, senza l’ok del Psi, come sarebbe stato possibile il Mattarellum? L’errore decisivo venne dunque da Craxi e ben prima che lo ripetessero “Letta e Conte… con la maggioranza .. di cui disponevano”. Credo sia da riconoscere che il Psi cadde in un deficit di democrazia proprio perché, grazie alle sue eccezionali capacità, Craxi lo dominava; e che sia anche da sottolineare come tale costume, tuttora diffuso, impedì si evitassero altre improvvisazioni decisive (come in occasione del discorso del 3 luglio, forse da organizzare in una serie di altri interventi di socialisti per sventare l’elusione del tema da tutti gli altri Gruppi che usarono il silenzio per focalizzalo su di Lui) e tacere l’errore di candidature che poi sarebbe stato costretto a ritirare! Riflettere sui tutto ciò che portò alla dissoluzione diventa ora necessario se davvero si vuole la “ricomposizione della diaspora”: ed ..ammettere che la “crisi democratica” ci ebbe tra i responsabili! Nel congresso Pd circola l’aspirazione al laburismo ; ma temo sia senza effetto, se non si ammette che l’assenza del “metodo democratico” (art 49) ha costituito-e continua ad essere- causa non minore della crisi del sistema. Resto perciò convinto che per riaprire una possibilità alla nostra democrazia necessiti anzitutto riaccendere la fiducia degli elettori nell’ effettivo esercizio della sovranità!”” ns

 

 

 

 

 

predestinazione_emilio.jpgNon può prescindersi dall’indicare, sia da parte delle autorità religiose, sia da parte dell’Azione Cattolica medesima, sia da parte dei notabili potentini della borghesia agraria, commerciale e dei professionisti, sia da parte di organismi appositamente costituiti come i comitati civici, in un rigurgito di mobilitazione e di fede contro la minaccia dell’ateismo e della imminente possibile dittatura del proletariato, in quel maggio del 1946, il giovane Emilio, come il più naturale e vocato candidato alla Assemblea Costituente.

Per come viene presentato, per le sue referenze, per il clima e l’epoca in cui si verifica il fenomeno, una circonfusa e repentina aureola di “nazarenismo”, diventata gradualmente di grazia e di potere, lo rende detentore di taumaturgiche facoltà, risolutore di problemi e di bisogni, lo eleva al di sopra e al di fuori di quello che è il ruolo normale di leader. Un elegante e composto modo di muoversi e di agire, rafforza il suo portamento tra il laico sturziano e una sorta di moderno e mistico “profeta” in doppio petto.

La capillare rete delle parrocchie, animate da parroci, vescovi, curie e stuoli di giovani, i luoghi di culto, gli enti e gli organismi religiosi, la case per anziani, le suore degli ospedali e degli ospizi, la presenza pregnante e vigile di queste nei monasteri e nei collegi, e tutto il mondo cattolico si muovono perché la Democrazia Cristiana possa operare da baluardo contro la marea socialcomunista, come presidio di libertà e di democrazia, e in difesa della Chiesa e della religione: “La diga al comunismo”, in uno sforzo tanto naturale quanto necessario ed entusiasta dei cattolici da avvalersi di un consenso di massa inaudito e imprevisto.

La DC nelle elezioni per la Costituente raggiunge nel sud il 35 per cento dei voti che poi diventeranno il 50 per cento nelle elezioni del 1948[2] – si intravede già nel modo come ha partecipato alla prima consultazione elettorale, dove ha 20.922 voti di preferenza: se Nitti viene riverito e portato in giro come un santone e offerto in omaggio alla popolazione, Colombo viene portato in braccio dalle ragazze dell’A. C., con caldi inviti, dopo i comizi: “Votatelo perché è casto” (scena osservata a Stigliano, nell’ultima domenica di maggio del 1946, insieme con Carlo Levi), e a Potenza, dopo il primo comizio in piazza Prefettura, viene portato in trionfo fin sotto casa. Egli registra un tale improvviso e lusinghiero ingresso nella scena politica, in una singolare condizione di delfino, di predestinato senza alcuna precedente partecipazione e senza alcun logoramento nella lotta politica».

L’incremento più forte dei voti i dc li ottengono nel Mezzogiorno ove vige il vecchio sistema politico fondato sul notabilato, sulla clientela, sulla organicità al potere politico. Un sistema in cui gli impegni politici, i lavori pubblici, i contratti con lo Stato, le onorificenze, sono nelle logiche della mediazione, del consociativismo e della discriminazione[4].

È anche per questo che il fenomeno Emilio Colombo, la sua persistente meteora, prima che trascorrino altri anni, va analizzato e spiegato come galvanizzatore delle popolazioni lucane per tutto l’arco che la DC ha tracciato nella sua storia.

Un fenomeno sotto certi aspetti inspiegabile e che richiama altri fenomeni, piuttosto analoghi, verificatisi in climi e foschie feudali, in condizioni paratotalitarie, magari riferite a latitudini molto più ristrette di quelle reali. In quelle epoche in cui si son potuti ritagliare profili e confezionare leaders circonfusi di seraficità, di carisma, di teatralità laico-mistica, di castità ed efficienza clientelare, rispetto ai precari, spesso inaffidabili, grigi e insignificanti, dalle repentine apparizioni sulla scena, o di quelli come gli energumeni, i buffoni, i pettoruti gerarchi del Fascismo che pur annoverò grandi uomini e nobili portamenti.

È così che per tutti gli anni ’50, fino agli anni ’70, non si può dire che Emilio Colombo sia stato solo aiutato dalla fortuna. Egli ha rappresentato come modello, come figura, come stele umana tutti i possibili significati di una DC che era propria del Sud e della nostra società. Presenza imperturbabile e autorevole quella di Colombo, per cui anche chi è riuscito nella scalata, assai spesso gravitando nella sua scia, non ha mai potuto toccare le eccelse sue altezze, bensì piuttosto si è dovuto adattare ad un ruolo gregario, pur non difettando di doti politiche e di professionalità. Vi è anche chi ha dovuto proiettarsi fuori dalla sua orbita per esistere come qualificato uomo politico.

Ed è stata così coinvolgente la sua onnipresenza, permanente e predominante nella sua città, nella regione e a Roma, che quando il potere, gestito ininterrottamente per mezzo secolo, dopo tangentopoli e la caduta della DC, ha dovuto fare a meno di lui, di quel ruolo recitato tra “trascendenza della politica” e “immanenza” degli incarichi, della gestione e dell’egotismo, nessuno ha potuto prescindere da lui, dalle sue prerogative, dalle sue indicazioni, al punto che perfino i comunisti e i postcomunisti si sono dovuti legittimare al cospetto di un consenso insufficiente e che ha potuto consentire loro di diventare maggioranza, solo con la complicità del doroteo Emilio Colombo e dei democristiani.

 


[2]     “Il cemento del Potere” – edit. Lacaita – Leonardo Sacco.

[4]     Michele Giacomantonio. La DC e il sottosviluppo meridionale.

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La commedia all’italiana, che ci ha tenuto compagnia nelle sale cinematografiche durante la prima repubblica, ha quasi sempre un risvolto tragico, non fai in tempo a ridere che la tristezza ti stringe il cuore. Fantozzi, il ragioniere impersonato da Paolo Villaggio nel film del 1975 diretto da Luciano Salce, nella notte di San Silvestro assiste sconvolto al fracassarsi della sua umile bianchina nell’impatto con la cucina lanciata da una finestra.

        Questo rito ormai desueto di salutare l’anno nuovo liberandosi dai vecchi oggetti bombardandoli sulla strada, fa capolino mentre provo a tratteggiare un consuntivo dell’agricoltura lucana. Purtroppo si salva ben poco. Con buona pace del dottor Vittorio Restaino, a cui rinnoviamo tutta la nostra stima, il Piano di Sviluppo Rurale ha continuato a fare acqua da tutte le parti; non si può andare avanti con una sommatoria raffazzonata di misure sconnesse. Si ignorano i territori con le loro specificità e le loro potenzialità.

        Il Consorzio di Bonifica, nato male e cresciuto peggio, andrebbe semplicemente soppresso riorganizzando agili entità locali vicine ai fruitori dei servizi i quali dovrebbero essere i veri padroni dell’associazione consortile. C’è da chiedersi che ci stanno a fare in questo sbrindellato baraccone i rappresentanti delle organizzazioni agricole.

        Per carità di patria ci fermiamo, ma i lanci fantozziani di capodanno potrebbero continuare per un bel po’; non possiamo però ignorare che alla rabbia degli agricoltori a causa delle devastazioni provocate dai cinghiali fanno riscontro i balbettii dell’ente regione e la beata incoscienza degli ambiti territoriali di caccia e delle lobby ambientaliste.

Se si è persa l’abitudine di gettare allo scoccare della mezzanotte la roba vecchia nella strada, ancora si inviano le letterine alla Befana e a Babbo Natale con la speranza di essere esauditi. Anche la nostra agricoltura avrebbe le sue istanze e alcuni desideri che meriterebbero di essere presi in considerazione quanto meno dai due venerabili vecchietti portatori di regali, dal momento che tutti gli altri hanno dimostrato una assoluta e sorda indifferenza.

        Innanzi tutto intervenire per il riequilibrio tra le varie zone della regione smettendola di interessarsi soltanto alla costa jonica e alla fascia tra il Bradano e l’Ofanto. Andrebbe assicurata la massima attenzione e data la necessaria priorità alla montagna e all’alta collina. Alcune righe della letterina andrebbero dedicate alle pratiche di multifunzionalità e di interdisciplinarietà privilegiando le varie espressioni di agricoltura sociale con l’impegno di recuperare nella maniera più idonea anche i piccolissimi appezzamenti. Gli istituti agrari giorno dopo giorno sono abbandonati al loro destino dimenticando che nelle loro aule, nei loro laboratori, nei loro campi sperimentali si costruisce il futuro della Lucania. C’è da passarsi la mano sulla coscienza e chiedersi perché nessuno ci ha fatto caso e ha reagito alla chiusura del convitto della sede di Lagopesole. Il CREA di Bella è un ottimo luogo dove si fa ricerca però non appassiona più di tanto i nostri politici probabilmente perché non deve dar conto alle conventicole della Regione bensì al Ministero. Meriterebbero di essere presi in considerazione i tecnici dell’agenzia regionale per lo sviluppo e l’innovazione, soprattutto coloro che operano nelle realtà condannate all’abbandono.

        Cara Befana e caro Babbo Natale, non dimenticatevi di regalarci un nuovo assessore, sono mesi che ne siamo privi. Però cercatene uno buono e non come gli ultimi esemplari che abbiamo conosciuto, altrimenti rischia di fare la stessa fine della bianchina del povero ragionier Fantozzi.

Mimmo Guaragna

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 clikka sulla foto per guardare il video andato in onda su Lucania.Tv

 

di Walter De Stradis

 

 

 

Nelle braccia ha i massi del monte Vulture, ma anche la testa è particolarmente “tosta”. Nicky Russo, atleta paralimpico originario di Rionero, nella specialità del getto del peso ha vinto medaglie (sette campionati nazionali e un bronzo agli Europei in Polonia) e con la Nazionale è arrivato ottavo alle Paralimpiadi di Tokyo. In questo modo si è rimesso in discussione, a 47 anni e con una grave patologia invalidante (la sclerosi multipla), ma sin da ragazzo la sua ostinata determinazione lo portava a ottenere risultati incredibili (arrivò persino sesto al Fantacalcio organizzato da un noto quotidiano nazionale, ricevendo a casa moltissimi premi e diventando l’invidia dei suoi coetanei!).

d: Come giustifica la sua esistenza?

r: La mia esistenza sono solito suddividerla in due parti, cioè nella fase precedente alla scoperta della malattia e in quella che, invece, mi contraddistingue adesso. Entrambe le fasi al momento le riterrei “soddisfacenti”, anche se in cuor mio –certo- non avrei voluto questa malattia.

Già da prima ero uno sportivo, a trecentosessanta gradi, e probabilmente, questo mio essere ha determinato una migliore capacità di accettazione. Soffro di una patologia neuro-degenerativa: la Sclerosi multipla che, anche se sembra all’apparenza non scalfire la tua persona, in realtà finisce per toglierti giorno dopo giorno un pezzettino di vita. Anche dopo aver scoperto la diagnosi ho continuato a correre, mentre adesso zoppico e inizio a presentare vistosamente qualche problema. Da quando, però ho iniziato ad avere consapevolezza della malattia, ne ho, contestualmente, accettato tutti i problemi che essa stessa comporta.

Sono uno che non molla mai, ed è per questo che durante la Pandemia ho scelto di dedicarmi all’atletica leggera, grazie anche al supporto di una società, la Virtus di Lucca, che fino a quel momento non sapeva nemmeno chi fossi. Dal 2020 ho iniziato a gareggiare raccogliendo moltissimi risultati, nonostante la mia età. Devo inoltre ringraziare il Presidente CIP (Comitato Italiano Paralimpico) della Basilicata, Gerardo Zandolino, per l’impegno profuso per portare avanti un progetto inclusivo.

d: Quanto tempo fa le è stata diagnosticata la Sclerosi multipla?

r: Sicuramente ho avuto dei primi attacchi tra il 1996 e il 1999, ma non sapevo, però, a cosa fossero imputabili. Si pensava semplicemente a qualche infiammazione del nervo sciatico conseguente a un incidente avuto quando ero bambino (che comportò la rottura di tibia, perone e uno stato di coma). Nel febbraio del 2002, ricordo che era una mattina, non riuscii più ad alzarmi dal letto; da lì partirono una serie di accertamenti che portarono alla diagnosi.

d: Prima lei ha usato la parola “accettare”, ma posso solo immaginare cosa sia stato conoscere una diagnosi come quella.

r: Ho pianto tanto. È cambiata la vita.

d: Nonostante la malattia lei è riuscito comunque a diventare un esempio: lavora, ha una bella famiglia, dei figli ed è diventato uno sportivo di grande rilievo.

r: Vorrei dimostrare agli altri che, nonostante notizie come questa, si può sempre trovare un risvolto positivo. Sono nato in Canada (per le prevedibili ragioni di immigrazione), lavoro presso un’agenzia di vigilanza qui a Rionero e sono padre di due figli. Insomma, mi sono dato una seconda possibilità. Stare sul divano a compiangersi non serve a nulla. Io vorrei che un domani qualcuno possa ricordarsi di quella persona che, nonostante tutte le difficoltà, è riuscita a creare una nuova vita.

d: In cosa lo sport –oggi- ha cambiato la sua vita?

r: Lo sport ti insegna a non mollare mai. Questa mia notorietà nasce da sé, anche perché non ho né sponsor né agenti. L’intervista, la gratificazione di un premio semplice, mi fanno capire che sto andando verso la strada giusta: i disabili devono affrontare la vita come i normodotati.

d: Qual è stato il suo primo pensiero quando ha vinto il bronzo agli Europei o quando è stato convocato per le Olimpiadi?

r: Visto l’esito della gara che feci in Polonia, ero praticamente sicuro di aver portato a casa la medaglia di bronzo, perciò il primo pensiero è stato il mio papà (si commuove – ndr)… l’unico a non avermi visto in questa veste, anche perché sono ben sei anni che non c’è più.

Sulla convocazione, invece, beh, non so nemmeno se lo posso dire, ho dovuto mantenere il segreto fino alla diffusione della notizia, sebbene lo sapessi da tempo. Me lo annunciarono pubblicamente il primo agosto, il giorno del mio compleanno, è stato un bellissimo regalo.

d: Come mai si è legato ad una società di Lucca?

r: Ho iniziato ad allenarmi seriamente durante la Pandemia e con me si allenava un atleta della Virtus Lucca. C’è da dire che in Basilicata non esistono società di atletica per atleti paralimpici, quindi rischiavo di non gareggiare. Grazie ad Antony, il ragazzo con il quale mi allenavo, sono stato contattato dal vice presidente della Virtus che subito mi ha chiesto i documenti e mi ha accolto nella sua scuderia. Quando si diventa un atleta paralimpico si viene classificato in base alla patologia. La mia malattia è un po’ a sé, tant’è vero che fino a sei o sette anni fa eravamo classificati come “gli altri”, quindi gareggiavamo con l’asterisco. Ad Ancona, nel 2020, “avrei” vinto il titolo italiano, anche se non mi fu assegnato proprio a causa di una mancanza di classificazione. Successivamente, ho ottenuto la classificazione, e già a un primo raduno di luglio con la Nazionale, feci subito il record italiano e a quel punto entrai nel giro degli Azzurri.

d: A livello di strutture pubbliche nella nostra Regione, come siamo messi?

r: Ringraziando Dio, a differenza di molti miei colleghi, sto ancora in piedi, e quindi riesco a gareggiare o ad allenarmi ovunque, ma mancano strutture specifiche per disabili. Lanciare un peso da quattro o cinque chili in una palestra non è il massimo e, quando piove, a causa della mancanza di strutture, sono costretto ad allenarmi nel mio garage, figuriamoci per gli atleti che lanciano da una sedia a rotelle! Durante le gare, infatti, quegli atleti si collocano sopra uno sgabello che è ancorato alla pedana da lancio, cosa che in Basilicata non esiste, da nessuna parte. Se sono su una sedia a rotelle e devo gareggiare, in Basilicata non mi è possibile allenarmi.

d: Nemmeno a Potenza, “Capitale europea dello Sport”?

r: A Potenza c’è solo la pedana per i normodotati che io utilizzo (perché riesco a stare ancora in piedi). Ma, in generale, questo è il vero motivo per il quale non si organizza nulla al Sud: mancano strutture ricettive e sportive per disabili.

d: Manca forse anche la Cultura?

r: Certamente. Se io continuo a litigare con persone di Rionero che parcheggiano nel posto riservato ai disabili...

d: Se potesse prendere il presidente della Regione Bardi sotto braccio e parlargli in via confidenziale, cosa gli direbbe?

r: Ho avuto modo di conoscere personalmente il presidente Bardi e con me si è comportato in maniera squisita, mi ha addirittura chiesto se avessi bisogno di qualcosa. Il problema della Basilicata non riguarda né la politica in sé per sé, e alla fine nemmeno le strutture: mancano le persone. Anche se domani Bardi creasse una struttura, quante persone andrebbero poi ad allenarsi? Lo dico, perché l’amministrazione comunale precedente di Rionero, quando presi il bronzo, mi chiese cosa mi serviva; risposi che tutti i fine settimana ero costretto a raggiungere Potenza per i consueti allenamenti. Ebbene, grazie ad un dialogo proficuo sono riuscito ad ottenere una pedana da lancio nel centro sportivo di Rionero.

d: Riuscendo dunque a dialogarci, con la politica, le cose si possono fare.

r: Sì, anche se hanno del tempi un po’ lunghi (sorride). Il problema reale è che quel dialogo è finito lì: non si crea la possibilità di portare persone, persino le normodotate, ad allenarsi. Quella pedana la utilizzo solo io; non si lavora per il dopo, è tutto un "fatto e finito". Mi dicono: perché non “porti” altre persone? E io rispondo sì, ma bisognerebbe andare nelle scuole, e io lavoro per una ditta privata che mi ha sempre concesso delle ore di permesso e che mi ha consentito di esserci alle premiazioni, ma che è pur sempre una ditta privata. Non sono uno di quelli atleti agevolati, che fanno parte della Polizia di Stato o della Guardia di Finanza e che fanno solo gli atleti. Non ho nessun tipo di aiuto. Per me diventa difficile anche fare una semplice intervista, ebbene forse è questo l’aiuto più concreto che potrebbe essermi concesso, un qualcosa che a sua volta mi possa concedere del tempo per divulgare. Infatti, pensi, in paese non tutti sanno che “quell’atleta paralimpico” sono io!

d: Il film che la rappresenta?

r: “Rocky”. Anche lui, uscito dal nulla, si ritrova a competere per un titolo mondiale.

d: Il libro?

r: Mi piace molto la storia egiziana, specie i testi su Ramses II° .

d: La canzone?

r: “Uno su mille ce la fa”. Forse io sono uno di quei mille.

d: Mettiamo che tra cent’anni scoprono una targa a suo nome in una struttura paralimpica (finalmente!): cosa le piacerebbe ci fosse scritto?

r: Innanzitutto grazie per i cento anni di vita! (risate). Sarebbe un onore, e il messaggio sarebbe quello che vince solo chi non molla mai, chi non smette mai di provarci. Vede, probabilmente non riuscirò a partecipare ai prossimi Mondiali, ho un problema alla schiena, ma in ogni caso mi allenerò per dimostrare il mio valore. Non bisogna mollare mai. Mai.

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Sette domande al dottor Angelo Raffaele Sigillito, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva

I

l Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva del San Carlo, il dr. Angelo Raffaele Sigillito, nel presentare le attività svolte dall’equipe, sottolinea l’importanza di aderire agli Screening del colon retto, proposti dalla Regione Basilicata, che tuttavia ancora oggi non trovano molto riscontro.

1) Di che cosa si occupa l’Endoscopia Digestiva?

È il fulcro dell’attività ospedaliera, in quanto si interessa delle patologie che afferiscono al tubo digerente, che è l’organo che comincia dalla bocca e finisce nell’ano. Tutto ciò che appartiene a questo tubo interessa la gastroenterologia, di cui l’endoscopia digestiva è la parte tecnica. Oggi è diventata materia principe della medicina perché alla Gastroenterologia afferiscono molte altre specialità tra le quali la Reumatologia, l’Oculistica, la Dermatologia, la Chirurgia e pertanto, è diventato snodo dell’attività ospedaliera.

2) Quando è bene sottoporsi ad una visita? C’è un’età in cui bisogna iniziare a preoccuparsi maggiormente?

Nella nostra pratica clinica oramai abbiamo pazienti che spaziano dall’età pediatrica all’età molto adulta, parliamo anche di novantenni, anzi, è la patologia che più di frequente riscontriamo, anche se capita piuttosto spesso ultimamente di avere a che fare con bambini di un anno o qualche mese. È una branca che affascina anche per questo motivo, perché ti dà modo di confrontarti con persone di tutte le età.

3) Di quali sintomi ci si deve preoccupare?

Ci sono dei sintomi considerati genericamente di allarme: da tenere in considerazione per primo è un sanguinamento, che può essere sia per via orale sia per via anale; un altro sintomo importante di allarme è l’anemizzazione, all’improvviso o con il tempo, ma anche un veloce dimagrimento. Poi ci sono anche sintomi un po’ meno specifici che comunque inducono a fare una visita gastroenterologica, legati a dolori di stomaco, mal di pancia. Non bisogna considerare la Gastroenterologia solo per la sua parte diagnostica, che è l’endoscopia, ma anche soprattutto dal punto di vista clinico. Di base comunque il primo confronto deve avvenire con il medico di medicina generale che deve fare un minimo di discrimine e decidere successivamente se indirizzare il paziente a visita specialistica e/o ad esame endoscopico.

4) Tra gli esami più conosciuti ci sono la colonscopia e la gastroscopia, molto spesso considerati troppo invasivi, motivo per cui la popolazione a volte è restia: ci sono dei modi per renderli meno fastidiosi?

Intanto questi non sono gli unici esami, fondamentalmente sono quelli più richiesti. In questa UOC eseguiamo una moltitudine di esami come l’endoscopia sulle vie biliari, il trattamento delle patologie biliari (RCP), e da sei mesi anche l’eco-endoscopia, che è ancora più selettiva per lo studio del pancreas e delle vie biliari; usiamo poi la ph-metria che ci fa capire se c’è più o meno reflusso gastroesofageo, ma anche l’impedenzometria. Tutti questi esami oggi vengono eseguiti, nella quasi totalità, in sedazione conscia, cioè i pazienti vengono sedati, devono essere accompagnati perché non possono andare via da soli. Durante l’esame si può avere una sensazione di fastidio, ma non di dolore, E dopo aver fatto l’esame non riscontrano grandi problemi.

5) Esistono invece delle tipologie di esame meno invasive ?

Probabilmente la ph-metria e la manometria ano-rettale lo sono un po’ meno, il concetto di invasività però va regolato al grado di invasività dell’esame stesso, perché si tratta in ogni caso di qualcosa che entra nel nostro organismo. Molto dipende anche dalla capacità di “compliant“ di una persona, un termine efficace che definisce la capacità del paziente di sopportare l’esame.

6) In medicina si parla sempre tanto di prevenzione, quali screening interessano questa UOC?

Come Azienda Ospedaliera San Carlo, e personalmente per 15 anni come responsabile iniziale, abbiamo portato avanti e lo stiamo facendo tuttora lo Screening del colon retto, che è FONDAMENTALE, innanzitutto perché coinvolge uomini e donne indistintamente. È uno screening di cui si parla poco, primo perché ha a che fare con le feci, quindi c’è una naturale non predisposizione all’esecuzione dei test, secondo perché prevede come esame di secondo livello la colonscopia. È un mito che va sfatato, perché si deve sapere che in una popolazione come la nostra, di quasi 600.000 abitanti, nella fascia di popolazione bersaglio, a rischio, cioè tra i 50 e i 70 anni, c’è un 4-7% di positivi, vale a dire persone che portano un cancro e non sanno di averlo. Per cui in generale bisogna aderire ai programmi di screening della Regione e tra questi, a quello del colon retto che ancora oggi trova poca adesione. Mi preme poi sottolineare che grazie a un lavoro di circa cinque anni, siamo diventati Centro di Riferimento regionale per il trattamento delle malattie infiammatorie croniche intestinali, come il Morbo di Crohn e la Rettocolite Ulcerosa. Sono patologie invalidanti che colpiscono in qualunque età; ne stiamo vedendo sempre di più in soggetti pediatrici e sono patologie che abbisognano di un controllo costante e continuo. Abbiamo “arruolato” circa 400 pazienti nel nostro ambulatorio, circa 80 sono già in terapia con farmaci biotecnologici di ultimissima generazione che rendono molto vicina la guarigione della sintomatologia e migliorano la qualità di vita degli stessi pazienti. Siamo inoltre anche riferimento regionale per quanto riguarda la celiachia, una patologia misconosciuta: sulla popolazione italiana (circa 60 milioni di abitanti), l' 1%, è positivo alla celiachia; molti non lo sanno e dopo aver effettuato i vari esami specifici, i pazienti (si tratta prevalentemente di giovani) rientrano in un percorso che è fondamentalmente alimentare: hanno bisogno di assistenza e di supporto psicologico.

7) Quali consigli può dare per prevenire l’insorgere di problemi gastrointestinali?

Oggi dobbiamo fare attenzione a tre aspetti della nostra quotidianità, lo dico da specialista che fa questa professione da ormai 42 anni: noi siamo fatti di geni, quindi la genetica non si può modificare. In una famiglia in cui c’è stato un cancro, indubbiamente c’è un’alta probabilità che possa ripresentarsi. Siamo fatti poi di ambiente e quindi siamo inseriti in un contesto in cui l’ambiente ha la sua funzione. Infine siamo fatti di alimenti, di ciò che mangiamo e purtroppo mangiamo male. Bisognerebbe ricominciare a mangiare come i nostri nonni, cioè i frutti della terra, diminuendo l’apporto di grassi insaturi come quelli provenienti dalla carne: attenzione, diminuire non eliminare, mangiare molta frutta e verdura e possibilmente condire con olio EVO. Molto utile è consumare soprattutto pesce azzurro che contiene Omega3, sostanze di aiuto e supporto alla prevenzione non solo soltanto dei problemi gastrointestinali, ma anche di quelli di tipo cardiologico.

a cura di Antonella Sabia

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di Antonella Sabia

 

 

 

 

L’Arcivescovo di Potenza, mons. Ligorio, continua il suo pellegrinaggio sinodale pre-natalizio tra i soggetti che animano la società di Basilicata. E dopo aver incontrato gli imprenditori, giovedì scorso ha incontrato i sindacati, ricevuto dai segretari regionali di CGIL,CISL e UIL.

L’incontro è stato fortemente voluto dall’Arcivescovo, non solo per porgere personalmente gli auguri natalizi ai rappresentanti dei lavoratori, ma soprattutto per consegnare un messaggio di fiducia e di speranza da parte di tutta la Chiesa locale al mondo del lavoro lucano attraversato da mille difficoltà.

Mons. Ligorio ha già avuto modo nei giorni scorsi di denunciare l’aumento della povertà in diocesi, la solitudine degli anziani e la piaga dell’emigrazione giovanile che depaupera il mezzogiorno di quanto più necessario per crescere, oltre alla condizione delle donne praticamente ancora ai margini del mercato del lavoro.

Per parlare di tutto questo, Monsignore ha incontrato anche noi di Controsenso Basilicata.

d: Pochi giorni ci separano dalla fine dell’anno, questo 2022 possiamo considerarlo un anno di ripresa e ripartenza?

r: Mi viene in mente uno spartito musicale, dove insieme a tutte le note, ce n’è una chiamata “pausa” che termina con un andante precedente, è una fermata, una sosta per ripartire di balzo. Vorrei così paragonarlo quest’anno, dopo la pandemia che ci ha costretti ad una pausa non indifferente sotto tutti gli aspetti e crea adesso un anno di transizione. La speranza ce la dobbiamo portare sempre dentro di noi, non muore mai, con un balzo in avanti vediamo che un’alba nuova di speranza appare all’orizzonte. C’è bisogno però anche di impegno, di progettazione, capacità di saper lavorare in rete e per fare tutto questo bisogna rimboccarsi le maniche, e farci illuminare la nostra mente e il nostro cuore ad amare questa regione che ha le sue ricchezze, le sue potenzialità, ma soprattutto ha bisogno di progettualità saggia e profetica.

d: Prima la pandemia, oggi anche la guerra che seppur non ci tocca così da vicino fa parte della nostra quotidianità: ognuno di noi, questi anni li ha vissuti legati ad un senso profondo di speranza, come diceva lei, ma quando tutto questo finirà saremo più uniti o più soli?

r: Io parlo di una speranza fattiva e concreta, incarnata nel vissuto. Mi preoccupa però un dato, 600 nati in meno nella Regione, rispetto all’anno precedente. Ricordiamo poi anche quanti giovani emigrano, e questa è un’altra riflessione importante che bisogna fare, soprattutto per quei ragazzi che sono preparati culturalmente,che hanno affrontato grandi spese per formarsi, come una primavera in cui ci si prepara a raccogliere il frutto, ma arriva l’autunno e spazza tutto via, così i giovani vanno via. C’è da fare davvero una riflessione profonda, bisogna tornare a sottolineare che la nostra regione Basilicata ha tanto da poter offrire e donare. Pensiamo a tutte le aziende che ci sono nella Val d’Agri, dove effettivamente ci sono richieste di manovalanza nella regione, mentre per le posizioni dirigenziali si rivolgono altrove. Non è possibile quindi cominciare a pensare a qualche scuola per formare quelle intelligenze che non mancano alla Basilicata?I nostri giovani quando escono fuori si affermano a livello nazionale e internazionale.

d: Cosa bisognerebbe fare per trattenerli? E chi dovrebbe fare qualcosa?

r: Dico innanzitutto che tutti dobbiamo sentirci responsabili, sono convinto che i giovani stessi amano questa terra, aldilà poi delle scelte di libertà che ognuno di loro affronta, ma in questo caso spesso diventa una costrizione andar via perché non hanno un’opportunità, e quindi non è possibile parlare di giustizia. Tutti quindi dobbiamo sentirci responsabili, nelle istituzioni poi, nel momento in cui ci si propone per assumersi delle responsabilità e viene accolto un incarico, ci devono anche essere delle conseguenze adeguate al tipo di ruolo che si va ad occupare, perché si è avuta la fiducia di un popolo.E poi sarebbe necessario superare l’individualismo, una radice difficile da scardinare quando in realtà è proprio questa l’espressione più grande che bisogna ricercare nelle azioni umane e sociali di un popolo che ritrova se stesso.

d: Purtroppo, sempre la pandemia, ha creato un solco profondissimo tra le famiglie già in condizioni di povertà, a cui si sono aggiunti “nuovi poveri”, tra quelli che magari un lavoro ce l’hanno ma non riescono comunque ad affrontare le spese di tutti i giorni.

r: Proprio qualche giorno fa è stato presentato il report della Caritas, invito tutti a rileggerlo perché potrebbe diventare quasi come un esame di coscienza che ci dobbiamo fare tutti. Si sono diversificate persino le povertà, quelli che erano molto poveri, sono rimasti tali, anzi hanno affrontato nuove problematiche, impoverendosi fino alla miseria poiché a volte mancano proprio le necessità prioritarie. Anche il ceto medio, inteso come famiglie monoreddito, oggi con difficoltà riesce a supportare tutte le spese quotidiane, perciò questa è una riflessione che ci deve portare a comprendere che è necessaria una progettazione chiara; non possiamo continuare a vivere con questi contributi a pioggia, bisognerebbe sfruttare al meglio questo PNRR, trovando delle giuste modalità. A volte mi fermo a riflettere sulla città di Matera che ha avuto questo slancio di fortuna, attraverso il loro spirito intraprendente, ma tutta la regione deve essere trainata perché, a concorrere con Matera ci siamo anche tutti noi altri.

d: Tra qualche giorno è Natale, oltre al significato religioso, è in questa festività che le famiglie si ritrovano, oggi che sembrano essere più che mai disunite.

r: Il Natale è una festa che va celebrata, ma prima di tutto è il Natale di Gesù, il mistero del figlio di Dio che si fa uomo, che incarna l’umanità e si fa carico delle nostre vite, della mia, della tua, di ognuno di noi…ci potrebbe essere cosa più grande di questa? È la riflessione che il credente deve approfondire, così il cercatore di Dio trova un punto di riferimento solido e di equilibrio nella sua vita. Prendere consapevolezza dell’immagine del profeta Isaia, quando parla di un popolo che cammina nelle tenebre, e poi trova la luce. Così vedo l’attualità di oggi, tra pandemia, guerra, situazione di disoccupazione, immigrazione, il popolo sente questo bisogno di speranza. Se io entro in una stanza buia, la prima cosa che cerco è ovviamente l’interruttore, perché ho bisogno della luce, è un desiderio innato nell’uomo, così come un popolo che cammina nelle tenebre, ha bisogno di ritrovare la strada. Dio quindi si è incarnato nell’uomo per ridare speranza e fiducia, questo Dio è l’Emanuele, Dio che incarna l’umanità. Diamo quindi questa spinta ai giovani e questa speranza potrà essere viva per loro e per l’intera regione.

d: Eccellenza, il suo augurio di speranza per l’anno che verrà, per i nostri lettori e per tutti i Lucani.

r: Innanzitutto, di accogliere queste riflessioni brevi che abbiamo fatto, anche leggendo qualche riga che rimanga ferma, perché l’uomo non può rimanere nello stato in cui si trova, certamente un passo in avanti bisogna farlo, ma dipende anche dalla corresponsabilità con la quale prendo in mano la mia vita, guardo verso questa luce e mi incammino. Qualcosa sicuramente avverrà, bisogna avere fiducia. Non temete, coraggio.

 

 

 

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di Walter De Stradis

 

 

 

 

Nonostante il capello sale e pepe, Nicola Massimo Morea, quarantacinquenne primo cittadino di Irsina (provincia di Matera) ha un viso giovanile, con alcuni tratti (tipo di occhiali compresi) che lo rendono somigliante (solo vagamente, appunta lui), al collega di San Costantino Albanese, Iannibelli. Il Primo Cittadino, al secondo round di un mandato al quale –ci spiega- in pochi ci credevano inizialmente, lavora come legale presso l’Asm, e quando lo incontriamo all’Art Restaurant, è fresco reduce di un paio di riunioni e sul procinto di farne un altro paio.

«Irsina è un comune grande per estensione territoriale, il secondo della Basilicata e il cinquantanovesimo d’Italia con una popolazione attuale di quattromilacinquecento abitanti, che ha raggiunto il picco, con circa dodicimila residenti, intorno agli anni ‘60».

d: ...Quattromilacinquecento abitanti tutti sulle sue spalle?

r: (Sorride) Nei comuni il sindaco è il punto di riferimento per tutta la comunità, si sente sia il peso dei successi sia quello dei bisogni dei cittadini, che hanno un riferimento in via esclusiva. Mi diverte pensare che nei comuni, ancora oggi, il sindaco, il parroco, il medico e il maresciallo dei Carabinieri siano le figure di riferimento. Un vecchio mondo che va preservato.

d: Secondo lei la politica deve prendere esempio dai sindaci, recuperando il contatto diretto con i cittadini?

r: Assolutamente sì, serve stare per le strade e tra la gente, ritornare al rapporto diretto. Insomma, occorre pensare ai borghi come a degli scrigni pieni di oggetti da custodire e non come a delle realtà da abbandonare fino a morte naturale.

d: Lei in questi giorni ha avuto modo di partecipare a numerose riunioni, come quella di ieri sera (mercoledì per chi legge) in Regione, a proposito del ridisegno della sanità territoriale. A che punto è? Cosa convince voi sindaci e cosa no?

r: Ci aspetta una stagione importante con il PNRR, tra l’ospedale di comunità e le case di cura per una maggiore prossimità delle prestazioni sanitarie ai cittadini. Quello che non ci convince, in realtà, è il disegno che prevede la riduzione dei Presidi sanitari sul territorio, dunque una mortificazione delle nostre realtà territoriali, e siccome già ci siamo passati con il DM 70, con gli ospedali che hanno subito una brusca riduzione delle prestazioni, a tutto vantaggio delle altre regioni, con la mobilità extra-regionale dei nostri corregionali, direi che non possiamo certo permetterci di ripetere questo errore. Nel pomeriggio (mercoledì, ndr) elaboreremo una proposta per salvare il distretto di Tricarico, l’unica struttura che non diventerà Ospedale di comunità, quindi dovrà mantenere la sua funzione per il territorio. Nel 2023 ricorrerà il centenario dalla morte di Scotellaro, fondatore dello stesso nosocomio insieme a Monsignor Delle Nocche, dunque direi che è questo un segnale importante.

d:...Che percentuale si dà di riuscire nell’intento?

r: Abbiamo rappresentato alla Regione le nostre esigenze, dunque pretendiamo che ci sia il rispetto delle nostre comunità.

d: E in merito al direttivo ANCI che si è svolto in settimana cosa può dirci?

Esamineremo il documento sulla sanità territoriale del quale le ho parlato poc’anzi, con eventuali proposte da trasmettere.

d: Ogni giorno, sui giornali, su una pagina c’è un articolo dedicato alla crisi della sanità privata, e sulla pagina a fianco un altro articolo sulle difficoltà della sanità pubblica. Lei è avvocato e lavora al Madonna delle Grazie: che momento vive la Sanità lucana?

r: Un momento orribile. C’è un problema di attrattività delle strutture e una carenza, mai registrata finora, di medici. Con il famigerato DM 70 c’è stata una drastica riduzione delle attività specialistiche, pertanto anche il Madonna delle Grazie ha finito per perdere il suo appeal. Il problema reale è che quegli stessi pazienti non sono stati dirottati all’Ospedale San Carlo, bensì alla vicina Puglia, con un danno enorme per l’intera Regione. È indispensabile un piano sanitario regionale che indichi una strada, così si va avanti mettendo soltanto delle toppe.

d: Bisogna intervenire con il bisturi o con una terapia a lungo termine?

r: Con il bisturi, per drenare una situazione grave. Bisogna intervenire ora per progettare la sanità pubblica da qui ai prossimi venti anni, altrimenti moriremo di morte naturale.

d: Stamane (sempre mercoledì per chi legge) c’era una riunione in merito ai fondi FESR

r: Sono stato invitato, come comune di Irsina, a presentare una relazione in merito ad un progetto su una scuola Media realizzato quasi in tempi record e, pertanto, segnalato come meritorio.

d: Dunque non sono i classici soldi che tornano indietro?

r: Cerchiamo di non mandare indietro nemmeno un centesimo.

d: Qual è una delle pratiche che sta più in cima alla sua scrivania?

r: Stiamo facendo da anni un lavoro importantissimo sul centro storico di Montepeloso, che ha visto un recupero importante, finanche con l’acquisto di immobili da parte di novanta famiglie straniere che hanno deciso di trasferirsi nella nostra città. Il centro storico di Irsina è uno dei borghi più belli d’Italia, una realtà che custodisce gioielli inestimabili come la statua di Santa Eufemia in Cattedrale, una cripta del Trecento e un sistema di acquedotti sotterranei. Insomma, c’è la possibilità di puntare sul legame cultura e turismo, e noi lo stiamo facendo.

d: Molti sindaci, non ultimo quello di Garaguso, hanno lamentato il fatto di sentirsi spesso soli, o per meglio dire, avvertono un certo scollamento rispetto alle istituzioni superiori, Provincia o Regione.

r: Si potrebbe fare molto di più, il dialogo c’è e ci sono anche le risorse economiche, tuttavia bisognerebbe creare una rete del territorio. Io mi diverto sempre a raccontare che noi di Irsina viviamo lungo la via del Bradano, da Melfi fino a Metaponto, da Federico II a Pitagora, dal castello di Miglionico a Matera, dunque è già un distretto turistico a tutti gli effetti. Abbiamo un patrimonio che può e deve essere venduto, dunque è necessario un collegamento tra Enti pubblici e privati per realizzare un indotto turistico importante.

d: Collaborate anche con la Puglia? Glielo chiedo perché in molti ritengono che dell’operazione Matera 2019 ne abbia beneficiato soprattutto la Puglia stessa.

r: Le dinamiche sono frequenti e i contatti assidui, compresa la voglia di lavorare insieme. La Puglia è una regione che, innegabilmente, ha degli aspetti che la pongono in vantaggio rispetto a noi, specialmente per numero di abitanti e densità territoriale, tuttavia si può e si deve collaborare.

d: Qual è l’errore da non commettere in questo momento in cui di soldi ce ne sono?

r: Buttare via soldi in progetti senza prospettive. Serve uno scambio a tutti i livelli. Occorre programmare in maniera seria, anche collaborando con i privati.

d: Bisogna anche tenere d’occhio gli appetiti illeciti…

r: E infatti noi abbiamo sottoscritto un protocollo con la Provincia di Matera che va ad elevare il livello di protezione nella fase dell’esecuzione delle gare di appalto.

d: Cosa direbbe al Presidente della Regione se potesse prenderlo sotto braccio?

r: Gli direi di girare di più per la nostra Regione e di vedere i sindaci come alleati e non rivali. Ci sono iniziative meritorie come il bonus gas, ma è solo una goccia d’acqua nel deserto.

d: C’è un detto irsinese che si può adattare alla situazione appena descritta?

r: Non so se si adatta al momento della Basilicata, ma mi piace spesso citare: “A Montplos (vecchio nome di Irsina) nun c’ scenn’ si nun sai l’ cos, prché t fac’ lu prtus”, tradotto: a Irsina non andare se non conosci i suoi costumi...perchè sennò ti fanno il "pertuso".

d: E' un avvertimento?

r: (Risate) No, no, è solo per dire il carattere di noi irsinesi.

d: La canzone che la rappresenta?

r: “Paese mio che stai sulla collina”, mi risuonava in testa, quando, da studente universitario prendevo l'autobus "Marino" alla volta di Milano.

d: Il film?

r: “Del perduto amore”, un bel film girato ad Irsina di Michele Placido che non ha avuto il successo che meritava.

d: Il libro?

r: Dovrei scegliere tra Scotellaro e Foscolo, due autori italiani che hanno contribuito alla mia formazione sociale.

d: Tra cent’anni scoprono una targa a suo nome ad Irsina, cosa vorrebbe fosse scritto?

r: «Lavoro, amore e sacrificio a difesa del suo territorio».

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di Antonella Sabia

 

 

Mimì Chiorazzo ci ospita ancora una volta nel suo storico locale, in un pomeriggio piovoso in cui incontriamo pochissime anime lungo Via

Pretoria. Il motivo è sempre quello, tornare a porre l’attenzione sul Centro Storico di Potenza, oggi che è diventato un po’ più luccicante per le imminenti festività natalizie.

Per prima cosa vorrei fare un plauso al Comune per le luminarie – ci dice subito lo storico ristoratore –perché, anche se sono in numero minore rispetto allo scorso anno, sono state messe in tempo e accese per l’Immacolata. Finalmente poi è stato fatto un albero all’altezza del capoluogo. Il centro storico sta vivendo un momento di grande crisi, che però viene da lontano, pertanto non si possono incolpare gli amministratori attuali che l’hanno trovato in questo modo, ma purtroppo è vero che nulla hanno fatto per migliorarlo. Bisognerebbe prendere in mano questa situazione per cercare di riportare più gente possibile nel centro storico”.

d: In che modo si potrebbe fare?

r: Sicuramente se ci sono condizioni di parcheggio limitrofe. Devono trovare una soluzione per i parcheggi, secondo me non è difficile da trovare, e loro sanno dove poter attingere.

d: Spesso si dice che voler parcheggiare in Centro sia una cattiva abitudine dei potentini…

r: Per arrivare in Centro bisogna “salire” nel vero senso della parola, quindi spesso è necessario un mezzo. La parte vecchia della città intorno alle ore 20:30/21 muore completamente, perché per la maggior parte le scale mobili sono chiuse, e non si capisce perché. Se vogliono che la gente venga in Centro e usi i mezzi, perché allora mettere la chiusura alle 21? Su questo c’è una grossa carenza, potrebbero attenzionare questo problema e fare un piccolo sacrificio, magari anche aumentando di 0,10-0,15 € il costo delle stesse. Fate in modo che la gente possa arrivare!

d: Tanti negozi hanno chiuso, il motivo sono gli affitti sempre più cari?

r: Gli affitti non sono più alti, i negozi chiudono perché c’è stata una politica di incentivazione a spostarsi verso altre zone cittadine, sarebbe opportuno quindi che in Comune incominciassero a pensare a dare incentivi per far tornare gli imprenditori verso il centro storico.

d: Che tipo di incentivi?

r: Tutto quello che possa essere necessario per ridare nuova vita al Centro, ma solo se si vuole che il centro storico torni a vivere nuovamente, con vetrine piene e nuove proposte.

d: L’idea è stata spesso quella di riportare anche gli uffici…

r: Secondo me non ci hanno mai pensato, per questioni decisionali legate agli impiegati e ai dirigenti che hanno difficoltà ad arrivare al Centro…e ritorniamo ancora una volta al problema dei parcheggi. C’è poi anche il problema della piattaforma della ferrovia appulo-lucana sotto il Grande Albergo.

d: Da qualche mese, si sta provando a far rivivere anche un pezzo della storia potentina, la torre Guevara, per anni e anni coperta da un maestoso palazzo.

r: In quel palazzo negli anni passati vi era un ospedale, poi qualche amministratore lo ha destinato ad uso scolastico. Sicuramente è stato per anni una bruttura dal punto di vista estetico, ma anche un peccato aver coperto uno dei simboli della città. E sempre per tornare ai parcheggi, abbiamo dato modo ai privati di crearne in via Bonaventura, e la piazza sopra è rimasta inutilizzata, quando in un primo momento era destinata ad area mercatale.

d: Qualche giorno fa è stato presentato il cartellone degli eventi natalizi in città, pensa che questo potrebbe far rivivere il Centro?

r: Gli eventi si possono anche fare, ma noi per lavorare e rilanciare il centro non possiamo aspettare il giorno dell’evento, abbiamo la necessità di lavorare tutti i giorni ed evitare che la gente scelga di frequentare solo locali e negozi in periferia o comunque in posti più facili da raggiungere, dove è comodo parcheggiare. Si era parlato in passato della possibilità di parcheggi sotterranei, sotto Piazza Mario Pagano, con accesso da XVIII Agosto e uscita in via Mazzini, ma nessuno sa perché quest’idea non si sia mai concretizzata.

d: Cosa si augura per questo Natale?

r: Sicuramente che questa amministrazione si ravveda e incominci a pensare come deve essere la Potenza del futuro, se deve diventare una città da visitare o se dobbiamo lasciare alle zone distanti dal Centro il potere “accentratore”, penso a Macchia Romana, via del Galitello ecc. A volte penso che questa città sia abbandonata a se stessa, e prima che finisce questa consiliatura, spero almeno che si possa lasciare a chi verrà dopo un progetto fattibile. Gli attuali amministratori non hanno trovato nulla in eredità e così facendo, nulla lasceranno ai prossimi.

Ci congediamo dal ristoratore con una richiesta, l’impegno di continuare a parlare per tenere vivo l’interesse per il centro storico. Trascorse le festività natalizie, il signor Mimì ci ha ridato appuntamento, estendendo l’invito anche ad altri commercianti o privati cittadini che vorranno discutere proposte e idee che questa amministrazione potrebbe valutare per far rivivere il Centro Storico.

 

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di Walter De Stradis

 

 

 

 

Osservando i bambini che, usciti di scuola, scambiano saluti col Sindaco all’ingresso del bar sede dell’intervista, viene da dare ragione a quanti sostengono (come accaduto in diverse puntate di questa rubrica) che la Basilicata PUO’ ripartire dai piccoli comuni. Tuttavia, come ci spiega il noto avvocato Francesco Antonio Auletta, al terzo mandato come primo cittadino di Garaguso (provincia di Matera), già Presidente della Comunità Montana “Medio Basento”, c’è prima da risolvere tutta una serie di problemi, non pochi dei quali sono anzitutto a livello di mentalità…politica.

d: Come giustifica la sua esistenza?

r: Intanto grazie per l’attenzione che rivolgete ai piccoli borghi: ci dà l’occasione per far sapere ai lettori come si vive in queste realtà. Per quanto mi riguarda, quella di rimanere a Garaguso è stata una scelta di vita, avendo avuto la possibilità di esercitare la professione di avvocato fuori regione. Poi, ahimè, la politica ti contagia, e iniziai da subito a frequentare le sezioni di partito, ove comunque si stava sempre dalla parte dei più deboli e dei bisognosi. Negli anni Ottanta qui ci fu un evento, la manifestazione per il metano (qui abbiamo una centrale), che coinvolse tutto il popolo garagusano e che lo segnò per sempre, anche caratterialmente. Oggi, però, la società è mutata e soprattutto nei giovani non c’è tanto interesse o volontà ad avvicinarsi alla politica.

d: La difficoltà nei piccoli centri oggi è proprio quella di aggregare dei giovani attorno a un’idea politica.

r: Sì, però, e l’ho detto spesso, non può soltanto un Comune o la politica portare una comunità all’unità, ma occorre un’opera di aggregazione anche da parte di altre “agenzie”. Quando alla diocesi di Tricarico era vescovo monsignor Ligorio, fu compiuto un studio sulle cinque “agenzie” e sulla corresponsabilità di queste: chiesa, enti pubblici, associazioni, famiglie e scuola. Solo se queste cinque “agenzie” collaborano, si ottiene una formazione (laica o religiosa che sia) volta a una coscienza pulita.

d: Ritiene che queste cinque “agenzie” siano latenti nel curriculum di molti di quei giovani che oggi – in Basilicata e non solo- sono amministratori e che sono entrati in politica dalla porta principale?

r: Ah, io credo proprio di sì! Oggi la politica non è più concepita per il bene comune. Il sacrificio? Dai, parliamoci chiaro, basti guardare quello che sta succedendo a livello europeo! Non c’è più l’obiettivo di stare dalla parte dei più bisognosi. Anche per quanto riguarda le infrastrutture. Basta guardare la viabilità nella provincia di Matera, nelle aree interne: da Terzo Mondo!

d: Tempo fa lei fece una provocazione: “ci adotti un’altra provincia, perché qui ci sentiamo abbandonati”.

r: Certo, una provocazione, ma non nell’interesse solo del mio comune, bensì delle aree interne, perché questa è la “porta” delle aree interne! All’epoca Barca fu consigliato molto male, facendo fermare le “aree interne” a Oliveto Lucano (partendo da Aliano), quando invece dovevano continuare fino a Tricarico e Grassano! Oggi quelle “aree interne”, da Oliveto ad Aliano, gestiscono 50milioni di euro; ciò che invece non gestiscono quei piccoli comuni come il nostro. Pensi che io, dall’inizio della mia esperienza, e cioè da quarant’anni, mi ero battuto per fare l’unione dei comuni, Oliveto, Calciano, Garaguso e Tricarico (l’ex comunità montana del Medio Basento). E ci ero riuscito!

d: E poi?

r: E poi, scellerati, scellerati, quelli di Tricarico, scellerati, sono andati in non so quale albergo a unirsi, parte di maggioranza e parte di minoranza, e hanno fatto venire il Commissario prefettizio. E quel paese, che io considero fra i migliori della regione (per cultura, sviluppo, patrimonio religioso etc.) è diventato di una povertà unica. Tricarico per noi è sempre stato un punto di riferimento, tant’è che oggi anche i Tricaricesi capiscono che lì, giù allo Scalo (di Garaguso, Grassano e Tricarico) andava fatta una succursale dell’Università. Quello Scalo è “baricentro” della Basilicata! Oggi iniziano a capire.

d: Dopo quarant’anni, lo hanno capito anche le istituzioni superiori?

r: Non lo capiscono, o meglio, non lo vogliono capire! Si figuri se –persone di Potenza, Matera o Avigliano- possono accettare la proposta di un sindaco di un paese con mille abitanti! E si perdono occasioni. Le faccio un esempio: l’altro giorno, proprio allo Scalo, abbiamo inaugurato un centro diocesano parrocchiale, comprensoriale (la diocesi di Tricarico parte da Missanello e arriva ad Aliano). Già Monsignor Delle Nocche aveva concepito lo Scalo come “centro”. Tutti gli altri, se lo sapevano, non hanno mai voluto investire. Oggi però si è presentata una grande occasione. Ciò accade quando almeno tre “agenzie” su cinque si mettono insieme: il sindaco di Garaguso, il vescovo Orofino e l’allora governatore De Filippo (col supporto di famiglie e associazioni). La Regione all’epoca capì e diede il suo piccolo contributo (la maggior parte dei fondi l’ha messa infatti il Vaticano). Oggi siamo tutti d’accordo sul progetto: creare in quel centro diocesano un laboratorio di idee per lo sviluppo. Ci sono 300 posti a sedere e contiene strutture per i bisognosi, per gli anziani, per i giovani tossicodipendenti e sta diventando una realtà. C’è tanto da lavorare, ma c’è bisogno dell’aiuto della Provincia e della Regione.

d: E lei cosa chiede a questi enti?

r: Eh! Cosa chiediamo! Grazie al presidente della Provincia di Matera –quello precedente, non l’attuale, Marrese- riuscimmo ad ottenere il progetto del terminal bus giù allo Scalo. Iniziarono i lavori, ma oggi sono BLOCCATI! E già questo è un primo dato che non depone bene, per la Provincia e per la Regione. E allora bisogna parlare chiaro: voi Regione, cosa volete fare di questo territorio? E ripeto, qui non si tratta soltanto di Garaguso, di Grassano o di Tricarico. La stessa collaboratrice del professor Umberto Veronesi, la dottoressa Fossa, venne nel mio ufficio, prese la cartina e mi fece notare che è QUI il centro della Basilicata. All’epoca il presidente della Regione era Bubbico, del mio stesso partito, e io l’invitai a prendere un caffè con la Fossa e il sottoscritto: rifiutò, perche per lui quella era “gente non credibile”. Tempo dopo, per ragioni professionali, mi ritrovai in una struttura sanitaria (ove bisognava fare degli accertamenti per una mia cliente che stava male) sita a Ginosa Marina, quando vidi una persona che mi salutava e che mi veniva incontro. Era la dottoressa Fossa: avevano realizzato lì la struttura che volevamo fare al nostro Scalo!!! Basti questo esempio.

d: Questo ci porta a spostare il discorso sul suo partito, il Pd. Quando lei parlava di “scollamento” fra politica e tessuto sociale, beh, il Partito Democratico è quello che forse sta pagando più di tutti questo gap. Non trova?

r: Da tempo, è ovvio. Quando si perde il collegamento con i più bisognosi, i più deboli…Vede, io sono di scuola socialista e con gli altri compagni socialisti, erano quelli, i valori. Oggi i Cinque Stelle parlano, ma noi all’epoca facevamo i convegni sul merito e il bisogno…

d: …oggi c’è addirittura un Ministero, del Merito…

r: Ripeto, “merito e bisogno”. Quella era la nostra missione.

d: E il Pd, “merito e bisogno” li ha persi per strada?

r: Sììì, a mio avviso sì. Ma non soltanto a livello nazionale, anche a livello locale.

d: In Basilicata qual è stato il punto di non ritorno?

r: C’è stato già da qualche anno, anche con la “gestione” di quelli del Pd. Molte volte si perde la bussola… mentre a livello provinciale, regionale, e anche comunale, bisogna fare delle scelte. C’è una graduatoria? Prima vengono i più bisognosi, a parità di merito. Se c’è un concorso, e c’è il figlio di un contadino meritevole, non bisogna privilegiare sempre e per forza il figlio del professionista o del potente.

d: Abbiamo parlato di “cinque agenzie”. Da quante di queste deve ricominciare il centrosinistra in Basilicata?

r: Da un dato fondamentale: chi ha avuto esperienze politiche in ruoli di potere, ha dato quel che ha dato, ma ora si deve mettere a disposizione degli altri, dei giovani, delle donne (soprattutto!), altrimenti non ne usciremo più. Perché la sinistra ha un senso autentico solo se è dalla parte dei più bisognosi e dei più meritevoli. Guardi, con questa guerra non sappiamo dove andremo finire e la Pandemia –mi creda- ha cambiato la gente a livello di mentalità. Lo vediamo nei nostri piccoli paesi e l’ho detto nel mio ultimo intervento nel partito: a parte il Lavoro, innanzitutto la Sanità! Abbiamo bisogno QUI di assistenti sociali, di psicologi, perché abbiamo diplomati che dalla mattina alla sera sono cambiati, non sono più come prima. Giovani che stavano per laurearsi e ora sono sbandati! E come facciamo?

d: Se potesse prendere il Presidente della Regione sottobraccio, confidenzialmente, cosa gli direbbe?

r: Gli direi: “Generà, l’ho invitata tante volte al mio paese! So che è stato ad Accettura, ma che poi se n’è andato per Gallipoli-Cognato! So che ha pure un capo di gabinetto originario di Garaguso (che –menomale- alla festa patronale viene ed è legato)! Venga qui a vedere come stiamo noi, qui nei piccoli paesi!”.

d: Fra cent’anni scoprono una targa a suo nome qui al Comune di Garaguso: cosa le piacerebbe ci fosse scritto?

r: Ciò che ho fatto scrivere sulla targa dedicata a Madre Teresa, posta all’ingresso del mio Comune: soprattutto onestà, trasparenza e stare sempre dalla parte dei più deboli.

 

 

 

 

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di Walter De Stradis

 

 

 

 

Lo incontrai per la prima volta, alcuni anni fa, in un mio programma in radio e quando attaccò a cantare -in studio, dal vivo!- le canzoni di Pietro Basentini, rimasi folgorato dal suo “vocione”.

Quella stessa voce possente, Nicola Fiore -pensionato dell’Enel, con un ruolino di marcia importante anche da sindacalista- oggi vuole che arrivi alla orecchie giuste. Quelle che fingono di non ascoltare i problemi della Cultura e dello Spettacolo potentino.

Oltre a essere il padre della promessa esibitasi anche a “The Voice of Italy” (il figlio Rocco), Nicola è infatti (dal 2018) il presidente del “Teatro Minimo di Basilicata”, collettivo ben noto in città e pluri-premiato.

d: Ricordiamolo ai lettori: cos’è il “Teatro Minimo di Basilicata”?

r: Il Teatro Minimo di Basilicata è una compagnia amatoriale, nata una ventina di anni fa, per volontà dell’attuale direttore artistico, Dino Becagli. Si può dire che è un gruppo di sognatori.

d: Di…sogn-attori?

r: Sogn-attori (sorride) -bello,sì- che hanno continuato a mettere in scena opere che sono soprattutto legate al territorio.

d: Nella vita lei ha fatto tutt’altro, è stato dipendente Enel, dirigente nel sindacato Cisl…come si collega tutto ciò al discorso artistico?

r: Ho iniziato ancor prima dell’Enel, poiché cantavo e suonavo in chiesa. Era il 1969, e nella chiesa di San Michele, con padre Pellegrino, noi fummo i primi a iniziare l’esperienza della “messa dei giovani”, cantata e suonata con le chitarre.

d: Poi è diventata la prassi.

r: Sì, ma noi dovemmo superare non poche difficoltà nel far comprendere ai frati stessi che quella era una cosa destinata al successo, nonché utile a coinvolgere i giovani. Questi ultimi sono il filo conduttore di tutte le cose che hanno caratterizzato la mia vita e il mio impegno, compresa questa ultima del teatro. Ho ormai una certa età, e a questa esperienza ci arrivo anche tardi, ma ho l’impressione che mal si comprenda come il teatro possa diventare uno strumento formidabile per i ragazzi.

d: Lei lavorò anche nella tv privata lucana, quella degli inizi.

r: Sì, a BRT, dal 1977 al 1988, come vice-direttore affianco ad Alfredo Tramutoli, un’altra delle grandi personalità culturali della nostra città. Come le dicevo, le mie sono state tutte esperienze “sociali”.

d: In tv cantava pure, se non sbaglio.

r: Sì, mi è sempre stata riconosciuta questa capacità (sorride). Cantavo le canzoni di De Andrè.

d: Poi è stato interprete di Pietro Basentini, ma ci arriviamo. Lei accennava alle difficoltà di fare teatro in casa nostra: ciò l’ha spinta, nei giorni scorsi, a scrivere una lettera aperta, pubblicata da alcune testate. Perché proprio adesso, dopo vent’anni di Teatro Minimo?

r: Perché in questa vicenda siamo un po’ “questuanti di attenzioni”. Abbiamo cercato sempre di mediare con le difficoltà, burocratiche o nei rapporti con le istituzioni, chiedendo non soldi, bensì attenzioni. Cosa che nel tempo è venuta sempre più scemando: c’è una dissociazione fra ciò che si dice (le istituzioni) e ciò che poi si fa.

d: E adesso, cioè oggi, la misura è colma?

r: Adesso abbiamo deciso di rendere note alla cittadinanza quali sono le difficoltà che incontra chi intende interessarsi a un teatro “di livello”; già, perché “amatoriale” non significa “cosa fatta a perdita di tempo”. Noi facciamo teatro di livello.

d: Nella lettera lei parla di “indifferenza e mancanza di ascolto da parte delle istituzioni”.

r: Sì, e subito dopo, in quella stessa lettera, dico che da vent’anni siamo ospiti di alcuni benefattori. Noi non abbiamo una sede.

d: Al Comune di Potenza l’avete chiesta?

r: In tutti i modi. E sappiamo pure che il Comune ha tanti contenitori “dormienti”, in disuso.

d: E non vi rispondono?

r: Dicono sempre che stanno facendo un “censimento”, che vedranno, eccetera. In altre città questo tipo di problema non solo è stato risolto, ma addirittura promosso!

d: Si riferisce anche a quest’ultima amministrazione comunale?

r: Certo, perché tra l’altro coincide con il mio mandato da presidente. Abbiamo chiesto a tutti nell’amministrazione, assessore e sindaco compresi. Il sindaco addirittura non ci ha nemmeno risposto. Non so bene come fare. Si è in attesa che facciano un qualche bando.

d: E l’assessore?

r: Ci ha risposto parlando del “censimento”. Eppure il Comune ha dei locali che sono già nella loro disponibilità.

d: Vuoti?

r: Vuoti.

d: Voi cercate un locale a costo zero?

r: Ma anche pagando un canone, purché noi si abbia la certezza di essere collocati. Siamo stati ospiti per ben dieci anni di Ilario Ungaro, condividendo una sede con altre quattro associazioni. Adesso siamo a casa di chi capita.

d: Tornando alla lettera, lei diceva che le istituzioni non riescono a rendersi conto delle “ricadute negative” che provocano sul tessuto culturale della regione. Quali sono queste ricadute negative?

r: Tenga conto che il Teatro Minimo restituisce al territorio tutto ciò che dal territorio preleva, in termini di conoscenza, di radici, di approfondimenti, di elaborazioni e di creazioni. Abbiamo fatto delle cose bellissime, ma nessuno si rende conto di quanto sudore ci sia prima di andare sul palcoscenico. E quando parlo delle istituzioni, non mi riferisco solo al Comune di Potenza, ma a tutte, anche a quelle scolastiche.

d: Persino la scuola nicchia?

r: Qualche anno fa preparammo “Il Cantico delle Creature”, incentrandolo sulla salvaguardia del pianeta; lo proponemmo a tutte le scuole e all’ufficio scolastico regionale, chiedendo un contributo ai ragazzi di 3, 5 euro. Non essendo del tutto gratuita, non poterono sostenere la nostra iniziativa! Si immagini in quali condizioni ci troviamo a operare. Di più: la storia si è ripetuta col nostro recente spettacolo su Dante, “Tal era io”. Lo abbiamo proposto a quasi tutti gli istituti superiori, ma l’unico che ha mandato tutti gli studenti, pensi un po’, è stato un istituto tecnico, l’ “Einstein”. E molti di loro a teatro non ci erano mai venuti. Proprio il Liceo Classico, invece, non ha mandato nessuno!!! E sono stati contattati tutti allo stesso modo. Sono queste le cose che fanno venire meno la passione. E pensare che il Teatro Minimo di talenti ne ha scoperti tanti e che alcune nostre opere sono state premiate dal Presidente della Repubblica (come “Il treno dell’oblio”, sulla grande tragedia di Balvano).

d: Nello spettacolo sulle brigantesse (“Le Regine dei boschi”) lei cantava alcuni brani di Pietro Basentini. Ritiene che questo personaggio fondamentale della musica popolare locale sia stato dimenticato dalle istituzioni (al pari di Michele di Potenza)?

r: Guardi, io dico sempre che bisogna provarle, certe difficoltà, per capire cosa si avverte nel tentare di superarle. Noi abbiamo SCELTO il percorso del teatro amatoriale, proprio perché la cultura la vogliamo divulgare, soprattutto ai giovani. Se le scuole non aprono le loro porte, c’è poco da fare.

d: Se potesse prendere sottobraccio il sindaco di Potenza, cosa gli direbbe?

r: Di sederci tutti attorno a un tavolo e di ragionare insieme sui progetti, ognuno portando i propri talenti.

d: Conviene -come dicono molti suoi colleghi- che il Centro stia dormendo, se non addirittura morendo?

r: Sono d’accordo. La soluzione potrebbe essere ridare vita a quegli angoli dimenticati, tipo i vicoletti, e insediare lì le associazioni culturali. In Centro ci passano molti giovani. Una volta l’attività per farli entrare nella chiesa, si svolgeva tutta FUORI della chiesa stessa. Si tratterebbe dunque di “deviare” questo flusso di ragazzi. Il centro storico muore perché non c’è una visione sul suo utilizzo, visione da cui tratterebbero vantaggio tutti.

d: Lei è il padre di Rocco Fiore, che ha partecipato a “The Voice”. Quale consiglio gli ha dato?

r: Di andar via da Potenza. Questa città non è nella condizione di valutare i talenti di cui dispone.

d: La domanda tormentone: esistono i raccomandati della cultura e dello spettacolo in città e in regione?

r: Devo presumere di sì. Non ho certezze, conosco però le difficoltà che incontriamo NOI quando ci accingiamo a chiedere un qualche contributo. Se per un contributo pubblico di 3mila euro, mi si chiedono “pezze giustificative” di 6mila, capisce bene che questi 6mila euro io innanzitutto li devo avere; e dovendo agire sempre in economia, ciò porta il più delle volte a dover rinunciare a quei contributi.

d: Li chiedete e non ve li danno?

r: No, non li chiediamo proprio. Il Comune e la Regione potrebbero promuovere dei “festival del teatro”, e POI magari premiare i migliori: già sarebbe diverso.

d: La canzone che la rappresenta?

r: “Via del campo”, di De Andrè.

d: Il Libro?

r: Oggi direi “Con parole precise” di Carofiglio, perché vorrei che, da ora in avanti, ci fosse davvero assonanza tra ciò che si promette e ciò che si fa.

d: Il film?

r: L’ultimo film su Dante, quello con Castellitto. Nello spettacolo che abbiamo fatto noi, invece, io ho interpretato Boccaccio.

d: Mettiamo che fra cent’anni, nella sede del Teatro Minimo (ma mi auguro che non ci voglia tanto!), scoprano una targa a suo nome: cosa le piacerebbe ci fosse scritto?

r: Non vorrei una targa, ma che mi si associasse, nel ricordo, all’aver fatto qualcosa di utile per la società.

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