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Nel corso dell’evento, che si è tenuto oggi a Potenza, la Compagnia ha incontrato le imprese con l’obiettivo di rafforzare il rapporto con i fornitori.

Circa 200 persone rappresentanti100 imprese, l’assessore regionale alle Attività Produttive, Alessandro Galella, i presidenti di Confindustria Basilicata, Francesco Somma e di Confapi Matera, Massimo De Salvo e il vicepresidente di Confapi Potenza,Pasquale Criscuolo hanno partecipato oggi al Supplier Day presso il Centro congressi del Park Hotel di Potenza, organizzato da TotalEnergies EP Italia insieme ai contitolari della Concessione Gorgoglione Shell E&P Italia e Mitsui E&P Italia B.

L’obiettivo del Supplier Day si inserisce nel quadro delle iniziative volte asupportarelacollaborazionetra la Società e le impresein Basilicata.

“La grande partecipazione di oggi al Supplier Day, che abbiamo registrato con piacere - ha dichiarato Dante Mazzoni, direttore Affari Istituzionali, Relazioni Esterne e CSR di TotalEnergies EP Italia- ci conferma di essere sul giusto percorso di dialogo con le imprese. Attraverso occasioni come questa, che prevedono un costruttivo confronto con i rappresentanti del tessuto produttivo e le autorità regionali,lavorando a stretto contatto,intendiamocreare le condizioni per innescare dinamiche di ulteriore crescita e sviluppo economico del territorio”.

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di Walter De Stradis

La Potenza “culturale”, dolosamente, è spesso l’ultima a sapere.

Ma il potentino (di origini pugliesi) Vito Lisi, probabilmente di certi ambiti non ne ha (più) bisogno, essendo da anni il cantante ufficiale degli Alunni del Sole, ed esibendosi principalmente –come conseguenza- in più ampi contesti extra-regionali.

Tuttavia, i potentini che seguono le -faticose e sofferte- traiettorie della musica “etnico-popolare” nostrana, riconoscono in lui anche il leader dei “Mercantinfiera” nonchè l’autore e interprete dell’inno della maschera popolare locale, Sarachella. E scusate se è poco.

d: Come giustifica la sua esistenza?

r: Involontariamente, tra tanti, ci sono anch’io. Ma ho accettato di buon grado questa mia presenza in ambito artistico, avendo anche contribuito un tantino a “svecchiare” la proposta musicale che da queste parti andava per la maggiore negli anni 60/70. Con il nostro primo gruppo, i “Sapdi…” (che significa “Stavamo appunto parlando di…”), portavamo infatti avanti un discorso rock che a Potenza –ove andavano di moda le cosette anni 60 alla Edoardo Vianello- ancora non si era sentito.

d: Ma per lei c’è stata poi anche una sorta di “svolta” etnico-popolare…

r:... all’incirca nel 1986, con un gruppo prodotto da De Blasiis, Quaratino etc., che si chiamava “Mercantinfiera”…

d: Quel primo ellepì (“Dove s’incurva il giorno” - ndr), infatti, recava proprio i testi di Giovanni De Blasiis.

Esatto, erano molto belli e suggestivi. Quel disco fu supportato anche dal batterista degli Equipe 84, che aveva una sala d’incisione a Milano, e facemmo una tournee con l’Abs (Associazione Basilicata Spettacolo) nelle varie piazze lucane.

d: Successivamente, come “Mercantinfiera”, ha fatto anche altri cd.

r: Sì, con l’Elcasound di Reggio Calabria e col grande e compianto Stefano Rubino che aveva le edizioni musicali Trifoglio a Roma. Lui produsse un bel disco, “Cielo di sotto”, che trattava le tematiche ricorrenti qui al Sud, quali la disoccupazione, l’emarginazione della donna, i ragazzi sempre in attesa…

d: Lei però aveva già collaborato anche col Genio di questo genere musicale, Antonio Infantino.

r: Già, nel 1978 –tramite il Folkstudio- avevamo fatto insieme una tournee in tutta Italia; ricordo che a Piazza Maggiore a Bologna c’erano dodicimila persone. Io suonavo la batteria, e c’erano tutti i Tarantolati, quelli originali. Piacenza, Torino, Taranto: Antonio era molto bravo, molto seguito, perché lui era un vero Genio della Musica. Forse è stato capito di meno proprio nella piazza di Potenza.

d: A Proposito di Potenza, lei aveva avuto modo di suonare anche con l’unico, vero cantante “folk” (anche per estrazione culturale), che la città abbia mai potuto vantare: Michele di Potenza.

r: Anche con lui facemmo delle piazze, fino gli anni Settanta. Lo accompagnammo noi “Sapdi…”, in quanto aveva bisogno di una band di supporto. Lui faceva musica folcloristica, più “da contrada”, ecco, ma era molto apprezzato, perché la gente con lui si divertiva parecchio. Michele sapeva lavorare bene sul palco, nel suo genere era molto professionale.

d: E poi, naturalmente, c’è la sua militanza, ormai di lunga data, negli Alunni del Sole, di cui è divenuto il vocalist ufficiale, dopo la scomparsa di Paolo Morelli.

r: Quest’estate abbiamo fatto diverse serate, soprattutto in Calabria.

d: Lei ha narrato questa bella storia nel suo libro (“In sella ad una moto verso gli Alunni del Sole”, Villani Editore – ndr), ma raccontiamo, brevemente, quella che è la realizzazione di un vero sogno: lei mandò una cassettina ai fratelli Morelli (Paolo era ancora vivo) con le sue versioni delle loro canzoni…

r: …sì, li conoscevo già dal ’70 e spesso mi invitavano a Roma, ai loro concerti, alle loro cene al ristorante. Avevano apprezzato la mia timbrica, quell’impasto vocale che era molto simile a quello del grande Paolo Morelli, un grande cantante, pianista e compositore. Le dico che tanti altri artisti, da Dalla a Ruggeri, frequentavano la sua casa romana e attingevano anche qualche idea. Rispetto ad altri, però, Paolo era un po’ schivo, era un vero artista, ma non amava esporsi troppo (sovente, dopo i concerti, si rifugiava in albergo).

d: E così, quando Paolo Morelli venne a mancare, fu reclutato lei…

r: Sì. Il fratello Bruno -che detiene il marchio “Alunni del Sole” ed è un grande chitarrista- mi chiamò per cantare e suonare il pianoforte (addirittura lo stesso di Paolo!) con loro, affrontando il pubblico con quelle stupende canzoni. Da allora abbiamo fatto tanti concerti.

d: E’ una grande responsabilità.

r: Ma anche un grande onore. Uno sogno che si è realizzato. In tutte le piazze, gremite, ci hanno sempre richiesto il bis, suonando ogni volta una mezzora in più, persino nel Napoletano, che è una piazza particolarmente esigente.

d: Lei si esibisce con questo gruppo di fama nazionale, e quindi più che altro al di fuori dei confini regionali, ma come artista di musica popolare ha battuto la nostra terra, al pari dei suoi altri colleghi lucani. In queste interviste chiedo sempre agli artisti nostrani quali siano i “problemi” del settore: Antonio Guastamacchia mi rispose dicendo che qui da noi spesso e volentieri, anche per poter suonare, bisogna essere raccomandati dalla politica (e che lui non si era mai voluto avvalere di questa scorciatoia).

r: L’affermazione di Guastamacchia non è troppo lontana dalla realtà. Il problema è che per poter portare avanti un discorso di musica etnico-popolare, lo devono prima “recepire” i politici, o quelli messi lì “a caso”, o i responsabili culturali. E non sono in grado: per loro va bene tutto quello che mandano gli impresari di fuori. Non hanno vocazione al sentimento o alle emozioni, ma puntano esclusivamente all’eccitamento, cioè a tutto ciò che possa eccitare il pubblico, a tutto ciò che fa mercato, e quindi il tutto si riduce a un mero discorso di lucro.

d: Forse in Basilicata ci si vergogna un po’ delle tradizioni.

r: E’ vero, ma ciò non accade in Puglia, in Campania, o nel Salento. Solo in Basilicata.

d: E perché?

r: Si tratta di retaggi storici. Forse si è cominciato tardi. Prendiamo Michele di Potenza: andava riscoperto prima, ma prima era “bandito”, andava molto di più nelle contrade, San Nicola di Pietragalla, Filiano, e secondo me non è stato mai davvero apprezzato a Potenza. Adesso stanno ricominciando a riscoprirlo, ma finora in effetti c’è stata questa vergogna a parlare delle origini, dei contadini…

d: Lo stesso Infantino, forse, ha avuto più fortuna –come autorevolezza culturale- fuori dalla regione.

r: Certamente. A Firenze, Piacenza, Bologna…la gente lo seguiva, era incuriosita, lo intervistavano. Rispetto a Michele di Potenza, lui era più d’elite, ma i ritmi si capivano, i ritmi di quelle terre, del materano, sempre assolate e secche, prive di pioggia. La sua musica era la colonna sonora della vita, della vita degli umili.

d: La domanda tormentone: perché in Salento sono riusciti a fare tesoro delle loro tradizioni musicali, creando un indotto turistico ed economico che fa spavento, e noi Lucani no?

r: Perché, come dicevo, da noi si è partiti molto in ritardo. Nel 1978 con Infantino andammo a suonare ad Amendolara in Calabria, a Mottola in Puglia, e ricordo che la sera, di ritorno dal lavoro, i contadini si mettevano a cantare e a ballare insieme a noi. Come dicevo, è questione di retaggio sociale: in quelle zone la gente è più felice, perché è più ricca, perché le loro terre producono di più; a Potenza, invece, c’è questa rassegnazione, questa mortificazione, proprio perché non c’è la stessa ricchezza di quelle altre terre. La gente di qua è dunque più restia al divertimento: quando coi Mercantinfiera suonavamo a Matera, le persone si incuriosivano e ci facevano domande, qui a Potenza si nascondono nei vicoli.

d: Quella musica ricorda loro la povertà.

r: Esattamente!!! E non vogliono ricordarla. Pensano, e sottolineo “pensano”, di aver avuto un’evoluzione sociale ed economica che ancora non hanno avuto, invece.

d: Se potesse prenderli sottobraccio, cosa direbbe al sindaco di Potenza, Guarente, e al Presidente della Regione, Bardi?

r: Di cambiare lavoro.

d: Che musica metterebbe come sottofondo a queste elezioni appena concluse? Un rock, una tarantella, una marcia funebre…

r: Un brano di Goran Bregović.

d: Musica balcanica?

r: Sì.

d: E come mai?

r: Perché lui porta avanti quelle tematiche…rivoluzionarie.

d: E come mai si adattano a queste elezioni?

r: Perché credo sia in corso una rivoluzione.

d: Il film che la rappresenta?

r: “Amarcord” di Fellini.

d: La canzone?

r: “C’è tempo”, di Ivano Fossati.

d: Il Libro?

r: “Il sospetto” di Alberto Moravia.

d: Mettiamo che fra cent’anni scoprano una targa a suo nome: in quale vicolo o scalinata di Potenza le piacerebbe fosse apposta, e quale epigrafe immagina?

r: «Forse la mia vita passa, ma non passa la vita del mio intelletto». Mi piacerebbe fosse apposta su un albero.

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di Walter De Stradis

 

 

 

 

La “pareidolia” è quel processo psichico che –sostanzialmente- ci spinge a vedere figure riconoscibili nella sagoma delle nuvole. L’artista multiforme Teli Volini, essendo nativa di Castelmezzano, in mezzo ai profili di quelle Dolomiti in cui è facile scorgere/immaginare volti di animali o persone, afferma che proprio la “pareidolia” (che è anche il titolo di un suo libro), sia una delle sue “Muse” ispiratrici.

d: Come giustifica la sua esistenza?

r: A parte gli affetti familiari, con la dedizione completa alla Musa, all’Arte.

d: A questo proposito, lei si definisce: “pittora, incisora, performer, land artista, body artista, social sculptor, poeta, saggista, docente e linguista, traduttrice, risemantizzatrice, portatrice di memoria, ricercatrice, mitoarcheologa, conferenziera, blogger, reporter, eco tuner, designer e interior designer, curatrice e operatrice culturale, presidente del Centro d’Arte e Cultura Delta di Potenza, dell’Impresa di Pace e della Casa delle Erbe di Potenza e Castelmezzano”. Non saranno un po’ troppe cose?

r: (Sorride). Per me sì. Difatti il mio corpo fisico mi manda continui segnali. Mi è venuta persino una tendinite per l’uso eccessivo del mouse: ci ho messo ventitré anni per scrivere questo libro (che contiene, tra l’altro, anche una settantina di miei disegni).

d: Sta parlando dell’ultimo “Glifi”, che sarà presentato sabato 24 settembre (oggi, per chi legge – ndr) al Polo Bibliotecario di Potenza, in via don Minozzi.

r: Esatto. Una ricerca “mito-archeologica”. Ha a che fare con la tecnica usata dalla studiosa Marija Gimbutas (a cui sono persino riuscita a far dedicare una rotonda, qui a Potenza). Lei ci ha offerto su un piatto d’argento le prove, archeologiche, inoppugnabili, sull’esistenza di civiltà pre-storiche, molto antiche, nelle quali regnava la pace.

d: Un mito atlantideo, in qualche modo.

r: Magari, chissà, ma quel mito non è confermato storicamente, mentre in questo caso ci sono dei reperti archeologici.

d: E cosa c’entra tutto questo con la Basilicata?

r: All’inizio degli anni Novanta, durante una passeggiata a Croccia-Cognato, sulle Piccole Dolomiti Lucane, nel parco di Gallipoli, scoprii l’esistenza di questi “segni”, incisi sulle antiche pietre delle mura lì attorno.

d: Risalenti a quando?

r: Li fanno risalire al IV° Secolo avanti Cristo. Ma non è vero. perché anche nella cultura “normale” ci sono delle grandi “fake”. Esplorando esplorando, invece, mi sentii di avvalorare l’ipotesi che fossero del IV° Millennio! Secondo la metodica della Gimbutas, ho fatto un raffronto con le antiche pietre, e non è possibile che quei glifi –che testimoniano l’esistenza di civiltà veramente ancestrali- siano del IV° Secolo. Gli studiosi si sono confusi con gli Osco-Sanniti (che certo di lì ci sono passati e hanno abitato).

d: Quale significato hanno questi “segni”?

r: Questa è la cosa incredibile, finora nessuno se l’era domandato: erano stati completamente ignorati.

d: Cioè lei mi sta dicendo che in Basilicata ci sono questo tipo di cose, e gli addetti istituzionali alla Cultura le “ignorano”? Non ci sono indicazioni di sorta?

r: Lì è “indicato” tutto, tranne questi glifi. Ci si scivola sopra, ma intanto non si cura il sito, e questi segni stanno sparendo, perché col tempo si coprono di ruggine, licheni e muffe.

d: Ma lei lo ha segnalato alla istituzioni?

r: No, perché sono stufa di litigare con le istituzioni. E poi ho preferito ultimare prima il libro, con lo studio di tutti i significati, altrimenti non sarei stata presa in considerazione.

d: Mi dice il significato di questi glifi?

r: Innanzitutto le dico quali sono i segni: il cerchio puntinato, il triangolo con la punta in giù e quello con la punta in su, la doppia x. Sono segni cha danno luogo a significati…

d: …esoterici?

r: No no no, proprio “realistici” e simbolici.

d: Tipo?

r: (Sorride) Adesso mi fa svelare…

d: Me ne dica uno.

r: Va bene. Il simbolo del triangolo (con la punta in giù), antichissimo, presente già presso i Sumeri, rappresenta il sesso femminile, e quindi la donna. Naturalmente, questa è solo una banalizzazione del mio lavoro (ho girato il mondo a fare raffronti).

d: All’uscita di questo libro, si aspetta una qualche reazione dell’archeologia ufficiale?

r: Me lo auguro, perché io le risposte da dare le conosco. Le mie motivazioni sono articolate, mentre loro non sono nemmeno stati capaci di vedere. O meglio, i glifi li hanno intravisti, ma li hanno lasciati lì.

d: Quindi lei afferma di aver realizzato una sorta di “scoop storico”: in Basilicata esisteva dunque una civiltà “ancestrale” praticamente sconosciuta…

r: …esatto, ben prima dei nostri cinquemila e pericolosissimi e guerrafondai secoli storici.

d: La caratteristica di questi popoli, diceva, era la propensione alle pace.

r: Erano pacifici. Se si consulta il sito della Gimbutas, per esempio, si apprende che a Matera, nell’antico sito di Serra d’Alto, non vi sono segni di “bellicità” (che di solito sono le armi).

d: Venendo alla Potenza di OGGI …si può vivere “di cultura” qui da noi?

r: Io trovo che vi sia un atteggiamento assolutamente deleterio. In Basilicata ci si dà la zappa sui piedi. Me lo dicevano anche a Milano, dove ho vissuto per venticinque anni, una volta trasferitami “in transumanza” per la disperazione. Tuttavia non ho mai voluto staccare con la mia terra d’origine, ma come “ringraziamento”, mi sono accorta che più progredivo con la mia arte (a Milano il Comune mi dava patrocini e anche soldi), qui in Basilicata non mi trasmettevano nemmeno i servizi in tv. E facevo cose importanti.

d: Come se lo spiega? Provincialismo? Invidia?

r: Sì, sì. Qui ci sono delle “lobby” e se non ne fai parte…per la verità, io ci sono anche entrata con gentilezza, ma ho riscontrato freddezza. Forse devi avere una qualche caratteristica particolare, forse un cognome, una cosa politica…o forse ti devi dare, devi dare le tue opere...Non so. Le mie sono ipotesi, per carità.

d: Esistono i “raccomandanti della Cultura”?

r: Credo proprio di sì. A me hanno fatto cose tremende. Ma io mi considero un’ape industriosa, che ha bisogno di creare alveari, e pensi che a Milano mi ci sono comprata una casa, vendendo i miei quadri. A un certo punto decisi di fare nella mia città, Potenza, delle istallazioni in difesa della Natura. Chiesi il permesso, spesi i MIEI soldi, e misi questi grandi pannelli (dietro i quali c’era un grande lavoro e anche delle conferenze) in giro per la Città; passa un signore, che qui va per la maggiore, e mi fa un articolo tremendo, dandomi pure della esibizionista. Eppure su quei pannelli non c’era certo una donna con una scollatura volgare, bensì me stessa, una persona che si accingeva a fare un tipo di comunicazione molto potente. Risposi per le rime. Perché anch’io so scrivere.

d: Per le sue istallazioni qui da noi non riceve mai aiuti economici?

r: Guardi, forse qualcosina me la diedero pure, non ricordo nemmeno più, ma ricordo bene le difficoltà che le ho descritto. Quando un servizio televisivo pubblico ti “boicotta”, la gente sa tutto della sagra del provolone, ma poco o nulla della tua attività artistica. E io invitavo partecipanti da tutto il Mondo.

d: Cosa direbbe, se potesse prenderlo sottobraccio, al sindaco di Potenza?

r: Di fare una scelta di qualità nell’arte. Molti sono, non dico banali, ma certo si limitano alla normalità. Io sono a-normale (sorride), faccio cose fuori dall’ordinario, che possono essere interessanti per la crescita della comunità. E’vero, il Comune di Potenza mi consentì di apporre la targa di Marija Gimbutas, ma io volevo fare anche il monumento alla “DONNA ignota”, e non è successo niente. Sarebbe stata una peculiarità a livello mondiale (dedicata alle donne “comuni” che fanno sacrifici). Non mi hanno risposto nemmeno, e sono stanca di stare lì a scrivere sempre. La Regione a volte mi ha patrocinato, ma anche loro devono tenere presente gli artisti che possono portare a una visibilità nazionale e anche internazionale. Il mio libro sui glifi potrebbe portare a una rivalutazione, anche economica, di quella zona.

d: Mettiamo che, fra cent’anni, scoprano un “glifo”, una qualche epigrafe, dedicata a lei: cosa le piacerebbe ci fosse scritto?

r: Intanto spero che nel frattempo le cose cambino, ma direi: «Fu un’artista ammirata ed amata. E faceva bene ciò in cui credeva».

A Corleto Perticara altre due giornate di formazione per le undici aziende che hanno aderito al programma di internazionalizzazione promosso dalla JV Tempa Rossa. A fine ottobre missione in Belgio.

 

Dopo l’appuntamento di giugno dedicato alla formazione su marketing e innovazione tecnologica, con la presentazione dei possibili contatti commerciali nei paesi target, proseguono le iniziative di Lucanica 2.0, il progetto promosso dalla JV Tempa Rossa - composta daTotalEnergies EP Italia, Shell E&P Italia e Mitsui E&P Italia B- in collaborazione con la società di consulenza Octagona, per supportare l’ingresso dei prodotti agroalimentari lucani nei mercati esteri. Si sono infatti tenute, nella piazzetta del Risorgimento Lucano del Comune di Corleto Perticara, altre due giornate di incontri, per definire i prossimi step progettuali per il lancio sul mercato internazionale e per organizzare una missione in Belgio di promozione dei prodotti e dell’enogastronomia localeper fine ottobre. Sono intervenuti, oltre ai rappresentanti delle undici aziende che hanno aderito a Lucanica 2.0, il responsabile Rapporti con il territorio, Ambrogio Laginestra e Maria Teresa Lapadula (Sviluppo sostenibile) per TotalEnergies, mentre per Octagona hanno partecipato la temporary export manager, Ester Temperato e il project manager, Brando Bruschi.

Nella prima giornata sono stati illustrati gli aggiornamenti su fasi negoziali e commerciali, con approfondimenti su made in Italy, comunicazione digitale e logistica. Gli imprenditori sono stati inoltre impegnati in simulazioni di trattative e di gestione di incontri in fiere internazionali. Il giorno successivo è stato dedicato a visite conoscitive in alcune aziende del progetto. Importante, è stata quindi la definizionedei dettagli per l’organizzazione, entro la fine ottobre, di una missione a Bruxelles, in Belgio, per partecipare ad un evento di promozione con ristoratori, chef, sommelier, importatori, distributori, giornalisti enogastronomici e food blogger. Della delegazione Lucanica 2.0 farà parte anche il cuoco emergente Francesco Lorusso, presentea Corleto alla prima delle due giornate di formazione e da poco premiato nel concorso ‘Emergentechef 2022’diWitaly presso Alma.

“Vogliamo accompagnare - ha detto Ambrogio Laginestra, di TotalEnergies EP Italia - le imprese di quest’area, così ricca di sapori e prodotti tipici, fuori dai confini italiani creando per loro nuove opportunità commerciali, dotandole degli strumenti necessari per competere sui mercati internazionali. Il nostro auspicio è che queste undici imprese possano fare da apripista per altre aziende del territorio facendo sì che il tessuto economico lucano sia sempre più votato all’export”.Lucanica_a_Corleto_presentazione_chef_Lorusso.jpg

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di Walter De Stradis

 

 

Professore di filosofia, fondatore dell’associazione Basilicata 1799, curatore di diversi volumi e promotore di iniziative socio-culturali di ampio respiro, Francesco Scaringi è -insieme a Giuseppe Bisceglia- ideatore, curatore e direttore del “Città delle 100 Scale Festival”.

Giunta alla sua 14esima edizione (avviatasi il 10 settembre scorso e che si concluderà il 29 novembre prossimo), la multiforme kermesse (teatro, danza, musica, dialoghi e approfondimenti), ormai di respiro internazionale, è uno degli eventi più attesi e seguiti del panorama artistico e culturale della regione.

d: Come giustifica la sua esistenza?

r: “Grazie a mamma e papà”, direbbe innanzitutto qualcuno. E poi la giustifico sperando che gli altri mi vogliano bene (un’esistenza vale se vale per gli altri). Sono inoltre consapevole di vivere all’interno di una società, e dunque cerco di dare anche delle risposte.

d: In che misura, facendo Cultura, ritiene di dare “risposte” alla società?

r: E’ una cosa molto complessa: sicuramente si colgono degli spunti dalla realtà, nello stesso tempo si danno delle risposte, ma si aprono anche delle possibilità. Non è detto che la Cultura debba dare risposte immediate, bensì anche a più lungo termine. E questo è l’elemento più affascinante nel fare Cultura, avere una prospettiva per il futuro.

d: In quattordici anni di questo Festival cosa crede di aver dato alla città? O alla regione...

r: Abbiamo chiamato il nostro Festival “delle cento scale”, non solo riferendoci alla “verticalità” di Potenza, ma anche perché le scale stesse aprono dei passaggi, delle relazioni, dei transiti e io penso che una delle cose fatte è stata dunque proprio “aprire” la città alla comunicazione, alle relazioni, con delle finestre anche sulle problematiche del capoluogo. Non è un caso che abbiamo anche spostato il Festival dai teatri all’interno della città vera e propria. E poi c’è stata sicuramente anche la valorizzazione di alcune professioni, innescando -attraverso varie proposte- processi culturali, non soltanto di intrattenimento. La nostra non è dunque solo una “rassegna” di spettacoli, bensì un qualcosa di molto più articolato, che costruisce una comunità, che a sua volta cerca di relazionarsi con l’intera città.

d: Noi potentini, forse perchè montanari, spesso ci chiediamo cosa ci sia “dietro” alcuni fatti e fenomeni. Cosa c’è “dietro” il Festival Città delle Cento Scale?

r: Ci sono due persone, io e Biscaglia, che avendo sempre lavorato nel sociale (ed essendo anche docenti e operatori culturali), hanno pensato di condensare alcune esperienze in un’attività che potesse essere gratificante per loro e per la città. Il nostro Festival si può dire che ha raggiunto una statura di livello europeo.

d: Ci si guadagna, anche?

r: No. Il mondo dello Spettacolo e della Cultura in genere è un mondo del precariato. Io sono fortunato, essendo uno stipendiato con un suo lavoro, e non è certo questa attività culturale -per me e il mio socio- la fonte di guadagno (al quale non si è mai puntato). Certo, per chi ci lavora (tecnici, operai e quant’altro), rappresenta anche una possibilità di guadagno, ma è sempre un mondo del precariato. Non c’è una prospettiva certa.

d: E quali sono i rapporti con la politica, che ha in carico lo sviluppo economico, ma anche culturale di una regione?

r: E’ sempre un rapporto difficile, quello con la politica. Specie se la Cultura vuol essere autonoma, in quanto la politica -che è anche dominio- tende appunto anche a dominare e a condizionare. Esistono però anche delle possibilità, che uno si deve giocare, puntando sulla proposta, la credibilità e sulla propria autonomia. Lavorando su questo, si riesce a ottenere una certa distanza dalla politica, che -attenzione- non è distacco, disinteresse, perché la politica è importante, ma si tratta di non entrare in quei meccanismi di vicinanza e di scambio. Ed ecco perché sono importanti le leggi e le normative a cui fare riferimento, per poter continuare a fare ciò che si fa.

d: A Potenza (e in regione) qual è la scalinata più impervia per il cittadino?

r: Come contesto c’è una crisi (acuita dalla Pandemia e dalla Guerra) che porta a un’incertezza generale, a livello economico, lavorativo, a livello di futuro. A Potenza, che è una città del Sud, certe problematiche si moltiplicano (è aumentata l’emigrazione). Io credo che qui da noi si debba riconquistare la dimensione della “provincialità”, ovvero la capacità di essere una piccola città in cui si potrebbe vivere molto meglio, ma in cui non ci si riesce.

d: Perchè?

r: Qui c’è una politica che ha un atteggiamento per molti versi “paternalistico”, ma priva di capacità progettuale. Si va per emergenze, la spesa pubblica è tutta sull’immediato. Questa città non la si “slancia” nel futuro, mentre oggi le città sono organismi che devono imparare ad apprendere. E un passaggio può essere la Cultura.

d: Spesso in queste interviste è stato detto che in città certi ambiti culturali sono “blindati”, poco “accessibili”, a causa del familismo, dei “cerchi magici” e del perseverare dei “soliti noti”. In particolare sembra che ci sia anche una certa “esterofilia”, una predilezione per chi viene da fuori o, comunque per quei lucani che si sano affermati altrove. Cosa ne pensa?

r: Innanzitutto è giusto non pensare a un “pubblico” unico, ma a più pubblici, e dunque esistono anche proposte culturali diverse, magari di un livello più alto, e anche -sì- delle nuove cose che vengono da fuori (e che in città prima non c’erano), e che come tali possono suscitare interesse. I “cerchi magici” a Potenza? Beh, qui esiste un “difetto”, quello di ritenere che alcuni possono fare “solo” una cosa. Non è così. Le cose vanno intrecciate. E poi esiste anche un “peccato”, che è quello della “auto-soddisfazione”.

d: E sarebbe?

r: Essere contenti di quello che si fa, pensando di aver fatto il massimo e di essere il centro del mondo. Occorre invece decentrarsi, capire di essere una piccola realtà. Questo porta a non accontentarsi del piccolo, guardando invece anche alle prospettive internazionali.

d: A proposito di “centro del mondo”, lei ha collaborato -tra i project leader- anche con Matera 2019. A conti fatti, la Capitale della Cultura è stata un’occasione persa o colta in pieno?

r: E’ stata un’occasione colta poco e poco sfruttata. Anche qui si è puntato molto sull’occasione, sugli eventi, e si è programmato poco. E’ come se tutte le energie fossero state spese per una “esplosione” che poi, in qualche modo, si è sgonfiata.

d: Se potesse prendere il presidente della Regione sottobraccio, cosa gli direbbe?

r: Gli direi subito “pensa ai giovani”. Da insegnante, vedo le loro difficoltà.

d: Come si pone lei, nella polemica sulle assunzioni, anch’esse “esterofile” fatte da Bardi nel suo staff? Essere lucani, per lavorare nei ruoli apicali di questa terra, è una conditio sine qua non?

r: In questi casi si corre il rischio di essere demagogici. Ci sono delle mansioni, degli atti di fiducia, che a mio avviso possono essere dati anche a persone di fuori (se io devo allestire una mostra particolare, occorre trovare chi abbia delle competenze, e anche magari delle relazioni internazionali). Se il lucano bravo c’è, deve essere tuttavia valorizzato: nel nostro Festival non definiamo come “lucani” gli artisti della regione, ma solo come “artisti” e basta. Mi spiego? D’altro canto, non si può chiedere una gestione amministrativa a una classe burocratica che in qualche modo ha sempre dimostrato incapacità, ma che all’improvviso deve essere anche capace. Non sto prendendo posizione, ma ragionando in valore assoluto: chi governa deve anche saper scegliere le qualità giuste per i progetti che vuol mettere in atto; i prescelti possono essere lucani e non, ma la direzione dev’essere quella del progresso, e non magari quella dell’amicizia o dell’appartenenza: il quel caso siamo in un’altra direzione, che ovviamente io contesto fortemente.

d: “Dire/Tacere” è il “concept” della 14 edizione del Festival Città delle Cento Scale. Perchè?

r: E’ un’idea, non un “tema”, che nasce dall’incontro che abbiamo fatto con Massimo Cacciari, nel quale si è citato il filosofo Ludwig Wittgenstein che ha scritto una frase molto bella «Di ciò di cui non si può dire, si deve tacere». Noi ne facciamo ovviamente un uso metaforico: specie nel caso della Guerra, noi stiamo assistendo a un parlare eccessivo, aggressivo, spesso volto a far tacere qualcun altro. In questo gioco di contrapposizione, viene fuori la necessità dell’ascolto.

d: Il libro che la rappresenta?

r: “L’uomo senza qualità” di Musil.

d: La canzone?

r: “San Lorenzo”, di De Gregori.

d: Il film?

r: “Morte a Venezia” di Visconti.

d: Mettiamo che far cent’anni scoprano una targa a suo nome su una delle famose “scale” di Potenza: cosa le piacerebbe ci fosse scritto?

r: «Di qui è passato un signore, che forse un po’ l’ha pensata, questa città».

 

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di Walter De Stradis

 

«Non ho iniziato a scrivere per fare “il Messia”, ma perché, per tanti anni, non ho avuto emozioni e non le davo. Oggi scrivo poesie per elargire emozioni alla gente».

Carmine Donnola entra nell’ultima cantina rimasta di Potenza, la caratteristica trattoria “da Vincenzo” in centro storico, con un cesto di vimini sottobraccio, colmo di sue poesie impresse su foglietti arrotolati.

Il gestore sceglie una di queste piccole pergamene colorate, cogliendo un testo nel quale afferma di "ritrovarsi". A sentire Donnola, succede spesso.

Il poeta che ha iniziato raccontando la sua esperienza di ex alcolista, e che è finito per attrarre l’attenzione di musicisti come Eugenio Bennato (col quale ha condiviso il palco) e di registi come il Nastro D’Argento Nicola Ragone (che gli ha dedicato il corto “Urli e Risvegli”), è infatti un inveterato spacciatore di Cultura.

Giornalisti, filmmakers e curiosi da tutta Italia vanno a trovarlo nella sua Grassano (Mt), e non tornano mai a mani vuote. Magari, al contrario, con una delle sue bottiglie di vino “ricoperte” di poesia.  

d: Come giustifica la sua esistenza?

r: Raccontando il mio passato e vivendo il mio presente, che senza quel passato non ci sarebbe. La giustifico inoltre con un futuro diverso e molto migliore.

d: Lei dice giustamente che il suo passato è il fondamento di ciò che sta facendo oggi: quando, come e perché divenne un alcolista?

r: Non c’è un perché. Ti ci trovi senza saperlo. Cadi sempre più in fondo, fino a rimanerci. Ed è facile cadere, perché sei impreparato. Io prima non facevo abusi, non ero un bevitore né un “frequentatore” di alcol, ma a un certo punto lo sono diventato senza accorgermene.

d: Quando ha capito che era diventato un alcolista?

r: Non bevevo superalcolici, ma a un certo punto, in mancanza del vino o della birra, ho cominciato a cercarli, e –successivamente- in mancanza di superalcolici, mi è capitato di bere addirittura l’aceto. A quel punto ho capito.

d: Quanti anni aveva? Lavorava?

r: Sì, avevo circa trentacinque anni e lavoravo, come se nulla fosse, prima come operaio in fabbrica e poi come bidello. Riuscivo a mascherare molto bene. Mi è andata bene. Tantissimo. Non persi la dignità, non diventai un tipo violento, cosa che invece accade di frequente a chi beve.

d: E quale fu, invece, l’effetto dell’alcol su di lei?

r: La solitudine. Stare solo mi piaceva.

d: Era già sposato? Aveva figli?

r: Sì e sono stato fortunato anche in questo, perché a volte i familiari abbandonano gli alcolisti, non avendo altra scelta davanti a situazioni davvero drammatiche.

d: Quando e come è arrivato il momento di smettere e di curarsi?

r: Mi sentivo inutile in questa società e rispetto a tutto ciò che mi circondava. Mi era indifferente tutto.

d: Non gliene fregava più niente.

r: Assolutamente niente. Ripeto: sono stato fortunato. Ne sono uscito e oggi per me è facile parlarne, perché sono quasi libero da quella schiavitù. Dico “quasi” perché per un ex alcolista c’è sempre il rischio di una ricaduta.

d: Lei ne ha avute?

r: Sì. Sono stato due volte in clinica, a Senigallia, per disintossicarmi. Dopo circa un anno dalla prima disintossicazione, a un certo punto mi dissi: “Ma che potrà mai farmi un goccetto solo?”, e piano piano ricominciai, finché capii di esserci ricaduto e chiamai subito in clinica: “Guardate che le cose vanno male”. Tornai a Senigallia e fu molto brutto perché era Natale. Ma era più importante salvarsi.

d: Da quanti anni è fuori dalla dipendenza?

r: Saranno una ventina d’anni.

d: Com’è noto, lei divenne poeta proprio in seguito a queste sue vicende. Una volta mi raccontò che scriveva poesie sui tovagliolini di carta, in cantina, mentre beveva, e a quanto pare fu il gestore a convincerla a non gettare via i suoi scritti.

r: Già, lui ingoiò letteralmente quella poesia, perché io avevo il vizio di cestinarli, quei foglietti. Lui disse: «Meglio che rimanga nella mia anima e non nel cestino».

d: Un poeta anche lui!

r: Assolutamente sì.

d: Pertanto lei è, da tempo, un esempio, anche per i giovani, con la sua testimonianza “a lieto fine”. Qui a Potenza un problema “giovani e alcol”, sembra esserci, purtroppo. Questa estate il Sindaco ha cercato di arginare il fenomeno tramite alcune ordinanze che riguardano il Centro… ma cosa dire a questi ragazzi?

r: Che non ha senso questo buttarsi. La vita è molto bella e ci sono molte altre cose, assai più interessanti, da fare. Quale che sia la causa, il malessere che ti spinge a buttarti, non è giustificabile di fronte alla vita e quello che TU potresti fare. Io stesso iniziai senza rendermene conto, ma sappiate che poi è molto difficile venirne fuori. Io sono un “salvato”, da chi non so, ma sono certo che da solo non ce l’avrei fatta. Donarsi agli altri: già quella è una cosa bella. Io ho passato una vita inutilmente, una vita vuota, eppure avevo tutto, come voi. Quando andate a bere dimenticate che a casa avete degli amori, che avete degli amici, degli impegni futuri, che non vanno buttati. Io ce l’ho fatta, ma è stato difficile, non cadete in quell’inferno. Anche il bullismo è una cosa atroce, vergognosa, chi lo attua non sa cosa sia l’amicizia, e infligge all’altro un male inimmaginabile.

d: Sono sufficienti gli interventi amministrativi? Sono solo dei palliativi? Qual è il ruolo, più in generale, delle istituzioni (scuole e famiglia compresi)?

r: La questione è che si viene “posseduti” dall’alcol…certo, le istituzioni dovrebbero aiutarli di più, dando Lavoro, Cultura, impegni sociali, alimentando la “presenza umana”, perché spesso ci si butta nell’alcol per solitudine.

d: I giovani lucani hanno un problema di solitudine?

r: Ma no, è un problema di TUTTI. Oggi credo che la solitudine sia più accentuata. Il Covid ci ha messo del suo, ma il fatto è che ci stiamo chiudendo, stiamo diventando indifferenti l’uno all’altro, persino tra vicini di casa. Adesso ci sono due tipi di guerre: c’è la guerra “visibile”, quella in Ucraina, e quella “invisibile”, che facciamo tra di noi, dandoci indifferenza l’un l’altro, senza aiutarci.

d: Se potesse prendere il presidente della Regione sottobraccio, cosa gli direbbe?

r: Difficilmente io andrei a braccetto con un presidente della Regione (sorride). Però gli chiederei di aiutare la popolazione, perché qui la situazione è drammatica: i paesi si stanno svuotando, la gente diventa sempre più povera (da un bel po’). Abbiamo bisogno di lavoro e non di fabbriche che inquinano e che in alcuni casi ammazzano. Il problema dell’alcol è drammatico proprio perché è “la droga dei poveri”: con pochi soldi ti compri un bottiglione di vino, vai a casa e ti distruggi. L’alcol il cervello te lo distrugge.

d: Lei scrive, pubblica libri e collabora molto con la musica locale: forse è stato il primo, certamente uno dei pochi, a recitare le sue poesie sulle basi di musica folk e popolare lucana, esibendosi con band dal vivo, ma anche registrando. Chiedo dunque anche a lei: è agevole fare cultura e musica in Basilicata? E’ vero che, molto spesso, tocca “chiedere” alla politica?

r: La Basilicata è ricca di artisti e –anche se non sembra- sono amici e solidali tra loro. Credo che il problema maggiore sia che chi organizza certi eventi dia per scontato che ci si debba esibire gratis o per pochissimi soldi. I personaggi “di fuori”, invece, si pagano e basta. Le ingerenze della politica? Sì, un po’ ci sono, e un po’ di colpa ce l’abbiamo un po’ tutti, proprio a causa di quel “tutto è dovuto” a cui accennavo. Ma gli artisti, in realtà, non hanno alternative: debbono esprimere le loro energie, e possono farlo solo suonando.

d: Il film che la rappresenta?

r: “Il laureato”, ma ce ne sono tanti altri…

d: Il libro?

r: …Boh? (si rattrista - ndr) Guardi, ci tengo a dire un’altra cosa: l’alcol ti cancella la memoria, te l’annienta. E’ come se non avessi fatto nulla. A me piaceva tanto leggere e andare al cinema, ma non ricordo.

d: La musica però la bazzica ancora, quindi…

r: Sì… come canzone citerei direi “La morte bianca” di Antonio Infantino, perché è una denuncia contro le morti sul lavoro.

 

 

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LO SPECIALISTA

RISPONDE

Sette domande al dottor

Domenico LACERENZA,

Direttore SIC di Oculistica

San Carlo -ASP

A

rispondere alle domande dei pazienti questa settimana è il dr. Domenico Lacerenza, Direttore della SIC (Struttura Interaziendale Complessa) di OCULISTICA, A. O. R. ”San Carlo” di Potenza – ASP di Potenza.

- Quali sono i più comuni problemi della vista? Quali le patologie più gravi?

Statisticamente ogni età presenta delle diverse problematiche. Ai neonati vanno valutate al momento della nascita le eventuali malformazioni congenite, molte delle quali -se diagnosticate precocemente- possono essere brillantemente gestite, anche per prevenire gravi problemi visivi in età adulta. Quando c’è un deficit visivo, il fattore tempo è fondamentale nella prognosi, per cercare di salvare la vista. Un altro momento importante nella vita è intorno ai 4 anni, periodo in cui vanno attenzionati i bambini per fare una diagnosi precoce di quello che è più semplicemente conosciuto come occhio pigro (ambliopia): si è in tempo per gestirlo prima che l’occhio diventi adulto, e dunque ,non più manovrabile, intorno ai 7/8 anni. Al netto degli eventuali traumi che possono colpire tutte le età, intorno ai 40 anni statisticamente c’è un’altra problematica sociale molto seria, chiamata glaucoma, che tende a comparire in maniera cronica a quell’età, e che solitamente viene diagnosticata nel momento in cui si interviene sulla presbiopia (incapacità di mettere a fuoco da vicino). A un glaucoma non diagnosticato, gli si dà il “vantaggio” di poter procedere indisturbato e quindi portare alla cecità. Andando ancora avanti con gli anni, ci spostiamo agli over 60: c’è la famosa cataratta che è in assoluto l’intervento più effettuato tra tutte le branche chirurgiche. Fino a qualche anno fa erano i parti, poi purtroppo con il fenomeno della denatalità oggi ci aggiriamo intorno ai 400.000 parti all’anno, contro le 600.000 cataratte in Italia (questo per orientarci statisticamente). Intorno ai sessant’anni, poi, bisogna fare attenzione anche alle maculopatie, le cause più importanti di abbassamento di vista nei paesi occidentali, anche queste molto diffuse e di varia natura.

- Oltre all’età, ci sono altre cause scatenanti, per esempio patologie quali diabete, ipertensione?

Qui si apre un capitolo importante che riguarda le malattie sistemiche, appunto come il diabete, che interessa vari organi, tra questi anche l’occhio, estroflessione del cervello. In questi casi, diabetologi e internisti, ma anche medici di famiglia, chiedono sempre l’esame del fondo dell’occhio, che è una cartina al tornasole della malattia diabetica: non solo dà informazioni sullo stato di salute della retina, ma indirettamente informa sullo stato di microcircolazione di altri organi nobili come cuore, cervello, reni ecc. L’occhio dunque è un bersaglio, ma anche una sorta di spia per l’eventuale esistenza di malattie reumatiche che portano alla secchezza dell’occhio, oppure di alcuni farmaci che possono creare fenomeni di accumulo a livello retinico. Altra malattia sistemica correlata è l’ipertensione arteriosa che quando non viene gestita bene o dura da tanto, potrebbe scatenare alcune lesioni al fondo dell’occhio (Retinopatia ipertensiva) e quindi si può determinare una stadiazione della malattia stessa.

- Anche in campo oculistico si può effettuare prevenzione? Quali screening sono a disposizione?

Nel fare l’analisi per età delle patologie, è insito il discorso sulla prevenzione, perché consideriamo le fasce di rischio per età, al fine di fare una diagnosi precoce di ogni possibile patologia. Fino a qualche anno fa, si faceva anche medicina scolastica, mentre oggi gli screening vengono effettuati grazie ad associazioni, tra queste quelle per la prevenzione della cecità, d’intesa con la struttura sanitaria che indica degli obiettivi. Abbiamo fatto un bellissimo lavoro che speriamo di poter riprendere al più presto.

- Sempre in tema “bambini”, abbiamo detto che spesso è difficile accorgersi di un problema visivo: ci sono dei “comportamenti” che dovrebbero far preoccupare?

Come dicevamo, nel caso dell’occhio pigro, il bambino fa tutto in maniera normale, ma lo fa con un occhio solo, perciò è una cosa da andare a cercare. Proprio per questo è bene fare una visita oculistica intorno ai quattro anni, di solito i bravi pediatri dopo aver scoperto in prima battuta l’eventuale problema, indirizzano le famiglie.

- Oltre ai traumi a cui abbiamo accennato in apertura, più in generale, per quali fastidi all’occhio ci si dovrebbe recare in ospedale?

Volendo fare un paragone, mentre per alcune situazioni di malattie croniche o addirittura tumorali, il paziente se ne accorge quando è troppo tardi, il più delle volte le problematiche che riguardano l’occhio, vengono percepite facilmente dalla persona, poiché all’improvviso diminuisce la funzione visiva, si arrossano gli occhi, si percepisce dolore (se pensiamo ad esempio alle congiuntiviti allergiche o batteriche).

- In questi casi è fondamentale rivolgersi direttamente alla struttura ospedaliera o consultare prima il medico di base?

È opportuno rivolgersi a uno specialista per la prima fase della diagnosi. Bisogna comunque sapere che ci sono delle procedure che garantiscono al paziente dei tempi brevissimi rivolgendosi al medico di famiglia che può prenderlo in carico con una procedura d’urgenza (RAO) nelle 24 ore con la classe di priorità A. Consideriamo che solo nella provincia di Potenza ci sono 22 punti di erogazione, tra ospedale e territorio per la presa in carico di questi pazienti, lo stesso vale nel materano. Dal punto di vista oculistico possiamo dire che la nostra regione garantisce una buona rete di copertura.

- Frequenti mal di testa e problemi di vista: che relazione c’è?

Partiamo dal sintomo: quando un paziente ha un mal di testa, si deve eseguire un protocollo, si va per priorità, sicuramente la funzione visiva può essere una delle possibili cause, tra le più frequenti. Ma non è solo l’occhio. Chiaramente di fronte un mal di testa persistente, sicuramente si fa una valutazione che inizia con uno studio della funzione visiva e si avvale anche della consulenza otorinolaringoiatrica e neurologica.

(A cura di Antonella Sabia)

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di Rosa Santarsiero

 

 

Mancano ormai pochi giorni alla riapertura di tutti gli Istituti scolastici di ogni ordine e grado e ciò avverrà per la Regione Basilicata il prossimo 12 settembre. La Consigliera regionale di Parità, Ivana Enrica Pipponzi, è intervenuta sul tema istruzione e formazione, affrontandolo da un punto di vista che le sta particolarmente a cuore: quello della disparità di genere, un fenomeno mai sanato nella nostra società che sovente affonda le proprie origini -come spiegherà a seguire proprio la Consigliera Pipponzi- a partire dalle scelte scolastico-formative delle donne.

«La Commissione europea, qualche tempo fa, ha pubblicato un interessante report sulla formazione in Europa, da cui emerge un dato allarmante: le donne -non solo in Italia- si laureano con una percentuale superiore rispetto agli uomini (il 47%, contro il 36% degli uomini), eppure il divario di genere nel mondo del lavoro è ancora così evidente! Circa il 48% delle donne lavora, al Sud siamo intorno al 32%, in Basilicata al 36%, ma capirà che tali percentuali appaiono distoniche rispetto alla situazione scolastica sopra descritta».

D: Consigliera, lei come spiega tale fenomeno?

R: È importante fornire qualche numero partendo dalle performance universitarie, poiché in presenza di dati come quelli che le sto per illustrare si rimane assolutamente basiti. Già a partire dalle scuole medie, il 43% delle ragazze consegue voti migliori rispetto agli studenti, che si attestano sul 9 o sul 10, mentre il 31% dei ragazzi non raggiunge questo risultato. Ciò emerge dal profilo dei diplomati del 2020. Tale dato, tra l'altro, rimane inalterato anche nel prosieguo degli studi verso l'istruzione secondaria superiore, il diploma è maggiore nelle ragazze, il 53% contro il 47% dei ragazzi. Anche il voto di maturità è sensibilmente diverso: il 35,4% delle ragazze riceve tra il 90 e il 100, mentre tale votazione è raggiunta dai colleghi uomini solo nel 22,9% dei casi.

L'80% delle ragazze, inoltre, manifesta una innata tendenza a proseguire gli studi, a fronte del 65% registrato dagli uomini. Tra i diplomati dei licei circa il 60% sono ragazze, il 56% delle donne invece sceglie di diplomarsi in corsi professionali, il 38% vengono fuori da Istituti tecnici. Le donne, dunque, preferiscono nettamente studi classici o umanistici.

Le ho illustrato dati come questi, perché le scelte scolastiche predilette dalle donne generano pian piano un divario di competenze informatiche, ciò di cui oggi c'è maggiore richiesta. Già da qui, a mio parere, si inizia a comprendere la motivazione del divario di genere.

D: E all'Università cosa accade?

R: L'incidenza delle laureate è del 23,7% per l'intera popolazione, il 17,2% è rappresentato invece dagli uomini. Le stesse studentesse si laureano poi con voti nettamente più alti, dal 104 al 110, contro il 102/110 dei maschi.

D: Cosa scelgono quindi le donne?

R: Preferiscono corsi disciplinari di educazione, formazione, letterari, umanistici, linguistici e psicologici, a fronte delle materie STEM, cioè quelle a carattere scientifico tipiche nelle scelte dei ragazzi. Ebbene, quando si vanno a spulciare i dati delle retribuzioni emergono forti disparità di trattamento economico. Il salario medio per una laureata magistrale a cinque anni dalla laurea è di 1.403 euro mensili, mentre un laureato maschio guadagna 1.696 euro, il 12% in più del salario rispetto alle donne.

Il fenomeno della cosiddetta “segregazione occupazionale” si spiega con la scelta da parte delle donne di impieghi meno gravosi e più flessibili, ma con salari certamente più bassi. Mi spiego meglio. Proprio a causa della scelta degli studi, buona parte delle donne diventeranno insegnanti, impiegate, amministrative o, per chi non si laurea, commesse. Tali lavori per stereotipo si attribuiscono più vicini al mondo delle donne, ma allo stesso tempo consentono di conciliare l'aspetto professionale a quello familiare. Ciò tuttavia fa sì non solo che le donne abbiano buste paga più leggere a causa dei part-time, ma che non riescano ad acquisire né una formazione costante in termini di aggiornamento, né scatti di carriera rispetto ai colleghi uomini. Sembra quasi che le donne scelgano professioni simili non tanto per un sentire personale, quanto piuttosto per una sorta di imposizione culturale. Nella nostra società, tra l'altro, manca un sistema di Welfare capace di supportare nel quotidiano una donna lavoratrice, magari con la presenza di asili nido o di strutture adeguate per accogliere i figli durante le ore di lavoro. Una segregazione lavorativa orizzontale, ma anche verticale a causa del mancato accesso a scatti lavorativi di anzianità e di carriera.

Situazioni come queste rappresentano appieno il cosiddetto fenomeno del “Leaky pipeline”, in altri termini si può paragonare la carriera lavorativa delle donne ad una sorta di canna fumaria che continua a disperdere fumo, solo che in questo caso a disperdersi sono nel tempo le possibili progressioni di carriera delle donne.

D: Cosa sente di augurare alle nuove studentesse?

R: Mi permetto di consigliare e promuovere i cosiddetti studi STEM, che solo il 18% delle donne predilige. Una delle soluzioni per poter vincere il divario di genere nel mondo del lavoro è proprio questo. È chiaro che il mio è solo un suggerimento e che la naturale inclinazione delle donne è per me cosa sacra, tuttavia laddove c'è una forte indecisione nel percorso formativo, o per stereotipo non si ha la forza di scegliere carriere di questo tipo, be' mi auguro vivamente che ci sia la forza per invertire tale tendenza.

 

 

 

 

 

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di Walter De Stradis

 

 

 

A vederlo, sembra la personificazione del detto “I Sessanta di oggi sono i nuovi Quaranta”.

Classe 1961, acheruntino, laureato in economia e dipendente dell’Agenzia delle Entrate, Antonio Donato Marra è presidente del Co.Re.Com di Basilicata dal dicembre 2019.

d: Come giustifica la sua esistenza?

r: Ho una famiglia, dei figli, un lavoro che mi piace, e poi c’è questa esperienza al Co.Re.Com che definirei “incentivante”.

d: Ecco, il Co.Re.Com, un organismo molto importante –specie in fase di campagna elettorale- ma che alcuni cittadini considerano una specie di oggetto misterioso, confondendolo addirittura col vecchio Coreco (organo regionale soppresso che si occupava di tutt’altro).

r: Il Comitato Regionale per le Comunicazioni è un ente che si occupa, a livello regionale, del governo e del controllo delle telecomunicazioni. E’ stato istituito nel 2000 (legge n.20) e gestisce tutte le funzioni delegate dall’AGCOM (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni). Ne consegue che ha funzioni delegate e funzioni proprie. Si parte dalla vigilanza circa la tutela dei minori (in radio e tv) e il diritto di rettifica. C’è poi la gestione delle conciliazioni, ovvero le controversie tra utenti e compagnie delle telecomunicazioni.

d: Qual è il flusso di lavoro in quest’ambito?

r: Ogni anno gestiamo circa tremila conciliazioni (definizioni), andate a buon fine, che finora hanno restituito agli utenti più di 200mila euro.

d: Come avvengono le segnalazioni degli utenti e cosa riguardano principalmente?

r: Avvalendosi della nostra piattaforma web, gli utenti inseriscono i loro dati e le motivazioni per le quali si sentono vessati dalle compagnie. Noi andiamo a verificare le motivazioni e –tramite il sito- mettiamo l’utente in contatto con la compagnia (nella persona del loro legale) e vediamo se riusciamo a conciliare le posizioni, e uscire con una definizione della controversia che soddisfi l’utente.

d: Di solito si riesce?

r: Sì, direi al 90%. Cosa si segnala principalmente? Beh, può accadere che dopo essere passati da un vecchio gestore di telefonia a uno nuovo, si ricevano ancora fatture dal primo. Pertanto noi ci interessiamo allo scopo di far restituire il “maltolto” al cittadino. Oppure ci sono questioni di assenza di segnale, o quelle riguardanti titolari di contratti “business”, che tuttavia non ottengono tutto quanto previsto dal pacchetto.

d: Possiamo dire che le compagnie sono solitamente ben disposte alla conciliazione?

r: Certo, anche perché la conciliazione è uno strumento che ha diminuito sensibilmente le controversie a livello giudiziario. Si può dire che il legislatore ci ha visto lungo. Al Co.Re.Com abbiamo due legali, due “definitori” per meglio dire, assunti per concorso, attraverso una graduatoria che si “scala” annualmente.

d: Veniamo all’argomento “caldo”, ovvero le elezioni, la campagna elettorale, la par condicio.

r: Il nostro compito è proprio la vigilanza sulla par condicio, monitorando le trasmissioni, affinché sostanzialmente diano a ciascun interlocutore politico lo stesso tempo. Ciò avviene attraverso l’affidamento a una società che effettua questi monitoraggi, fornendoci poi dei verbali, dei report, in cui certifica se è tutto ok o se invece è necessario intervenire.

d: Quindi questa società si avvale materialmente di persone che si mettono e guardano le trasmissioni con le tribune politiche, gli approfondimenti, le interviste, i telegiornali…

r: Sì, e ovviamente ci sono registrazioni su supporto fisico, che vanno a corredo dei report.

d: In certi periodi sono molte le segnalazioni circa le violazioni? Immagino che non manchino partiti che segnalano presunte irregolarità…

r: Sì, sì. Tempo fa è accaduto che, a livello regionale, un partito politico si fosse sentito discriminato, soprattutto dalla Rai locale, lamentando di aver ricevuto meno tempo rispetto ad altri, in alcune trasmissioni,. La società incaricata del monitoraggio ci ha dunque descritto –secondo per secondo- i tempi concessi ai vari personaggi politici: e così abbiamo potuto verificare che –paradossalmente- proprio la parte politica che aveva denunciato aveva avuto un minuto IN PIÙ rispetto alle altre!

d: In caso di violazione della par condicio cosa succede?

r: Noi siamo obbligati a segnalarla all’Agcom nelle 48 ore successive. Scatteranno a quel punto le verifiche, a seguito delle quali l’Agcom stessa potrà comminare una sanzione (ovviamente all’emittente, e non già al partito che ha “beneficiato” della violazione).

d: Quale altro tipo di segnalazioni “politiche” ricevete?

r: Quelle magari riguardanti la presunta violazione della par condicio su una pagina Facebook comunale, accusando il sindaco di averla usata in maniera “patronale”. Proprio di recente è accaduta una cosa del genere, ma abbiamo verificato che il primo cittadino in questione usava quella pagina per divulgare notizie che interessavano la sua comunità, e non a livello “politico”.

d: La preponderanza dei social ha sicuramente appesantito il lavoro dei Co.Re.Com, rispetto qualche anno fa.

r: Certo. Si sono allargate le maglie: Twitter, Facebook, Instagram… riceviamo segnalazioni da ogni dove, ma ovviamente prendiamo in considerazione solo quelle che, in effetti, meritano di essere verificate. Alcune infatti non hanno fondamento.

d: In politica c’è tanta cattiveria.

r: Esatto. E strumentalizzazioni. Come Co.Re.Com noi dobbiamo essere assolutamente super-partes, siamo i garanti della parità di condizioni e di opportunità.

d: Ovviamente le stesse regole si allargano alle tv online, che nascono come funghi…

r: Tv e radio. Noi monitoriamo tutte le emittenti radio e tv a livello regionale. Siamo attenti affinché venga rispettata la par condicio.

d: Una sua opinione personale: in generale, come si comporta la stampa in Basilicata?

r: Leggo e seguo con attenzione. E posso dire che a volte colgo una certa “iper criticità” rispetto ai fatti riguardanti le amministrazioni pubbliche, a vari livelli. La criticità è sicuramente una cosa positiva, ma credo sia anche giusto che quando è stata fatta una cosa buona, venga segnalata e sottolineata, a prescindere dai colori politici di turno. Insomma, come si suol dire, “Dare a Cesare quel che è di Cesare”.

d: Da presidente del Co.Re.Com, in questo momento particolare, c’è magari qualcosa che la “preoccupa” particolarmente?

r: Beh, non mi preoccupa, ma dal coordinamento nazionale dei Co.Re.Com ho ricevuto un incarico particolare (avendo dimestichezza a livello economico e di leggi): quello di armonizzare tutte le leggi regionali istitutive dei Co.Re.Com che ci sono in Italia. Il problema, infatti, è che ci sono delle discrasie enormi fra l’una e l’altra. Ho già fatto la mia proposta di legge per la Basilicata, che farà da linea guida per tutte le altre leggi regionali che andranno a essere modificate.

d: In conclusione: una indicazione, un consiglio da dare al cittadino lucano?

r: Anziché avviare cause che magari dureranno anni, avvaletevi della piattaforma del Co.Re.Com, e segnalate.

d: Quindi, “sfruttiamolo, questo Co.Re.Com”.

r: Esatto, tra l’altro la nostra piattaforma è bellissima e semplicissima (si accede tramite https://www.consiglio.basilicata.it/sottopagina-organismo.html?organismo=204733&sezione=204773 - ndr) e lì si può tranquillamente segnalare ciò che si sta “subendo”. Non costa nulla. In ufficio, inoltre, abbiamo degli addetti che si occupano della cosiddetta “utenza debole”, ovvero di coloro che non sono pratici di strumenti digitali: basta recarsi al Co.Re.Com, in Regione, e l’inserimento dei dati avverrà attraverso l’assistenza di un incaricato.

d: Il film che la rappresenta?

r: Beh, quello che mi piace di più è “Per un pugno di dollari”. Ho il dvd e me lo rivedo tre/quattro volte l’anno.

d: La canzone?

r: “Albachiara”, di Vasco.

d: Il libro?

r: “Incompreso”, di Montgomery.

d: Mettiamo che fra cent’anni al Co.Re.Com scoprano una targa a suo nome: cosa le piacerebbe ci fosse scritto?

r: “A colui che si è dedicato anima e corpo”…

d: …“Anima e Co.Re.Com”.

r: (Risate). Sì! “Anima e corpo dedicati al Co.Re.Com”.

 

 

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LO SPECIALISTA RISPONDE

Sei domande al dottor Domenico BILANCIA, Direttore del Dipartimento di Oncologia dell’Ospedale San Carlo di Potenza

“U
n nodulo, un sanguinamento o un sintomo anomalo, sono i principali campanelli di allarme che tutti i cittadini devono prendere in considerazione, per poi rivolgersi subito al medico”, è il primo consiglio del Dr. Domenico Bilancia, Direttore del Dipartimento di Oncologia dell’Ospedale San Carlo di Potenza, a cui abbiamo rivolto alcune domande.

d: Genere ed età influenzano l’incidenza dei tumori?

r: Certo, ci sono differenze, i tumori che conosciamo sono quelli della mammella che per ovvie ragioni è più frequente nel sesso femminile (solo l’1% sono ad appannaggio del sesso maschile); il tumore del polmone, che oggi tende a distribuirsi equamente tra i due sessi, come conseguenza della brutta abitudine del fumo degli ultimi decenni; infine il tumore del colon, che rientra nei tre principali capitoli dell’oncologia. Chiaramente, ci sono delle differenze per ragioni di natura anatomica, penso alla prostata e all’ovaio, oltre alla maggiore predisposizione. Un altro aspetto importante, sempre nelle differenze di genere, sono le risposte alle terapie condizionate da una serie di fattori genetici, per esempio il corredo enzimatico e quindi la metabolizzazione e la risposta ai farmaci. Tutte cose di cui in passato non si teneva assolutamente conto, i risultati venivano globalizzati, ma oggi meritano maggiore attenzione. Esistono poi dei tumori rari, penso ai sarcomi, che vanno indirizzati in Centri ad alto volume perché solo lì è presente una expertise adatta per gestirli sia dal punto di vista medico che chirurgico. C’è stato invece un cambiamento epocale in alcuni tumori, penso per esempio al melanoma, che era un tumore assolutamente raro soprattutto alle nostre latitudini fino a qualche anno fa, oggi invece è anche questo frutto dei cambiamenti degli stili di vita: i vecchi contadini Lucani certamente non andavano al mare e non si esponevano ai raggi del sole così come avviene oggi, spesso in maniera sbagliata, ovvero nelle ore principali di soleggiamento, causando l’aumento significativo dell’incidenza del melanoma, tanto da diventare la sesta o settima neoplasia più frequente tra le patologie rare.

d: Fumo, sole, smog e alimentazione sono quindi gravi fattori di rischio o credenze diffuse?

r: Per alcuni fattori, è ormai acclarato il rapporto causa-effetto, nessuno al mondo credo abbia più dubbi sul fatto che il fumo aumenti a dismisura il rischio di contrarre non solo tumori delle vie respiratorie, ma anche digestivi, della vescica, del pancreas, e anche la cervice uterina è collegata al fumo, se non altro perché si associa ad un modello particolare di vita e scarsa igiene. È un po’ meno facile dimostrare il rapporto con le abitudini alimentari, connesse a un aumento di incidenza del tumore al pancreas, anche detto“tumore del benessere” perché negli ultimi anni soprattutto nelle società opulente occidentali, la disponibilità calorica è aumentata in maniera spropositata, così come l’aumento del consumo di cibi grassi o ricchi di proteine. Quando facevo il tirocinio di chirurgia a Pisa, mi veniva raccontato che il tumore del pancreas era una neoplasia rara e ad appannaggio delle fasce avanzate di età, cioè dopo gli ottant’anni: oggi non solo non è più così raro, ma come mi raccontava il collega che segue il tumore al pancreas, solo nei primi mesi di quest’anno abbiamo affrontato una cinquantina di casi, dato che dà le dimensioni del problema.

d: Per quanto riguarda invece la genetica, bisogna aprire un capitolo a parte…

r: Oggi si va sempre di più verso gli screening genetici, ma devono ricorrere i criteri giusti per poterli effettuare, per esempio: più casi in una famiglia di uno stesso tipo di tumore, o differenti con una relazione tra di loro, per il rischio della presenza di alcune mutazioni. È il caso del gene BRCA, importante nei processi di riparazione del DNA; ma se questo sistema non funziona, esponiamo il nostro organismo al persistere di mutazioni che possono essere ereditate. Per capirci, è il caso di Angelina Jolie, che a un certo punto è dovuta ricorrere a un intervento profilattico di mastectomia per evitare di correre il rischio della mamma, nonna, zia e sorella, cioè il tumore della mammella e dell’ovaio.

d: Si legge spesso che le terapie oncologiche sono costose: come si conciliano costi elevati con il diritto alle cure?

r: Intanto in Italia dobbiamo essere grati per il nostro sistema sanitario, equo e da invidiare, poiché garantisce a tutti i cittadini del territorio nazionale l’accesso alle cure. Osserviamo poi con molta attenzione i meccanismi di approvazione di un farmaco, perché la spesa farmaceutica è un gravame sui bilanci dello Stato: non siamo come i tedeschi o i francesi che hanno un sistema misto, dove esistono le assicurazioni e quindi il cittadino che dispone di soldi, acquista i farmaci in autonomia. Noi dobbiamo fare i conti con una società non così opulenta e quindi cercare di distribuire le nostre risorse equamente tra tutti i cittadini; tra l’altro è garantito l’accesso alle cure anche ai cittadini stranieri. In questo momento, per esempio, abbiamo un paziente ucraino ricoverato con melanoma, che sicuramente effettuerà delle cure costose.

 

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d: In medicina si parla tanto di prevenzione, in Basilicata quanto se ne fa in termini di screening oncologici?

r: Siamo una regione virtuosa, perché abbiamo fatto il primo screening a carattere regionale in Italia. Gli screening devono chiaramente essere validati dal punto di vista scientifico, cioè devono avere un ritorno in termini di intercettazioni di casi tumorali, altrimenti è uno spreco di risorse inutile. Negli ultimi anni abbiamo avuto un po’ di difficoltà dovute a problemi organizzativi legati alla pandemia che ha limitato l’accesso agli screening. Sono validate dal punto di vista scientifico quindi anche le fasce d’età a cui vengono offerti, il tutto nasce da valutazioni di carattere scientifico: fare un esame di sangue occulto a un trentenne non ha molto significato, perché è altamente improbabile che possa sviluppare un tumore del colon; così come fare una mammografia a una giovane donna con età inferiore a 40 anni potrebbe non evidenziare assolutamente niente; ma dai 45 anni in poi diventa uno strumento importante per diagnosticare precocemente la presenza di una lesione sospetta. Gli screening validati sono quello mammografico, con sangue occulto integrato dall’endoscopia per il colon retto, e poi c’è quello della cervice uterina, tumori in passato molto frequenti, ma l’avvento del banalissimo Paptest ha permesso di individuarli precocemente. Oggi è in via di validazione lo screening per il tumore polmonare, rivolto a una popolazione a rischio con una storia di fumo prolungato; il monitoraggio annuale con la tac a bassa emissione radioattiva, consente di seguire l’andamento di piccoli noduli che dovessero svilupparsi nei polmoni, ed eventualmente agire chirurgicamente nei tempi.

d: Il rapporto medico/paziente in oncologia, tappa delicata nella vita di una persona, come si affronta?

r: Il momento della comunicazione della presenza di un tumore in un paziente è un evento drammatico, molto complesso, perché sconvolge l’esistenza del paziente. Non ci sono degli strumenti assoluti ed efficaci, molto spesso nasce dalla sensibilità del medico e dalla capacità di leggere il dramma della persona che ha di fronte. La comunicazione deve essere adattata volta per volta, partendo naturalmente dal presupposto che il paziente è in una condizione di inferiorità in quel momento e che tutte le possibili "prevaricazioni" (dettate da fretta, mal disposizione in una giornata), possono essere lesive della condizione del paziente. Bisogna sforzarsi di essere sereni e tranquilli nel comunicare determinate cose, essere precisi, non inventare storie; non bisogna necessariamente fare i "buonisti", ma essere seri e dare le giuste notizie, senza però buttare addosso le diagnosi con crudezza, risultando estremamente distruttivi. Bisogna essere particolarmente attenti.

(a cura di Antonella Sabia)

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