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“Il suono metallico delle porte del carcere di Potenza che si chiudono dietro le spalle del marito, sancisce la fine dell’incubo per una giovane donna e le sue figlie”.

E’ quanto si legge in una nota ufficiale dei Carabinieri, che prosegue: “Squilla il telefono della Centrale Operativa dei Carabinieri di Potenza: una voce femminile spaventata e tremante ma anche tanto, troppo, giovane che con poche semplici parole chiede aiuto perché suo padre, ancora una volta, ha picchiato la madre e l’ha minacciata di morte davanti ai suoi occhi e a quelli della sorellina.

Dall’altra parte del filo, un militare dell’Arma con troppa esperienza per non comprendere che dietro quelle parole poteva esserci molto di più.

Le sirene dei Carabinieri scuotono la quiete delle strade del capoluogo potentino fino a giungere in prossimità dell’abitazione della giovane donna. All’interno solo lei e le figlie, nessuna traccia del marito, uno straniero regolarmente residente in Italia che si era dato alla fuga. Le donne venivano immediatamente portate presso la Stazione Carabinieri di Potenza dove, una volta al sicuro, sono state affidate alle cure del 118 e degli assistenti sociali del Comune di Potenza. Le ricerche andavano avanti per tutta la notte concludendosi solo all’alba del giorno successivo quando i Carabinieri della Sezione Radiomobile lo rintracciavano alle porte del capoluogo e procedevano al suo arresto conducendolo presso la Casa Circondariale di Potenza per i maltrattamenti e le violenze perpetrate a danno della moglie. Condotte che, come emerso nelle ore successive dalle parole della donna, non si sarebbero limitate ad un solo momento di ordinaria follia consumatosi quella sera alla presenza delle loro figliolette ma sarebbero state solo l’ennesimo episodio di maltrattamenti e vessazioni, che già da tempo si alternava nel silenzio delle mura domestiche.

L’udienza tenutasi dinanzi al GIP di Potenza convalidava l’arresto operato dai Carabinieri e disponeva la custodia cautelare in carcere per il cittadino straniero che ora è a disposizione della competente Autorità Giudiziaria chiamata a giudicare sui fatti per i quali, sino a sentenza definitiva di condanna, vige la presunzione di innocenza per l’indagato.

Un atto di coraggio da parte della giovane ragazza che ha scelto di vincere le sue paure e chiamare il 112 permettendo così il tempestivo intervento dei Carabinieri di Potenza che ha interrotto una spregevole routine e, forse, evitato conseguenze ancora più tragiche come ormai tristemente ci hanno abituato le cronache nazionali”.

I Carabinieri del Comando Provinciale di Potenza si raccomandano di ricorrere ai presidi dell’Arma sul territorio o al NUE 112 senza alcuna remora e sin dai primi segnali di pericolo o timore perché se da una parte c’è qualcuno che chiede aiuto, dall’altra, ricordano, ci sarà sempre un Carabiniere che risponderà: “Possiamo Aiutarvi”.

 

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di Antonella Sabia

 

 

 

 

Si presenta così l’avvocato Nicodemo Gentile, presidente nazionale di Penelope, Associazione delle famiglie e degli amici delle persone scomparse: “Mi ritengo un uomo molto fortunato perché mi sono reso conto, nel tempo, che la mia attitudine di fondo sarebbe stata quella di occuparmi di qualcosa inerente i diritti umani, la giustizia. All'università ho conosciuto la periferia del mondo, l'avvocatura e poi il penale, quello duro, che ti porta tutti i giorni a confrontarti con le tragedie e le sciagure, da una parte o dall'altra della barricata. Sono fortunato perché comunque faccio qualcosa che avevo sempre sognato, è un motivo di soddisfazione perché anche se un lavoro ti impegna fisicamente e mentalmente, la passione diventa un valore aggiunto”.

Ai più giovani dice: Credeteci sempre e datevi degli obiettivi! Non tutti probabilmente verranno raggiunti come uno immaginava, ci vuole buona sorte, ma anche tanto studio, tanta dedizione e voglia di farcela”.

Una intensa, sincera e profonda intervista rilasciata ai giovani studenti del Liceo Scientifico Galilei, sempre nell’ambito del progetto “Galilei in Radio” che è possibile riascoltare su Spotify.

d - Come sta l'Associazione Penelope?

r - Penelope sta molto bene, è un'associazione in salute che sta vivendo un momento di grande espansione, crescita e riconoscimento, significa che stiamo lavorando con lo spirito di soldati del bene che da sempre ci contraddistingue. Siamo ben accetti di ricevere critiche, anche feroci, perché vogliamo migliorare e capire dove sbagliamo. Essendo un'associazione di volontariato fatta di uomini e donne di buona volontà, come tutti gli umani, possiamo compiere degli errori, in buona fede, che vanno rimessi in carreggiata. Siamo in un momento di grande entusiasmo e questo ci dà l'energia per essere sempre operativi su tutto il territorio nazionale.

d - Ha parlato di periferia del mondo, essere volontario di un'associazione è un po' assistere il dolore e se vogliamo cercare di dare una mano alla periferia della nostra società?

r - Dico sempre che noi dei Tribunali abbiamo un posto privilegiato, in prima fila, nel teatro della vita, soprattutto io che mi occupo di penale, ho sempre avuto un certo fiuto per situazioni più gravi da un punto di vista sociale e personale, tanto disagio, tante difficoltà e tanto dolore. Ho capito che il bene c'è, l'ho conosciuto, fa meno rumore del male e di tante situazioni che invece fanno clamore proprio perché sono piene di rumore. C’è una differenza tra il male e il bene: il male è rumore, il bene è suono. Tante persone ogni giorno riescono ad essere empatiche, che parola magica, dietro ogni professionista c'è sempre l'uomo, la persona, tolta la divisa, ognuno si confronta con la vita. Ho conosciuto l'Associazione nel 2009 per motivi professionali, mi sono confrontato con uno spaccato di dolore che costella il mondo della scomparsa, che ha iniziato ad interessarmi. Ho capito che c'era bisogno di approcci nuovi anche dal punto vista dell'investigazione, e dopo una serie di percorsi nel 2020 sono stato eletto presidente nazionale.

d - Ha parlato di uomo e professionista, ma in una associazione come Penelope serve più essere avvocato o essere uomo?

r - Secondo me, la fusione di entrambi. È diventato quasi un secondo lavoro perché occupa un bel po' di spazio della propria giornata, ci deve essere il giusto equilibrio tra testa e cuore perché questo particolare ambito del dolore, relativo alla scomparsa, impone anche un approccio umano ed emotivo importante che è quello di cui hanno bisogno i familiari. Nei momenti bui della scomparsa hanno bisogno di calore, di protezione, di sostegno umano. Chi vuole far parte di questo esercito del bene, non può chiudere la porta del cuore, anche se è un professionista. Ci sono casi in cui la toga non arrivi neanche a indossarla, ci sono delle scomparse che non diventano mai un processo, sono convinto quindi con cognizione di causa che il giusto equilibrio si raggiunge attraverso una fusione tra uomo e professionista.

d - Quanto un'associazione di volontariato può sostenere una persona a cambiare le sorti della nostra società e insegnare a mettersi dall'altra parte?

r - Il mondo del volontariato è una grande palestra, per poterla frequentare bisogna avere come faro quella parola magica, l'empatia, significa poter pensare, capire, ragionare che ci sono persone che possono essere emarginate dai circuiti della società. Come Penelope ci occupiamo esclusivamente di tutto ciò che è il mondo della scomparsa e delle conseguenze che un familiare deve vivere. Siamo nati da un’idea di Gildo e della famiglia Claps nel 2002, e nel nostro atto costitutivo c’erano 22 persone, dopo oltre 20 anni siamo presenti in tutte le regioni d'Italia. Lo zoccolo duro della nostra associazione è costituito da gente che questa Via Crucis la vive sulle sue spalle, cicatrici vive che ogni volta che aiutano qualcuno, iniziano a sanguinare. Ci sono ancora tanti familiari in bilico che vivono il buio della scomparsa, dove non c'è né vita né morte. Nell'associazione, inoltre, ci sono donne e uomini, spesso non più giovanissimi, eppure riescono a essere presenti, a dare una parola di conforto, anche con una semplice telefonata. La vicinanza, il calore, il pronto intervento: io ci credo nel volontariato, è una forma alternativa di essere persone per bene. E non basta, per essere persone per bene, non fare del male! Cerchiamo di mettere in pratica le parole di Madre Teresa che dice che Quello che facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma l’oceano senza quella goccia sarebbe più piccolo. Io ci credo tantissimo alla solidarietà, anche in un momento in cui sembra essere controcorrente e questo esempio deve essere talmente edificante e forte che deve far arrossire qualcuno che con enormi possibilità economiche e di mezzi, non riesce a fare grandi cose.

Giro per le scuole, ovviamente in maniera gratuita, parlo con questi ragazzi senza toga e cerco di portargli quei pezzi di verità e di vita reale. I giovani hanno bisogno di messaggi positivi, puliti, che siano aderenti al vero. È bello scoprire che i giovani sono molto meglio di quello che vengono descritti, trovi riscontro se ti poni in maniera leale verso di loro, e questo mi entusiasma molto.

(l’intervista integrale è ascoltabile al link https://open.spotify.com/episode/6tbJCTsXl0mE2Tv883bb6N)

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di Antonella Sabia

 


Resterà in carica fino a marzo 2026, perché, come scritto nella Delibera dal Consiglio Superiore della Magistratura, “si è rivelato dirigente di sicura competenza e in possesso di doti organizzative che gli hanno consentito di assicurare funzionalità ed efficienza all’ufficio”.
Tra gli onorevoli ospiti delle interviste in podcast dei ragazzi del Liceo Scientifico Galilei di Potenza, nell’ambito del progetto sulla legalità voluto e incentivato dal Ministero, anche il Procuratore Capo della Repubblica, a Potenza, dott. Francesco Curcio, originario di Polla (Sa), che, come ha riferito, “è vicina sia in termini di distanza, ma anche come cultura; faceva parte di quella che era la Grande Lucania, qui mi sento assolutamente a casa mia”.
Curcio è stato in passato Sostituto alla Procura di Napoli ed è stato il titolare di numerose e importanti inchieste. Su tutte quella denominata “P4“, l’indagine su una presunta associazione a delinquere che avrebbe operato nell’ambito della pubblica amministrazione e della giustizia con nomi eccellenti. Inoltre, ha dedicato parte della sua carriera alle indagini sui vertici dei Casalesi, e sui rapporti tra il clan Zagaria e la Banda della Magliana per le attività di riciclaggio.
“Stare qui a Potenza è entusiasmante per me –ha raccontato agli studenti del Galilei- sono felice di lavorare tra la mia gente, nella mia terra; speri di dare un contributo alla crescita dei territori in cui sei nato e vissuto. Il distretto di Potenza, ragionando in termini di geografia giudiziaria, comprende non solo la Basilicata, ma anche una fetta piuttosto ampia della provincia di Salerno, la competenza infatti si estende anche a tutta la valle di Diano, oltre al basso Cilento, da Sapri a Vibonati”, ha affermato lo stesso Curcio.
A più riprese si è sentito parlare di Basilicata come isola felice, ma a riguardo il Procuratore di Potenza dice: “Che sia un territorio ricco di straordinarie bellezze naturali, ma anche di borghi medievali, l’abbiamo detto sin dall’inizio, ma la criminalità è presente in Basilicata come nelle altre regioni. Tra l’altro, confiniamo con Calabria, Campania e Puglia,regioni ad alta densità mafiosa, perciò siamo particolarmente esposti. In più esistono delle organizzazioni composte da lucani che riteniamo di tipo mafioso, dall’alto Vulture-Melfese fino alla costa Jonica. Talvolta, più si parla di un’isola felice, più induciamo criminali di altre zone a venire da noi”.
Il lavoro in capo al ruolo di Procuratore è articolato su più livelli. Si conducono infatti
processi e indagini che non riguardano solo aspetti della criminalità, ma anche relativi al Codice Rosso, vale a dire violenza familiare, violenza sulle donne, oltre a quelli perpetrati dai “colletti bianchi”. “Oltre alle indagini, poi, c’è il problema dell’organizzazione di un ufficio composto da oltre 100 persone, pertanto è necessario che lavorino in sinergia, da squadra, perché da soli siamo nulla”, dice Curcio.
“Fino a due anni fa la DIA (Direzione Investigativa Antimafia) era presente in tutte le regioni italiane, fatta eccezione della Basilicata, Sardegna e forse la Valle d’Aosta, - continua il procuratore. Ci siamo quindi messi al pari degli altri, con un reparto di polizia specializzata alla conduzione di indagini sulla criminalità organizzata. È fondamentale conoscere il territorio e sapere quali sono le presenze criminali in quel territorio, bisogna poi svolgere le indagini attraverso le intercettazioni, che con gli strumenti digitali oggi a disposizione sono diventate sempre più difficili. Prima esistevano soltanto i telefoni, oggi ci sono sofisticati strumenti telematici. Ci stiamo attrezzando per cercare di risalire anche a strumenti quali Telegram, Messenger, lo stesso WhatsApp che è difficile intercettare. Questo perché non sono gestiti da provider italiani e quindi richiedere dei dati diventa complicato e in generale sono poco collaborativi. Abbiamo comunque dei tecnici molto bravi, ma per essere sempre al passo, bisogna investire molto per formare il personale della Polizia giudiziaria, molti reati oggi si consumano proprio in rete, penso alla pedopornografia che viaggia sul dark web”.
Negli ultimi mesi, in particolare nella provincia di Potenza, più volte si è parlato di operazioni antidroga che sempre più spesso vedono coinvolti giovani, anche minorenni, sempre più attratti da queste forme di devianze. A tal proposito, afferma il Procuratore Curcio: “Una volta vi era un controllo familiare e sociale sul giovane che purtroppo oggi non c’è più, è diventato quasi impossibile decifrare la vita di un giovane, ma sarebbe necessario quantomeno per scongiurare che si scivoli in mondi, contatti, amicizie pericolosi. C’è quindi un minore controllo, ma anche una maggiore diffusione: sul mercato ne arriva di più a prezzi sempre più contenuti. Sarebbe opportuno ci fosse maggiore collaborazione tra gli stessi giovani, attraverso azioni di coraggio, immagino che denunciare potrebbe significare essere additati dagli altri compagni come, diciamo così, degli “infami”, se vogliamo mutuare una parola dal mondo criminale. In realtà, state solo facendo il vostro dovere di cittadini. Perciò bisognerebbe iniziare a pensare che collaborare non significa tradire, ma aiutare un amico”.
Con il tempo, atteggiamenti di furbizia, disonestà sembrano aver assunto le sembianze di valori, rispetto a quelli che sono realmente i principi di un individuo. “Seguire le regole è faticoso, quindi le persone cercano sempre dei modi per raggiungere i loro scopi, spesso anche attraverso delle scorciatoie. Lo dico sempre quando incontro i ragazzi, la legalità pare un po’ noiosa, magari è più divertente lasciarsi andare all’ “estro” e alla “fantasia”, ma sempre purché non si violino le regole. La legge ha però anche un grandissimo pregio, è uguale per tutti, non ci sono figli e figliastri, ci sono delle regole e tutti devono rispettarle”, conclude il Procuratore Capo della Repubblica di Potenza, dott. Francesco Curcio.

 

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“Da pochi giorni ha assunto il comando della Stazione dei Carabinieri di Vietri di Potenza Daiana Conte che, con i suoi 23 anni, oltre ad essere tra i carabinieri più giovani d'Italia, rappresenta sicuramente una bella immagine di parità sia per il piccolo borgo lucano che per l'intera regione.

Difatti, Conte è l'unica donna al comando di una stazione dei Carabinieri in Basilicata e a lei va il nostro plauso e l'augurio di proficuo lavoro”. E’ quanto affermano, in una nota, le consigliere regionali di parità Ivana Pipponzi e Rossana Mignoli.

“L'ingresso del personale femminile nelle Forze Armate e nei ruoli dell'arma dei Carabinieri ha rappresentato un passaggio epocale per la nostra società che oggi, a ben vedere, si affida sempre di più alle donne anche per le posizioni apicali.

Sul punto - aggiungono le consigliere - stiamo programmando per il prossimo autunno delle attività, alle quali senz'altro avremo il piacere di invitare il maresciallo Conte, volte ad approfondire l'annoso problema della violenza di genere e degli abusi familiari nei piccoli centri lucani. Lotta che vede in prima linea proprio l'Arma dei Carabinieri, alla quale va tutto il nostro più sentito apprezzamento”.

 

https://www.regione.basilicata.it/giunta/site/giunta/detail.jsp?otype=1012&id=3093351&value=regione

 

 

 

 

 

 

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La questione della “violenza di genere”, ahinoi, è un tema sempre più “in rialzo” in un mondo, una nazione, una regione e una città, che sembrano sempre più camminare all’indietro, e a grandi passi, di gambero.

A Potenza, da qualche tempo, è attivo però un interessante progetto, “Più Sicura – Laboratorio femminile di arti marziali e psicologia della difesa personale”. A quanto pare, infatti, l’aspetto fondamentale di tutta la questione attiene solo parzialmente al “saper menare le mani”, quanto, in maniera più dirimente, al “saper usare la testa”.

Ne abbiamo parlato con Serena Lamastra, Direttrice dell’Accademia delle Arti Marziali e Sport da Combattimento di Potenza, ideatrice del progetto, e della co-responsabile in tale “mission”, Alessandra Sprovera.

d - Tanto per cominciare, Serena, lei è da poco diventata la prima donna lucana a indossare la cintura nera di Ju jitsu brasiliano…

r - LAMASTRA- …in effetti quello delle arti marziali è visto come un mondo prettamente maschile; io invece le pratico da sempre (kung fu, kick boxing), e questa ultima cintura nera è giunta a completamento di un lungo percorso, anche di studio (componente fondamentale, ma di cui non sempre si parla), durato quasi dieci anni.

d - Immagino si tratti anche di un percorso condiviso con suo Marito, Massimiliano Monaco, già campione mondiale di kick boxing cinese (che abbiamo intervistato alcuni numeri fa – ndr)

r - Sì, gestiamo insieme l’Accademia, lui è il direttore tecnico, io sono quella che gestisce la parte amministrativa. Tornando al ju jtsu brasiliano, si tratta di un’arte marziale relativamente “giovane”, che è proprio alla base di molte tecniche di autodifesa personale.

d - Parliamo dunque di questo progetto “Più Sicura”: immagino abbia anche dei patrocini istituzionali.

r - Sì, è stato ideato da noi dell’Accademia, ed è stato patrocinato dal Comune di Potenza (Ufficio Sport), dalla FederKombat (la Federazione di riconoscimento della kick boxing), dalla Commissione regionale per le Pari Opportunità e dall’Asp (Ufficio del Consultorio).

r - SPROVERA - “Più Sicura” è un laboratorio femminile di arti marziali e della psicologia della difesa personale. Un “laboratorio”, perché la nostra idea era proprio quella di sperimentare un connubio tra le arti marziali, insegnate a scopo “auto difensivo” e il percorso psicologico, volto a far acquisire maggiore consapevolezza e autostima alle donne. Perché? Perché molto spesso le donne non “conoscono” la violenza, anche se sembra un paradosso. Molto spesso non si riconosce la violenza, soprattutto quella psicologica. Il nostro scopo è dunque quello di diffondere la cultura e la conoscenza di fenomeni quali la violenza di genere, la violenza domestica, insegnando a donne -giovani e più mature- a essere maggiormente “reattive”. Non pretendiamo, però, di creare “super eroine”, perché è abbastanza ovvio che –nonostante l’esperienza che una può avere nelle arti marziali- se un uomo di cento chili aggredisce una donna, molto probabilmente quella donna soccomberà. Quello che conta, dunque, è imparare ad avere una “reazione”, invece di un “freezing”, ovvero un blocco psicologico e fisico.

d - Serena, in una relazione cosiddetta “tossica”, quali possono essere i campanelli d’allarme circa una violenza psicologica che sta per diventare anche fisica?

r - LAMASTRA - Si va dalla semplice “negazione” della persona (il partner fa in modo che l’altra “non esista”, vietandole di vestirsi in un certo modo o di fare determinate cose), e poi –naturalmente- all’aggressività, in tutte le sue forme, verbale e fisica. Lo schiaffo è facile da riconoscere come violenza, ma uno strattone o anche un semplice tocco della mano (laddove la donna non voglia che il proprio spazio fisico venga violato) possono portare “a valanga” a cose molto più negative. La nostra psicologa, Mariarosaria La Becca, fondatrice anch’ella del progetto, in tutto questo ricopre un ruolo importantissimo. Le nostre lezioni si svolgono sempre in modo “dinamico”, con una prima parte di riflessione e una seconda dedicata all’apprendimento di tecniche atte a evitare questo tipo di situazioni.

d - Dal punto di vista “fisico” cosa viene trasmesso alle allieve?

r - Una sorta di “pronto soccorso di difesa personale”. Come diceva Alessandra, nessuno può imparare a difendersi da chiunque, pertanto noi forniamo degli strumenti per cercare di creare una via d’uscita in una situazione di pericolo, onde poter scappare e cercare aiuto. Guardi, come le dicevo, io stessa ho diverse cinture nere e pratico arti marziali da una vita, ma so bene che in palestra –in una situazione di reale difficoltà per me- il mio avversario si fermerebbe. Nel mondo “reale”, invece, la vera violenza è caos, e nessuno si ferma. Pertanto, la prima cosa è capire di non essere “invincibili”; la seconda è riconoscere di avere delle “armi” che non sospetteresti di avere nel tuo corpo.

d - Ad esempio?

r - Bisogna colpire parti del corpo che sono sempre vulnerabili: occhi, genitali. E’ brutto dire che “un dito nell’occhio” può essere utile, ma in realtà proprio così. E poi, certo, ci sono delle tecniche specifiche di difesa, come quelle relative alla situazione di “schiena a terra” (tutte le violenze portano a quello), in cui solitamente si perdono le speranze. E in questi casi ci viene incontro proprio il ju jitsu brasiliano: pensiamo alla tecnica di strangolamento effettuata con le gambe, il cosiddetto “triangolo”, che può portare persino allo svenimento dell’aggressore. Ciò comporta avere la possibilità di scappare e chiedere aiuto.

d - Mi par di capire che, in caso di “attacco”, il punto non è necessariamente “menare” l’aggressore, bensì mettersi in condizione di fuggire e di cercare soccorso.

r - Esattamente. Affermare che, con poche lezioni, si impara a difendersi sempre e comunque, sarebbe vendere fumo negli occhi.

d - Alessandra, imparare le tecniche difensive può quindi non essere sufficiente, se non si ha il giusto allenamento psicologico, in quanto la paura può comunque annullare tutto quanto si è appreso dal punto di vista fisico.

r - SPROVERA – In tutto ciò è fondamentale l’intervento della nostra psicologa, che guida le donne in un percorso di valorizzazione del proprio io, allenandole a osservare le diverse sfumature delle situazioni in cui si possono ritrovare. “Più sicura” si volge sia nelle scuole pubbliche sia nella nostra palestra, e capita che molte ragazze affermino di non avere la capacità di essere “aggressive” e dunque di difendersi; la psicologa pertanto le guida a comprendere la valenza di certi gesti, sia propri, sia dell’aggressore. Parlavamo prima del “freezing”: bene, riflettere su questi argomenti aiuta ad avere una reazione, che può anche essere semplicemente –come si diceva- lo scappare (viepiù da luoghi isolati, quali parcheggi o strade appartate), o trovare il tempo di chiamare la polizia col cellulare, dopo aver messo, diciamo “KO”, l’aggressore. Bisogna SEMPRE chiamare aiuto e rivolgersi alle autorità preposte (polizia, carabinieri, il consultorio, Telefono Donna etc.).

d - Serena, se potessimo trarre dei “dati” dalle vostre attività sul territorio, che “fotografia” otteniamo della situazione presente qui a Potenza?

r - LAMASTRA - Purtroppo, in linea con i dati nazionali, ci sono anche qui tante situazioni di violenza, e tante ragazze sono venute da noi. Ma si tratta quasi sempre di violenza domestica (familiari, partner, amici). Ecco perché la difesa personale dall’aggressore occasionale che si può incontrare per strada ha un’importanza relativa rispetto alla prevenzione, all’informazione sulla violenza di genere. Diciamo che, perlomeno da noi, non sono venute persone aggredite da sconosciuti.

d - Tuttavia, se pensiamo alle polemiche sulla “mala movida” in centro storico, alcune delle persone che abbiamo intervistato non si sono dette del tutto tranquille, quando le loro figlie escono di sera.

r - Perché problemi ci sono, non sono da sottovalutare, e sono legati ad alcune dinamiche proprie della città. Però bisogna bene inquadrare le cause, perché possono esserci –a volte- situazioni in cui ci si “espone” al pericolo. Alcuni ragazzini, infatti, non hanno un’adeguata conoscenza dei rischi, e pertanto è stato molto bello incontrali nelle scuole e informarli. E mi tocca dire che per quanto riguarda le aggressioni per strada, beh, la situazione mi sembra stia diventando brutta anche a Potenza. Da noi, ripeto, finora non è mai venuta nessuna a raccontarci di questa esperienza, ma le cronache ci narrano comunque di alcuni episodi. Pertanto è fondamentale fare informazione e prevenzione.

d - Cosa chiedereste alle istituzioni?

r - SPROVERA – Soldi? (sorride) Scherzo, ma sicuramente maggiore sostegno, a tutte le associazioni.

r - LAMASTRA – Anche degli spazi di condivisione tra tutte le associazioni che si occupano di questa tematica; la possibilità di costruire una “rete”, che potrebbe rivelarsi anche un fiore all’occhiello per la regione.

d - Un messaggio alle donne?

r - Credete in voi, perché potete fare tutto e potete difendervi.

d - Ma è vero che spesso chi subisce violenza si auto-colpevolizza?

r - SPROVERA - Sì. Per questo è fondamentale il percorso di autostima e di valorizzazione del proprio io. Spesso le nemiche delle donne sono le donne stesse, quando non credono nella loro forza e nelle loro capacità.

 

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E’ il Dirigente Generale Dr. Giuseppe Ferrari il neo Questore della Provincia di Potenza. Nominato dal Capo della Polizia – Direttore Generale della P.S., il dott. Ferrari subentra al dott. Antonino Pietro Romeo collocato in quiescenza il 1° giugno u.s., provenendo da analogo prestigioso incarico, quale Questore di Reggio Emilia. L’insediamento è previsto nei prossimi giorni.

Cinquantanove anni, coniugato, originario di Busseto (PR), ha frequentato il 1° Corso quadriennale presso l’Istituto Superiore di Polizia in Roma, dal dicembre 1984 al gennaio 1989, conclusosi con la nomina a Vice Commissario della Polizia di Stato.

Si è laureato in giurisprudenza con lode presso l’Università di Parma.

Ha prestato servizio, fino al novembre 1994, presso la Scuola Allievi Agenti di Piacenza, ricoprendo gli incarichi di Dirigente dell’Ufficio del Personale e di Dirigente dell’Ufficio Corsi, oltre che di docente di materie giuridiche.

È stato trasferito nel dicembre 1994 alla Questura di Milano, ove ha svolto le funzioni di Vice Dirigente della Divisione Anticrimine fino all’aprile 1996.

Successivamente è stato assegnato alla Direzione Centrale della Polizia Criminale, Servizio Centrale di Protezione, assumendo la direzione del Nucleo Operativo di Protezione Lombardia di Milano, dal maggio 1996 all’agosto 1998.

Dal settembre 1998 ha prestato servizio presso la Questura di Parma, ricoprendo prima l’incarico di Dirigente dell’Ufficio Immigrazione, e quindi, fino ad aprile 2005, quello di Dirigente dell’Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico.

È poi stato assegnato alla Questura di Brescia, ove ha diretto l’Ufficio di Gabinetto fino al giugno 2009.

Nel luglio 2009, poco dopo il terremoto che ha colpito la città di L’Aquila è stato trasferito nel capoluogo abruzzese, per assumere le funzioni di Vice Questore Vicario, coordinando i servizi svolti dalle Forze di Polizia durante le operazioni di soccorso alla popolazione e di supporto alla ricostruzione nei Comuni della provincia interessati dal sisma.

Dal luglio 2012 al settembre 2015 ha ricoperto l’incarico di Vice Questore Vicario di Torino ed ha coordinato i più importanti servizi di ordine pubblico attuati in occasione delle numerose manifestazioni svoltesi in quel periodo, nel capoluogo piemontese e nella sua provincia.

Fino a giugno 2016 ha frequentato, alla Scuola di Perfezionamento per le Forze di Polizia, il 31° Corso di Alta Formazione, conseguendo presso l’Università “La Sapienza” di Roma, il master di II° livello: “Sicurezza, Coordinamento interforze e Cooperazione internazionale”.

Successivamente è stato assegnato all’Ufficio Centrale Ispettivo del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, ove ha assunto le funzioni di Ispettore Generale.

Dal 2 gennaio 2017 ha diretto la Questura di Massa Carrara.

Durante la sua carriera ha ricevuto tra l’altro: la medaglia di benemerenza connessa ai servizi prestati in occasione dell’alluvione in varie regioni dell’Italia settentrionale, nel settembre - ottobre 2000 e la medaglia di benemerenza per le operazioni di soccorso svolte in Abruzzo, a seguito del terremoto del 2009.     

Il 20 dicembre 2022 ha ricevuto da S.E. il Prefetto di Reggio Emilia, Dottoressa Iolanda Rolli, l’onorificenza di Ufficiale della Repubblica Italiana.

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di Antonella Sabia

 

 

 

Si è svolto martedì scorso presso il Palazzo della Cultura a Potenza l’importante “Seminario sulle indagini digitali” organizzato da SILP CGIL (Sindacato Italiano Lavoratori di Polizia) e ONIF (Osservatorio Nazionale Informatica Forense), che ha offerto una panoramica sulle principali sfide e opportunità nel campo delle indagini digitali, andando a porre particolare attenzione sulle ultime tendenze e sulle innovazioni tecnologiche, grazie alla presenza di esperti del settore che hanno condiviso esperienze e discusso di soluzioni e strategie possibili. Solo qualche settimana fa, su queste stesse pagine, si era discusso di questi temi con il segretario generale SILP CGIL Basilicata Francesco Mobilio (Sovrintendente Capo della Polizia di Stato) e con il segretario Pasquale Di Tolla (Sostituto Commissario della Polizia di Stato).

All’evento dello scorso 16 maggio era,presente, tra gli altri, lo stesso Presidente dell’ONIF, Paolo Reale (tra l’altro anche consulente del noto programma televisivo “Quarto Grado” su Rete 4).

A nostra domanda diretta sulle “due velocità” -nell’ambito delle nuove tecnologie- che corrono tra forze di polizia (nonché autorità giudiziaria) e criminalità organizzata, ha affermato: “Ci sono tante sfaccettature diverse e l’Italia è proprio tappezzata con competenze e risorse che cambiano a seconda della regione, del luogo e della città di riferimento. È vero, ci sono alcuni ambiti in cui l’autorità giudiziaria non è al passo con i tempi, mancano risorse e competenze, ma talvolta anche fondi, perché stiamo parlando di una materia in cui necessitano degli investimenti. Dall’altra parte, la criminalità, ci sono delle strutture che sono davvero attrezzatissime, all’avanguardia. La situazione, quindi, è abbastanza frastagliata, non univoca, ma quello che manca molto è la sensibilità, in particolare a livello politico, su come sta evolvendo questo tema, non solo sulle frodi informatiche, ma anche sulla sicurezza e sulle indagini digitali”. Reale ha accennato poi anche alla questione degli emolumenti -non sempre adeguati- per i professionisti, laddove invece la criminalità organizzata non bada a spese. “Mancano investimenti sulle competenze, ma anche sui professionisti. Per esempio, un consulente che lavora per una Procura. o che fa il perito per un giudice, è pagato “a vacazioni”, cioè periodi di due ore in cui si guadagna quattro euro l’ora lordi. Questo cosa significa: che i migliori consulenti tendono a lavorare per i privati, cioè presso chi è disposto a pagare la competenza che sta acquisendo, mentre quelli che lavorano per le procure molto spesso tendono a fare più lavori, proprio per riuscire a ottenere un corrispettivo dignitoso, semplicemente per vivere. Questi prezzi sono stati valutati 40 anni fa, non sono mai stati aggiornati in nessuna occasione legislativa. Spesso si dice che il professionista che mette a disposizione le sue competenze nell’ambito del processo non deve essere strapagato perché comunque lo fa per una questione di giustizia: è vero, ma quattro euro l’ora sono oggettivamente indecorosi”, ha affermato Reale.

Con Reale noi di Controsenso abbiamo poi anche discusso sulla necessità di coniugare le esigenze di giustizia con il diritto alla privacy del cittadino. “Sono stato invitato alla Seconda Commissione Giustizia del Senato non più tardi di un paio di mesi fa, poiché era in corso l’acquisizione di una serie di informazioni e hanno richiamato una serie di stakeholder per raccontare la situazione dell’Italia. Mi sono reso conto che c’è una scarsa sensibilità del legislatore sul tema, mi auguro che all’esito di questo ascolto possano cominciare realmente a mettere in fila tutte le problematiche. Oggi come oggi, anche per reati minori, è prevista la possibilità di mettere un Trojan sul telefono, ma il Trojan è come un far west, perché alcuni sono in grado di modificare il contenuto del telefono. Oggi non succede, ma potenzialmente funziona in questo modo. Pertanto è necessaria una legislazione che tenga conto da un lato dell’esigenza del cittadino sulla privacy, e dall’altro bisogna capire quali sono le effettive funzionalità che devono essere messe a disposizione, anche a seconda della gravità dei reati, e capire laddove intervenire con strumenti così invasivi della privacy (perché stiamo parlando di uno strumento che se inserito sul cellulare, si accorge di qualunque cosa, da quando sono in bagno o a letto con mia moglie, o in una qualunque occasione sociale). Il punto è: a quale titolo questa spia mi segue dappertutto, se non ho commesso reati gravissimi? E’ un equilibrio che deve essere trovato, insomma, ma ancora non ci siamo. Spero che si possa arrivare a formulare qualche ipotesi un po’ più circostanziata. Come tecnici siamo sempre stati a disposizione per dare il nostro contributo, ma anche su questo c’è poca capacità di cogliere: il mondo digitale e le regole di funzionamento d certe cose, infatti, sono diverse dal mondo reale”.

In materia di sinergia, criticità e futuro, tra polizia giudiziaria, ausiliari, CTU e CTP nelle indagini digitali, ha relazionato il Dott. Pier Luca Toselli, Luogotenente Guardia di Finanza CFDA: “C’è indubbiamente un gap tra le tecnologie a disposizione dei criminali e quelle degli inquirenti, colmabile solo attraverso l’interazione ad alto livello tra tutti gli attori che sono chiamati in gioco (polizia giudiziaria, CTU, CTP, ausiliari, avvocati, ma anche la magistratura stessa), sempre se in maniera trasversale hanno uno scambio di esperienze, di informazione e di nozioni. Questo è l’elemento che può aiutarci a contrastare i fenomeni criminali che sono sicuramente un passo avanti a noi. Da cosa bisogna cominciare? L’informazione è fondamentale, ma tutto deve essere incrementato: dai fondi, alla formazione, alla presa di consapevolezza della realtà””. E circa la consapevolezza da parte della politica su come la criminalità si sia digitalizzata nel tempo, il dottor Salvatore Filograno, super-perito, ci ha riferito: “Penso ci sia ancora molto ignoranza, poca divulgazione di questo settore e questi segnali servono per dare un’impronta diversa a chi ci segue, per capire quali sono le difficoltà che si incontrano oggi per bypassare, ad esempio, un blocco sul telefono quando i criminali ci mettono una password”.

 

 

 

 

capoani.jpgAnche i medici e gli operatori dei Dipartimenti di salute mentale degli Ospedali di Potenza e di Matera e delle strutture Asp e Asm lunedì hanno osservato due minuti di silenzio sospendendo ogni attività in ricordo di Barbara Capovani, la psichiatra aggredita ed uccisa da un ex paziente a Pisa. L’iniziativa è stata promossa dalla Società italiana di psichiatria,  di cui è presidente la lucana prof. Liliana Dell’Osso, direttore dell’Unità operativa di Psichiatria dell’Aou pisana e della Scuola di specializzazione in Psichiatria.

 “Un modo per rendere omaggio alla collega uccisa ma anche – ha detto Dell’Osso - per chiedere tutela e invertire la rotta di una continua delegittimazione del ruolo e del servizio svolto dal personale sanitario». “Ho conosciuto la dottoressa Capovani da quando era specializzanda presso la nostra clinica, e ho ben presente la passione e l’impegno che ha dedicato alla professione medica e che l’hanno accompagnata nel suo lavoro e nella sua crescita come dirigente al Servizio Psichiatrico territoriale"

 «Vittime di aggressioni quotidiane, non siamo in grado di difenderci da tali violenze». Così in una lettera la Società Italiana di Psichiatria lancia l’allarme sulla sicurezza precaria dei medici ogni giorno alle prese con episodi simili a quello accaduto alla psichiatra  Capovani.

 

 

 

 

 

 

 

pipponzi_e_lorenzo.jpgL’INTERVENTO - «Desta perplessità e sconcerto che un collegio giudicante, contravvenendo a qualsiasi principio di buonsenso, abbia operato in spregio alla dignità, al decoro e al prestigio della classe forense, evidentemente eccedendo nelle proprie prerogative, abbia negato il legittimo impedimento a un'avvocatessa, nonostante questa avesse documentato la necessità di assistere il figlio di due anni, ricoverato al Bambino Gesù per un intervento.

Gli avvocati tutti, anche per previsione deontologica, debbono avere massimo rispetto per la Magistratura, sia inquirente che requirente. La Magistratura, del pari.

Una scelta presa contro il parere del pubblico ministero, motivata col fatto che il bambino avrebbe potuto essere accompagnato in ospedale dal padre, senza nulla conoscere delle dinamiche familiari della collega e con una inopportuna ingerenza in vicende personali e spesso dolorose, per le quali necessiterebbe rispetto.

Di qui la decisione del magistrato di procedere con l'udienza ascoltando un testimone.

Non è la prima volta che capita un episodio del genere nei Fori italiani, come il caso di una collega cui venne negato il legittimo impedimento nel giorno della data presunta del parto. Ora questo nuovo caso, che lede non solo la dignità e il decoro della professione forense, ma la dignità stessa della donna, e di una lavoratrice madre, in un’epoca in cui si parla di parità di genere e di cosa fare per eliminare le disparità».

La Consigliera Regionale di Parità di Basilicata

Avv.ta Ivana Pipponzi

Il Coordinatore Regionale di Meritocrazia di Basilicata

Avv. Luca Lorenzo

 

 

 

 

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L'INTERVENTO - Chiediamoci che cos’è una famiglia. L’attuale senso comune compreso quello religioso e della maggior parte della gente comune è di norma per la famiglia tradizionale cioè padre di sesso maschile-madre di sesso femminile e figli.

Trattasi comunque di famiglia biologica. Come se la biologia di procreazione sia

l’unica possibile in natura o secondo natura: natura docet.

Nei vent’anni in cui ho svolto la funzione di giudice onorario per i minori, ne ho visto di tutti i colori, nelle così dette famiglie tradizionali: abbandoni, maltrattamenti fisici e psicologici, incurie per non dire altro. Alla luce di quanto suddetto a parer mio quello che conta è che la coppia quale che sia debba essere prima di tutto amorevole e consapevole. Quindi secondo me tutte queste funzioni si possono riscontrare sia in coppie omosessuali che in coppie eterosessuali.

Io sto parlando di coppie e non di un maschio e di una donna perché il sentimento fondamentale per avere una prole deve essere l’amore a governare la coppia.

Nella mia lunga ventennale pratica forense ne ho visti di disastri di famiglie così dette eterosessuali (maschi che abbandonano la famiglia dopo la procreazione, oppure donne che non si assumono le loro competenze genitoriali).Quindi non sempre la presenza di una figura maschile e una figura femminile funziona bene nella coppia e non è garanzia di stabilità. Chiediamoci che cos’è la funzione genitoriale. Io credo che la genitorialità in senso lato debba considerarsi funzione adottiva e non biologica, sicché il prodotto di concepimento deve derivare da una questione d’incontro d’amore non da situazioni casuali, pertanto razionali e propositive.

Chiediamoci ora cos’è un legame familiare? E’ solo presenza biologica di sangue? Di stirpe? Di colore di pelle? O piuttosto deve essere un legame di amore, di cura e di attenzioni? Oggi c’è una crisi diffusa di assunzione educativa, che spesso si demanda alla scuola. Si pensi ai figli che mandano a quel paese i genitori continuamente trattandoli alla pari.

Orbene in questo caso i genitori che si sono limitati solo alla procreazione biologica, successivamente hanno dimenticato la loro funzione educativa e di esempio alla vita.

Nella famiglia di oggi si verificano spesso fenomeni di violenza, abbandoni, incurie, litigi e perfino abusi sessuali, quindi ancora una volta la coppia eterosessuale non è sinonimo di stabilità affettiva e di crescita tranquilla per la prole. Si continua a dire che la coppia eterosessuale rispetta la natura: ma l’abuso di qualsiasi tipo è natura?

Ogni anno da quarantadue anni a questa parte costruisco a dicembre il presepe classico. In questo Giuseppe è raffigurato con una lanterna in mano a guardare Gesù Bambino. Lui sa che non è figlio a lui, non è biologicamente suo ma si assume la capacità di essere adottante di un figlio geneticamente non suo, quindi non c’è legame biologico fra Giuseppe e Gesù, ma un legame adottivo e in questo consiste la sua bontà e santità e anche il suo essere genitore amoroso con la presa in carico totale del figlio.

In natura esistono famiglie con un solo genitore a causa di morte o a causa di separazione o divorzi.

Il genitore superstite quindi si assume sia la funzione maschile sia quella femminile, per cui deve alternare sia il codice materno sia il codice paterno e viceversa, e tutto questo senza distinzioni di sesso.

Ritengo comunque che ogni figlio debba essere un frutto d’amore di una coppia, perché così l’amore di due crea e deve creare un posto ad un figlio che come dico spesso è del mondo. Quindi i genitori non devono essere semplicemente procreatori, ma devono essere consapevoli che alle fondamenta biologiche deve seguire atto d’adozione consapevole.

Tutti i genitori che si pregiano di tale nome e che si comportano bene devono essere adottivi valutando che non conta esclusivamente la via biologica. In conclusione mi

sento di essere favorevole alle coppie omosessuali purchè siano animate dal criterio di adottività, non altrettanto sono favorevole alle adozioni di un singolo perché si rischia di avere un rapporto molto possessivo, non capendo egoisticamente che i figli non sono di proprietà, ma sono del mondo e nel mondo con cura li si deve preparare a vivere a crescerli e lasciarli andare.

I figli come disse qualcuno una volta sono solo un prestito, il più grande e meraviglioso prestito al mondo e sono dei genitori solo quando non possono prendersi cura di se stessi. Dopo appartengono alla vita. Nella nostra società attuale tutti i genitori che assumono i criteri di adottività sia eterosessuali che omosessuali a parer mio sono i modelli più puri, sono eroi e dovremmo imparare tutti da loro.

 

Giambattista D'Andrea

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