- Scritto da Redazione
- Sabato, 19 Aprile 2025 07:26
di Walter De Stradis
«E’ la Via Crucis più antica della Basilicata, risalendo al XVII secolo. Nel 1983 è stata rappresentata a Roma davanti a papa Giovanni Paolo II, oggi santo. Ma la Sacra Rappresentazione del Venerdì Santo a Barile non è una questione di record o prestigio: è tradizione, religiosità popolare».
Mentre leggete queste parole, riprese dal sito dell’Apt, la Processione si sarà già svolta (venerdì 18 aprile, ieri per chi legge - ndr), ma -considerando la profondità dell’impronta religiosa, culturale e antropologica dell’evento- noi ci siamo recati a Barile nel pomeriggio di mercoledì scorso, ove -praticamente senza preavviso- siamo riusciti a intercettare il sindaco, Antonio Murano, accompagnato dalla signora Angela D’Andrea, che presiede il Comitato organizzatore. Il terzo “attore” , ovvero il parroco (Don Davide Endimione), non era in sede, bensì impegnato a Melfi, come ci è stato detto in parrocchia.
Il pomeriggio era di quelli uggiosi, ma l’atmosfera generale era -comprensibilmente- piuttosto febbrile.
«La nostra Via Crucis del Venerdì Santo è la rappresentazione più antica della Basilicata, nata nel 1600 -ci spiega il Primo Cittadino, seduti attorno un tavolo del “Bar Sport”- Un rito che si ripete da allora, di anno in anno, con il coinvolgimento di tutta la comunità, che vi partecipa in maniera solenne. La Sacra Rappresentazione si rifà alla nostra tradizione, alla cultura Arbëreshë, ed è caratterizzata dalla presenza di oltre centoventi personaggi che partecipano alla Via Crucis».
d - Un momento di unità per il paese, sindaco, ma non solo, essendo attesi anche molti turisti.
r - Sì, come avviene ogni anno.
d - Di quanti visitatori possiamo parlare, in media?
r - Credo che siamo intorno ai tremila/tremila e cinque. E’ coinvolto tutto il territorio, ma non solo, poiché vengono anche dalle regioni limitrofe. Il che ci porta ad attrezzare delle aree, ad esempio, per coloro che arrivano con i camper e quant’altro. Alcuni infatti arrivano già dal giovedì, in attesa della Processione del giorno successivo.
d - Un evento religioso, ma anche turistico dunque. In certi casi, si sa, bisogna stare anche attenti a non mischiare il “sacro” col “profano”.
r - Certo. Tuttavia, la gente che arriva sa di giungere in una terra che ha un’antica vocazione, che è quella del vino Aglianico. Pertanto ci sono anche questo tipo di tradizioni da considerare.
d - Quindi il turista cosa si aspetta di trovare?
r - Innanzitutto una comunità ospitale, aperta a tutti coloro la vogliano visitare. Poi ci sono tante aziende agricole, che producono quell’eccellenza, il “principe” del nostro territorio (il vino Aglianico); ci sono anche tanti frantoi, che aprono le porte ai nostri visitatori. Il turista può dunque recarsi in queste cantine e frantoi e degustare i prodotti della nostra comunità. Senza contare i ristoranti, che cucinano il nostro “Tumact me tulez”, il piatto più antico della nostra tradizione Arbëreshë. Si tratta di tagliatelle con alici e mollica di pane: un piatto “rosso” che va gustato, naturalmente, assieme all’Aglianico.
r - (ANGELA D’ANDREA) Il nostro punto di forza è la comunità intera. La processione rissale al 1600, periodo in cui gli albanesi si trasferirono in questo territorio, fuggendo a seguito dell’invasione turca. La comunità, in vista di questo evento, inizia a unirsi già da ottobre, periodo in cui si avviano le iscrizioni. Il personaggio della “zingara”, come ben sa, è piena di oro, che viene prestato integralmente dalla comunità di Barile.
d - Quindi tutto quell’oro “torna indietro” di volta in volta?
r - (ANGELA D’ANDREA) Per forza! Il personaggio cambia ogni anno e io cerco di accontentare tutte le ragazze che mi chiedono di interpretarlo.
d - Quindi non accade come a Potenza, ove al prospettato cambio del figurante di “Civuddina” (personaggio della Parata del Turchi – ndr) , c’è stata una specie di insurrezione popolare!
r - (ANGELA D’ANDREA) Qui cambia ogni anno, anche perché la tradizione è proprio quella: dare a tutti la possibilità di partecipare e di esprimere il proprio sentimento e la propria religiosità. La zingara è un personaggio della cultura popolare, che nasce sempre dalla tradizione Arbëreshë.
d - In un momento storico in cui la fede -in Italia è nel mondo- è forse ai minimi storici, qui a Barile, affluenza, partecipazione e intensità della Via Crucis rimangono invariati? Mi riferisco soprattutto ai giovani.
r - (ANTONIO MURANO) Non registriamo alcuni tipo di “distacco”, anzi, ci sono molti giovani che, pur avendo interpretato i personaggi, tornano puntualmente a chiedere di rifarli.
r - (ANGELA D’ANDREA) Tenga conto che, a parte l’affluenza dei concittadini e dal circondario, noi riceviamo richieste da parte di barilesi che vivono a Torino o a Milano, e che vogliono partecipare; io cerco di accontentarli, perché con loro giungono anche amici e parenti.
d - E’ chiaro che per Barile questo è l’evento “clou” dell’anno. In questo periodo, ma anche d’estate, questi nostri paesi si ripopolano. Tuttavia, signor sindaco, rimante tutto il resto dell’anno in cui fare i conti con lo spopolamento, ovvero con la “fuga dei giovani”, che sempre più riguarda anche genitori e nonni che li raggiungono.
r - La Lucania deve purtroppo vincere una grande sfida che è proprio quella dello spopolamento. Perché, come diceva lei, non vanno via soltanto i figli, ma anche i genitori, nel momento in cui non hanno più un legame affettivo nella comunità. Dal canto nostro, facciamo tutto il possibile affinché questa comunità sia sempre viva e attenzionata sotto vari aspetti. Una grande mano ce la diamo reciprocamente con le tante e diverse associazioni presenti, e con le quali ci confrontiamo spesso proprio per programmare iniziative, nel corso dell’anno, sempre legate alle nostre tradizioni e alle nostre storie. C’è ad esempio l’associazione Intercultura, composta da alcune signore che si occupano di canti e balli popolari; c’è l’antica tradizione di San Giovanni, che si celebra il 24 giugno: il Battesimo delle Bambole, anch’esso accompagnato dai canti Arbëreshë. Poi, naturalmente, d’estate abbiamo -tra gli altri- il grande evento di “Cantinando”, giunto alla tredicesima edizione, che si svolge nel Parco Urbano delle Cantine.
d - Lì dove, praticamente, Pasolini girò alcune scene de “Il Vangelo secondo Matteo”, uno dei film più importanti della storia del cinema italiano. Mi chiedo: la politica regionale che tipo di mano dà a piccoli comuni come il vostro affinché possano “resistere” e valorizzare patrimoni (come nel caso pasoliniano) che non tutti hanno? Insomma, gli Americani in cerca di location, potrebbero venire di tanto in tanto anche qui, e non solo a Matera…
r - E’ chiaro che anche la politica regionale ha le sue difficoltà, perché le risorse sono quelle che sono. Nel lontano 2015 candidammo -con successo- “Cantinando”, la Sacra Rappresentazione e il piatto “Tumact me tulez” tra i Beni immateriali della Regione Basilicata. Pertanto, possiamo dire che da parte della Regione è riconosciuta a una valenza a questi eventi, che non sono certo improvvisati, e che non si caratterizzano solo come comunità, ma anche come territorio, nel senso più allargato. Probabilmente, dovrebbe esserci però una maggiore attenzione sotto l’aspetto culturale.
d - Il presidente Bardi ci è mai venuto?
r - Sì, l’anno scorso lo abbiamo avuto dietro la nostra Processione. E non solo lui. Devo dire che a livello regionale seguono queste iniziative.
d - Gli avete detto/chiesto qualcosa?
r - Di guardare al valore di questa Processione, che non è solo simbolico, storico e culturale, ma incarna una sentita partecipazione di questa comunità. Con altre ventisette città d’Italia abbiamo sottoscritto un protocollo d’intesa; abbiamo candidato questa nostra Processione -insieme ad altre- a Patrimonio Unesco. Siamo alle battute finali e c’è concreta speranza di raggiungere questo traguardo. Pertanto, dicevamo al presidente Bardi che in Basilicata c’è sì la Madonna di Viggiano, santa partrona regionale; c’è sì la Madonna della Bruna, ma c’è anche la nostra Sacra Rappresentazione, che è un grande valore della nostra regione.
d - Esiste, a suo avviso, una “via Crucis” che i lucani vivono giorno per giorno?
r - Credo che i Lucani siano un popolo silente, molto tenace, che ha la forza di superare anche le difficoltà e di reagire quando se ne presenta la necessità.
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- Martedì, 15 Aprile 2025 16:45
Estendere in tutta la Basilicata le azioni concordate con l’Anci per rimuovere le discriminazioni di genere nel mondo del lavoro e della pubblica amministrazione. Con questa finalità, la consigliera regionale di parità, Ivana Pipponzi, insieme alla consigliera supplente Rossana Mignoli, ha firmato ieri un protocollo d’intesa con il presidente dell’Anci, Gerardo Larocca. Il documento segue l’accordo sottoscritto a marzo con la consigliera di Parità della Provincia di Potenza.
Il protocollo impegna le parti “a sviluppare iniziative concrete e misurabili, coinvolgendo attivamente istituzioni, imprese e società civile, al fine di generare un impatto positivo e duraturo sull’inclusione lavorativa e sociale delle donne e sulla promozione della parità in tutta la regione”. Si punta, in particolare, su campagne di informazione e sensibilizzazione sia nel settore pubblico che con corsi di formazione specifici rivolti alle donne. Con il rafforzamento delle Reti territoriali e dei partenariati, inoltre, le consigliere regionali di parità e l’Anci intendono promuovere piani territoriali per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, incentivando la creazione di asili nido, servizi di assistenza domiciliare e spazi di coworking con servizi per le famiglie. Non ultimo obiettivo la promozione di percorsi volti alla Certificazione della parità per aziende e imprenditori del territorio regionale.
“Vogliamo mettere in campo strumenti concreti – commentano Pipponzi e Mignoli – che aiutano ad armonizzare i tempi della famiglia con quelli del lavoro, alleggerendo il carico di cura che il più delle volte pesa gravosamente sulle spalle delle donne. Se servono strutture di assistenza, è anche vero che bisogna agire per cambiare le mentalità che ostacolano le lavoratrici nella vita lavorativa e nei percorsi di carriera”.
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- Sabato, 12 Aprile 2025 07:24
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di Walter De Stradis
Se un attore/regista americano dice in tv che la Basilicata è piena di gente meravigliosa e ricca di tradizione, i nostri politici subito applaudono e si commuovono; ma se qualcuno, qui sul posto, si dà da fare concretamente in quella stessa direzione, può incontrare serie difficoltà.
La strenua lotta della professoressa Patrizia Del Puente, per la salvaguardia, la codificazione e la diffusione dei dialetti lucani, è un esempio di quello che può (non) accadere nella nostra regione. Napoletana, folgorata dalla nostra terra (ove ha deciso di venire e di restare), la docente di glottologia e linguistica dell’Unibas è infatti anche la direttrice di quel Centro Internazionale di Dialettologia che ora combatte tra la vita e la morte
«Il Centro Internazionale di Dialettologia ha due anime -ci spiega- La prima dialoga con le accademie di tutto il mondo; la secondA è sociale-territoriale e la maggior parte dei cittadini lucani conosce il nostro lavoro; salvaguardare, valorizzare le lingue della Basilicata. Tutta l’Italia è ricca da questo punto di vista, ma la Basilicata lo è un po’ di più, è un vero unicum».
d - Lingua e dialetto sono la stessa cosa?
r - Assolutamente sì, dal punto di vista strutturale. L’unica differenza che possiamo rilevare è l’estensione territoriale su cui viene usata: una lingua nazionale viene parlata in un ambito più ampio rispetto a una lingua locale.
d - Da quanto tempo esiste il CID?
r - Come CID esiste dal marzo 2018, ma si tratta comunque del prosieguo del progetto A.L.Ba (Atlante Linguistico della Basilicata – ndr) che ha la sua origine nel 2007.
d - Che tipo di “inquadratura” ha il Centro?
r - Il suo statuto è stato creato dagli impiegati dell’Unibas. Si tratta di un’associazione no-profit, senza profilo giuridico. Ovviamente, però, in quanto tale, il CD deve essere “costituito”; pertanto è stato costituito e fondato dall’Unibas, come recita l’atto fondativo.
d - All’atto pratico, qual è l’utilità del CID? Perché studiare e salvaguardare i dialetti, in un mondo che va sempre più veloce, sempre più a mezzo social, e in cui ogni giorno occorre adattarsi a nuovi linguaggi?
r - Normalmente, quando un giornalista mi pone questa domanda, io do una risposta piuttosto stentorea. A lei magari l’argomenterò un po’ di più (sorride). “A cosa servono le radici alle piante?”: questa è la mia risposta stentorea. Tuttavia, ciò che diceva lei, è proprio il motivo per cui, oggi, per le nuove generazioni, è fondamentale conoscere il dialetto. Se non si conosce il proprio passato, non si può vivere il presente e interpretare un futuro. Questo è assodato. Un giovane che vuole, realmente, conoscere la storia vissuta dalla sua comunità, non può ignorare il dialetto. Perché? Perché qualsiasi altro documento (o monumento), in quanto datato, gli racconterà UNA PARTE di quella storia. Il dialetto, al contrario, comprende TUTTA la storia: per poter parlare di un oggetto, ad esempio, prima occorre dargli un nome; in una comunità, tutto quello che abbiamo incontrato, vissuto e che è stato importante, si ritrova nella lingua. Perdere quella lingua, significa perdere quella storia non narrata. E nella maggior parte dei nostri paesi,che non hanno documenti storici o architettonici, è un discorso fondamentale.
d - E come si fa a realizzare il recupero di una tradizione che, appunto, è in gran parte orale?
r - Ci sono due canali. Se il CID andrà avanti, un canale fondamentale sarà quello degli emigrati all’estero: questi ultimi, proprio perché non hanno avuto contatti con la lingua italiana, conservano un dialetto molto più arcaico. Pertanto, si potrebbe realizzare una piattaforma ove riversare le testimonianze, parlate, libere, di questi emigrati, per recuperare altri pezzi di storia. Per quanto riguarda, invece, il lavoro fatto dal CID qui nella nostra regione, noi ovviamente dialoghiamo con i “parlanti” più anziani, che sono i depositari più attendibili di quella cultura a cui stiamo facendo riferimento. Ma ben si capisce che se io non uso più un certo tipo di vaso da olio o di caraffa, a lungo andare ne perderò anche la parola; e quel pezzo di storia non lo si recupera più. E allora, a questo punto, io devo FERMARE questo pezzo di storia, ed è per questo che noi, anno dopo anno, pubblichiamo “L’Atlante Linguistico della Basilicata”. Però tutto questo non basta, perché significa mettere le nostre lingue dentro un sarcofago.
d - E allora qual è il passaggio successivo?
r - Insegnare, come già facciamo, ai “parlanti” e alle “parlanti” le loro stesse lingue.
d - Detta così sembra un controsenso.
r - Mi rendo conto. Ma non lo è. Noi andiamo nei paesi, ovunque ci chiamino, nelle scuole, a insegnare ai ragazzi il LORO dialetto. Se lei magari, nel suo dialetto, si riferisce al “piede” dicendo “pèrë” e ai “piedi” dicendo “pièrë”, è perché lo fa in automatico, a seguito di un apprendimento “di riflesso”: ma in questo modo, a mano a mano, le “regole” si perdono, perché lei non ne è consapevole. Noi invece facciamo toccare con mano proprio le regole fonetiche, sintattiche, morfologiche. E alla fine rimangono sorpresi.
d - Ecco, mi interessa capire proprio questo, perché la metodologia che lei mi ha descritto ricorda un po’ quella del recupero della tradizione musicale orale (con gli “informatori” in luogo dei “parlanti”). Alcuni artisti che suonano la musica popolare, però, ci dicono che i giovani lucani si “vergognano” un po’ di certi vecchi canti, perché ricordano la povertà. Accade anche col dialetto?
r - Ci sono giovani e giovani. Ovviamente, dopo decenni di lavaggio del cervello con banalità prive di valore intrinseco (“il dialetto è la lingua degli ignoranti”, “è legato alla povertà” etc.), qualche volta i giovani sono un poco più restii a servirsi del dialetto e a esserne orgogliosi. Ma non sempre. Ci sono molti giovani, infatti, che ci chiamano per fare progetti. Ne cito uno per tutti: nella frazione di Agromonte Magnano di Latronico, i giovani hanno voluto creare una sorta di attrattore turistico fondato sule “cose coselle”, gli indovinelli della tradizione. E così hanno chiesto a noi di aiutarli nella trascrizione, avvalendoci dell’ “Alfabeto dei Dialetti Lucani” (siamo l’unica regione che ha codificato un documento del genere); un artigiano locale, a quel punto, ha creato delle maioliche e delle ceramiche su cui disegnare le “cose coselle”, completate da relativo QR code e trascrizione in dialetto curata da noi. Questo percorso per turisti è stato voluto e creato da giovani.
d - Lei prima ha detto «SE il CID andrà avanti». Cosa succede? Si può dire che il Centro vive, anzi “campa”, di finanziamenti regionali. Vengono concessi, ma con quale frequenza?
r - Inizialmente il finanziamento era annuale, poi ce n’è stato uno triennale e l’ultimo di diciotto mesi. Scade a ottobre, fra pochi mesi.
d - Che notizie avete? Ci sarà una proroga?
r - Non sappiamo nulla. Il presidente di Quarta commissione consiliare, che mi ha accolto anche per una audizione, mi ha detto che “sta lavorando” alla cosa, ma è un mese che non lo sento; credo ci siano anche dei tempi burocratici.
d - Mi pare di capire, tuttavia, che un’ennesima proroga sarebbe un ulteriore “tampone”, mentre voi da tempo chiedete l’istituzionalizzazione del CID. Cosa comporterebbe?
r - Comporterebbe ciò che hanno provato a proporre novantotto consigli comunali nella scorsa legislatura: creare una legge regionale ad hoc per far sì che il CID diventi un organismo regionale, come accade in Friuli e in Sicilia. In questo modo, si stabilizzerebbe la situazione dei tre, ultimi (erano sette), ricercatori che stanno facendo “resistenza”.
d - Lei percepisce un compenso?
r - Assolutamente no, niente rimborsi di benzina né altro. Sono assolutamente a titolo gratuito, anzi, ci rimetto; e non perché sono brava, ma perché lo studio delle lingue mi dà tantissimo.
d - Cosa, in particolare?
r - Una grande umanità, rapporti di affetto con tantissime persone e sopratutto imparo tantissimo.
d - Quali le strade per istituzionalizzare il CID?
r - A mio avviso sono due. Una è la la legge regionale a cui facevo riferimento, ma che richiederebbe un po’ più di tempo; l’alternativa è che la Regione ne faccia una sua Fondazione (come accaduto in altre situazioni), magari con la partecipazione di qualche comune più virtuoso, o delle Province.
d - Se la sente di lanciare un appello in dialetto lucano?
r - «Uagliò, c’amma movere, pecchè senno’, ‘o CID, è fernut’!»*. Ho usato un dialetto dell’area della Val D’Agri, dove stiamo tenendo i corsi nelle scuole.
*La trascrizione, sicuramente lacunosa, è a opera dello scrivente.
- Scritto da Redazione
- Sabato, 05 Aprile 2025 07:21
di Walter De Stradis
Quella di suonare in giro per la Basilicata le canzoni dei Briganti, per Gaetano Brindisi, meteorologo televisivo dall’alone addirittura “leggendario”, e Lenoardo Nuzzaci, dipendente del Comune di Potenza (oggi in pensione), all’inizio era poco più che un diverso tipo di scampagnata. Lungo la strada, “assaltando” gli autobus dei turisti (per la gioia di questi) in abiti ottocenteschi, hanno scoperto che poteva tramutarsi in una vera e propria “mission”.
d - Brindisi, il termine “Ambasciatori”, nel vostro caso, non è stato scelto “tanto per”.
GAETANO BRINDISI: No, infatti. Il nostro proposito è quello di portare un po’ di lustro a questa terra un po’ bistrattata, contesa -addirittura- da altre regioni (c’è persino chi ci vuol far sparire). Siamo portatori di tradizioni lucane, sia dal punto di vista musicale, sia culturale in genere. Il nostro obiettivo è fare “in-coming”, ovvero attrarre turisti il più possibile, compresi quelli “interni”, che non sempre conoscono la loro regione.
LEONARDO NUZZACI: Siamo nati nel 2003, facendo le pizziche, perché è un genere di musica che ci appassionava. Abbiamo portato dalle nostre parti anche personaggi importanti de La Notte della Taranta, coi quali abbiamo fatto corsi etc. Nel castello di Melfi c’è un’anfora di 2.500 anni fa, sulla quale è raffigurata una baccante col tamburello a cornice, identico a quello che usiamo noi. Pertanto, da quel che ho potuto ricostruire, la pizzica c’era anche nel nostro territorio, ma poi, per varie ragioni (terremoti, clima freddo), si è andata “diluendo” e sopendo, perdendo la forza che ha mantenuto invece nel Salento, dove fa sempre caldo. Tuttavia l’essenza è rimasta, il tarantismo, il tamburello, i tre tempi.
d - Voi due quali strumenti suonate?
GB: Io fisarmonica e armonica, Leonardo è alla voce e al tamburello. Il gruppo è composto inoltre da Antonio Cinefra (il nostro coordinatore, che suona chitarra e mandolino), Gerardo Picerni (chitarra e basso), Antonio Santarsiere (chitarra, bouzouki), Daniele Calabrese (chitarra e voce), Margherita Olita (danza e nacchere), Anna Francesca Mattera (cantante), Mimma Ciccarelli (organizzazione e costumi).
d - Oltre alla pizzica, cosa c’è nel vostro repertorio?
LN: Più che altro c’è il brigantaggio. Avevamo intessuto un bel rapporto con Ferdy Sapio, artista lucano (originario di Melfi, scomparso qualche anno fa) che, sì, aveva composto tormentoni estivi come “El tipitipitero” e “Mon petit garçon”, ma anche cose bellissime sul brigantaggio e persino su san Francesco e lo “stupor mundi”. Per noi era un maestro, davvero geniale, che ci ha lasciato un’eredità da portare avanti.
GB: C’è un suo brano che noi suoniamo, “Montagna”, in cui si spiega che i briganti si nascondevano nelle nicchie e nelle grotte del Vulture, che loro consideravano una mamma. Ferdy Sapio è stato un grande, poco apprezzato in vita (come spesso accade) e noi le sue canzoni le portiamo in ogni dove.
LN: Senza dimenticare un mio ex collega (al Comune di Potenza), Pietro Basentini. Aveva una forza, a mio avviso, pari a quella di Domenico Modugno.
d - Ecco: a suo avviso, uno come Pietro Basentini ha avuto, qui in Basilicata, ciò che meritava come artista? O è stato limitato in qualche modo (magari anche perché faceva un altro lavoro)?
LN: Io credo sia una questione territoriale. Ferdy Sapio, ad esempio, è fiorito a Milano. Una volta tornato, perché voleva vivere nella sua regione, è stato misconosciuto: per questo lo portavamo con noi e tentavamo di rilanciarlo. Per Basentini era un po’ diverso, perché qui era più radicato e seguito, ma può darsi, in generale, che i canali lucani non siano quelli giusti.
d - Comunque, partendo da un hobby, avete pensato di fare qualcosa di reale per il vostro territorio.
LN: Crescendo, negli anni, ci siamo accorti che dovevamo fare qualcosa non solo per divertirci, ma anche per promuovere l’essenza nostra, il “genius loci”.
GB: Io sono entrato nel gruppo in un secondo momento, essendo stato sempre un appassionato, di tastiere in particolare. Mi ha “arruolato” lui…
LN: Sì, al tempo eravamo cognati; adesso ci siamo s-cognati (risate).
GB: Insomma, lui mi invitò a suonare, ma a un certo punto dovette riconoscere che finché non sono entrato io nel gruppo, pioveva sempre! (risate) Quindi, la loro è stata proprio una cosa di interesse! Ricordo che la prima volta andammo a suonare alla Notte Bianca (o qualcosa del genere) di Castelsaraceno, alle quattro di notte, e a un certo punto io invitai a smontare tutto perché stava per arrivare un acquazzone!
d - Quindi fate buon uso del metereologo Gaetano Brindisi.
LN: La sua vera funzione è quella! (risate)
d - In ambito Grancia, e non solo, vi vestite da briganti e accogliete anche i turisti. Come funziona?
GB: D’intesa con la corriera di turno che viene dalla Puglia (Leonardo ha molti contatti), noi la fermiamo sulla Basentana. L’autista, che è l’unico a sapere, esce al bivio di Brindisi di Montagna (per esempio), e noi ci facciamo trovare in costume, con le bandiere e i fucili spianati (a salve). Li fermiamo e simuliamo una rapina, con tanto di “editto”. A quel punto saliamo sull’autobus e suoniamo, anche.
d - Una volta avevate proprio una vostra corriera, se non sbaglio.
LN: Sì, non “nostra” nel senso tecnico: l’abbiamo avuta a disposizione per cinque/sei anni, grazie a una ditta locale; per noi era un “palco naturale” col quale fare veri e propri viaggi musicali, ma anche allestire vere e proprie visite, di carattere “scientifico”, ai luoghi meritevoli. Quando arrivavamo nei paesi e nelle sagre, aprivamo i portabagagli del bus che contenevano le casse, e ci mettevamo a suonare.
d - Lei Brindisi, è un meteorologo televisivo molto conosciuto; lei, Nuzzaci, lavorava al Comune di Potenza (oggi è pensionato): sono sicuro che sia capitato a entrambi di incontrare qualcuno che, vedendovi con chitarra e tamburello, via abbia detto: “Ma che vi mettete a fare???”.
GB: Beh…(ride)
d - Sa perché dico questo? Perché in molte delle nostre interviste in ambito musicale, è emerso che spesso i lucani si vergognano un po’ della loro musica popolare. La ballano nei contesti festivi, ma la trattano come un parente scomodo, perché ricorda loro la povertà.
GB: Un poco ha ragione, specie se parliamo delle tarantelle; ci si vergogna della musica nostra. Ma, anche se le tarantelle (a differenza delle serenate storiche) non sono proprio il nostro repertorio, mi rendo conto che ciò non succede all’estero, ove sono apprezzate; lo stesso accade per la pizzica (Leonardo, originario del Salento, l’ha “importata” qui a Potenza), che tra l’altro in Puglia è stata riscoperta solo da qualche decennio, mentre prima veniva vista come una musica di povertà, proprio come diceva lei. Sì, è vero, anche a noi è stato detto “Lasciate perdere questa musica”, ma noi siamo fermi sui nostri propositi, e vogliamo coinvolgere sempre più persone. E il successo lo riscontriamo, quando suoniamo nei paesi.
d - E le istituzioni apprezzano il variegato panorama lucano? Vi danno una mano? Tra l’altro, nei vostri eventi, voi diffondete anche libri, dischi e prodotti lucani…
LN: Purtroppo non si comprende bene -e mi riferisco ai vari sindaci- che noi facciamo turismo, portando gente nei paesi, grazie alle corriere veicolate da noi. Non c’è mai un ripago nei nostri confronti. E pure ci proviamo, a farglielo capire. Come diceva lei, noi promuoviamo “l’efficace lucano”. Prodotti alimentari, quadri, libri: sono tutti disponibili su un tavolo (portati liberamente da chi ha interesse), quando organizziamo la nostra “Cena del Brigante”.
d - Com’è il rapporto con gli altri gruppi popolari lucani? C’è campanilismo? Invidia? O invece si collabora?
GB: Come in tutte le cose, c’è un po’ di invidia, magari. E poi, ognuno va per conto suo, quando invece dovremmo essere più uniti. Ai ragazzi dico sempre di non parlare mai male degli altri gruppi e che è giusto alternarsi nei vari eventi, affinché la popolazione possa vedere più realtà. Oltretutto, la piazza di paese, d’estate, è solo una parte del discorso: d’inverno ci sono dei Comuni che ci chiamano per fare rappresentazioni storiche (come accaduto alla sagra della Varola, o all’evento sulle Serenate storiche a Guardia Perticara). Addirittura siamo andati a suonare in un matrimonio (di un nostro amico) in Spagna. Aggiungo solo che lì a Siviglia non pioveva da quattro mesi, e io a un certo punto ho detto: togliamo gli strumenti, perché tra poco piove…
d - Guardi, se lei si trasferisce in alcune zone aride del pianeta, ha una carriera assicurata da sciamano della pioggia!
GB: (Risate) Comunque abbiamo suonato anche a Collegno, al Festival delle Musiche Popolari. Una volta loro (fa segno verso Nuzzaci – ndr) dovevano andare a suonare a Firenze, ma sono rimasti bloccati con quaranta centimetri di neve, a piedi con gli strumenti. Perché mancavo io! (risate)
d - Se poteste suonare e cantare una “serenata” al Presidente della Regione, cosa gli chiedereste?
GB: Di venire a cantare con noi.
d - Una bella tammurriata napoletana?
GB: Perchè no. Noi siamo aperti a tutti.
LN: Se posso suggerire una cosa tecnica, io gli proporrei l’istituzione di un Osservatorio, composto da persone qualificate, che possano entrare nel merito dei vari gruppi.
d - Una “Music Commission”?
LN: Sì. Mi permetto di dire che -ad esempio- quello che facciamo noi, portare turismo attraverso la musica, mi sembra meritorio. Ma se questo non viene percepito, allora vuol dire che c’è una carenza, anche nella distribuzione degli incarichi, ove noi non compariamo mai.
d - Traduco: soldi dalla Regione non ne prendete.
GB: Mai successo.
d - Quale canzone si adatterebbe al momento vissuto dalla Basilicata?
LN: Io direi “Risorgimento”. Anzi, “Risorgiamo!”.
- Scritto da Redazione
- Sabato, 29 Marzo 2025 07:02
In un giorno del 1943, a Rione Francioso (nel capoluogo di regione), a un tratto si ritrovò coperto di terra. Tonino Potenza allora era solo un bambino di otto anni, salvatosi per un caso fortuito: aveva appena lasciato la mano della signora che lo accompagnava, colpita a morte dalle bombe. Questo episodio della sua infanzia, finora -ci dice- non lo ha mai raccontato a nessuno, perché -sempre parole sue- non gli è mai piaciuto fare del pietismo, soprattutto in campagna elettorale. Allo stesso modo, però, il fresco novantenne (il 22 marzo scorso), storico esponente locale della Democrazia Cristiana (tra le altre cose, deputato con “La Margherita”, dal 2001 al 2006), ritiene che anche il suo ingresso in politica sia dovuto a una combinazione. «Allora la sede del partito era a San Giovanni e un mio amico, Gerardo Arcieri, mi chiese di accompagnarlo lì, poiché doveva consegnare dei documenti. Allora ero solo un ragazzo che aveva voglia di fare la sua parte per aiutare il prossimo». All’epoca Antonio Potenza abitava non troppo distante, in via Caporella, uno dei vicoli del centro storico. E’ praticamente alle spalle del Gran Caffè, dove ormai da anni, l’ex presidente del consiglio regionale (dal 1990 al 1995), seduto al suo tavolino, ha quasi allestito un suo “ufficio”, arredato di aranciata e giornali. «La primissima volta che sono stato eletto, è stato al consiglio comunale di Potenza, nel 1964. Pur avendo seguito un mio percorso politico fatto non certo di sudditanza, devo riconoscere che Emilio Colombo, per una ventina d’anni, ha dato il senso di uno che aveva le idee chiare e che andava avanti; che poi si fosse d’accordo o meno, è un altro discorso. In ogni caso, non riconoscere oggi la figura di Colombo, specie nel contesto attuale, è un errore, perché non ci restituisce il senso di cosa fosse la Basilicata allora, e di cosa invece è oggi. Quando sta per maturare qualche cosa, questa regione “scoppia” sempre: scopia Matera, scoppia tutto».
Il discorso, a questo punto, si sposta sulle questioni più attuali.
«Il bonus gas? Io non ne ho usufruito. E’ un modo come un altro per dare qualche cosa al popolino. Ogni tanto si elargisce qualcosa. E questo, dopo le grandi battaglie combattute, e grandi risultati. Tante volte, infatti, si dice “guardiamo agli inizi”, se si vuole dare il giusto valore alle conquiste che vengono fatte. Alla fine, però, i passaggi che potevano essere consumati come un fatto naturale, diventano un favore, un piacere. E tutto questo accade perché deve essere venduto come una “conquista” di questo popolo, che aspetta da anni un qualcosa che non arriva mai. E’ questa l’immagine “esterna”, che molti non capiscono e non percepiscono».
Sul giornale, poggiato sul tavolo, ci sono i titoli riguardanti la crisi di maggioranza apertasi in Regione, e dovuta ai bisticci sulle elezioni materane. «Il problema è che qui in Basilicata forse siamo troppo abituati a essere guidati da altri. Se c’è qualcuno che ci risolve i problemi, tanto di guadagnato, ma per il resto, non c’è credibilità. Ma questo è tipico delle realtà povere, ove la gente ha necessità di una guida che formuli degli obiettivi da raggiungere; è fortunato chi riesc
e a realizzarli, mentre chi non riesce, non ne paga lui le conseguenze, bensì la povera gente».
Walter De Stradis
- Scritto da Redazione
- Sabato, 22 Marzo 2025 07:04
di Walter De Stradis
«In
Castel Lagopesole, in Basilicata, tra il sacro Monte del Carmelo e un magnifico castello federiciano; su un’area parassiale di vetta (m 800-900-1230) immersa nella Bellezza, in un giardino di rose bianche -il Giardino della Vergine- e in adiacenza ad un Eremo preesistente (1985), nell’Anno del Signore 2000, Anno Giubilare, è stato edificato un venerabile Tempio, un sacello -nell’architettura cristiana con il termine sacellum si indica una chiesa, un santuario, una cappella di piccole dimensioni- un nidulo in Ciel d’Oro: il Santuario Divin Crocifisso». (Cristina di Lagopesole “Santuario Divin Crocifisso” - Editrice Velar, 2012)
Mentre all’interno l’intervista procede, due splendidi cani randagi (ma di casa) scrutano curiosi da dietro la porta-finestra, e un gatto particolarmente audace si arrampica e tenta di entrare. Nell’eremo prospiciente al Santuario Divin Crocifisso (dall’evocativa cupola rosa), sito nella frazione di Castel Lagopesole (Avigliano, Potenza), circondato com’è da piante e fiori, tutto sembra vivere in armonia. A fare gli onori di casa, ricevendoci in uno studio straboccante di volumi, è ovviamente colei che ha dato vita a tutto ciò, la rinomata poetessa, scrittrice (giunta al cinquantacinquesimo libro) studiosa e religiosa Crstina di Legopesole, anche nota come Cristina di Gesù Crocifisso, che in quel luogo di pace vive e lavora.
D - Come nasce l’eremo di Lagopesole e perché, lei che è originaria di Rionero, ha scelto questo luogo in particolare?
R - Nel mezzo del cammin della mia vita -per citare Dante- io mi inoltrai non in una selva oscura, bensì in una “dolce valle” (come la chiama Giustino Fortunato), ovvero la Valle di Vitalba. La via intrapresa mi portava al monte, cioè in un luogo alto, andando alla ricerca del Padre. Giunsi dunque, salendo, a Lagopesole, luogo “trinitario”: nel Castello federiciano c’è infatti una chiesa dedicata alla SS Trinità “in alto” (come viene chiamata, stante il dislivello di cento metri col borgo sottostante); la chiesa parrocchiale del centro abitato, invece, fu dedicata sempre alla SS Trinità, ma “in piano”. Il culto trinitario che è qui presente risale all’antichità (per molti anni vi sono state le suore trinitarie, appunto). Giungendo dunque a Lagopesole, io vi trovai il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, ma diressi i miei passi ancora più in alto, alla volta del Santuario della Beata Vergine Maria del monte Carmelo. Pertanto, in questo modo, ricevevo la Trinità e la Madre Santissima. Decisi allora di fermarmi in questo piccolo borgo. Acquistai questo terreno di mille metri quadri ed elevai, già quarantacinque anni fa, l’eremo. In quanto tale, questo non confina con alcuna abitazione, trovandosi in mezzo a un giardino. Dopo averlo costruito, e reso il luogo del silenzio, dell’elevazione, dello studio e della scrittura, alcuni anni dopo accadde un fatto straordinario: ebbi una visione, in cui mi apparve Gesù che mi indicò col dito il santuario, così come poi l’ho costruito. Ed è un’opera d’arte.
D - Come l’avete costruito? Chi vi aiutato?
R - Il santuario è stato progettato da due architetti (tra cui mia figlia) e due ingegneri; ed è stato costruito da una importante ditta di Venosa, che ha operato anche il restauro del castello di Lagopesole. Trattandosi di un’opera particolare, erano presenti anche sovraintendenti ed è stata seguita da tutte le autorità. Dopo un anno per costruirlo, il santuario è stato benedetto e inaugurato il 14 settembre del 2000, che era anno giubilare. Pertanto il santuario festeggia il venticinquennale con il Giubileo.
D - Cosa comporta per Lagopesole la presenza di un santuario come questo?
R - Il santuario è aperto a tutti. E’ stato benedetto e inaugurato dall’arcivescovo di Pompei, il venerabile Toppi, attualmente in odor di santità. Come da regola, l’arcivescovo ungeva con le sue mani le pareti con l’olio sacro, e con lui c’era anche l’allora vescovo di Potenza monsignor Superbo (che offrì la reliquia, antichissima, di san Mauro Abate, qui conservata), insieme a tutte le autorità.
D - La comunità di Lagopesole e quelle limitrofe, fanno tesoro di questa risorsa locale? E’ soddisfatta?
R - Sì, certo. Secondo ciò che ha stabilito il vescovo sin dal primo giorno, qui si celebra il primo sabato del mese (alle 10 di mattina); tuttavia, nel santuario lo si può fare regolarmente tutti i giorni, come in qualsiasi altra chiesa. Molti, infatti, vengono a celebrare il venticinquesimo del matrimonio, le messe per i defunti e così via. Nel tabernacolo mi è stata lasciata l’eucarestia dal primo giorno, per cui io sono responsabile e d’altronde io stessa mi sono consacrata in questo santuario.
D - Lei è carmelitana, se non erro.
R - Carmelitana “di vita attiva e contemplativa”. Se fossi solo “di vita”, sarei di clausura, mentre invece io posso uscire ed essendo anche una scrittrice, vado in giro per portare la parola di Dio, ma anche la parola “colta”, riferendomi alla storia dell’Umanità, e alle mie stesse poesie.
D - In lei è nato prima l’afflato religioso o prima quello poetico?
R - Poeti si nasce. Col passare degli anni, invece, si acquisisce l’attitudine religiosa. Nella mia vita ho girato l’Europa. Un po’ prima del 2000, in occasione del Bimillenario Oraziano, fui scelta dalla Regione Basilicata per rappresentare questa terra e mi mandarono all’Università di Berlino, ove declamai gli inni di Orazio.
D - Da poco è uscito il suo nuovo libro...
R - Sì, “Bagliori di Eternità”. In oltre cinquecento pagine, sull’arco di trecento componimenti, tutti in terzine, io canto le vicende umane, da Omero al primo uomo sulla Luna. Tremila anni di storia, di poesia, musica, letteratura.
D - Nelle religioni orientali si dice che gli eremiti, pur vivendo in solitaria, comunque svolgono un compito fondamentale per l’umanità, poiché pregano per tutto il mondo.
R - La preghiera è sempre universale, e mai solo personale o per amici e familiari. Specie in questo momento tragico, che stiamo vivendo. Tanto per cominciare, infatti, viviamo -qui in Basilicata, ma anche nelle regioni limitrofe- nell’epoca dello spopolamento (e di questo se ne sta occupando in maniera molto seria, tramite varie conferenze nel Mezzogiorno, l’Arcivescovo di Benevento, S.E. Monsignor Felice Accrocca). C’è poi un momento internazionale caratterizzato da guerre e orrori, anche in Terra Santa. Ogni giorno muoiono, anche, centinaia, migliaia di bambini, orrendamente uccisi. Confidiamo nella pace, visti anche i colloqui tra Putin e Trump.
D - Stavo per chiederle cosa la preoccupa di più, qui in Basilicata.
R - Lo spopolamento. I giovani che se ne vanno fuori e studiare (al Nord o all’estero) e qui più non tornano, perché non trovano lavoro. Anche il poeta risente di questa situazione, per cui è diventata una poesia “del punto interrogativo”, ovvero della domanda e della sofferenza. Il poeta è quello che ha una sensibilità tale da farlo compenetrare in certi problemi e spingerlo a esprimersi. E in Italia abbiamo tanti bravi poeti che lo fanno.
D - Come ha visto cambiare, in quarantacinque anni, gente e paesaggio attorno al suo eremo?
R - Dal punto di vista urbanistico, è migliorato enormemente, di pari passo col progresso economico delle famiglie, per cui qui adesso c’è un bel “paese”, ridente e accogliente, con abitazioni ben curate e ben tenute. C’è anche un’attività culturale molto intensa, e anche il Castello ha riaperto, seppur solo in alcuni giorni della settimana. Mi piacerebbe, come già fatto in passato, presentarvi il mio nuovo libro.
D - Facciamo un passaggio sul Papa, sulle cui reali condizioni di salute ci sono anche tante speculazioni.
R - Io mi auguro che torni presto in buona salute. E’ un Papa che amo tanto, perché adora i bambini ed è il Papa della Fraternità, in un mondo in guerra e diviso. Non si tratta solo del “compito” di un Pontefice: quell’indole paterna è proprio dentro di lui.
- Scritto da Redazione
- Sabato, 15 Marzo 2025 07:00
video: https://youtu.be/UXrrsslJlnw
di Walter De Stradis
La prima “squadra” che gli regalò suo padre era quella della nazionale italiana, custodita in una scatoletta giallo-verde. Fu una scelta “salomonica”, perché lui era milanista, ma il genitore teneva per la Juve. “Così non litighiamo”, gli disse.
Oggi, a distanza di una cinquantina d’anni, Tommaso Mazzoni, docente di scienze motorie all’Istituto Alberghiero di Potenza, è il presidente dell’Associazione Sportiva Dilettantistica “Subbuteo Club Potenza”. Prima organizzazione del genere mai nata in regione, regolarmente iscritta al Coni (registro nazionale associazioni e società sportive), ha da poco inaugurato la sua sede al mercato coperto di via Vespucci a Potenza. E quella scatoletta giallo-verde adesso si trova lì, tra le altre cose.
«Il Subbuteo è nato come gioco prettamente domestico, da praticare con parenti e amici, ma col tempo è diventato un vero e proprio sport. Pertanto, negli anni Ottanta, in Inghilterra si iniziarono a svolgere campionati “over”, “under”, etc».
d - Da allora, quali sono state le evoluzioni principali in questo sport?
r - La prima ha riguardato proprio la miniatura in sé (il “soldatino” raffigurante il giocatore di calcio – ndr), che inizialmente aveva una base tondeggiante e basculante, mentre oggi -che il Calcio da Tavolo gode di una vera e propria Federazione- è diventata piatta, e anche i “portieri” sono cambiati rispetto al passato. Oggi ci sono giocatori professionisti, come quando si gioca a biliardo: c’è un panno verde e con quelle miniature si simulano vere e proprie partite di calcio.
d - Se non erro, finora la Basilicata era l’unica regione, insieme al Molise, a non disporre di una delegazione ufficiale di Calcio da Tavolo.
r - Esatto. Da vecchi appassionati, io e mio fratello ogni tanto rispolveravamo il vecchio Subbuteo che tenevamo in soffitta e ci facevamo una partitella; però vedevo sui social molti filmati di tornei. Ho indagato, dunque, e ho scoperto che in Italia esistono una vera e propria Federazione e tante società che svolgono tornei e veri campionati di Serie A, B, C e così via; non contando la Champions League e le varie nazionali (under 12, 16 e 20). Insomma, tutto questo panorama mi ha entusiasmato e con mio fratello ci siamo detti: perché non creare qualcosa per tornare un po’ “bambini” e praticare uno sport pulito, visto che c’è tutto questo supporto anche a livello nazionale? Dopo aver verificato che in Basilicata non esisteva ancora nulla, ho coinvolto degli amici di Calabria, Puglia e Campania, che mi hanno dato dei consigli, e a gennaio 2024 -insieme ad alcuni altri appassionati- abbiamo messo su questa associazione. Si tratta di stare insieme e -ripeto- di tornare bambini, riassaporando il gusto di condividere qualcosa di genuino e sano, magari giocandoci qualcosa di simbolico…
d -...in effetti, il vostro motto, “giochiamoci una gassosa”, è stato “adottato” da una nota ditta di bibite gassate, che ha addirittura posto una sua caricatura sull’etichetta di alcune bottiglie.
r - Sì, perché la gassosa è una bevanda che non ha età, proprio come il Subbuteo: si tratta di allestire un tappeto, magari in un garage, e il nipotino può giocare col nonno o con la mamma (perché c’è anche il settore femminile).
d - In associazione ci sono solamente persone mature o anche ragazzi?
r - Il grosso è composto da uomini attorno ai quaranta/cinquantanni, ma si stanno avvicinando anche bambini e adolescenti, più tre o quattro ventenni. Come dicevo, questo sport, tramite varie categorie, abbraccia diversi settori evolutivi.
d - In questi mesi avete organizzato già un torneo molto importante, qui a Potenza.
r - Lo scorso ottobre, presso la palestra Caizzo, abbiamo tenuto il primo “challenger”, con la partecipazione di varie regioni del Centro-Sud. Infatti, tra chi pratica questo sport, esiste una vera e propria fratellanza, amicizia e tanta voglia di contribuire nell’organizzare le cose. Qualcuno è venuto persino dal Centro-Nord. E’ stato un vero successo, con una nutrita partecipazione di pubblico e di atleti.
d - La sede dell’associazione è vostra? Pagate l’affitto?
r - Ha toccato un punto dolente. Abbiamo girato tutta Potenza (e dintorni) per trovare dei locali idonei a praticare questo sport (le attrezzature sono delicate e i tappeti non possono subire l’umidità). Infine abbiamo trovato e preso questa sede e ci autotassiamo per pagare il fitto.
d - Al Comune non avete fatto domanda per una sede associativa?
r - Sì, l’abbiamo fatta, ma siamo in attesa di risposta.
d - Ho visto, nelle foto pubblicate sui social, che il sindaco è venuto all’inaugurazione.
r - Sì, ci è stato molto vicino, anche in occasione del “challenger” è venuto due volte e ha anche provato a giocare. Anche lui, da ragazzo, faceva delle partitine.
d - Mi risulta che ci sia un politico locale appassionatissimo di Subbuteo.
r - Sì, è venuto anche Alessandro Galella, che è un vero collezionista, disponendo di più di cento squadre. Anche Fernando Picerno ci viene a trovare spesso e ci supporta molto. A prescindere dai colori politici, lo sport accomuna e non ha bandiere. Siamo aperti a tutti e accogliamo tutti.
d - Facciamo allora una metafora al contrario, visto che spesso si legge che i cittadini sono le “pedine” della politica. Se potessimo mettere un qualche politico come “miniatura”, qui, sul tavolo da gioco, chi NON metterebbe come centravanti?
r - Beh, non ci metterei l’attuale sindaco, perché non ce lo vedo come “centravanti di sfondamento”: è una persona molto attenta, con la testa sulle spalle, pertanto lo immagino nel ruolo fondamentale di centrocampista, di uno che sa tenere le redini del campo.
d - In porta?
r - In porta metterei Fernando Picerno, uno che “vola” molto bene!
d - La domanda cattiva: in panchina chi mettiamo...?
r - Alessandro Galella, a cui voglio bene. In panchina spesso si mettono quelli che possono subentrare e farti vincere la partita.
d - Vabè, io ci ho provato, ma dopotutto si sta giocando. Tuttavia, se si potessero risolvere alcuni conflitti e problemi su un tavolo da gioco, lei quale sceglierebbe?
r - Per rimanere in argomento, c’è un mio cruccio: vorrei che Potenza disponesse di strutture sportive all’altezza. Quelle che abbiamo sono super-affollate e a volte, mi spiace dirlo, anche fatiscenti. Si sta sempre a rattoppare e a rappezzare, ma io credo che lo sport sia anche un’attrattiva. Una mia idea, forse anche sbagliata, sarebbe quella di creare -in questa città di montagna- un palazzetto con la neve, col ghiaccio, ove poter organizzare sport invernali (come il Curling, che in certe movenze è anche simile al Subbuteo). Un tratto del Basento stesso lo si potrebbe rendere navigabile per praticarvi un po’ di canottaggio… Però bisogna crederci ed essere anche un po’ lungimiranti.
d - C’è un messaggio che la vostra associazione vuole lanciare alla città?
r - Sì, vorremmo invitare i giovani a lasciare il telefonino, spegnere le video-chiamate e a socializzare, fare sport (a prescindere dal nostro), andare in giro e riscoprire la voglia di incontrare gli amici. Sono queste le cose che ci possono far stare bene.
- Scritto da Redazione
- Lunedì, 10 Marzo 2025 18:20
Si è svolto oggi, presso il Palazzo del Consiglio regionale, l'incontro sulle “disparità di genere: dati e indicatori per una lettura multidimensionale”. Un'importante occasione di approfondimento sulle differenze di genere in vari ambiti economici e sociali, con un focus specifico sulla realtà della Basilicata, attraverso la presentazione di un rapporto dettagliato. L'evento ha visto la partecipazione di autorevoli esponenti delle istituzioni e del mondo economico, offrendo una riflessione articolata su dati e indicatori che misurano le disuguaglianze di genere e le loro implicazioni.
Hanno partecipato all'evento: Matteo Mazziotta, Direttore Centrale Sistan e Territorio dell'ISTAT (in collegamento da remoto), Antonella Bianchino, Dirigente dell'Ufficio Territoriale Area Sud dell'ISTAT, Benedetta Dito, Direttrice Regionale dell'INPS, Maria Carmela Zaccagnino, Coordinatrice del Nucleo per le Attività di Vigilanza della Banca d'Italia - Filiale di Potenza, Ivana Enrica Pipponzi, Consigliera regionale di parità della Basilicata, Michele Somma, Presidente della Camera di Commercio della Basilicata, e Gabriella Megale, Amministratore unico di Sviluppo Basilicata. A moderare l'incontro, Margherita Perretti, Presidente della Piccola Industria Confindustria Basilicata.
I lavori si sono aperti con i saluti istituzionali di Nicola Coluzzi, Direttore Generale del Consiglio regionale, che ha sottolineato l'importanza dei dati forniti dall'ISTAT per una comprensione oggettiva del fenomeno: "L'ISTAT ci fornisce oggi una base empirica essenziale per comprendere la situazione e affrontare il tema delle disparità di genere con interventi mirati. Le variabili in gioco sono molteplici e riguardano diversi aspetti della vita quotidiana. Come Consiglio regionale, stiamo lavorando per favorire politiche di conciliazione tra vita privata e professionale, attraverso strumenti concreti come lo smart working, che permette a chi ha figli di bilanciare al meglio le esigenze familiari con quelle lavorative. Oltre a queste misure, è necessaria una maggiore sensibilità verso il ruolo delle donne nell'organizzazione sociale e amministrativa".
Antonella Bianchino ha illustrato un quadro dettagliato sulle disparità di genere in Italia e Basilicata, evidenziando le principali criticità e le dinamiche di miglioramento: "Nonostante i progressi a livello europeo e nazionale, la parità di genere non è ancora stata raggiunta. Esiste un divario significativo tra Nord e Sud, e la Basilicata si posiziona in maniera disomogenea nei vari indicatori. Se da un lato il livello di istruzione femminile è positivo, con un'alta incidenza di laureate, dall'altro permane un gap nelle discipline STEM, cruciali per un ingresso stabile e veloce nel mercato del lavoro. Il tasso di partecipazione femminile al lavoro è in linea con la media nazionale ma superiore rispetto ad altre regioni del Sud, sebbene vi sia ancora un'alta incidenza di impieghi part-time, spesso non volontari. Preoccupa, inoltre, il divario retributivo tra uomini e donne, che in Basilicata risulta più marcato rispetto alla media nazionale".
Benedetta Dito ha approfondito il tema delle disuguaglianze di genere nel sistema previdenziale, mettendo in luce le differenze nei trattamenti pensionistici e nelle condizioni di accesso alla previdenza: "Le donne continuano a sostenere il peso maggiore del lavoro di cura familiare, e questo si riflette nei dati su retribuzioni e pensioni. In Basilicata, il divario pensionistico è significativo, con una differenza di circa il 30% nell'importo medio delle pensioni tra uomini e donne. Tuttavia, nel settore pubblico questa differenza è meno accentuata".
Maria Carmela Zaccagnino ha evidenziato come la scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro abbia un impatto negativo sull’economia regionale e nazionale: "Un basso tasso di occupazione femminile significa meno produzione di ricchezza per tutti. La disparità di genere ha molte sfaccettature, una delle quali riguarda la distribuzione delle responsabilità familiari. Politiche mirate devono supportare le donne e gli uomini che desiderano conciliare lavoro e famiglia, senza dover rinunciare a una delle due dimensioni".
Margherita Perretti ha posto l'accento sulla necessità di una strategia strutturata per la parità di genere: "In Basilicata manca ancora una politica strategica efficace che promuova l'accesso delle donne al mercato del lavoro e garantisca strumenti di conciliazione tra vita privata e professionale. L'analisi dei dati è fondamentale per orientare le decisioni e valutare l'efficacia delle misure adottate. La Regione dovrebbe dotarsi di un bilancio di genere per monitorare i risultati e affinare le politiche".
Ivana Enrica Pipponzi ha sottolineato l’importanza di dati precisi per la definizione di politiche di intervento: "Il divario di genere rimane una problematica persistente, soprattutto in ambito lavorativo e previdenziale. La certificazione della parità di genere rappresenta uno strumento chiave per incentivare le imprese ad adottare misure concrete a favore della parità. Proprio la Consigliera regionale di parità è deputata istituzionalmente ad elaborare questi dati ma anche a comprendere quali sono le attività da porre in essere. A livello ministeriale e come Dipartimento pari opportunità ci stiamo focalizzando molto su tale certificazione che riteniamo assolutamente centrale in questa battaglia per superare il divario di genere.”
Michele Somma ha messo in risalto la dimensione culturale della disparità di genere: "Molto è stato fatto a livello normativo, ma il vero ostacolo rimane culturale. Le differenze nelle retribuzioni e nelle pensioni sono il risultato di fenomeni radicati nel tempo, e serve un cambio di mentalità per invertire la tendenza".
Gabriella Megale ha infine analizzato il ruolo dell'imprenditoria femminile: "In Basilicata, la percentuale di imprese a conduzione femminile è superiore alla media nazionale (27,8% contro il 22,6%), ma molte di queste operano nel settore agricolo con una struttura minima. È fondamentale sviluppare politiche che incentivino l'ampliamento delle imprese femminili e ne rafforzino la competitività".
La discussione ha segnalato la necessità di interventi strutturati in Basilicata per ridurre il divario di genere e favorire una maggiore equità in ambito economico e sociale con strategie orientate al superamento dei gap ancora persistenti, con l’affinamento di tutti gli strumenti necessari ad ottenere gli obiettivi indicati.
- Scritto da Redazione
- Sabato, 08 Marzo 2025 07:04
di Walter De Stradis
Giunto da poco a Potenza come studente universitario, chiese in un bar una gassosa al caffè, come era solito fare nella sua Cassano allo Ionio (Cosenza), ma gli porsero la bibita con la tazzina a parte. Le differenze (vantaggi compresi) nel vivere nel capoluogo della Basilicata, l'ingegnere "calabro-lucano" (originario di Terranova di Pollino) Antonio Candela racconta di averle apprese subito, e di avere avuto la “fame” giusta per fondare un’associazione di studenti fuori sede, laurearsi (più di una volta), diventare imprenditore e -fra le altre cose- coordinatore della candidatura nonché presidente del Comitato tecnico di “Potenza Città dei Giovani” (prestigiosa nomina istituzionale ottenuta dal Capoluogo lucano).
d- Un mese fa, il 9 febbraio, si è chiusa l’esperienza di “Potenza Città dei Giovani”; facciamo un bilancio, partendo, però, proprio dalle polemiche che seguirono l’annuncio dell’investitura ottenuta, e che facevano riferimento al titolo acquisito da un capoluogo di regione martoriato proprio dallo spopolamento giovanile e dall’intermittenza dei servizi essenziali.
r - Questi riconoscimenti (come anche quello di Capitale Europea della Cultura) non sono dei concorsi di bellezza, ovvero non li vincono città che sono già “a misura di”. Sono invece delle competizioni che stimolano le comunità a sviluppare progetti per rispondere a un determinato quesito. Potenza Città dei Giovani è nata esattamente così. L’Associazione degli ex studenti dell’Università (di cui faccio parte e che ho contribuito a fondare), dopo l’ennesima velina sullo spopolamento e sui giovani “impoltroniti”, reagì con la proposta di partecipare proprio a quella candidatura. Queste competizioni, infatti, sono degli “acceleratori”, mettono le città in competizione, “sotto pressione”, affinché rispondano a problemi come spopolamento, politiche del lavoro, neeting (il fenomeno che riguarda ragazzi che non studiano e non lavorano) e così via. Quella candidatura, insomma, è nata perché “Città dei giovani” non lo siamo.
d- Una sorta di reagente chimico, insomma. E la città come ha reagito? La città di Potenza cosa ne ha guadagnato?
r - I giovani hanno reagito straordinariamente bene, più di centocinquanta di loro hanno lavorato, in un anno e mezzo, per scrivere quel dossier. Voglio ricordare, inoltre, che finalmente c’è stata una generazione che ha fatto pace con la città sul tema Elisa Claps. Sempre in quel periodo, abbiamo aperto il Forum regionale dei giovani che era fermo; abbiamo rimesso al centro il tema della legge sulle politiche giovanili; abbiamo raccolto quasi 400mila euro di budget (in gran parte privato) che ha sostenuto i progetti del dossier, con una ricaduta sulla città di oltre un milione e mezzo di euro; è nata l’Orchestra Maldestra, un collettivo di giovani che -con un direttore di diciotto anni- per la prima volta allestiva una cosa del genere; abbiamo sperimentato due nuovi indici di valutazione dell’impatto giovanile (uno dei quali la Commissione Europea ha chiesto più volte di avviare, e Potenza è stata tra le prime città italiane); abbiamo sperimentato anche l’Indice di Felicità (un misuratore di empowerment per le persone che svolgono determinate attività). Tutte queste cose sono diventate patrimonio del capoluogo. E’ chiaro che in un anno non si risolve il tema dello spopolamento, ma certamente, oggi più di prima, a Potenza si parla di politiche giovanili.
d- Quindi nessun “però”?
r - Ce ne sono tanti, invece. Il primo: il piano economico che aveva reso sostenibile questa candidatura era fatto anche di un contributo della Regione Basilicata di centomila euro, che non è stato mai dato. Pertanto, abbiamo finito “Città dei Giovani” senza il 40% del budget. La città, di suo, non era pronta per affrontare un titolo così straordinario. Abbiamo perso un sacco di tempo, amministrativamente, per sbrigare attività che con un modello più organizzato avremmo fatto prima. Se a marzo vinci, e il Comitato tecnico si insedia il 30 aprile, vuol dire che abbiamo perso due mesi a fare una roba che andava fatta in dieci giorni.
d- “La città non era pronta”, ha detto. Da che punto di vista? Strutture? Personale? O magari mentalità?
r - Direi dal punto di vista della mentalità. Si è visto: a un pezzo della città, questo titolo è passato quasi inosservato. Come sempre, si è trattato di un approccio “sistemico” a un tema così straordinario.
d- I potentini non ci hanno creduto?
r - All’inizio non credevano nella candidatura; a vittoria ottenuta, non hanno creduto in loro stessi. In questa città, è un tema più trasversale: quando si raggiunge un risultato, si ha paura di tenere il pezzo su quel risultato stesso.
d- Quindi, come definirla: occasione mancata o colta parzialmente?
r - Io, per natura, sono sempre per il bicchiere mezzo pieno. Ribadisco: se oggi la Regione parla di giovani (forum, legge, riattivazione di fondi di investimento) è tutto figlio del faro acceso dal Comitato (fatto di tante persone) e del fatto che per la prima volta una città italiana, sotto il milione di abitanti, diventava Città dei Giovani.
d- Tocchiamo un tema peloso e antipatico: sui social ci furono polemiche anche sul suo essere calabrese, ma -anche se è stucchevole doversi “giustificare”- lei è di origini lucane.
r - Sì, infatti, di Terranova di Pollino. Mio padre è nato qui a Potenza nel 1950, nell’ospedale che un tempo si trovava nell’attuale parco della Torre Guevara. Sì, il tema è stucchevole, anche perché io sono di quella generazione di studenti universitari che ha scelto e scelgono di studiare in Basilicata, e poi di rimanere qui (e mettere su famiglia). E’ stucchevole, perché noi ormai dobbiamo guardare al Mediterraneo come riferimento, e invece la nostra provincialità, direi quasi “paesanità” (che non è un termine dispregiativo) ci identifica. Abbiamo timore di mettere al centro il ruolo che Potenza DEVE avere. E’ quasi un’”ansia da prestazione”.
d- E’ meno faticoso lamentarsi?
r - Assolutamente sì. E’ più facile ed è più comodo pensare che sia sempre colpa dell’altro, o che ci sia “qualcosa dietro”, quando qualcuno ha successo. E chi ha successo non lo si guarda per emularlo, ma per abbatterlo.
d- Lei si ritiene una persona di successo?
r - Io mi ritengo una persona fortunata. E ovviamente la fortuna te la costruisci, anche. Per me la fortuna non è quella del “gratta e vinci”, è una cosa su cui si deve lavorare. E oggi a quarantacinque anni sto bene, vivo in una città bellissima, in una regione che ha un enorme potenziale. Ma sa una cosa? Basta col dire che “abbiamo potenziale”! Dobbiamo esprimerlo.
d- Lei, a microfoni spenti, mi ha detto che provenendo da un paese della Calabria, Cassano, qui ha trovato una realtà molto diversa, in senso positivo…
r - A Potenza ho trovato Las Vegas, l’ho sempre detto. Vengo da una realtà in cui, a una certa ora, c’era il coprifuoco. Nella piana di Sibari ci sono problemi realmente sistemici. Arrivato qui, mi meravigliavo del fatto che potessi uscire alle tre di notte, senza dovermi guardare alle spalle di continuo. Sono cresciuto in una dinamica in cui devi far crescere le unghie un po’ prima, devi avere fame di raggiungere un obiettivo. La mia è una generazione competitiva, a differenza dei ventenni di oggi, i cosiddetti nativi del digitale, che non hanno vissuto il bar del paese, quando la sera ci si riuniva con le sedie e si parlava di ciò che accadeva. Io queste cose le ho vissute, anche se sembrano di un’era fa. I ragazzi di oggi sono più fragili, perché cercano una comunità che non hanno avuto, e la devono costruire.
d- Una quindicina di anni fa lei si candidò al consiglio regionale con una lista che faceva riferimento alla sua associazione di studenti fuorisede, “Sui Generis”. Oggi la politica l’ha solo messa in parcheggio?
r - La politica la faccio tutti i giorni. Dare risposte alla comunità, attraverso il proprio lavoro e il proprio impegno, significa fare politica. Credo di non essere tagliato, invece, per l’impegno attivo in un partito. Credo che certe contrapposizioni siano saltate e che oggi ci sia bisogno di fare comunità, ma purtroppo siamo in un paese di Guelfi e Ghibellini.
d- Lei è amministratore del consorzio ConUnibas, che si occupa anche di accoglienza agli studenti non lucani. Potenza è una città a misura di fuorisede?
r - Assolutamente no. Uno dei temi della Città dei Giovani era proprio questo: è follia che a Potenza non si sia posti la questione dell’Università come “driver” sistemico. E’ vero, l’università dovrebbe essere maggiormente “dentro” le dinamiche, ma è vero anche il contrario: noi abbiamo due città universitarie, Potenza e Matera, che non sono affatto a misura di studenti.
d- Cosa vuol dire, secondo lei, essere davvero una città “universitaria”?
r - Significa mettere al centro delle scelte di sistema la presenza degli universitari; immaginare contratti-tipo per l’accoglienza (dormire, mangiare, residenzialità); favorire l’ingresso degli studenti nell’ambito culturale; accogliere le famiglie che scelgono di investire nel capoluogo: tenga conto che la presenza dell’Università, tra Potenza e Matera, comporta una ricaduta economica di circa 350/400mila euro annui (e cioè dieci volte tanto, rispetto a ciò che diamo all’Ateneo come finanziamento). Tuttavia, non si è mai ragionato su un modello di sistema. Ricordo bene “Unitown” (ci lavorai insieme all’assessore Percoco), uno strumento tecnico di aiuto alla politica, ma non ha prodotto il risultato sperato.
d- Se potesse prendere Bardi sotto braccio, anche in tono confidenziale, cosa gli direbbe?
r - Che è arrivato il momento di mettere al centro i giovani e le politiche del lavoro. Da lì passa tutto: il tema dell’emigrazione, dello spopolamento, delle aree interne. Pertanto a Bardi direi: «Presidè, metti tutto quello che hai nelle politiche giovanili».
- Scritto da Redazione
- Venerdì, 07 Marzo 2025 14:44
E’ online dal 5 marzo sul sito Internet dell’Inps la circolare n. 54, che fornisce chiarimenti sul “Fondo per il reddito di libertà per le donne vittime di violenza” e indica le modalità di presentazione delle domande. La misura, approvata con decreto del ministro per la Famiglia di concerto con il ministro del Lavoro e con il ministro dell’Economia, è pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 4 marzo 2025.
Il “Reddito di libertà” è riconosciuto alle donne vittime di violenza, con o senza figli, che, spiega la Consigliera regionale di parità, Ivana Pipponzi, si trovano in condizioni di povertà e sono seguite dai centri antiviolenza riconosciuti dalle Regioni e dai servizi sociali. Si tratta di un intervento di particolare importanza, perché sostiene l’autonomia finanziaria delle donne che intendono uscire da situazioni di abuso.
Il Reddito di libertà concede un contributo economico di 500 euro mensili, per un massimo di 12 mensilità, e non è incompatibile con altre forme di sostegno, come l’assegno di inclusione. La misura è finanziata con dieci milioni di euro per ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026. A questi si aggiungerà un ulteriore milione, strutturale, stanziato dall’ultima legge di bilancio.
La domanda di aiuto deve essere presentata all’Inps attraverso i Comuni di riferimento. Il “Reddito di libertà” prevede un regime transitorio fino al 18 aprile. Fino a quella data concede alle donne la possibilità di ripresentare le domande non accolte per “insufficienza di budget”, con priorità rispetto alle nuove pratiche. Il tramite è sempre quello dei Comuni, i quali verificano la sussistenza dei requisiti per l’accesso alla misura.
Per la presentazione delle domande i Comuni dovranno accedere al servizio on line raggiungibile sul sito www.inps.it, digitando nel motore di ricerca “Prestazioni sociali dei comuni”, selezionando tra i risultati il servizio “Prestazioni sociali: trasmissione domande, istruzioni e software”.
fonte: https://agr.regione.basilicata.it/post/pipponzi-operativo-il-reddito-di-liberta/