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di Antonella Sabia

 

 

 

 

“Mens sana in corpore sano”, si dice sin dai tempi dei latini. Fare sport fa bene a tutti, e non solo dal punto di vista salutistico, in particolar modo per gli adolescenti, è fondamentale anche per combattere tutte le forme di apatia, aggressione, e distoglierli dai vizi e tutte le tecnologie di cui oggi sembrano non poter più fare a meno. E quando questo diritto viene negato, chi dovrebbe assumersi delle responsabilità? Torniamo a parlare oggi, di una questione che, sempre su queste pagine, venne trattata dal nostro caro AstroNik, che si era interessato della palestra dell’Istituto “Da Vinci-Nitti” di Potenza, in fase di progettazione. A distanza di tre anni, sempre con la professoressa Mariolina Camardese, torniamo sull’argomento, e ci spiega che tutto è rimasto pressoché invariato. “L’Istituto Nitti non ha mai avuto una palestra, dopo l’accorpamento con il Da Vinci, edificio costruito ex novo, si parlò tanto di questa palestra, che però, non è mai stata costruita benché avessero fatto il progetto, lo avessero approvato con un costo stimato sui 900.000 €”, ci riassume la prof. Camardese. “Questo impegno spesa, ad oggi non sappiamo a quanto è ammontato perché ci sono stati una serie di ricorsi da parte di alcune ditte, con il risultato che ancora oggi questa palestra non esiste. Da quando c’è stato questo accorpamento e quindi ci siamo trasferiti in questo nuovo edificio, gli alunni non godono di una palestra, viene leso quindi il diritto degli studenti, addirittura mi chiedo se non ci possa essere anche un’interruzione di pubblico servizio, poiché si tratta di scuola pubblica, e verrebbe meno quanto riportato nel terzo comma dell’Art. 32 della Costituzione (in materia di svolgimento dell’attività sportiva e ricreativa, attraverso strumenti idonei a garantire l’esercizio libero e gratuito dell’attività)”.

Ci siamo interrogati dunque su come viene svolta l’attività fisica da parte di questi studenti, che da anni non prendono parte a Campionati Studenteschi, non imparano cosa siano la competizione e l’agonismo, ma soprattutto viene meno anche l’idea di sport come risorsa economica di una intera città.“Prima del COVID, avevamo avuto la palestra Caizzo, che riuscivamo a raggiungere grazie alla Provincia che ci aveva messo a disposizione degli autobus - ci dice la prof. “ma attenzione, Comune e Provincia fecero una convenzione poiché le scuole superiori sono sotto l’egida della Provincia, che paga una cauzione per l’utilizzo dell’impianto sportivo, quindi siamo di fronte a una prima spesa; dopodiché la Provincia si vede costretta ad impiegare ulteriori risorse, per mettere a disposizione degli studenti degli autobus che consentono loro di spostarsi dal plesso scolastico a quello sportivo. Ovviamente parliamo di soldi pubblici, ritengo quindi che ci sia uno spreco sotto tutti i punti di vista. Proprio nei giorni scorsi mi sono interfacciata con l’ingegner Spera della Provincia: pare che il Consiglio di Stato è fermo da due anni su questo contenzioso che riguarda l’approvazione del progetto della palestra e quindi la vittoria della gara d’appalto”.

Oggi però per questi studenti si sono chiuse anche le porte della Caizzo, infatti dice la professoressa che “la scuola è cominciata a metà settembre, ma a tutt’oggi siamo privi di palestra, e pascoliamo il gregge (“mi sento un pastore adesso”, dice ironicamente) al Parco Mondo, dopo aver fatto la teoria in classe, e giustamente i ragazzi di questo sono stanchi. Essendo stata anche Coordinatore regionale di scienze motorie della Basilicata, mi piacerebbe poter fare lezione nel vero senso della parola, abbinare alla pratica anche la teoria, perché ogni cosa ha una sua spiegazione nel mondo della fisica. Il corpo è un motore che risponde a tutte le leggi della dinamica e quindi della fisica”.

Chiediamo se invece ci sono altre possibilità sul territorio, dice: “Sicuramente a Potenza ci possono essere altre soluzioni, ma il problema rimane sempre il trasporto, è stato lo stesso ingegner Spera a riferirmi che una ditta aveva vinto la gara, ma a fronte di un rialzo talmente alto, la Provincia non ha potuto più sostenere tali costi, anche alla luce dell’incremento energetico. Parrebbe che con il bilancio attuale, questi soldi sono stati trovati e quindi dovrebbero tornare a garantirci il trasporto per andare nuovamente alla Caizzo, perché altre scuole di Potenza dotate di palestre (che potrebbero mettere a disposizione i loro plessi), durante i Consigli di Istituto deliberano negativamente. Accade perché le palestre delle scuole, negli orari pomeridiani, sono messe a disposizione delle società sportive che ne fanno richiesta, proprio perché non sono di proprietà della scuola, ma degli Enti”.

Una triste realtà che viene accettata passivamente, nonostante anni e anni di solleciti, richieste di impegno.

Premetto che andrò in pensione da settembre, quindi questa cosa potrebbe anche non interessarmi, ma in quanto insegnante e donna impegnata nel mondo dello sport, ritengo non sia giusto quanto accade nelle scuole, anche alla luce di quel tanto chiacchierato titolo di Città europea dello sport. Non ci si rende conto che si sta negando un diritto agli studenti: ancor di più, perché lo sport è fondamentale per evitare tanti comportamenti che oggi di frequente interessano i ragazzi, in particolare dopo questi anni di COVID”, conclude la professoressa Mariolina Camardese.

 

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di Walter De Stradis

 

 

 

Il suo motto è «Sciam ‘nnand», e lo riferisce anche alla sua strana esperienza al Comune di Avigliano (Pz), che l’ha vista prima nominata, poi estromessa dalla giunta («Ancora oggi non ne conosco i motivi»), e poi subito richiamata in servizio all’Assessorato alla Cultura («grazie al sostegno del nuovo gruppo misto consiliare, “Avigliano 2.0”»). Trentanove anni, con un cognome importante, Angela Maria Salvatore è una figura culturale da tempo in ascesa, essendo –fra le altre cose- anche direttrice della rivista scientifica (“Leukanikà”) del Circolo Culturale “Silvio Spaventa Filippi”, nonché responsabile stampa del prestigioso concorso letterario da questo organizzato, il famoso “Premio Basilicata”.    

d: Come giustifica la sua esistenza?

r: Tramite un constante bisogno di apprendere e di pormi sempre degli obiettivi. Cercando di non sentirmi mai “arrivata”, bensì in costante evoluzione.

d: Togliamoci subito il dente: lei era già molto attiva nel settore culturale quando –un paio di anni e mezzo fa- è entrata in politica ed è stata nominata assessore al comune di Avigliano; tuttavia sui social non mancò chi malignò: “Grazie, è la nipote di Donato Salvatore!”.

r: Rispondo che SONO la nipote di Donato Salvatore, ma che mi sono candidata in una lista civica che si chiama “Avigliano 2020-2025”, per dare un contributo alla mia comunità. La mia candidatura nasce con quel motivo, e non perché sono la “nipote di”. Semplicemente ho ritenuto di aver maturato, nel corso del tempo, una serie di relazioni e di competenze che potevano essere messe a frutto per Avigliano (che aveva bisogno di un rilancio dal punto di vista culturale). La politica per me era un mondo lontano, provenendo in realtà dell’associazionismo.

d: La polemica vecchia come il mondo: “Con la Cultura si mangia o no”?

r: Io penso che si mangi. Cioè, se si riesce davvero a costruire un percorso. Spesso il problema della nostra regione è che si confonde la Cultura con una mera forma di intrattenimento e non come strumento di sviluppo. Ma soprattutto la Cultura aiuta a vivere, a far sì che ci sia una coscienza critica costante.

d: E lei cosa ha fatto di concreto perché queste parole si tramutassero in fatti?

r: Ho cercato di sollecitare la mia comunità, forse anche in maniera “pressante”, con presentazioni di libri; ho cercato di ricongiungere l’Amministrazione alla Scuola, tramite il coinvolgimento degli studenti; ho dato il via a una biblioteca all’interno del Comune, grazie al sostegno della Regione Basilicata, che presto verrà completata in virtù del finanziamento di circa 50mila euro concesso da Bardi. Il Governatore ha da subito colto l’idea: non solo un luogo di consultazione di libri, ma di confronto costruttivo, anche tra generazioni.

d: In questa nuova biblioteca ci andranno a lavorare nuove persone?

r: Io l’ho immaginata anche come uno spazio che possa essere, in futuro, un’occasione di lavoro, favorendo magari la nascita di cooperative, che possano promuovere corsi di lettura ad alta voce, per esempio. Insieme alla “Tommaso Clpas” –che però è della Società Operaia- potrebbe essere il volano di un Polo Bibliotecario della Città. Il mio impegno è rivolto a far sentire i nostri giovani fieri di essere di Avigliano: lì sono nati Silvio Spaventa Filippi, Tommaso Claps, il poeta Antonio Labella. Sì, è la comunità dei giuristi, ma anche di tanti intellettuali, spesso dimenticati dalle nuove generazioni.

d: Mi sembra però che gli Aviglianesi facciano un costante vanto dei loro illustri compaesani, specie quando sono qui a Potenza, anche con una certa “supponenza” (affermano di essere loro “La Capitale”).

r: (Ride) Più che “supponenza” la definirei un giusto sentimento di orgoglio, che dovremmo avere tutti, e che si poggia su quelle figure storiche, ma anche sul fatto che in passato, dal punto di vista politico, siamo stati espressione di grandi personalità. Prenda Vincenzo Verrastro, la cui statua è posta di fronte alla Regione Basilicata. Ma penso anche a Tommaso Morlino…

d: Non c’è un po’ di invidia nei confronti del Capoluogo, a volte? Ricordo un concerto in piazza dei Tiromancino, che dal palco si sbagliarono e dissero “Ciao Potenza!”, rischiando quasi di venire linciati dal pubblico aviglianese!

r: (Ride). Beh, sì, purtroppo c’è questa “usanza”, ma credo che poi si sia superata nel tempo, dato che siamo sempre più vicini al Capoluogo, sia dal puto di vista dei collegamenti, sia in virtù di uno scambio continuo, che c’è.

d: Ha detto che ad Avigliano presentate tanti libri: ma la gente ci viene, se li compra…?

r: Ci sono alcune presentazioni molto riuscite, altre un po’ meno, ma sono fiduciosa sul fatto che quei libri si leggano, dopo acquistati.

d: Lei è la direttrice di una rivista letteraria, legata a un premio letterario: è d’accordo con chi afferma che in Basilicata ci sono più scrittori che lettori?

r: Ho visto un proliferare di scrittori negli ultimi anni e temo che questo sia vero, e cioè che il numero di lettori si restringa sempre più, soprattutto fra quelli che conoscono la cultura lucana e i nostri scrittori. E’ come se la Basilicata venisse ritenuta una realtà che ha poco da esprimere, e non è certo così. E’ come se i nostri scrittori, saggisti e storici, fossero considerati “minoritari” rispetto a quelli di rilievo nazionale.

d: E questo si verifica quando vai in libreria e il saggio dell’autore lucano, che magari tratta di Einstein, lo trovi comunque quasi sempre nella sezione “libri locali”, e non in quella dei “libri scientifici”..

r: Ecco. Noi come Circolo Spaventa Filippi cerchiamo sempre di promuovere gli autori lucani.

d: E qui arrivano le dolenti note. A Potenza, in particolare, spesso si parla di circoli culturali un po’ “chiusi”, dove vengono invitati sempre gli stessi, i premi sono un po’ troppo “esterofili”, con poca attenzione alle risorse locali, specie quelle giovani. Anch’io, sono sincero, a volte ho pensato questa cosa, anche in riferimento al Premio Basilicata, che è comunque un prestigioso premio nazionale, con personaggi nazionali…

r: …no, non credo sia così. Il fatto che sia un Premio di rilievo nazionale, che ha una giuria nazionale, totalmente indipendente dai componenti del Circolo, è chiaro che porti a pensare che gli autori premiati -nella narrativa e nella saggistica storica- siano delle figure eminenti del panorama culturale italiano. Tuttavia, ci sono anche delle sezioni specifiche PER la Basilicata, come la saggistica storica lucana, il Premio “Città di Potenza”, destinato a giovani ricercatori che altrimenti sarebbero poco conosciuti. Credo sia uno spazio importante.

d: Più in generale, crede che la Cultura in Basilicata sia meritocratica?

r: SPERO che lo sia. Almeno, io mi adopero per questo, e per ciò che ho potuto vedere con la mia esperienza nel Premio Basilicata (in riferimento alle figure chiamate a valutare), i metodi utilizzati sono meritocratici e obiettivi.

d: A Potenza ci sono state delle polemiche per il mancato Concerto di Capodanno in Centro, però neanche ad Avigliano c’è stato…

r: No, non c’è stato. Parlo da amministratrice alle prime armi e che non ha mai frequentato un partito politico: dal nostro lato, il primo problema col quale ci si scontra è sempre quello delle risorse economiche. L’anno scorso tentammo di fare un Capodanno in piazza Gianturco, mettendo in campo anche investimenti personali, ma le restrizioni Covid non lo resero possibile. Ma i propulsori di queste attività sono le associazioni.

d: Qui a Potenza la polemica è stata anche questa: si potevano coinvolgere associazioni che magari l’avrebbero fatto gratis.

r: Noi le abbiamo coinvolte, abbiamo fatto un cartellone di eventi natalizi, ma da nessuna di loro è arrivato un input per fare un concerto di Capodanno. Tante proposte, ma nessuna di quel tipo.

d: Lei oggi è assessore alla Cultura al Comune di Avigliano, ma se fra dieci anni ricoprisse questo ruolo –chessò- alla Regione…?

r: Innanzitutto penso proprio che bisognerebbe ripristinare l’Assessorato alla Cultura alla Regione Basilicata. Da operatrice del Circolo mi sono resa conto che quando l’assessore c’era, l’interlocuzione era più semplice e più veloce. A mio avviso, andrebbe fatto un migliore e maggiore coordinamento con tutti gli operatori del settore artistico-culturale, andando a rintracciare le specificità territoriali e turistiche, mettendole a sistema in un meccanismo di promozione e conoscenza più ampio. Spesso siamo noi Lucani per primi a non conoscere le nostre cose. Immagino da sempre una “mappatura” dei gruppi musicali, degli artisti sul territorio, ma anche e soprattutto un “database” -per mantenere un rapporto più stretto, con scambi di proposte- circa le nostre eccellenze che vivono al di fuori della Basilicata.  

d: Matera 2019: occasione colta in pieno no?

r: Colta in pieno, per Matera. Lo meritava, ma è rimasta relegata lì. Non si è costruito nulla attorno a un evento che riguardava TUTTA la Basilicata.

d: Se potesse prendere Bardi sottobraccio, cosa gli direbbe?

r: Come già ho avuto modo di verificare da vicino, di continuare a investire sul mondo Culturale (come nel caso della recente candidatura Unesco della Via Appia). Inoltre, visto che attualmente la delega alla Cultura è sua, gli chiederei di continuare ad ascoltare gli operatori del settore. Ho notato che lui ascolta molto, è silenzioso, ma operativo.

d: Dicevamo che lei è di Avigliano, città di giuristi: cosa "condannerebbe" senza appello?

r: Il fatto che la “meritocrazia” qui in Basilicata sia soltanto un termine di cui si è abusato. Ciò ha provocato un vero “dissanguamento” di risorse. Lo vedo nella mia comunità: spesso mi viene in mente di chiamare qualche professionista per un incarico, ma poi mi ricordo che non abita più qui.

 

 

 

 

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di Walter De Stradis

 

 

 

 

Il Commissario di Polizia in pensione (pluri-decorato con medaglie ed encomi vari, nonché Segretario Nazionale dell’Associazione Ispettori), Gianfranco Di Santo è da tempo anche scrittore.

Dopo essersi occupato di Brigate Rosse (“Le Verità Nascoste - Il Terrorismo Rosso in Italia”, 2008), e di reparti speciali (“Sicut Nox Silentes” 2021), per il suo ultimo libro ha deciso di dar corpo alla “sua verità” («che E’ la verità», afferma), sul caso del Commissario Anna Esposito, dirigente della Digos di Potenza trovata morta nel suo alloggio (presso la caserma “Zaccagnino”, in via Lazio), in circostanze quantomeno insolite (appesa alla maniglia della porta del bagno con una cintura stretta al collo), nel marzo del 2001.

Rimandando i lettori a un migliore, eventuale approfondimento, tramite la lettura del testo di Di Santo (“Il Commissario Anna Esposito”), con l’autore abbiamo più che altro cercato di far emergere quelle che possono essere questioni di natura più generale, ancora oggi urgenti per le forze dell’ordine.

d: Perché, dopo che si è scritto così tanto, e che il caso di Anna Esposito è stato ri-aperto e ri-chiuso, definitivamente (con l’archiviazione, ormai anni or sono, delle accuse nei confronti dell’unico indagato, il giornalista che aveva avuto una relazione con lei, e che è risultato estraneo alla vicenda - ndr), lei ha voluto tornarci sopra con questo libro?

r: Io ero il suo vice alla Digos, e la conoscevo benissimo, dal giorno in cui arrivò alla questura di Potenza. Era una persona davvero in gamba. Arrivò direttamente dalla Scuola Superiore di Polizia, ma aveva già avuto esperienze con la pubblica amministrazione, avendo ricoperto il ruolo di segretario comunale a Sant’Angelo Le Fratte. Perché questo libro? Perché non mi è piaciuto ciò che è stato scritto altrove, con ipotesi fantasiose, presenti in un altro testo, in particolare.

d: Si riferisce alla tesi dell’omicidio.

r: Esatto. Io fui tra quelli che trovarono Anna Esposito impiccata nel suo alloggio. Ripeto, la conoscevo bene, all’epoca passavo più tempo in ufficio che a casa con la mia famiglia.

d: Lei scrive che, come già ritenuto dalla magistratura, si tratta effettivamente di suicidio.

r: E’ASSOLUTAMENTE un suicidio. Io con questo libro ho voluto scrivere la mia verità. Che E’ la verità. Anna apparentemente sembrava una persona molto forte di carattere, ma non era così. Aveva vissuto, come un primo fallimento della sua vita, il matrimonio naufragato. Inoltre, una volta arrivata alla questura di Potenza, non tutti l’accolsero benevolmente, anzi, c’era molta invidia da parte di alcuni suoi colleghi funzionari; dopo un primo periodo di affiancamento, infatti, il Questore le aveva dato in carico la direzione della Digos di Potenza, uno degli incarichi più prestigiosi. Questo suscitò le invidie di alcuni colleghi più anziani che dirigevano uffici meno importanti. Anche il fatto che lei fosse molto preparata dal punto di vista giuridico suscitava delle invidie.

d: Anche perché era una donna?

r: No, questo non c’entra niente. In Polizia le donne ci sono dal 1981. Tuttavia, il questore fu sostituito da un altro, più anziano, prossimo alla pensione, che era assai influenzato da una moglie che non aveva molto in simpatia la Esposito. Di conseguenza, non l’ebbe in simpatia neanche lui e le rese la vita davvero difficile, sovente riprendendola. Nel libro io lo scrivo a chiare lettere, senza tema di smentite: sono tutte cose che possono essere confermate (alla Digos eravamo in quindici) e che ho riferito anche al magistrato, a margine del ritrovamento del corpo di Anna.

d: Insomma, in questura non c’era un clima facile.

r: No. Poi lei conobbe Luigi Di Lauro, giornalista Rai, se ne innamorò, e inizialmente sembravano felici, tanto che, a un certo punto, decisero di andare a convivere in una villetta. Mi rimase impressa la loro cucina blu, perché in quella casa ci andavo spesso, con mia moglie e mia figlia, che era coetanea di una delle due figlie di Anna. Lei era davvero una brava persona, sempre pronta ad aiutare gli altri...

d: Lei insomma dice che alla base del suo gesto c’erano forti delusioni affettive e problemi professionali.

r: Sì, sul piano sentimentale c’era il matrimonio fallito. Sul piano lavorativo, in questura addirittura lei iniziò a trovare, in ufficio o nella sua borsa, addirittura dei bigliettini denigratori, anonimi. Chi altri poteva metterli? Se non uno della Digos, anche se magari scritti da altri? Sono tutte cose dette al magistrato e messe agli atti. Poi, dopo essersi buttata a capofitto nella storia d’amore con Di Lauro, anche questa, come a volte succede, naufragò. Un’ennesima delusione, quindi: Anna, che aveva già un carattere non molto forte, si vide crollare il mondo addosso.

d: Nel libro lei critica il comportamento del cappellano della questura di allora, che –secondo quanto lei riporta, e che sarebbe agli atti- avrebbe raccolto le confessioni di Anna Esposito. Lei dice: sarebbe stato molto più utile, a quel punto, il sostegno di uno psicologo. Ci faccia capire: in Polizia, a parte le visite iniziali, non c’è poi l’assistenza di uno psicologo?

r: A seguito di un accordo Stato-Chiesa, in tutte le forze dell’ordine e nelle forze armate, ci sono i cappellani “militari”. Anche noi avevamo il nostro, don Pierluigi Vignola, per l’assistenza spirituale dei poliziotti e delle loro famiglie. Anna Esposito parlò con lui di questi suoi disagi, e gli confidò di aver già tentato il suicidio in passato, con le stesse modalità poi verificatesi. Quando gli fu contestato di non averlo detto alla famiglia o al questore, lui affermò che ciò gli era stato impedito dal segreto confessionale. Allora dico io: a cosa serve l’assistenza spirituale nelle forze dell’ordine? A niente, se poi i risultati sono questi! Noi facciamo una visita dallo psicologo, non appena arruolati. Dopodiché, io che sono stato in Polizia per quarant’anni, non sono stato mai più visitato, né da psicologi, né da psichiatri.

d: Oltretutto, se uno non è cattolico, con chi parla?

r: Con nessuno.

d: Lei è stato anche nel sindacato…

r: Sì, sono stato nell’Associazione Nazionale Ispettori.

d: Qual erano dunque le problematiche che emergevano principalmente, e che magari ci sono ancora oggi?

r: Noi abbiamo bisogno di visite psicologiche, addirittura anche psichiatriche, durante TUTTO il percorso della carriera! Noi vediamo tutto ciò che c’è di negativo a questo mondo: morti ammazzati, bambini violentati, donne picchiate. Questa è la nostra realtà di tutti i giorni. Un mio collega, compagno di corso, che prestava servizio alla POLFER di Bologna, dopo aver assistito alla strage dell’Italicus, dopo aver visto quel macello, la sera tornò in caserma e si suicidò! Non resse allo stress. Poliziotti, carabinieri e finanzieri, sono sottoposti QUOTIDIANAMENTE a stress. Esci fuori e devi dar conto alla gente, stai dentro, e devi dare conto ai superiori: un poliziotto, come fa fa, sbaglia. Pertanto, credo che un cappellano in ogni questura, abbia un costo per lo Stato, di milioni e milioni. Quelle stesse cifre potrebbero essere spese per l’assistenza psicologica in ogni questura. Io posso essere anche credente, ma non mi va di raccontare i fatti miei al cappellano: quel che serve è un’assistenza psicologica e, ripeto, nei casi più gravi, anche psichiatrica. E si potrebbero evitare centinaia di suicidi nelle forze dell’ordine e nelle forze armate. Una ricerca ci dice quella del poliziotto rientra nelle categorie lavorative maggiormente a rischio di condotte suicidiarie, con percentuali di suicidio più elevate rispetto alla media generale della popolazione civile.

d: Un ultimo passaggio sul libro (chi vuole approfondire può recarsi in libreria, ovviamente): in passato si è letto di possibili collegamenti del caso Esposito con alcuni altri cosiddetti “misteri lucani”, il caso Claps e quello dell’omicidio dei coniugi Gianfredi, ma lei smentisce anche questi collegamenti.

r: La Digos si occupa di antiterrorismo, di tutela dell’ordine pubblico. E’ la competenza di tutte le Digos d’Italia. La competenza sulla criminalità comune, su quella organizzata, su omicidi e rapine, è della Squadra Mobile.

d: Lei dice insomma che Anna Esposito non stava indagando su quelle faccende.

r: Assolutamente no. La Digos di Potenza, dico anche questo senza paura di essere smentito, non ha mai –e dico mai- svolto indagini sul caso di Elisa Claps o dei coniugi Gianfredi. E’ vero, svolgemmo un’attività d’indagine sul movimento politico di Forza Nuova…

d: …anche questa chiamata in causa dalle ipotesi giornalistiche…

r: …sì, ma non erano emersi elementi così gravi da giustificare un omicidio.

d: A parte il caso di Anna Esposito, ovviamente, c’è stato qualche altro episodio lavorativo che l’ha segnata?

r: Potrei raccontarle centinaia e centinaia di casi, tutti brutti. Sono stato cinque anni all’antiterrorismo a Roma, e ho visto tanti morti ammazzati dalla Brigate Rosse, da Prima Linea. Diciamo che Potenza è una città …“più tranquilla”, ma vaglielo a dire alla famiglia dell’agente Tammone! Lui faceva servizio al reparto scorte di Palermo, scortava i magistrati, e non gli successe niente; poi venne nella città “tranquilla” e fu ucciso, sparato da un pregiudicato. Non esiste, per un poliziotto, il “posto tranquillo”. Anche nel paesino piccolissimo qualcuno può perdere la testa e sparare. E tu puoi trovartici in mezzo.

d: Se dovesse dare un consiglio a un giovane che vuole entrare in polizia?

r: Quello del poliziotto è il mestiere più bello che possa esistere. Sin da piccolo avevo questo sogno, anche se i miei genitori si opposero in ogni maniera. Sa, quando entrai io, nel 1978, le Brigate Rosse ammazzavano poliziotti, carabinieri e giornalisti, uno a settimana. Tuttavia ci sono riuscito: sono entrato come agente semplice e sono andato in pensione da commissario. Però è un lavoro che va fatto con passione, perché è pieno di sacrifici. Ogni momento può essere quello buono perché ti accada qualche cosa. Non puoi mai prevederlo. Noi, i guai, ce li andiamo a cercare, per lavoro. Noi andiamo dove c’è bisogno. Ricordo che come primi stipendi prendevo meno di un operaio Fiat; poi, iniziarono i morti, uccisi dalle Brigate Rosse, e contestualmente le domande di dimissioni dal Corpo e dalle forze armate. A migliaia. Per fermare questa ondata, a ogni morte, il Governo ci dava un aumento di cinquantamila lire. Insomma, si può dire che dobbiamo dire grazie ai nostri colleghi ammazzati, se poi abbiamo avuto stipendi dignitosi!

 

 

 

 

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LAVELLO -La Fondazione Alessandra Bisceglia ViVa Aleoffrirà anche quest’anno a giovani lucani dai 18 ai 28 anni d’età, la possibilità di svolgere nella sede di Lavello un’importante esperienza formativa di Servizio civile. L’intento è quello di selezionare due operatori volontari a supporto delle tante attività che vengono svolte a sostegno delle persone affette da patologie rare e dei loro familiari. Gli interessati dovranno candidarsi al bando di Servizio civile universale - pubblicato sul sito ministeriale del Dipartimento per le Politiche Giovanili (www.serviziocivile.gov.it) - aderendo al progetto “Una rete per il malato oncologico - Riabilitazione, orientamento e accompagnamento ai servizi 2023”, nell’ambito del settore di intervento “Pazienti affetti da patologie temporaneamente e/o permanentemente invalidanti e/o in fase terminale”.

Il progetto in questione è realizzato dalla Favo, la Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia, alla quale la Fondazione Alessandra Bisceglia è federata dal 2011.

La durata del Servizio civile è di 12 mesi con un impegno di 25 ore settimanali. Gli aspiranti operatori volontari dovranno presentare la candidatura entro e non oltre le ore 14 del 10 febbraio 2023, esclusivamente attraverso la piattaforma di domanda online raggiungibile tramite pc, tablet e smartphone all’indirizzo https://domandaonline.serviziocivile.it.

Le candidature inoltrate telematicamente verranno ricevute direttamente da Favo, che si occuperà della valutazione dei titoli di ogni aspirante operatore, mentre la Fondazione Alessandra Bisceglia ViVa Aleprovvederà ai colloqui di selezione.

Per ogni ulteriore informazionesono a disposizione il sito internet della Fondazione Alessandra Bisceglia (www.fondazionevivaale.org), da cui è possibile scaricare anche il bando con la scheda sintetica di progetto, l’indirizzo di posta elettronica (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) e i seguenti numeri telefonici: 097281515; 3391601371.

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di Walter De Stradis

 

 

 

Dicono che Giuseppe Raffaele, siciliano, fresco 47enne, allenatore del Potenza Calcio, sia un tipo taciturno. Il silenzio è “d’oro” è vero, ma a leggere le sue parole, forse mai così “aperte”, si scopre un mister che è ben consapevole che, qui da noi, la vera riserva “aurea” di questo sport, è la passione a 24 carati di una intera Città.

d- Come giustifica la sua esistenza?

r - Bella domanda (ride). Grazie a mia madre e a mio padre. Ho sempre cercato di essere una persona onesta, diretta, vivendo con gioia, e seguendo i principi dei miei genitori e quelli propri della cultura in cui sono cresciuto.

d- Lei è siciliano. I suoi genitori cosa facevano?

r - Mia madre, adesso in pensione, era impiegata al Comune. Mio padre è nato barbiere, ma poi è andato a lavorare all’Acquedotto.

d- E lei invece quando ha capito che il calcio sarebbe stato la sua vita e il suo lavoro?

r - Il calcio è nato insieme a me, credo. I miei genitori mi raccontano che sin da piccolo ero sempre alla ricerca di una palla; pensi che, siccome mia madre mi aveva vietato di giocare a pallone in casa, io staccavo la testa alle bambole di mia sorella per giocare lo stesso!

d- Immagino le proteste di sua sorella.

r - Molte, moltissime (ride). Comunque ho studiato, mi sono diplomato, ma poi la passione ha prevalso; anzi, già a sedici anni andai via da casa per seguire quello che poi è diventato un lavoro.

d- Aveva un mito, una guida in particolare?

r - No, questo no. Se mi chiede un giocatore che adoravo, è Van Basten.

d- C’è qualcuno a cui deve dire “grazie”?

r - Grazie lo devo dire a tutti, in primis ai miei genitori, perché mi hanno sempre insegnato il valore del sacrificio, della meritocrazia, del non mollare mai. Non ho fatto una carriera strepitosa, ma ho sempre cercato di lavorare al meglio delle mie possibilità. Nel calcio, devo dire “grazie” a tutti i presidenti e gli addetti che mi hanno dato fiducia, sia come giocatore, sia come allenatore.

d- Specie nelle città come questa, in cui c’è molto fervore popolare su questo sport, l’allenatore della squadra di calcio è un po’ come il sindaco. Non trova?

r - Vabè, ma chi sceglie questo mestiere lo mette già in preventivo. Se ti spaventa la pressione non puoi fare questo lavoro: ci devi convivere e utilizzarla per alimentare l’ambizione a fare meglio. Dopotutto, gli allenatori prendono critiche anche vincendo, eh eh eh…quindi

d- Lei si arrabbia quando legge i giornali?

r - No, perché li leggo poco, per mia cultura.

d- Cioè non vuole farsi influenzare dalle critiche?

r - No, è che nel mondo di oggi specialmente, io non… in realtà, guardo più che altro alla reazione dei tifosi allo stadio. Ma ascolto tutti, anche i giornalisti, in maniera diretta. Tuttavia ho molto lavoro da fare e quindi non ho molto tempo… ma ripeto, quelle cose che a volte ti dicono o che leggi…è normale, bisogna farle proprie, e conviverci: è il sale di questa professione.

d- Dorme prima di una partita importante?

r - Tante volte sì, qualche volta no.

d- Ci dica la verità, quante volte sogna quel rigore sbagliato di França?

r - Non mi sono mai arrabbiato per un rigore sbagliato o per l'errore di un portiere. Mi arrabbio su altre cose, quando vedo atteggiamenti di sufficienza, ad esempio, nel gruppo o sul rettangolo di gioco. E poi, se pensiamo che la finale dei Mondiali è finita ai rigori…!

d- Insomma, lo sogna o no?

r - No, ci abbiamo pensato tutti, ma si deve andare avanti. E’ un episodio che ha cambiato il destino di una città, certo, perché voleva dire sognare la serie B…

d- Cosa disse a Carlos?

r - Lo rincuorai, perché aveva dato tutto. Era il minimo che potessi fare.

d- Lei arriva a Potenza per la seconda volta “a corsa già iniziata”. Ha trovato davvero una situazione drammatica, come si è letto sui giornali?

r - Beh, sa, quando le cose non vanno bene, è una somma di tanti fattori.

d- Ma a pagare per primo è sempre l’allenatore.

r - Ripeto, chi fa questo mestiere conosce questo giochino: anch’io, nell’ultimo anno, da una certa situazione, sono andato via poco dopo essere arrivato. La situazione qui non era “drammatica”, ma sicuramente non semplice: tanti giocatori nuovi (quindi poco coesi), una classifica con una piega particolare, una nuova società. Menomale che ne siamo usciti fuori, con un ottimo percorso, anche se c’è qualche rammarico per un paio di punticini in più che sicuramente meritavamo. Nelle due ultime gare abbiamo avuto una leggera flessione, ma ci sta, a causa degli infrasettimanali e poi, fra infortuni e qualche reparto un po’ “corto”, abbiamo sempre giocato con un’ossatura simile. Mi auguro che questa sosta abbia rigenerato qualche giocatore, anche se già questo sabato, con il Monterosi, avremo comunque qualche assenza.

d- Però rispetto all’anno scorso siete messi meglio.

r - Anche perché siamo riusciti a fare ciò che la società aveva chiesto, da subito, al management sportivo: valorizzare molti giovani. Il percorso è su una strada positiva: in questa seconda fase del campionato, altrettanto dura, dobbiamo consolidarci e mantenere questo atteggiamento, migliorando e creando un futuro propulsivo per il Potenza.

d- Lei era molto legato a Caiata…

r - Molto.

d- Adesso ha trovato una gestione più “aziendale”, come si trova?

r - Con le società ho sempre avuto un buon rapporto, perché mi comporto da persona onesta e diretta, senza andare fuori dal seminato. Poi, ognuno ha un suo carattere, e bisogna approcciarsi alle persone per quelle che sono le loro caratteristiche.

d- I maligni dicono che nello spogliatoio c’è un po’ di malumore fra alcuni giocatori che vorrebbero cambiare casacca. Le risulta?

r - “I maligni”??? Guardi, noi abbiamo una rosa molto corposa, ma su 27 giocatori ce ne sono 15 o 16 che sono “under”. In questo momento io ho puntato su un blocco forte di 17/18 giocatori, e quindi è normale che il ragazzino voglia giocare. E magari è anche una scelta societaria mandarlo altrove a farsi le ossa; noi non abbiamo un organico di venti “over”. Molti stanno giocando, ma è normale che cinque o sei bisogna mandarli fuori a farsi le ossa, per poi ritrovarseli con maggiore minutaggio in futuro.

d- Occorrerà comunque intervenire sul mercato. Ha fatto una lista della spesa?

r - Non ne faccio mai. Basta parlare e trovare un punto comune sui giusti innesti da fare, laddove bisogna puntellare (anche in presenza di infortuni). Ci stiamo muovendo, con discrezione, in un discorso che debba essere funzionale a quest’anno, ma anche all’anno prossimo. Va consolidato un gruppo che già c’è, ma credo che in ogni reparto si farà qualcosina.

d- Si ritiene un buon motivatore?

r - Non mi piace parlare di me stesso, ma mi hanno sempre riconosciuto di essere un GRANDE motivatore. Con L’Igea Virtus abbiamo vinto due campionati con squadre fatte per la salvezza, e anche col Potenza facemmo quel grande percorso, col rammarico finale che dicevamo. Spero che qualcosa di bello succeda anche quest’anno, esaltando di nuovo la città. Il sale del calcio è la tifoseria.

d- Qual è la prima cosa che le dice il tifoso per strada? Consigli (o rimproveri) sulla formazione?

r - No, io percepisco soprattutto l’amore, del tifoso. Che sia della curva, della tribuna o della gradinata. O persino che sia uno che al campo non ci viene. E’ un amore sconfinato. Parliamoci chiaro, questa squadra è la seconda pelle della città. E la città ha un potenziale enorme in questo ambito: per una squadra che punta a vincere il campionato, non basterebbe uno stadio a contenere i tifosi.

d- Quindi questo Potenza ha il diritto di essere ambizioso, già da quest’anno?

r - Il Potenza ha il diritto di essere ambizioso, ma bisogna anche capire il “momento” del calcio degli ultimi anni, in cui tenere una squadra in serie C ed essere ambiziosi non è per niente facile. I fallimenti di grandissime società, con potenziali da Serie A, sono all’ordine del giorno. Bisogna dunque fare un passo alla volta, ed essere ambiziosi con cognizione di causa. E credo che questo sia anche il progetto della società.

d- Parliamo della città in sé per sé. Come l’ha trovata al suo ritorno? Meglio, peggio?

r - Premesso che sono un tipo abbastanza “tranquillo”, con le sue abitudini, e quindi…

d- …un posto vale l’altro?

r - No! Volevo dire che qui mi trovo MERAVIGLIOSAMENTE bene. Le persone sono educate, la città è vivibilissima, e io mi sento a casa. L’ho sempre detto, anche dopo il mio primo anno.

d- Però mi deve dire un “però”.

No, non ce ne sono. E’ vero, molti dicono che la città offre poco o tanto, ma io ci sto benissimo. E’ una città pulita, ove fare un giro sul Corso è piacevole…Negli ultimi anni ho vissuto a Gallitello e anche lì stavo bene. Pensi che quando qui fa la neve mia figlia ci viene con gioia, impazzisce, perché di solito non ha modo di vederla. Guardi, non è per l’intervista che sto facendo, ma è uno dei motivi alla base del mio ritorno: stare bene anche fuori dal campo è il massimo per un professionista.

d- Il suo ex Presidente (Caiata) in politica ci è poi entrato Lei non l’hanno mai “corteggiata”?

r - (Sorride) Mah, qualcuno al mio paese, ma non ho né la passione, né la voglia. Tuttavia, ho le mie idee.

d- E’ più “rosso” o più “blu”?

r - (Sorride). Ho le mie idee.

d- Il film che la rappresenta?

r - Adoro la comicità, quindi Ficarra e Picone, ma anche le commedie romantiche. Odio i gialli troppo “invasivi”.

d- La canzone?

r - Sono nato con Vasco Rossi…ce ne sono tante.

d- Il libro?

r - Mi è piaciuto quello di Ancelotti. Mi piacciono i testi sulla mia professione.

d- Mettiamo che fra cent’anni scoprano una targa a suo nome al “Viviani”: cosa le piacerebbe ci fosse scritto?

r - Beh, per esserci questo, bisogna prima maritarselo! Ripeto, spero di riuscire a condurre un percorso eccezionale, ma non per gloria mia; questa città ormai la vivo anche a livello empatico e SO cosa vuole la gente. E sono obiettivi grandissimi. E spero che Potenza possa ottenerli, con o senza Raffaele. Fra cent’anni, se la targa ci sarà, vuol dire che tutto questo è successo!

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di Antonella Sabia

 

 

 

La povertà in Basilicata cresce in maniera esponenziale. È questo il dato incontrovertibile che emerge dall’ultimo Report della Caritas diocesana di Potenza, presentato soltanto qualche settimana fa.

Nel 2021, i 24 Centri di Ascolto attivati dalla Caritas sul territorio hanno incontrato e sostenuto 2.559 famiglie, tra queste il 46% non si era mai rivolto prima alla Caritas. Resta pressoché invariato il dato relativo alla nazionalità delle persone incontrate, da sempre in controtendenza rispetto a quello nazionale: l’85,7% è infatti di nazionalità italiana, la presenza di stranieri si conferma solo in specifiche zone della diocesi o in quartieri della città capoluogo.Aumentata inoltre la percentuale di donne che si sono rivolte alla Caritas: il 54%, nell’anno precedente erano state il 47%.

Sono questi i dati principali che rendono un quadro chiaro della situazione, anche se delineare caratteristiche sociali definite, risulta alquanto difficile, poiché soprattutto nella prima metà dell’anno, a incidere fortemente sono stati i problemi economici e sociali prodotti dalla pandemia.

Nel rapporto si fa anche riferimento alle azioni introdotte per dare risposte a chi si è rivolto ai Centri di Ascolto, si è trattato di numerosi interventi in risposta a bisogni diversificati: in prevalenza riferiti ai beni e ai servizi materiali, ma la centralità dei percorsi di sostegno è stata sempre caratterizzata da una costante attività di ascolto, con l’obiettivo di finalizzare al meglio i servizi erogati.

Tra le cose che più volte sono state rimarcate anche sulle nostre pagine dal Direttore della Caritas Diocesana di Potenza, Muro Lucano e Marsico Nuovo, Marina Buoncristiano, il netto aumento e le richieste di sostegno provenienti soprattutto da famiglie monoreddito, con storie lavorative intermittenti e precarie:emerge quindi una contraddizione tra occupazione e salari inadeguati, e poco congrui per far fronte alle spese quotidiane, di riflesso si assiste alla nascita di una fetta sempre più marcata di 'nuovi poveri', tra quelli che comunque un lavoro ce l’hanno.

Sul Report povertà, si è espresso Mons. Salvatore Ligorio: “In questi ultimi due anni caratterizzati dal susseguirsi di emergenze, sempre più spesso si è declinata la crisi come un’opportunità, una sfida da cogliere su più livelli (…) Forse, per trasformare la crisi in opportunità occorre quindi porci domande, ancor prima di provare a fornire risposte, per mettere in luce le risorse nascoste dietro un tempo complesso e trasformare, come suggerisce il titolo del Rapporto, le crepe, le ferite in oro! (…) il Rapporto Povertà, quest’anno, ha inteso promuovere, oltre al racconto dei dati provenienti dai Centri di Ascolto (CdA), una vera e propria attività di ascolto dei territori, a partire dall’esperienza e dalla percezione delle fragilità e dei bisogni rilevati da sindaci e parroci della diocesi.Un piccolo passo per abitare la crisi con occhi nuovi, un tratto di strada da percorrere con la comunità, prima ancora che per la comunità.

Sull’argomento, più duro e deciso è stato il segretario generale della Cgil Basilicata, Angelo Summa, intervenuto a più riprese. “Affrontare il tema della povertà – ha affermato – è urgente e non più rinviabile. La gravità del quadro deve far riflettere sulla necessità di interventi nel breve termine per tentare di invertire il trend dei dati della povertà e del disagio sociale, che attanagliano la Basilicata. Serve un intervento urgente, si potrebbe immaginare di istituire un fondo di integrazione salariale a sostegno delle fasce deboli, dei pensionati e delle famiglie in difficoltà, che non arrivano a fine mese. Il Governo regionale potrebbe utilizzare parte delle royalties per dare sostegno al reddito di queste persone, fino alla fine di questa emergenza. Una misura temporanea, ma concreta per evitare che la situazione della Basilicata peggiori ulteriormente”. E ritorna sul fenomeno del “working poors”, persone che pur lavorando non riescono ad arrivare alla fine del mese: sono il 44% in Basilicata, una percentuale superiore di quattro punti rispetto all’andamento del Mezzogiorno.

Vi è poi una parte del rapporto della Caritas, affrontata con le parrocchie e i Sindaci che fa riferimento anche al problema della disabilità, alle dipendenze, degli anziani.

Saranno quindi necessari, proposte e spunti di riflessione per
promuovere percorsi integrati (non solo assistenziali) che rendano realmente le persone protagoniste della riscoperta di un progetto di vita dignitoso; ricercare nuove modalità per rimettere al centro la comunità, per restituirle il mandato della sussidiarietà e della responsabilità condivisa; co-progettare nuove forme di scambio e interazione con il territorio e le istituzioni, volte alla costruzione di visioni nuove ed inedite

Solo ricercando approdi comuni – conclude il rapporto della Caritas – sarà infatti possibile evitare la duplicazione di prestazioni e valorizzare il capitale relazionale e di servizi che il territorio offre.

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Da oggi, mercoledi 4 gennaio, è in edicola il numero di Topolino con quattro pagine di redazionale dedicate alla Basilicata e, in particolare, ad alcune fra le sue tradizioni più significative legate alla stagione invernale come quella del Carnevale e delle sue figure più tipiche.

In questo numero di Topolino, infatti, è descritta una vera e propria mappa per orientarsi nelle più tipiche tradizioni invernali lucane, da Montescaglioso a San Mauro Forte, a Satriano di Lucania, Teana ecc.

Nelle pagine anche la descrizione delle tradizioni lucane ancestrali con il racconto delle tante manifestazioni che caratterizzano queste ricorrenze, uno spazio dedicato alla notte dei Cucibocca di Montescaglioso riconosciuto patrimonio culturale intangibile della Regione Basilicata e ancora un focus sulle diverse maschere che rendono unici i carnevali di Aliano, Tricarico e Cirigliano.

Da mercoledì 11 gennaio, invece, sarà in distribuzione in tutte le edicole d’Italia il numero di Topolino con una nuova avventura ambientata in Basilicata. “Topolino e la notte della civetta” - questo il titolo della storia - vedrà il personaggio più famoso del mondo dei fumetti districarsi fra misteri e leggende ambientate nel Parco Regionale delle chiese rupestri e della Murgia materana e, in particolare, a Montescaglioso.

“Continua la promozione della Basilicata – afferma il direttore generale di Apt Basilicata, Antonio Nicoletti – attraverso strumenti nuovi, come il settimanale Topolino, che con i suoi contenuti è capace di raggiungere diverse fasce di età. Il grandissimo successo del numero 3494, in cui Matera e il parco del Pollino facevano da sfondo alle avventure raccontate in Topolino e il segreto dei Sassi, andato letteralmente a ruba nelle edicole di tutta Italia, ci conferma che la Basilicata e Matera sono luoghi iconici anche per il più ampio pubblico del mondo dei comics. Complimenti agli autori, in primis allo sceneggiatore Francesco Artibani, per aver tradotto gli elementi del nostro territorio e della nostra cultura con l’arte e la simpatia della loro creatività narrativa. Come per il numero precedente, abbiamo chiesto a Panini di rafforzare la distribuzione nelle edicole lucane, convinti che anche questo volume entrerà nel cuore di chi vive questi luoghi e di chi, incuriosito dalla lettura, imparerà qualcosa in più sulla nostra bellissima Basilicata”.

 

 

 

 

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L'INTERVENTO - Il giorno di Natale il Capoluogo è stato una città divisa in tre parti, per quanto concerne i collegamenti verticali delle scale mobili.

Chiuse quelle che collegano Rione ITALIA–VIALE DANTE e P. ZZA 18 AGOSTO, compresi gli ascensori (eh sì, perché appartengono a cittadini di serie B).

Per la serie C, invece, si inseriscono le scale mobili di VIA ARMELLINI (Cinema Due Torri) che collegano rione Mancusi,-Via Mazzini e che poi terminano in Centro Storico. Questo è un altro problema di serie C.

L’unica scala mobile funzionante a Natale è stata quella di Via Mazzini – Porta Salza-Santa Lucia, con il ponte attrezzato di VIA TAMMONE VIA TIRRENO (il “Serpentone”).

Ma il Sindaco forse non è ancora informato di quest'acqua torbida, mentre il nuovo contratto con la MICCOLIS divide il popolo potentino, facendo tra i cittadini figli e figliastri …

Una nota positiva arriva da Piazza Martiri Lucani per aver tolto di mezzo quel famoso “cubo”, messo lì per completare l’opera oscura.

Un’altra nota positiva è quella di Porta San Luca e del suo bidone di sorprese natalizie in stile “qui cova la quaglia”, scoperto (cioè ripristinato) nella mattinata natalizia dal Commendatore Francesco Fanì. Il contenitore dunque ora è tornato utilizzabile, ma prima era coperto da buste di plastica nere e ben sigillato nonostante fosse vuoto e da rivitalizzare. Un compito che l’Amministrazione Comunale ha sempre messo da parte (anche perché avrebbe creato maggior lavoro da parte di alcuni dipendenti comunali?).

Una nota abbastanza negativa, riguarda le basole di VIA PRETORIA sconnesse e pericolose per i passanti che rischiano di inciampare e farsi male... tanto la Farmacia è lì vicino…

Commendator Fanì

 

 

 

 

 

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Per esigenza di chiarezza con i Lucani che seguono il mio intervento settimanale su Controsenso e circa un episodio che credo significativo non solo della parabola del Psi ma di quella ch’è definita la “crisi del sistema dei Partiti”, riporto di seguito lo scritto inviato a l’Avanti della domenica, giornale del Psi (Partito nel quale, com’è noto, ho militato e sarei molto felice ritornasse possibile). Si tratta di una testimonianza circa il ruolo insostituibile del dibattito e del confronto, del “metodo democratico” indicato dalla Costituzione come essenziale al corretto funzionamento dei Partiti : strumento indispensabile alla Democrazia. Craxi, grande statista, fu definito “decisionista” e tale risulta anche dal “mio” episodio. Son convinto che chi guida debba esserlo per non farsi travolgere dagli eventi, spesso rapidi ed imprevedibili; ma che su questioni strategiche e sui punti cardinali (come ad esempio il sistema elettorale e la stessa selezione dei candidati) sia ineludibile la modalità fissata dalla Carta. Potrei anche testimoniare che lo stesso Craxi, quando constatò di aver sbagliato circa il secondo di tali punti (in una vicenda molto drammatica coinvolgente il Psi lucano) decise di “spiegarsi”.. convocandomi per un’ora di colloquio. Non si può dunque dire che i personaggi “storici” si comportino in modo uniforme: anche in relazione ad un giudizio laudativo di Pajetta su di un suo intervento in Aula, mi si rivelò tutt’altro che duro ed anzi molto “sensibile” (come del resto appare nell’ormai famoso Hammamet). Nel caso della divergenza che riporto di seguito, si trattava purtroppo della legge elettorale e con richiamo ad un articolo apparso la settimana precedente sull’Avanti. Eccolo : “Ugo Intini….. individua giustamente nel “sistema elettorale forzatamente bipolare” l’ostacolo al “crescere”, anche in Italia come in molti Paesi europei, di “una forza ….socialdemocratica organizzata”. Quando la strada del bipolare fu intrapresa con il Mattarellum, non soltanto votai contro.. temendo esattamente questa involuzione, ma- nella Commissione Affari Costituzionali della Camera - mi opposi ripetutamente. Ed in contrasto con la linea assegnata dal Partito a Silvano Labriola, che dirigeva il Psi sulla materia. Avevo già insistito, in quella che forse fu l’ultima riunione del Gruppo al Quarto piano di Montecitorio, a sostegno del proporzionale: in favore del ruolo di ago della bilancia svolto dal Psi e per la sua stessa sopravvivenza.! Craxi non argomentò, ma mi redarguì bruscamente come “incompetente” (seppure il Psi mi avesse assegnato in Prima Commissione, alla Presidenza in quella dell’inchiesta sulla Condizione Giovanile, oltre che a Cultura e Scuola nella Settima !), suscitando l’ilarità di quasi tutti gli altri deputati (Martelli era uscito dall’inizio; l’estensore del verbale ne sosterrà poi lo smarrimento; quei locali da tempo assegnati ai Socialisti ben presto furono occupati dai Berlusconiani! ). Noto che autorevoli “nostri” intellettuali avevano ipotizzato un percorso alla Mitterand e che non a caso Intini ricorda come “nella fase finale della sua segreteria, Craxi (avesse) immaginato ...un’alleanza a guida socialista con l’ex Pci”. Del resto, senza l’ok del Psi, come sarebbe stato possibile il Mattarellum? L’errore decisivo venne dunque da Craxi e ben prima che lo ripetessero “Letta e Conte… con la maggioranza .. di cui disponevano”. Credo sia da riconoscere che il Psi cadde in un deficit di democrazia proprio perché, grazie alle sue eccezionali capacità, Craxi lo dominava; e che sia anche da sottolineare come tale costume, tuttora diffuso, impedì si evitassero altre improvvisazioni decisive (come in occasione del discorso del 3 luglio, forse da organizzare in una serie di altri interventi di socialisti per sventare l’elusione del tema da tutti gli altri Gruppi che usarono il silenzio per focalizzalo su di Lui) e tacere l’errore di candidature che poi sarebbe stato costretto a ritirare! Riflettere sui tutto ciò che portò alla dissoluzione diventa ora necessario se davvero si vuole la “ricomposizione della diaspora”: ed ..ammettere che la “crisi democratica” ci ebbe tra i responsabili! Nel congresso Pd circola l’aspirazione al laburismo ; ma temo sia senza effetto, se non si ammette che l’assenza del “metodo democratico” (art 49) ha costituito-e continua ad essere- causa non minore della crisi del sistema. Resto perciò convinto che per riaprire una possibilità alla nostra democrazia necessiti anzitutto riaccendere la fiducia degli elettori nell’ effettivo esercizio della sovranità!”” ns

 

 

 

 

 

predestinazione_emilio.jpgNon può prescindersi dall’indicare, sia da parte delle autorità religiose, sia da parte dell’Azione Cattolica medesima, sia da parte dei notabili potentini della borghesia agraria, commerciale e dei professionisti, sia da parte di organismi appositamente costituiti come i comitati civici, in un rigurgito di mobilitazione e di fede contro la minaccia dell’ateismo e della imminente possibile dittatura del proletariato, in quel maggio del 1946, il giovane Emilio, come il più naturale e vocato candidato alla Assemblea Costituente.

Per come viene presentato, per le sue referenze, per il clima e l’epoca in cui si verifica il fenomeno, una circonfusa e repentina aureola di “nazarenismo”, diventata gradualmente di grazia e di potere, lo rende detentore di taumaturgiche facoltà, risolutore di problemi e di bisogni, lo eleva al di sopra e al di fuori di quello che è il ruolo normale di leader. Un elegante e composto modo di muoversi e di agire, rafforza il suo portamento tra il laico sturziano e una sorta di moderno e mistico “profeta” in doppio petto.

La capillare rete delle parrocchie, animate da parroci, vescovi, curie e stuoli di giovani, i luoghi di culto, gli enti e gli organismi religiosi, la case per anziani, le suore degli ospedali e degli ospizi, la presenza pregnante e vigile di queste nei monasteri e nei collegi, e tutto il mondo cattolico si muovono perché la Democrazia Cristiana possa operare da baluardo contro la marea socialcomunista, come presidio di libertà e di democrazia, e in difesa della Chiesa e della religione: “La diga al comunismo”, in uno sforzo tanto naturale quanto necessario ed entusiasta dei cattolici da avvalersi di un consenso di massa inaudito e imprevisto.

La DC nelle elezioni per la Costituente raggiunge nel sud il 35 per cento dei voti che poi diventeranno il 50 per cento nelle elezioni del 1948[2] – si intravede già nel modo come ha partecipato alla prima consultazione elettorale, dove ha 20.922 voti di preferenza: se Nitti viene riverito e portato in giro come un santone e offerto in omaggio alla popolazione, Colombo viene portato in braccio dalle ragazze dell’A. C., con caldi inviti, dopo i comizi: “Votatelo perché è casto” (scena osservata a Stigliano, nell’ultima domenica di maggio del 1946, insieme con Carlo Levi), e a Potenza, dopo il primo comizio in piazza Prefettura, viene portato in trionfo fin sotto casa. Egli registra un tale improvviso e lusinghiero ingresso nella scena politica, in una singolare condizione di delfino, di predestinato senza alcuna precedente partecipazione e senza alcun logoramento nella lotta politica».

L’incremento più forte dei voti i dc li ottengono nel Mezzogiorno ove vige il vecchio sistema politico fondato sul notabilato, sulla clientela, sulla organicità al potere politico. Un sistema in cui gli impegni politici, i lavori pubblici, i contratti con lo Stato, le onorificenze, sono nelle logiche della mediazione, del consociativismo e della discriminazione[4].

È anche per questo che il fenomeno Emilio Colombo, la sua persistente meteora, prima che trascorrino altri anni, va analizzato e spiegato come galvanizzatore delle popolazioni lucane per tutto l’arco che la DC ha tracciato nella sua storia.

Un fenomeno sotto certi aspetti inspiegabile e che richiama altri fenomeni, piuttosto analoghi, verificatisi in climi e foschie feudali, in condizioni paratotalitarie, magari riferite a latitudini molto più ristrette di quelle reali. In quelle epoche in cui si son potuti ritagliare profili e confezionare leaders circonfusi di seraficità, di carisma, di teatralità laico-mistica, di castità ed efficienza clientelare, rispetto ai precari, spesso inaffidabili, grigi e insignificanti, dalle repentine apparizioni sulla scena, o di quelli come gli energumeni, i buffoni, i pettoruti gerarchi del Fascismo che pur annoverò grandi uomini e nobili portamenti.

È così che per tutti gli anni ’50, fino agli anni ’70, non si può dire che Emilio Colombo sia stato solo aiutato dalla fortuna. Egli ha rappresentato come modello, come figura, come stele umana tutti i possibili significati di una DC che era propria del Sud e della nostra società. Presenza imperturbabile e autorevole quella di Colombo, per cui anche chi è riuscito nella scalata, assai spesso gravitando nella sua scia, non ha mai potuto toccare le eccelse sue altezze, bensì piuttosto si è dovuto adattare ad un ruolo gregario, pur non difettando di doti politiche e di professionalità. Vi è anche chi ha dovuto proiettarsi fuori dalla sua orbita per esistere come qualificato uomo politico.

Ed è stata così coinvolgente la sua onnipresenza, permanente e predominante nella sua città, nella regione e a Roma, che quando il potere, gestito ininterrottamente per mezzo secolo, dopo tangentopoli e la caduta della DC, ha dovuto fare a meno di lui, di quel ruolo recitato tra “trascendenza della politica” e “immanenza” degli incarichi, della gestione e dell’egotismo, nessuno ha potuto prescindere da lui, dalle sue prerogative, dalle sue indicazioni, al punto che perfino i comunisti e i postcomunisti si sono dovuti legittimare al cospetto di un consenso insufficiente e che ha potuto consentire loro di diventare maggioranza, solo con la complicità del doroteo Emilio Colombo e dei democristiani.

 


[2]     “Il cemento del Potere” – edit. Lacaita – Leonardo Sacco.

[4]     Michele Giacomantonio. La DC e il sottosviluppo meridionale.

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