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Cari Contro-Lettori,
dall’Ansa apprendiamo che nel sito di
Venosa Notarchirico, sono stati scoperti i
resti del più antico Leone delle caverne in
Europa: risale a circa 650mila anni fa. La
scoperta pubblicata su Journal of Quaternary
Science è stata fatta dal gruppo di ricerca
internazionale guidato da Alessio Iannucci,
dell’Università di Tubinga in Germania,
con la partecipazione di Raffaele Sardella
e Beniamino Mecozzi dell’Università
Sapienza di Roma.
Salta subito all’occhio la curiosa connessione
col simbolo della città capoluogo di regione,
il leone -per l’appunto- il cui simulacro, da
qualche anno, fa bella mostra di sé nella
rotonda di piazza XVII Agosto. E per quanto
quella statua sia in perenne posa da ruggito,
il suo “spirito” da diverso tempo si limita a
sbadigliare, stanco e annoiato
della vacuità di una politica
locale svogliata, arrogante,
permalosa e inconcludente. E
l’ultima campagna elettorale,
uno spettacolo di Vaudeville
di pessima qualità, non ha
fatto molto ben sperare per le
intenzioni future. Per ridare
lustro al pelo del nostro leone
non basterà qualche accordo
scambistico (nel senso delle
poltrone) e i facili propositi da
Libro Cuore sbandierati con
larghezza ai quattro venti che
soffi ano sui social. Ci vorrà
molto di più. Strade, trasporti,
servizi sociali, verde urbano,
sicurezza pubblica, sono tutti malati gravi a
cui fi nora è stato somministrato un blando
analgesico, anzi, il proverbiale brodo di pollo
buono per tutte le stagioni. Eh, sì, infatti, da
“leoni” a “polli”, in questa città, il passo è
troppo breve. Abbiamo assistito e assistiamo
tuttora a delle assurdità, si va dalla costosa
“sottile linea rossa”, per citare un famoso
fi lm di guerra, tracciata a Gallitello per le
biciclette, e che ora langue, già ricoperta
di polvere e terra, nella palese inutilità più
totale, alle scale mobili di XVII agosto che
ad ottobre -in assenza dei necessari lavorigiungeranno
a “fi ne vita” senza che nessuno,
come denunciano i sindacati, si sia grattato
la fronte. Ma tanto “chissene”, sembra
la fi losofi a dominante, i Potentini sono
come i cornuti, sempre gli ultimi a sapere.
Attendiamo, con ansia, di conoscere il nuovo
“volto” che assumerà il governo cittadino, i
nuovi personaggi e le nuove deleghe di cui
saranno investiti. Accà nisciun è fess,
Walter De Stradis

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foto Esposito

 

 

Cari Contro-Lettori,
le ultimissime fasi della campagna elettorale
per l’elezione del nuovo sindaco di Potenza,
comprese quelle relative al ballottaggio, sono
state una plastica rappresentazione dei tempi
che cambiano.
Avvenute quasi esclusivamente via web,
si sono divise tra video in stile La Ricotta,
l’uso libero e reiterato di intercalari critici
potentini, e rappresentazioni arcadiche e
bucoliche, allestite e sceneggiate alle porte
del Capoluogo.
Insomma, tra sketch e kitch, si è visto davvero
di tutto.
Senza contare le accuse reciproche dibattute
e argomentate in pieno stile “social”, come si
conviene al giorno d’oggi.
Ai Potentini, ora, l’ardua sentenza, anche se a
pesare sule sorti della -più che mai “singolar”-
tenzone potrebbero essere, ancora una volta,
gli incalliti astensionisti da ombrellone (ai
quali andrebbe spiegato una
volta per tutte che non ha senso
votare al primo turno se poi, in
presenza del puntuale, previsto
e prevedibile ballottaggio, si
opta per sdraio e cruciverba) e
quelli che se ne stanno lì a fare
calcoli quantistici sulle possibili
conseguenze, a loro favorevoli o
meno, di alcuni apparentamenti
apocrifi , interrogandosi se
a benefi ciarne, alla fi n fi ne,
saranno solo gli apparentati
stessi, o meno.
Ne consegue, insomma, che gli
orientamenti di voto (e di non
voto) -stante la natura stessa
del ballottaggio, così come
regolamentato- potrebbero
dipendere da sensazioni, pulsioni e
rivendicazioni che poco o nulla hanno a che
fare con la propria personale “visione” della
cosa pubblica che ciascun potentino dovrebbe
avere. Qualunque questa sia.
Questa città, a prescindere da chi la
governerà, ha invece un bisogno smodato dei
suoi cittadini, non solo dei votanti, ma anche
delle associazioni, dei comitati e persino
dei crocicchi vari che germogliano per via
Pretoria (e il tutto va fatto con criterio e
fermezza: spiace ricordare quel portavoce
rionale che, di fronte alle rimostranze del
politico a proposito delle sue affermazioni
riportate sul nostro giornale, si rimangiò tutto,
dando la colpa all’articolista e al titolista).
Non c’è bisogno di chiedere al Cern di
Ginevra, per rendersi conto che i cittadini
devono fare massa critica.
Diventare invece, ogni volta, critici di massa,
a buoi puntualmente scappati dalla stalla, non
serve a nessuno.
Walter De Stradis

 

 

https://www.dropbox.com/scl/fi/dfs4ti77lanmou29z217b/controsenso-basilicata-21-06-24.pdf?rlkey=mx77lr8kyn45th44u1e0qnsaw&st=72nbxd6e&dl=0

 

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di Walter De Stradis

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ominato arcivescovo di Potenza-Muro Lucano-Marisco Nuovo il 2 febbraio scorso, monsignor Davide Carbonaro, cinquantasette anni, ha fatto il suo ingresso nel Capoluogo, da capo della chiesa locale, il 18 maggio scorso. Si è ritrovato a Potenza, praticamente, nel bel mezzo dei festeggiamenti del Santo Patrono e dell’accesa campagna elettorale per le comunali.

Quel che si dice, un battesimo del fuoco.

d- Come giustifica la sua esistenza?

r - In modo semplicissimo, ma profondissimo: mi sento amato. Lo sono stato e lo sono ancora. Sono stato molto amato dai miei genitori -nel contesto di una famiglia meridionale, molto semplice, proveniente dalla Sicilia- e ho capito, crescendo, che quello era il riflesso di un amore molto più grande. Quello di Dio.

d- Di cosa si occupava la sua famiglia?

r - Siamo della Val di Noto, mamma originaria di Rosolini, papà di Ispica. Mamma faceva la casalinga e papà l’artigiano, il falegname. Ho vissuto in Sicilia fino a 11 anni, ma poi c’è stato il “richiamo” da parte dei fratelli di papà, che si erano già trasferiti a Roma negli anni Cinquanta. E così, ho vissuto, nel 1978, l’esperienza dello “sradicamento”, il passaggio da una piccola realtà, alla periferia di una città grandissima come Roma. Tuttavia, mi venne in aiuto la chiesa, perché subito i compagni di classe mi portarono in oratorio e vissi un’esperienza molto bella. Tenga conto che la periferia di Roma, in quegli anni lì, implicava tutto un mondo.

d- Nel senso che l’amore e la fede l’hanno “salvata”.

r - Mi potevo perdere come qualsiasi altro ragazzo, come purtroppo è accaduto ad alcuni miei amici. Mi preme dire che diversi miei amici, sia d’infanzia sia della periferia di Roma (Torre Maura, sul Casilino), sono stati presenti alla mia ordinazione episcopale, rimettendo insieme i pezzi di una storia straordinaria.

d- Quando ha capito che nella sua vita sarebbe stato un sacerdote?

r - Beh, già da piccolissimo: da persona del Sud, vivevo nel cuore della devozione popolare. Sa, mia nonna, con cui vivevo, mi portava a messa, e già desideravo entrare in seminario. Poi a Roma, dopo l’iniziale disorientamento, la frequentazione della parrocchia di San Giovanni Leonardo a Torre Maura, il catechismo, la cresima, riaccesero nel mio cuore il desiderio di diventare sacerdote. Anche se mio padre, per la verità, non era molto d’accordo.

d- Era comunista, papà?

r - No, non era comunista, ma era un gran mangiapreti e gli è capitata ‘sta disgrazia, nella sua vita (risate). Papà era il classico siciliano degli anni Quaranta, cresciuto in un ambiente un po’ anticlericale. Amava l’arte e i libri antichi. Ma io stesso, l’apertura della conoscenza, la ricchezza dalla cultura (anche quella spirituale) l’ho appresa sulle ginocchia di mio padre. Ricordo le grandi discussioni; io studiavo alla Gregoriana e lui, autodidatta degli studi sacri, mi diceva: “Portami qui un gesuita, gli spiego io la vera teologia!” (sorride).

d- Lei ci ha narrato di un ambiente tipico delle parrocchie di quartiere di alcuni decenni fa, che l’ha formata; di recente ho intervistato il parroco storico di Tito (Pz), il neo centenario don Nicola, che ha espresso alcune riserve sulla chiesa “moderna”, così come l’ha vista cambiare in ottant’anni di sacerdozio.

r - Dal mio punto di vista, la chiesa è cambiata in meglio, dialogando con la Modernità; io, così come i mie confratelli, sono il frutto di quegli anni Ottanta che hanno visto i cambiamenti del Concilio Vaticano Secondo, i grandi cambiamenti della Chiesa. Si è trattato di mettere al passo la parola del Vangelo col nostro tempo. Ho avuto, in questo senso, grandi insegnanti, che oggi sono grandi figure: Cardinal Ladaria, Monsignor Fisichella...

d- Come interpretare, allora, l’emorragia di fedeli che c’è stata negli ultimi decenni?

r - Dipende. E’ un effetto della secolarizzazione. Questa emorragia è soprattutto visibile nel Nord Italia. Nel Nord Europa c’è stato un distacco tra la fede e la vita. La modernità e la post-modernità hanno portato a questa sorta di “autonomia”, che mette la fede da parte. Nel Sud Italia, invece, ritroviamo ancora un forte senso religioso, legato alla fede popolare. Voi Lucani lo sapete bene: di fronte alla Madonna di Viggiano...beh, non ci sono argomentazioni che tengano! (sorride). La secolarizzazione c’è anche da noi, ma c’è ancora una parte buona, che può essere coltivata.

d- Lei è arrivato in città nel bel mazzo dei festeggiamenti del Santo Patrono, ricevendo un abbraccio particolarmente caloroso. Tuttavia, quando le hanno detto che doveva andare a Potenza, cos’ha pensato?

r - Quando me l’hanno detto, geograficamente non sapevo neanche dove fosse! (ride)

d- Un classico.

r - Infatti, penso che l’abbiate già sentito. Comunque, già dopo i primi approcci, ho compreso che è un luogo che ha una sua bellezza, anche naturale. Poi mi ha colpito la semplicità delle persone. Una delle prime volte che sono venuto qui, ho fatto una passeggiata, e la gente mi ha subito fermato, riconoscendomi, chiedendomi di fare dei selfie e così via. E poi, in occasione della mia ordinazione episcopale a Roma, sono venuti molti fedeli della diocesi, è questa è stata una cosa bellissima. E poi, ancora, c’è stato il grande abbraccio, al mio ingresso in città, e la Festa di San Gerardo è stata la conferma.

d- Al di là del “protocollo ufficiale”, cosa le ha detto il suo predecessore, Ligorio?

r - Lui e gli altri vescovi mi hanno consegnato una narrazione, come avviene in ogni altra realtà, delle ricchezze e delle povertà di questa chiesa. Con loro, qualche settimana prima della mia ordinazione episcopale, ho potuto fare la cosiddetta visita “ad limina” (la visita al Santo Padre e agli uffici di curia); per cui, il racconto di Ligorio e degli altri vescovi, presente nelle loro relazioni al Santo Padre e ai Dicasteri, mi ha consentito di ascoltare la ricchezza di una chiesa che è viva, ma che ha anche le sue ferite e le sue povertà.

d- Potenza è il capoluogo di regione in una terra in cui la povertà sembra crescere: in che modo la povertà può influire sul percorso pastorale di un Arcivescovo?

r - Mmm, io parlerei di povertà e di ricchezza insieme. La Basilicata ha davvero molto, sia dal punto di vista territoriale sia da quello artistico, si tratta di mettere insieme l’intelligenza, le prospettive, la lungimiranza, lo sguardo sulle proprie realtà, e mettersi a lavorare insieme. Un arcivescovo viene in un territorio, si guarda intorno, e inizia a dialogare, anche con gli uomini politici, e dovrà dire una parola su questa ricchezza e su questa povertà presenti sul territorio.

d- I suoi predecessori, a dire il vero, non hanno mai lesinato critiche a quella politica incapace di trasformare le ricchezze territoriali in sviluppo reale. Che tipo di rapporto intende instaurare con la politica locale?

r - Innanzitutto di dialogo, parola che preferisco a “critica”. E poi, il pastore è sempre un padre di tutti, e un padre, ogni tanto, va dai propri figli a chiedere conto dello stato delle cose. E io penso di pormi anche da questo punto di vista.

d- Lei ha citato la Madonna di Viggiano, sa bene che i politici, ogni volta, sono sempre tutti lì, in passerella, seduti in prima fila. Una tiratina d’orecchi, magari ogni tanto...

r - (Sorride). Se sarà necessario, anche questo, ma sempre nel dialogo fraterno, e sempre nella dimensione adulta, di persone al servizio della gente. Lo spirito illumina la carne e la carne dà valore e forza allo spirito.

d- Fra una quindicina di giorni Potenza sceglierà il suo prossimo sindaco. Cosa gli dirà?

r - “Coraggio, andiamo avanti!”. Dobbiamo voler bene a questa nostra città e alle persone che la abitano.

d- C’è qualcosa che la spaventa, in questo inizio di percorso pastorale in una città come Potenza?

r - Sì, mi spaventa il non conoscere molte realtà.

d- Girerà molto?

r - Già lo sto facendo, sia all’interno della città, sie nell’hinterland. Sto girando, in occasione delle cresime, per diverse cittadine, e sto già sperimentando le differenze tra il centro e la periferia. Il mio compito sarà quello di far dialogare queste realtà.

d- Ho avuto modo di assistere a una sua celebrazione di cresima, sabato scorso a Potenza, e lei a un certo punto ha parlato del diavolo. Esiste davvero o è solo un concetto “filosofico”?

r - Sì, sì. San Paolo VI parlava di “dimensione personale” del diavolo, e il male ha una sua influenza. Ne sentiamo ancora le conseguenze, ma c’è una vittoria definitiva attraverso la Pasqua di Cristo Signore. Le conseguenze più gravi del male sull’uomo sono la morte, ma questa a sua volta è superata con la Resurrezione di Cristo e noi siamo risorti insieme a lui.

d- Il libro che la rappresenta?

r - Mamma mia! (ride). “Il Nome della Rosa”, di Umberto Eco. Adoro il mondo medievale e qui ci sono luoghi assolutamente straordinari, come la cattedrale di Acerenza.

d- La canzone?

r - I Pooh, quella che fa “Ci sono uomini soli...per la sete di avventura”, e forse è un’avventura quella che il Signore mi sta chiedendo di vivere. Una cosa straordinaria.

d- Il film?

r - Bah, potrei dire... “Top Gun”.

d- Lei è uno degli Anni Ottanta, l’ha detto prima.

r - Giustamente.

d- Tra cent’anni scoprono una targa a suo nome qui in Arcidiocesi: cosa le piacerebbe ci fosse scritto?

Non saprei...”Qui giace quel vescovo che mai tace” (sorride). Che non tace soprattutto per la Verità e per il Vangelo.

 

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Cari Contro-Lettori,

il politico, o aspirante tale, è particolarmente fedele per sua natura al detto “piatto ricco, mi ci ficco”, laddove il “piatto” -in questo caso- va inteso come occasione, ghiotta, di visibilità. Ricorrendo, per ulteriore chiarezza, a una metafora che ha che fare con la Fisica, il candidato (o anche, l’”eletto”) sovente si comporta come i liquidi o i gas (e qui le battute grevi si potrebbero sprecare), ovvero tende a occupare tutti gli spazi che trova.

E così a Potenza è accaduto (ma era anche prevedibile), che in occasione dei festeggiamenti del Santo Patrono, e col gran numero di occasioni da questi offerte, si occupasse o ci si ficcasse ogniqualvolta si è potuto. Pertanto, al di là degli ormai “canonici” politici/figuranti presenti da anni nella Parata (...e figurati se qualcuno di loro, in sintonia col proprio costume da signorotto, si comportava da “signore” e rinunciava alla passerella!), abbiamo visto certe teste coronate fare capolino in ogni dove. Questo vale per alcuni “big” un po’ più sfacciati, per gli altri (o, perlomeno, per un buon numero di questi), varrà forse la risposta data dal padre nobile di una delle molte liste cittadine, a quello sprovveduto che gli chiedeva di poter fare un po’ di pubblicità sui propri mezzi (abbiamo sentito con le nostre orecchie): “I nostri candidati sono quasi tutti DISOCCUPATI, non hanno soldi per la pubblicità!”. E amen.

E’ chiaro, come abbiamo scritto fino alla noia, che il discorso “posto in consiglio comunale = lavoro (o addirittura prima occupazione)” non vale certo per tutti, ma la risposta del navigato politico è quantomeno significativa.

E allora, specie per tutti quelli che i Santi in Paradiso non ce li hanno, perlomeno non sembri blasfema, ma anzi, benaugurate, l’immagine che abbiamo scelto per questa prima pagina, ovvero quella del Santo Patrono di Potenza che sembra “uscire” dal Palazzo di Città, per incontrare i numerosi cittadini, bisognosi di una svolta concreta, in un Capoluogo di regione che pare sempre più, sotto diversi punti di vista, alla canna del gas (quello di cui sopra).

La foto, tratta da un video di Rocco Esposito, sembra avere un alto valore simbolico, basta osservare: San Gerardo benedice i suoi fedeli, ma alle sue spalle c’è un orologio (sempre quello del palazzo comunale) che scandisce il tempo, forse un conto alla rovescia, affinché la politica locale, una volta per tutte, smetta di fare solamente capolino e metta invece la “capa” al lavoro, e sul serio, questa volta.

Walter De Stradis

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Cari Contro-Lettori,

per gli ambiti seggi in consiglio comunale, qui a Potenza, la tenzone (singolare, ma non certo per numeri), vedrà impegnati qualcosa come quattrocentonovanta candidati, che si contenderanno quella trentina di posti in Assemblea. Praticamente un concorso pubblico. Non a caso abbiamo usato il termine “posti”. A corroborare questa valutazione, che certo non vale per tutti, ma per molti sì, è apparso in settimana un articolo de Il Quotidiano, secondo il quale, dichiarazioni dei redditi alla mano, una fetta bella doppia dei candidati (in tutto cinque) a sindaco, come guadagni vanterebbe soltanto quelli derivanti dagli incarichi istituzionali finora ricoperti. Ecchallà, come dicono a Roma. E se il guiderdone politico, per uno che mira alla poltrona di Primo Cittadino, equivale a (unico) stipendio, figuriamoci per un (semplice) candidato. E a leggere in nomi in lizza c’è di tutto di più, ma veramente. E sono tanti, troppi, al punto che in villa Santa Maria raccontavano di quel tizio che si è candidato (probabilmente unico esemplare) onde poter più agilmente scansare le pressanti e incessanti richieste di voto che arrivano prevedibilmente da ogni dove. Anche perché, è ben noto, le elezioni comunali sono come le presentazioni dei libri, occasioni, cioè, nelle quali l’interessato scopre quanto è (già) “impegnata” la gente. Ti candidi? Sono già impegnato. Ah presenti il tuo libro? Sono già impegnato.

Eppure, come dicevamo in apertura, il problema grosso è proprio la disoccupazione.

E’ chiaro che l’uso della satira, come in questo caso, prevede inevitabilmente delle iperboli (la premessa, sottesa, è che non si deve mai generalizzare), ma pur in questa cornice, quando diciamo, titoliamo e scriviamo che dei programmi “non c’è manco l’ombra”, ci riferiamo alla latitanza (finora) di contenuti tali da appassionare i cittadini alla tenzone di cui sopra. Non siamo così fessi da mettere in dubbio che ogni singolo candidato abbia stilato un suo elenco, corto o lungo, di cose da fare e che lo abbia anche consegnato, depositato da qualche parte a disposizione di chi lo vorrà leggere, ma –almeno a noi- pare assai difficile, fino a questo momento, abbinare un volto a un’idea davvero caratterizzante. Ovviamente, moriamo dalla voglia di essere contraddetti. C’è tempo, e speriamo, per il bene della Città, che ciò accada presto e che soprattutto si concretizzi dopo in fatti. Gli alchimisti spesero le loro vite nel tentativo di trasformare i metalli vili in oro, c’è da sperare che gli eletti ci impieghi molto meno a trasformare, in questo piccolissimo angolo di mondo, le promesse in realtà.

Walter De Stradis      

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FOTO ESPOSITO

 

 

 

Cari-Contro-Lettori,

la "galassia" della politica lucana è particolarmente ricca di postazioni "spaziali", ovvero comode poltroncine allocate in una qualche plancia di comando, seppur magari “sperduta” su qualche remoto, ma non per questo meno remunerativo, planetoide vagante della sempre ben irrorata pubblica amministrazione nostrana. E quindi è assai lecito supporre che il beau geste di Guarente, che in virtù della sua auto-riferita "generosità", ha mollato la presa e le pretese sulla poltroncina di Sindaco, venga presto o tardi ricompensato (specie se il centrodestra dovesse vincere nel Capoluogo) e pertanto, pur con tutto il suo pedigree da conclamato (dal Sole 24 Ore) "sindaco peggiore d'Italia", ce lo vedremo ri-cicciare, da qualche altra parte e con qualche altro incarico. C’est la vie, dicono i Francesi, ma c'è anche da dire che il togliersi d'impaccio da parte di un Primo Cittadino che non ha entusiasmato (per essere "generosi" anche noi, và), non aprirà la via a chissà quale aulico parterre di pretendenti, sarvognuno, come dicono a Roma. Mentre scriviamo, a poche ore dal termine ultimo per il deposito delle liste, pare che nessuno abbia ancora depositato alcunché, ma il condizionale è d'obbligo, considerato l'orario. Ciò lascia comunque presagire una sfida, tutta interna alle coalizioni, liste e partiti, all'ultimo sangue; tuttavia, come si accennava, stando alle tante indiscrezioni e alle poche (al momento) ufficializzazioni, pare che a Potenza regnerà -sempre e comunque- il “vecchio che avanza”. Le ragioni sono varie: estrazione sociale (media o alta borghesia potentina, quella un po’ snob), appartenenze o legami di varia natura con vecchie “glorie” di partito/potere, e “ri-cicciamenti” (ci risiamo) vari (dopo i tentativi infruttuosi alle regionali). Ne consegue che se fossimo al mercato rionale, diremmo che il pesce non è proprio freschissimo. E viene in mente quella scena de "Al Bar dello Sport", con Lino Banfi appostato sotto il balcone del furbo pescivendolo, che “rianima” con scariche elettriche le soprastanti, smorte e pallide aragoste e vongole veraci. “Sono freschissime! Respirano!” urla ridendo il mefistofelico venditore agli ignari acquirenti, ai quali naturalmente poi toccheranno i lancinanti mal di pancia.

Walter De Stradis

 

 

 

 

 

 

 

popolo_bue2.jpgCari Contro-Lettori,

Siamo stati facili profeti (e non solo noi, ovviamente). Il popolo lucano, perlomeno una sua abbondante metà, ha dimostrato ancora una volta di impiparsene delle elezioni e della politica.

I freddi numeri: è stata del 49,80% degli aventi diritto al voto l’affluenza definitiva alle urne per le elezioni regionali in Basilicata. Nel 2019, quando si votò solo la domenica, era stata del 53,52.
In provincia di Potenza l’affluenza è stata del 47,92%(52,40 nel 2019), in provincia di Matera del 54,08 (56,03 nel 2019).
Per quanto riguarda i due capoluoghi, a Potenza affluenza al 63,28% (rispetto al 68,79 del 2019), a Matera al 55,60 (rispetto al 59,89 del 2019). 

Va da sè che questo non è un attacco contro chi ha vinto, ovviamente, ma è altrettanto chiaro che chi non vota è perdente, sempre e comunque.

E infatti, al di là di chi ha prevalso in questo caso (il centrodestra, chiamiamolo così), e di chi ha perso (il centrosinistra, chiamiamolo così), il popolo nostrano si è ancora una volta confermato un popolo bue, e come tale, anche cornuto. Ma il tradimento se l’è fatto da solo. Certo, è pur vero che i lucani, come appunto i mariti (cornuti) sono -DA SEMPRE- gli ultimi a sapere (le magagne, gli intrallazzi e le furberie del Potere); è vero che l’elettorato, dal politico fedifrago, è trattato come quell’amante a cui si promette sempre di lasciare la moglie, o come la moglie a cui si promette sempre di lasciare l’amante; è vero che –dalla caduta della Prima Repubblica in poi- il diametro del “cerchio magico” di beneficianti e di beneficiati delle grazie degli Eletti si è stretto sempre più ristretto, a danno dei più (e scusate il gioco di parole) e in favore dei (sempre più) pochi; è vero che nel nostro Paese l’elenco delle promesse non mantenute è più lungo (ma anche più vario) della fedina penale di Al Capone; ma ci deve essere anche un limite all’autolesionismo. Provate, perlomeno voi che avete votato, ad “appizzare” le orecchie in giro, e sentirete scambi di dialogo del tipo: “Hai visto? Hanno vinto un’altra volta quelli/Hanno perso un’altra volta quegli altri. Che roba”, dice uno. E l’altro: “Ma tu scusa per chi hai votato?”. La risposta: “No, per carità. Io non voto più da anni”. E il cerchio si chiude.

Ora, tra poche settimane si ri-voterà, per le europee e per le comunali, e a Potenza il teatro dei burattini è già cominciato. I partiti nazionali hanno deciso che –per quanto riguarda il centrodestra- ci sarà un ari-Guarente. Lui esulta, ma i suoi “compagni” (ma sì, và) dell’opposizione non ci stanno e fanno saltare il banco in consiglio comunale. Roba da “oggi le comiche”. Attenzione, però, i “burattini” saremo sempre e soltanto noi cittadini, se non ci facciamo mai sentire.

Walter De Stradis

 

 

 

 

 

Cari Contro-Lettori,

siamo al dunque, e il voto è “l’ultima verità”, parafrasando il protagonista del film “Man on Fire” (Denzel Washington) che attribuiva quella prerogativa alla pallottola. Nessuno ha dubbi, infatti, sul potere di vita e di morte (politica) della volontà popolare, anche se il popolo, ultimamente, è parso molto poco propenso a esercitare questo suo diritto: disilluso, disamorato e disincantato da una politica parsa troppo autoreferenziale, egocentrica, autarchica. Insomma, “fate un po’ quel che vi pare” è il dato che è emerso con forza dai numeri del preoccupante astensionismo che si è registrato nelle ultime tornate, di vario genere, che si sono succedute. La speranza, ovviamente, è che ci sia un’inversione di tendenza, ma viene da dire che –anche questa volta- sembra si sia fatto tutto il possibile per ottenere l’opposto. A parte la “transumanza” tra le varie…come chiamarle… “correnti”? Che c’è stata, e che a un certo punto ha più che mai reso complicato fare mente locale su chi si fosse candidato e soprattutto con chi e con che cosa; nei comizi, nelle interviste, nelle tavole rotonde, nei post sui social e persino sui “santini”, si sono sempre lette, sentite, viste e ascoltate le stesse cose, come se tutti i competitor avessero ricevuto, per posta, il “manuale del bravo candidato lucano” in edizione unica: e quindi vai col valore di essere Lucani, con l’importanza di essere perbene e disinteressati, con la necessità di coinvolgere i giovani, con l’urgenza di salvaguardare acqua aria e terra. Ma questo è normale, quando la competizione elettorale diventa una mano di Shangai. E poi, vogliamo parlare di quello spettacolo penoso dei candidati nostrani, di tutte le taglie, che fanno “testina” al telegiornale, dietro le spalle dei “big” nazionali, piovuti a frotte qui in regione? Roba che nemmanco i più scafati “disturbatori” tv. Al punto che, se uno, per caso, decide di mettersi in disparte in occasione del solito, grosso convegno organizzato per la venuta di qualche ministro, viene anche tacciato di non contare più una fava. Insomma, il quadro generale è questo, ma ciò non toglie che proposte e persone serie in giro ci siano, e quindi sotto! Facciamoci sentire. Non sarà un “voto di castità”, magari (sarebbe chiedere troppo agli eletti), ma il voto è sempre e comunque “l’ultima verità”.  

Walter De Stradis      

 

 

 

 

WhatsApp_Image_2024-03-28_at_4.41.14_PM.jpgCari Contro-Lettori,

c’è un libro, bellissimo, uno dei tanti, di Ryszard Kapuscinski, s’intitola “Ancora un giorno” ed è ambientato nell’Angola post-indipendenza del 1975. A un certo punto, lui, inviato di guerra, racconta della “roulette russa” rappresentata dai posti di blocco, posti qui e lì, con camionette militari e soldati col fucile spianato: l’incertezza, che poteva rivelarsi fatale, era dovuta al fatto che i soldati delle due fazioni in guerra (civile) sembravano interscambiabili. E c’è da credergli: divise logore, facce sporche e incattivite, mitra a tracolla, erano tutti uguali. Ebbene, racconta Kapuscinski, sbagliare saluto (e cioè dire “compagno” al posto di “camerata”, o viceversa) poteva significare la morte, lì, sul posto, subito.

Nel 2024, Via Pretoria, a Potenza, grazie al cielo, non è ancora diventata un posto di blocco con soldati pronti ad ammazzarti senza neanche chiederti i documenti, ma certo è che, di questi giorni, sbagliare saluto all’indirizzo di qualche candidato, potrebbe comunque rivelarsi “fatale”. E se chiamare qualcuno “compagno” al posto di “camerata” (o viceversa) oggi appare improbabile per il disuso in cui sono caduti i termini, nondimeno, è comunque facilissimo sbagliarsi, perlomeno se non si è stati parecchio attenti al traffico che c’è stato tra la coalizione di centrodestra e quella di centrosinistra (o viceversa). Pezzi storici dell’una sono allegramente saltellati dall’altra parte (o viceversa), come la celebre scena dello scambio dei neonati nelle culle di “C’era una volta in America”. Ricordate? Alla fine i gangster autori del misfatto (collegato a un’azione di ricatto) s’erano persi il foglietto con i nomi dei bimbi scambiati e amen: “Noi siamo come il destino. Chi va a star bene, e chi va a prendersela…” (in quel posto - ndr), commentavano laconici i malfattori del film di Sergio Leone.

Occhio, pertanto, quando siete in via Pretoria a come salutate o a come fate i commenti con questo o quel candidato. Nessuno vi sparerà, certo (o meglio, si spera), ma l’eventuale gaffe potrebbe rivelarsi poco igienica. I politici eletti, si sa, amano giocare a comportarsi come il …destino.

E buona campagna elettorale a tutti.

Walter De Stradis

 

 

 

 

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Cari Contro-Lettori,

era il 17 marzo del 2010 quando furono ritrovati i resti della giovane potentina Elisa Claps, nell'ormai tristemente noto sottotetto della chiesa Santissima Trinità di Potenza. E proprio lo scorso 17 marzo si è tornato nuovamente a parlare del caso Claps a Spinoso (Pz), presso la sede di Palazzo Ranone, in compagnia di Fabio Amendolara e Fabrizio Di Vito, autori del libro-inchiesta “Indagine nell'abisso della Chiesa della Trinità”, in un accorsato incontro che ha visto la partecipazione del sindaco, Pasquale De Luise e che è stato moderato dalla giornalista Rosa Santarsiero.

La nostra testata è tornata ancora una volta ad occuparsi dell'intenso lavoro dei due cronisti, questa volta attraverso una intervista a Fabrizio Di Vito, ascoltato poco prima dell'avvio dell'incontro di domenica scorsa.

D - Vogliamo spendere qualche parola sul ruolo che le comunità possono avere in indagini come questa, particolarmente complesse, e che nel caso di Elisa Claps ne sono state coinvolte per tantissimi anni

R - Direi che quello delle comunità è certamente un ruolo fondamentale. Noi discutiamo molto del ruolo che ha avuto la città di Potenza in questi anni, che definirei certamente ambiguo o ambivalente, poiché non sempre c'è stata la giusta considerazione nei confronti di Elisa e della sua famiglia. Girando per il territorio stiamo riscoprendo l'importanza del ruolo delle comunità per esercitare anche un controllo civico utile ad impedire il verificarsi di altre tragedie simili ed è ancora più opportuno ricordarla oggi, a distanza di quattordici anni dal ritrovamento dei suoi resti.

D - In occasione del trentennale, della fiction Rai e del podcast di Pablo Trincia c'è stato un grande risveglio di coscienza con manifestazioni in strada. Ci fu anche all'epoca, man non certo con questa intensità...

R - Se ci fosse stata tutta questa partecipazione le cose sarebbero andate certo diversamente. Sarebbero bastate le testimonianze venute fuori soltanto nel 2007 (relative all'abitudine di Danilo Restivo di tagliare le ciocche alle ragazze sugli autobus, o le sue telefonate minatorie alle vicine di casa, o ancora l'episodio del ferimento di un minorenne con un coltellino), per fare assumere a questa triste storia un epilogo diverso, al netto di tutti gli errori giudiziari che hanno portato le indagini al di fuori del perimetro della chiesa.

Il sindaco di Spinoso, De Luise ha manifestato più volte, durante la presentazione, l’intenzione di intitolare alla giovane potentina un parco giochi per bambini, affermando però di incontrare non meglio definite “resistenze”. “Se scegliessi Mameli”-ha dichiarato al termine della serata- “Andrebbe di sicuro tutto liscio”.

Walter De Stradis

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