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E' alta, si muove e si esprime con garbo e l'assenza di inflessioni tradisce gli anni trascorsi altrove, in diverse città d'Italia. Nativa di Baragiano (Pz), ove è tornata a vivere da una decina d'anni, Carmela “Carmen” Summa è stata una calciatrice di successo ieri, mentre oggi, con altrettanto profitto, è CT della rappresentativa regionale della Lega Nazionale Dilettanti, nonché tecnico del settore giovanile del Marmo Platano, nel ruolo di preparatore atletico e collaboratrice del mister.

D - Oggi si parla molto di “stereotipi di genere”, ma non mi è difficile immaginare la situazione di una ragazzina lucana che negli anni Settanta si decide a entrare nel mondo del Calcio.

R - Sicuramente ho dovuto affrontare tutta una serie di stereotipi che possono esserci in un percorso di vita. Sono nata a Baragiano, un paese piccolissimo dal quale sono andata via nel 1976, e ho iniziato a giocare a pallone con i ragazzini. Allora le scuole calcio erano per strada. Ricordo le partitelle nelle piazze del mio paese, ho imparato molto da quei bambini. E così, una mia professoressa delle medie, che mi vedeva molto intraprendente e determinata, un giorno mi propose di andare a giocare nel Potenza femminile. Avevo undici anni e mezzo. Di lì è iniziato tutto: ho giocato nella Salernitana in serie A, poi sono stata a Catania (dove vincemmo quattro scudetti), Lecce, Verona, Modena; ho militato nel Milan, un anno a Napoli, e undici alla Reggiana. Ho giocato 520 partite in serie A e vinto sei scudetti.

D - Lei ha parlato di stereotipi e difficoltà...per esempio, come accolsero in casa sua la volontà di fare la calciatrice professionista?

R - Io sono stata molto etichettata, perché, come figura femminile, c'erano naturalmente dei “canoni” prestabiliti da seguire. Per quanto riguarda la mia famiglia, mio padre è stato molto molto più aperto rispetto a mia madre. Sa, si temeva moltissimo il giudizio dell'ambiente. Ricordo che mia madre, quando mi vide giocare con i ragazzini, mi disse “Tu sei una donna, certe cose non le devi fare. Tra l'altro vivi in un paesino in cui le persone queste cose non le condividono”. E io già allora difendevo la mia scelta. Sì, ho dovuto superare diversi ostacoli a livello psicologico, e non nascondo che andarmene a quindici anni a Salerno (per militare nella Salernitana) per me fu un vero punto di partenza, perché lì mi sono costruita come giocatrice e come donna.

D - A pochi chilometri di distanza, a Salerno, era già così diversa la mentalità?

R - Certo, molto diversa, parliamo del 1976/77. Oltretutto ebbi la fortuna di finire in una società sportiva già abbastanza organizzata, con delle figure che ci seguivano. Di mio, poi, ero una giocatrice molto forte...

D - Lei giocava in difesa.

R - Esterno basso, e all'occorrenza esterno alto.

D - Voi giocatrici di successo, di calcio femminile, che facevate sacrifici quanto e più degli uomini, avvertivate mai la sensazione di essere bistrattate, in fatto di media, rispetto ai più famosi colleghi maschili?

R - Certo che c'era un po' di frustrazione, ma più che altro perché le persone che circondavano l'ambiente del calcio femminile non erano mentalmente e culturalmente aperte. Ricordo che quando col Potenza femminile giocavamo al Viviani (erano i tempi di mister Mancinelli), venivano in tanti a vederci, ma soprattutto per guardare me in azione (ero diversa dalle altre, sapendo già muovermi bene). Ricordo ancora i commenti, ma accadeva anche a Salerno. Oggi qualcosa è cambiato in meglio, ma allora si andava a quelle partite per vedere le gambe delle ragazze, le magliette aderenti al seno, per queste piccole banalità, chiamiamole così. Certo, se vogliamo paragonare il calcio maschile a quello femminile, è ovvio che a livello di struttura fisica, di potenza, di resistenza, di contrasto etc., delle differenze ci sono, ma tecnicamente non abbiamo nulla da invidiare.

D - In Basilicata c'è una realtà viva di calcio femminile? Ci sono molte ragazze che vi si avvicinano, o c'è ancora qualche tipo di remora?

R - Da qualche anno in Basilicata è cambiato l'approccio verso il calcio femminile: c'è il Potenza femminile (che si chiama Seventeen), ma anche lo stesso Avigliano, così come il Viggiano, parliamo di società che hanno una struttura, una scuola calcio, un vivaio, e che quindi fanno tutto un lavoro di programmazione. Quando ho iniziato io tutte queste cose non esistevano. Oggi invece, in virtù di quelle opportunità che descrivevo poc'anzi, il calcio femminile ha avuto occasione di acquisire credibilità rispetto a chi gli si avvicina.

D - Una domanda da vero ignorante in materia: un'allenatrice può guidare una squadra di calcio maschile?

R - Certamente. Io ho il patentino “Uefa C” e ho allenato il Baragiano Calcio maschile in prima categoria e ho seguito il settore giovanile a Picerno.

D -...e un giocatore di sesso maschile, gli ordini da una donna, li prende meno volentieri?

R - Le faccio un esempio molto recente. Io collaboro col Marmo Platano, il cui mister è Donato Troiano; i primi tempi, da questi ragazzini di quattordici/quindici anni, mi sentivo...come dire...osservata. Poi, come in tutte le cose, scatta un qualcosa a livello di ascolto, specie quando tu parli in modo semplice e lineare e dimostri di avere una leadership, e nello specifico sai spiegare a questi ragazzi il modo di stare in campo, la postura, il modo di correre, di difendere la palla. E i ragazzi cambiano completamente opinione.

D - Cioè quando capiscono che lei se ne intende per davvero.

R - Certo. Pero è chiaro che, specialmente all'inizio, c'è un discorso di preclusione e diffidenza nei confronti di una donna. Ma poi, come dicevo, cambiano idea. Parlo per me, almeno.

D - Spostiamoci allora proprio sul calcio maschile e sui “dolori” del Potenza. Cos'è andato storto secondo lei?

R - Se posso permettermi di esprimere un giudizio, beh,...il presidente Macchia è sicuramente un tifoso del Potenza... ma quello del calcio spesse volte è un mondo “attrattivo”, e bisogna avere la competenza di sapersi scegliere delle figure che abbiano anch'esse delle competenze. A volte invece si fanno delle valutazioni diverse, che hanno maggiormente a che fare col sistema calcio, ma che tuttavia si ripercuotono su quella mentalità che dovrebbe essere vincente, e che poi non è in grado di costruire qualcosa di valido. Lo stesso Potenza quest'anno ha cambiato quattro allenatori; avrà avuto i suoi buoni motivi, per carità, ma io-presidente mi porrei il problema del perché. Forse una campagna acquisti sbagliata, lo spogliatoio...quel che è certo è che la città capoluogo meriterebbe tranquillamente di fare calcio ad alti livelli.

D - Le posso chiedere un pronostico? Il Potenza si salverà?

R - A mio avviso il Potenza si è messo in una situazione molto particolare, e beh, trattandosi di partite secche, tutto può succedere. Molto dipende da come uno affronta certe situazioni, certo è che tre mesi fa tutto pensavo tranne che il Potenza avrebbe fatto i play out. Secondo me, si sono venute a creare tutta una serie di situazioni tanto nello spogliatoio quanto a livello tecnico. Qualcosa non ha funzionato. Fermo restando che i giocatori dovrebbero sempre onorare la maglia e farlo alla grande.