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di Walter De Stradis

 

 

 

 

Il fatto che (complice anche una sua vecchia, abile idea di “marketing”) qui nel Capoluogo lui sia conosciuto semplicemente come Mimmo “Il Ciclista” (quasi alla stregua di un fatto singolare), rende chiaro a tutti l’esiguità del rapporto esistente, storicamente, tra Potenza, i suoi abitanti e il ciclismo stesso.

In occasione del passaggio nel Capoluogo (anche proprio sotto la sua trattoria) del Giro d’Italia, abbiamo voluto dunque incontrare Domenico Carlucci, ristoratore da una vita, che –secondo i dettami di uno sport «che è soprattutto sofferenza»- è abituato a lamentarsi poco e a lavorare molto.

d: Come giustifica la sua esistenza?

r: La passione per la bicicletta è arrivata tardi. Certo, ne avevo avuta una da piccolo, ma mai pensavo che mi ci sarei dedicato; finché un giorno non vidi una bicicletta da corsa appesa nella vetrina di un negozio. La comprai. Fu un colpo di fulmine.

d: Lei dunque era già grandicello?

r: Sì, avevo ventisette/ventotto anni. Quel negozio era in piazza Bologna.

d: Cosa le è scattato quel giorno?

r: Non saprei, ripeto, una bicicletta da piccolo ce l’avevo, ma all’età di quindici anni già lavoravo a Milano e quindi… ma anni dopo ci fu questo episodio qui a Potenza. Comprai una bicicletta fuori misura, tra l’altro, neanche adatta a me.

d: Questo ristorante esiste dal 1973, ma lei come ha cominciato?

r: Lavando i piatti in un ristorante, a Milano. Poi passai ai primi, successivamente ai secondi, poi arrivai in sala…insomma, feci tutta la trafila del ristoratore. Fin quando, nel 1973, trovai questa trattoria che si vendeva a Potenza e iniziai a lavorare da solo.

d: I suoi erano del mestiere?

r: Io sono di san Cataldo, comune di Bella, vicino Avigliano e no, i miei non erano del mestiere. Nessuno lo era: misi le mie sorelle e le mie cugine a lavorare, ma avevano imparato tutto da me.

d: E il ristorante già si chiamava “Da Mimmo il Ciclista”?

r: All’inizio no, era solo “Trattoria e vini da Mimmo”.

d: In città quando hanno cominciato a chiamarla “Mimmo il Ciclista”?

r: Vede, quando iniziai a gareggiare e a vincere qualche coppa, cominciai anche a metterle nel ristorante, ma la gente mi domandava cosa fossero; allora mi venne l’idea di chiamare la trattoria “Da Mimmo il Ciclista”, in modo tale che i clienti sapessero già a cosa si riferivano quei trofei.

d: Di che tipo di gare si trattava?

r: Erano sempre tornei amatoriali (io lavoravo, e non avevo moltissimo tempo libero). Ho partecipato a più di seicento gare, finora. Mi sono sempre allenato, quasi tutti i giorni, e ho vinto tre campionati italiani di categoria. Ho vinto circa cinquecento trofei. Finora, ho fatto circa cinquecentomila chilometri, tra gare e allenamenti vari.

d: Finora???

r: Non gareggio più, ma in bicicletta ancora ci vado.

d: Potenza è una città quantomeno “difficile” per chi vuole usare la bici. Lei dove va?

r: Eh, io vado. (Sorride). Perché se non sei allenato, in bicicletta non ci vai, a Potenza. Io però i miei settanta/ottanta chilometri me li faccio tranquillamente, il lunedì che sono di riposo.

d: Ho sentito bene? Settanta/ottanta chilometri???

r: Il lunedì sì, poi quando esco il mercoledì e venerdì me ne faccio altri quaranta/cinquanta.

d: E che tragitto segue di solito?

r: Dipende dal tempo…in una bella giornata prendo la salita che va verso Cuppulicchio, verso Tricarico, vado verso Brienza, Lagopesole, Muro Lucano…

d: Ma scusi lei quanti anni ha?

r: Settantatrè.

d: E non le capita mai di spingere la bicicletta a mano?!

r: Eh, no, mai (sorride). Finora è capitato solo una volta, per cento metri sulla salita dello Zoncolan, una delle salite più dure d’Europa, a Belluno, sulle Dolomiti.

d: La sua soddisfazione più grande?

r: La prima volta che ho vinto il campionato italiano: il campione uscente, vedendo come affrontavo le salite, mi disse “Sei peggio di un camoscio!”. Era il 1998.

d: La sua famiglia non le ha mai detto: “Ma dove vai, lascia perdere. Pensa al ristorante”?

r: Mai, anzi, mia moglie mi seguiva pure.

d: Abbiamo detto che Potenza è difficile “morfologicamente” (salite ripide etc.), per un ciclista o per chiunque voglia usare la bicicletta; ma dal punto di vista delle “strutture” (piste ciclabili, eventi etc.), come siamo messi?

r: Purtroppo non ci sono. Siamo costretti a camminare sulla strada, dovendo stare attenti al traffico. Strutture non ce ne sono, anche perché è il territorio che non lo consente. Come dicevo, Potenza non è una città da “passeggiare”, se non sei allenato –o se non hai la bici elettronica- non ce la puoi fare.

d: Quindi non è colpa di chi comanda?

r: E’ il territorio che – a parte la pista ciclabile del Pantano, l’unica che c’è al momento- non è adatto per chi fa la “passeggiata” normale in bicicletta. Tutti gli altri devono essere allenati.

d: Ritiene comunque che questo mondo –a parte l’episodio del Giro d’Italia- necessiti di più eventi e/o di maggiore visibilità? Oppure va bene così?

r: “Va bene così”, no, qualcosa di più si può sempre fare. Adesso si sta parlando di questa via ciclabile che parte da Potenza e che va verso Pignola (seguendo la vecchia tratta della Calabro-Lucana); mi è stato detto che qualcosa si sta facendo, pur avendo incontrato qualche difficoltà. Per noi tutto quello che viene è gradito.

d: In questo locale vengono a mangiare molti giornalisti, e presumo che nel corso di cinquant’anni siano venuti anche molti politici. Le dicono o le chiedono qualcosa di particolare?

r: No, più che altro sono curiosi della mia passione, delle mie coppe…

d: E lei ha mai chiesto qualcosa, sempre nell’interesse della città o dello sport che pratica?

r: No, no. Non è mio costume.

d: Dopo diversi anni il giro d’Italia torna a Potenza: quali sono le sue sensazioni al momento (martedì scorso – ndr)?

r: Per me è un grande evento. Per appassionati e non. Ci saranno sicuramente dei disagi, ma è uno giorno solo, che poi passa, non è la fine del mondo.

d: In effetti, tra divieti di circolazione e di sosta, fra chiusure di scuole etc., non manca chi rumoreggia.

r: Ci vuole solo un po’ di pazienza, da parte di tutti: l’evento è sicuramente superiore al disagio.

d: Lei lavorerà quel giorno?

r: Io sarò aperto, ma non so se verrà qualcuno a mangiare (sorride).

d: Beh, il turismo indotto dall’evento è proprio ciò che ci si augura, sindaco e Presidente della Regione in primis. Lei cosa si augura che porti, in città e in regione, questo Giro d’Italia?

r: Un ritorno d’immagine internazionale, sicuramente. Credo che ci sarà. Spero vada tutto bene.

d: Ha un suggerimento da dare? A ch gareggia, ai tifosi, alla politica…

r: No…io lo vedrò in tv, a parte il passaggio qui sotto. Non potrò vedere l’arrivo perché lavorerò, ma sarà sicuramente un’emozione grandissima, beato chi potrà.

d: Una domanda banale: in cuor suo, si è mai immaginato o sognato al Giro d’Italia?

r: No, no. Ho cominciato a ventotto anni e questo tipo di sogni non possono esserci. Sicuramente, però, se avessi cominciato da piccolo…beh, la predisposizione alla sofferenza c’era. E non si sa cosa poteva uscire fuori.

d: Quindi il ciclismo è innanzitutto sofferenza?

r: Senza di quella non vai.

d: Ma lei cosa prova, ancora oggi, quando è in sella e si fa i suoi settanta/ottanta chilometri?

r: Il ciclismo mi dà tutto, come salute, mentalità…quando ho qualche dolore salgo sulla bicicletta e mi passa tutto. La bicicletta per me è come una “medicina generale”: mi passa tutto, dolori, pensieri…è come una terapia. Ma bisogna essere appassionati, perché in salita è dura.

d: Venendo al settore della ristorazione, sappiamo tutti che è stato uno di quelli maggiormente danneggiati dalle chiusure e dalle restrizioni dovute al Covid. Come ha vissuto quei momenti?

r: Le istituzioni hanno fatto il possibile per agevolarci: abbiamo avuto degli incentivi e non posso negare che siano stati utili, in un momento in cui le bollette continuavano ad arrivare nonostante tutto. Certo, abbiamo sofferto (le chiusure forzate etc.), ma ci stiamo riprendendo piano pano, specie da quando è stato tolto l’obbligo del green pass.

d: Il sistema sanitario lucano ha tenuto bene?

r: Penso di sì, non ho lamentele personali da fare. Bisogna anche capire che è stata una situazione che nessuno poteva prevedere.

d: Se potesse ospitare Bardi al suo tavolo, cosa gli direbbe?

r: Non me ne intendo di politica, ma noi votiamo della gente –che paghiamo- e vorrei che si dedicassero a risolvere i problemi, invece di andare in giro a litigare per “voglio questo e voglio quello”, mentre ognuno di loro fa come gli pare

d: Mettiamo che fra cent’anni, chi erediterà questo ristorante ponga una targa a suo nome in mezzo a tutte queste foto e tutti questi premi. Cosa vorrebbe ci fosse scritto?

r: Dovrebbe far capire che c’è stato tanto sacrificio, che su ogni coppa ci sono circa mille chilometri di allenamento. Un giorno, giocando con la calcolatrice, è uscito fuori che finora ho prodotto ottanta quintali di sudore!

 

 

 

 

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di Walter De Stradis

 

 

 

 

Il suo bisnonno, Enrique, italo-argentino originario della provincia di Como, ha giocato nella Roma e ha vinto il Mondiale con la nazionale italiana nel 1934. Anche suo padre (nipote di Enrique) era un giocatore dal curriculum importante, avendo militato nell’Estudiantes.

Lui, Leo Guaita (anch’egli con doppio passaporto) è un giocatore d’attacco (ala destra) di grande talento, ma il Potenza Calcio per lui è stata soltanto la porta d’ingresso in un mondo, che gli ha dato un calore (ricambiatissimo), che va ben oltre gli spalti del Viviani.

Simpatico e affabile, con la “cresta” (alla cui “tenuta” sembra tenere tanto) e la barba rossiccia, compirà trentasei anni il prossimo 19 maggio.

d: Come giustifica la sua esistenza?

La mia vita è sempre stata all’insegna della famiglia, avendone una davvero molto unita. Al punto che, quando ho cominciato seriamente con il calcio (a diciassette anni), fu davvero dura svegliarmi da solo la mattina presto, e senza colazione a letto!

d: Il suo idolo di allora (a parte Maradona)?

Mio padre, mio nonno per parte di madre e il mio bisnonno, come sa, avevano tutti giocato a calcio a livelli importanti. A casa avevo tutti i cimeli, ma mio padre per me era l’idolo principale.

d: Prima di arrivare a Potenza lei ha girato il mondo…

Eh, sì. Ho iniziato a 17 anni nell’Estudiantes de La Plata, poi sono stato in Francia, in Svizzera (Basilea), in Messico, in Italia una prima volta (Arezzo, serie B), poi a Sapri, in C2 in Sardegna con Emerson, poi a San Marino, in Equador (serie A), in Germania (serie C), in Cina, in Honduras…è dura ricordarle tutte (ride)… poi ho fatto la serie C in Argentina (vincendo il campionato), poi di nuovo in serie A in Honduras, poi ancora in Sardegna e infine a Potenza, a Taranto e poi di nuovo a Potenza.

d: Appunto, dopo aver girato il mondo, com’è stato il suo primo impatto con la nostra città?

Ha toccato un tasto difficile…Beh, arrivammo che la Società non c’era più, non c’era Presidente, né preparatore atletico, di stipendi non ne parliamo proprio (perché non ne prendevamo), non avevamo nemmeno l’acqua, io facevo avanti e dietro da Salerno con una macchina vecchia…

d: Viveva a Salerno?

Sì, per tre mesi, perché a Potenza non si trovava casa, e se dicevi che eri calciatore (non essendoci una società alle spalle) era peggio…

d: Al di là delle difficoltà del Potenza Calcio, la città in sé che impressione le aveva fatto?

La vedevo poco, perché facevo il pendolare e appena potevo scappavo da mio figlio. In un secondo momento, una casa a Potenza la trovammo, in via IV Novembre, ma fu un vero e proprio inferno, perché cadeva a pezzi…non mi vergogno a dire che dovemmo chiudere una camera (perché dopo sole due settimane si era riempita di muffa), e per due mesi con mia moglie e mio figlio abbiamo dormito in salotto, per terra!

d: Eppure, oggi, dopo qualche anno, in città si dice che lei si sia talmente innamorato del Capoluogo, da volerci rimanere anche dopo la carriera di calciatore.

Dopo essere stata la peggiore in assoluto (dal punto di vista calcistico e non), questa esperienza è diventata anche la migliore (seppur con alti e bassi). In quei primi mesi di difficoltà estrema, avevo infatti già trovato un accordo col Cerignola, ma poi non tenni fede a quanto già stabilito, perché arrivò Caiata, il Potenza si riformò, e io quasi divorziai con mia moglie: non sapevo come dirle che saremmo rimasti in “quell’inferno”! Ma avevo una sensazione forte e positiva, anche perché avevo trovato persone che –nella difficoltà- mi avevano voluto bene (e io a loro). Insomma, nonostante nessuno credesse, sperasse o sapesse che avremmo vinto il campionato, aveva una grande voglia di accettare la nuova scommessa qui a Potenza. Non so bene perché, ma era quello il mio sentimento…

d: Ma a lei adesso Potenza piace proprio COME CITTÀ, e ci vuol rimanere anche dopo…

Certo, sì. Dopo i due anni che mi hanno visto andar via per giocare a Taranto (a seguito di qualche incomprensione con Caiata), ove abbiamo anche vinto il campionato, avevo anche proposte migliori dal punto di vista calcistico, ma io, mia moglie e mio figlio volevamo tornare a Potenza, e abbiamo “circondato” il Presidente per questo scopo. Lui ha accettato, oggi siamo di nuovo qua, con la voglie di restare, anche dopo il calcio.

d: Spero e credo che la sua casa sia migliore, adesso.

Certamente, pian piano le cose si sono sistemate. Ripeto: la mia voglia è rimanere qua. Anche mio figlio me lo chiede sempre.

d: Scusi se mi ripeto. Abbiamo intervistato moltissimi giocatori, negli anni, che hanno ritenuto questa città (senza che sia una colpa, ovviamente) come un luogo di passaggio e che ne hanno usufruito come “dormitorio” o poco più. Perché lei, invece, dopo aver girato il mondo, vuole stabilirsi proprio qui?

Per le persone. Mi hanno dimostrato un affetto…guardi, ho qui amicizie vere che non ho neanche in Argentina. Farei dispetto a molte persone se le raccontassi un singolo episodio. In quei momenti di difficoltà, c’era gente che mi portava da mangiare (formaggi etc.), chi mi veniva a prendere all’aeroporto, di tutto di più. Si dispiacevano per me e per la mia famiglia: come dicevo, per mesi non ho percepito stipendio, mia moglie (per nostra scelta) non lavora …e ho rischiato quasi il divorzio. I potentini hanno dato a me e alla mia famiglia un amore immenso: sono stato in altre città, dove mi hanno trattato benissimo, ma non mi sono mai aperto come in questo caso. E’ questione di feeling, di un amore che è nato.

d: La città poi è tranquilla…

Sappiamo tutti che per i più giovani la città non ha molto da offrire come "movida"; pensi che mia moglie è abituata al centro di Buenos Aires, che non finisce più ed è pieno di persone e negozi, specie per i gusti femminili; ma come madre- e io come padre- pensa comunque che Potenza sia il posto più adatto per crescere un bambino. Lui può correre in via Pretoria, e magari dopo trecento metri lo ferma un mio amico, o comunque qualcuno che mi conosce, e gli dice “Che ci fai qui da solo? Aspetta tuo padre!”. C’è questo rapporto della città coi bambini… e in futuro io voglio lavorare con loro.

d: Da cittadino di Potenza, cosa chiederebbe al sindaco o comunque a chi comanda?

Gli direi che il futuro di ogni società sono i bambini, e quindi di attivarsi affinché loro abbiano le migliori possibilità. Mo’ non mi voglio mettere in politica (sorride)… ma direi di fare più cose per i bambini, più strutture, più campi da calcio, più parchi, per farli crescere meglio, affinché non stiano solo davanti la tv o ai videogiochi. Una volta c’era la strada per giocare, oggi non più…

d: Veniamo al calcio vero e proprio. Ma secondo lei Caiata se ne va veramente?

Posso dirle quello che mi auguro in cuor mio (poiché solo lui e la società, o forse manco loro, sanno come andrà a finire). Lui ha parlato di quote e cose del genere…e io non saprei dire, ma mi auguro possa continuare in un qualche ruolo: sarebbe un bene per la squadra e per la città.

d: Lei ha parlato anche di qualche incomprensione…

..sì, ma ci sono anche fatti di procuratori…cose del genere…

d: A me interessa sapere la cosa più bella che Caiata le ha detto finora.

Dopo quei famosi sei mesi difficili, di “inferno” a Potenza, lui mi chiamò in Argentina perché voleva tenermi qui e mi disse: «Signore Guaita, le offro una possibilità irripetibile, non la sprechi». Dopo cinque anni, è una frase che ancora ho in mente. Va detto che a livello economico avevo proposte molto migliori, ma lui come imprenditore sa fare il suo lavoro, sa convincerti, è un numero uno. Oggi è un politico, ma lui già di suo sa parlare, ha questa dote che magari altri non hanno.

d: Il suo momento più emozionante qui a Potenza?

Il gol della salvezza, senza il quale il sogno di questi ultimi cinque anni non ci sarebbe stato.

d: I potentini quando la vedono per strada, che frase le dicono per caricarla?

Sicuramente quella più famosa…

d: “U’ Putenza è semb nu squadron”?

Sì! (ride). Tutti si identificano in quella frase.

d: Lei è uno che non si nega quando viene invitato a eventi e manifestazioni…quest’anno –se tutto va bene- tornerà anche la Festività di San Gerardo, con le canzoni popolari, quelle di Michele di Potenza…

Sì, mi piacciono! Sono stato anche a un pranzo con lui!

d: Probabilmente si confonde con Agostino Gerardi.

Sì, scusa, con Agostino Gerardi(in effetti il suo erede – ndr) Proprio lui. Con la mia famiglia ho avuto modo di partecipare a tre festività, e l’ultima volta, durante la Sfilata, mi hanno riconosciuto e mi hanno chiesto di tirare la “carrozza”: io ho iniziato a tirare, ma a un certo punto mi sono accorto che gli altri si erano fermati e tiravo solo io (risate). E’ stato bellissimo, uscì pure sul giornale.

d: A Potenza quando c’è qualche problema si dice “San Gerardo pensaci tu!”. Ha qualcosa di particolare da raccomandare al Santo?

Parliamo a livello calcistico: spero che le cose vadano bene, come nei miei primi tre anni, tornando a fare campionati di vertice. I tifosi potentini lo meritano: le altre squadre non ne hanno di supporters così, e non lo dico per piaggeria.

d: Intanto Leo Guaita ci sarà l’anno prossimo.

Mi auguro di sì. Deve decidere la società che verrà, ma finché non mi cacciano, io resto (ride).

d: Il film che la rappresenta?

Mi piace la serie di Rocky, in particolare quella scena nel film “Rocky Balboa” (del 2006 – ndr), in cui lui dà una lezione di vita al figlio, spiegandogli che dopo le sberle bisogna rialzarsi. Io stesso ho preso quel tipo di schiaffi che ti lasciano al tappeto…

d: La scomparsa di suo fratello.

Sì. Ma se non ti rialzi, rimani lì a terra per sempre, e poi io ho una famiglia che conta su di me...

d: La canzone?

Una canzone argentina che ha anche a che fare con questo, “Resistirè”. E’ la sigla di una trasmissione televisiva: «Resistere contro i venti forti, la pioggia e la neve».

d: Il libro?

Mi piacciono le biografie di calciatori come Guardiola, Simeone. Nel calcio c’è la vita.

d: Mettiamo che fra cent’anni scoprano una targa a suo nome qui al “Viviani”, cosa le piacerebbe ci fosse scritto?

Un domani voglio insegnare ai ragazzini il vero spirito del calcio e dello sport in generale. Voglio lasciare soprattutto qualcosa a loro. E vorrei essere ricordato per quello.

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Pino Brindisi è il responsabile della Protezione Civile del Comune di Potenza, e dunque anche alle ormai note Tende “del Qatar”. Da un po’ di tempo, l’hub vaccinale resta aperto solamente il giovedì e il venerdì, dalle 08 alle 14. Ci dice in apertura che ancora qualche giorno fa, si è presentato qualcuno per la prima dose, “esattamente sono state di 13 prime dosi, un dato che fa pensare, ma molto probabilmente si tratta di persone che per altre patologie o complicazioni non si erano ancora vaccinate; anche se va detto che questo flusso delle prime dosi non si è mai interrotto, molto ha influito il Green Pass rafforzato, infatti proprio in quel periodo, siamo arrivati anche ad oltre 100 vaccinazioni”.

d: Oggi invece le quarte dosi sono destinate solo ad alcune categorie di persone.

r: Ultraottantenni e soggetti fragili, c’è sempre bisogno della prenotazione, per poi essere registrati e ci si organizza in questi due giorni, presso l’hub vaccinale di Potenza o presso gli altri centri dello stesso distretto ASP.

d: Com’è il dato finora (mercoledì – ndr) sulla quarta dose?

r: Altissima partecipazione non c’è stata, la risposta è nella media di quello che ci si aspettava, sono soprattutto over 80: ricordiamo che ci sono state anche vaccinazioni a domicilio. Mi piace sottolineare un particolare: è stato un elemento di distinzione, ed è stata una grande soddisfazione, gli over 80 nella primissima fase della vaccinazione Covid furono esattamente dei “soldatini”.

d: …cioè?

r: Per disciplina e partecipazione: ricordo la grande risposta durante quella nevicata importante che ci fu. Indubbiamente ci sono state tante difficoltà negli hub vaccinali, sono successe tantissime cose, ma tutte superate. Temevamo la preoccupazione degli over 80, ma praticamente sono stati un esempio di educazione e di disciplina, con la quasi totalità dell’adesione.

d: Adesso, in generale, la situazione è più rilassata e tranquilla, ma mi rifaccio alle parole del presidente dell’AVIS Potenza dell’Avis, sull’importanza dei volontari in questa drammatica situazione, e su cosa sarebbe stato senza la loro presenza.

r: Una piccola premessa, quando abbiamo impiantato queste tende, con l’Esercito e con i rappresentanti del Qatar, siamo venuti in questa zona, c’è stata quasi una sassaiola perché c’era paura, si pensava che sarebbe diventato un lazzaretto, e così non è stato. Per la poca conoscenza insita in iniziative “spontanee” -non sapendo quale sarebbe stato l’afflusso- ci furono le giornate degli open day, dove siamo stati sopraffatti dalla gente. Io rappresento la Protezione Civile del Comune di Potenza, a cui fanno capo tanti altri comuni; nella primissima fase emergenziale siamo andati a Matera, nelle carceri, abbiamo raggiunto tante realtà sprovviste di una struttura come questa. E’ una parte importante e fondamentale, una delle funzioni che noi attiviamo come assistenza per la popolazione è proprio il volontariato. Devo necessariamente ricordare la Croce Rossa, l’Esercito -che ci ha supportati anche nella costruzione delle tende- e la Marina Militare che è stata con noi per mesi, nei capannoni adiacenti con l’hub per i tamponi. Voglio ricordarle un po’ tutte: la Croce Rossa, la VOVA, le Aquile lucane, i Falchi della Lucania, ANPAS, ANPS, addirittura altre di carattere sociale, altra grande scoperta, tutte quelle che afferivano alle attività ospedaliere: AVO, che erano fermi da un po’ di tempo, VIVERE DONNA, quelli che prestavano servizio presso il reparto oncologico, ABIO che si occupa di bambini, e altre come AGESCI, le MISERICORDIE, Corpo soccorso Emergency, Aquile Lucane, Movimento Azzurro e  UNITALSI.

d: Cosa sarebbe stato assolutamente senza tutte queste realtà?

r: Assolutamente un grande problema.

d: La Regione dovrebbe dire grazie?

r: La Regione deve dire grazie, il Comune deve dire grazie, noi dobbiamo dire grazie assolutamente a una realtà che risponde sempre. Sono responsabile oggi, ma provengo dalla parte tecnica della Protezione Civile. Siamo andati su tutte le zone terremotate d’Italia, siamo accolti ogni volta che andiamo -indipendentemente dalla provenienza del nucleo di volontari- in un modo esemplare e meraviglioso; ci offrono da mangiare e posti per dormire, in molte realtà ritroviamo anche nostri compaesani a disposizione. Conosco i nomi di tutti perché ogni singolo è importante. Con il sindaco e il Comune di Potenza ci accingiamo a celebrare una cerimonia per il rilascio di una Benemerenza a tutti i volontari, non solo alle associazioni. Non potrei dire qualcosa di negativo, ovviamente nemmeno sulla parte sanitaria, questa volta la Protezione Civile è stata di ausilio alla sanità, ma alla fine ci si amalgama un po’ tutti, c’è proprio un’osmosi, si è andati avanti come un corpo unico.

d: In questi mesi si sono lette sui giornali anche tante proteste, qual è stata secondo lei una critica particolarmente ingiusta?

r: Le proteste sono state tante, una ce l’hanno scritta qui davanti: “assassini”. Ci sono stati momenti molto particolari, ci fu anche un signore che si avvicinò dicendomi “lei è un oppressore”. Abbiamo cercato di non dare seguito a queste cose, non poteva mancare da parte nostra, come Protezione civile istituzionale, la comprensione, in una vicenda particolare come questa emergenza epidemiologica, incomprensibile e sconosciuta. La stessa vaccinazione, in un certo senso, l’abbiamo subita, ma in realtà è stato un grande aiuto. Tanti hanno compreso dopo, molti l’hanno accettata forzatamente perché dovevano andare a lavorare, non è una sorpresa.

d: È successo che se la prendessero con voi?

r: Abbiamo vissuto situazioni particolari, e un ringraziamento importante va anche alle Forze dell’Ordine, sono stati spesso presenti con noi anche agenti della Polizia locale, non solo Polizia di Stato e Carabinieri. In una delle giornate di open day ci furono oltre 1700 persone: all’inizio buttarono per aria letteralmente le nostre barriere, i volontari furono aggrediti. Ci fu tanta concitazione tra la gente, a noi stessi la notizia dell’iniziativa era arrivata solamente la sera prima, e abbiamo visto arrivare fiumi di persone. Per giorni abbiamo vissuto uno stress totale, non è stato facile. Però è stato raggiunto un risultato positivo.

d: Sulla parete dietro di noi ci sono una serie di istantanee di questi due anni: ricorda un giorno emblematico per la sua bellezza?

r: È sola una parte delle fotografie che sono state scattate, ricordano giornate particolari. La nostra gratificazione maggiore sono i volontari, c’è il gruppo comunale, con ragazzi universitari, ex tirocinanti, sono stati di un aiuto fondamentale. A un certo punto, in occasione della riapertura delle scuole, abbiamo allestito in contemporanea anche un altro hub vaccinale su indicazione del nostro sindaco Guarente e del presidente Bardi, il centro sportivo di via Roma. Con i ragazzi della Marina Militare abbiamo collaborato per oltre un anno, e prima che si susseguissero altre realtà, ci salutammo con una festa e una estrema commozione reciproca.

d: Cosa chiederebbe oggi a chi governa, in questo caso Regione e ASP? E cosa ai cittadini?

r: Le Istituzioni devono fare esattamente quello che è previsto dalle norme; ai cittadini, la parte più importante, direi che bisogna credere in ciò che la scienza ci dice e ci offre. Nel Codice 1 della Protezione Civile del 2018, vengono riportati dentro due grandi motivi, la parte culturale e quella scientifica, che non sono avulse da ciò che viviamo tutti i giorni. Bisogna fidarsi, credere nella scienza, anche se a volte può sembrare un’ imposizione.

d: Qualche NoVax ricreduto l’ha conosciuto?

r: Assolutamente, di persona, anche molto vicini. Abbiamo dovuto allontanare alcuni volontari che all’inizio non si sono vaccinati e non potevano assolutamente essere presenti. Sono tornati, si sono ricreduti, parliamo anche di insegnanti, di professionisti, che sono stati lo zoccolo duro perché le persone più umili, più semplici, hanno scelto di farsi accompagnare. Negli open day per gli insegnanti, con alcuni è stata letteralmente una battaglia, molti sono andati via, alcuni poi sono tornati dopo la campagna dedicata. La vaccinazione è stato ciò che ci ha salvato, quello che oggi ci permette di stare solo due giorni aperti. Proprio in questi giorni c’è stata una commissione di pubblico spettacolo, perché riprendono molte attività: impensabile un anno fa, come i concerti, le feste all’aperto. Oggi possiamo parlare di tutto questo anche perché ci siamo vaccinati. E’la verità.

Testo di Antonella Sabia, su testimonianza video di Walter De Stradis e Donato Colangelo-Lucania.Tv

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Educare i giovani studenti del comprensorio di Tempa Rossa alla conoscenza della biodiversità della propria terra, ma anche a sviluppare capacità di ricerca e di esplorazione, per contribuire ad una crescita culturale, cognitiva ed emotiva attraverso una fruizione consapevole dell’ambiente naturale: sono gli obiettivi di “Educambiente”, progetto che TotalEnergies EP Italia, nell’ambito delle attività di sviluppo sostenibile ha avviato in collaborazione con Nuova Atlantide e con il supporto del Ceas “Dolomiti Lucane”.

L’iniziativa fa parte di un programma triennale ed è rivolta a tutte le scuole dei comuni della Concessione Gorgoglione che fanno capo agli istituti “16 agosto 1860” di Corleto Perticara, “R. Montano” di Stigliano e “V. Alfieri” di Laurenzana.

In totale saranno 387 gli alunni coinvolti e appartenenti a 30 classi dei plessi scolastici di Accettura, Aliano, Anzi, Armento, Castelmezzano, Corleto Perticara, Gallicchio, Gorgoglione, Guardia Perticara, Laurenzana, Missanello, Pietrapertosa, San Martino d’Agri e Stigliano.

Il percorso formativo è articolato in quattro moduli: tre rivolti agli studenti della scuola primaria, con due incontri in classe di tre ore ciascuno dal titolo: “A quale ambiente appartiene”, “Come si muovono gli animali”, “Per fare un albero”; il quarto modulo, dal tema “I Bioindicatori: acqua e aria”, prevede tre incontri in classe di tre ore ciascuno ed è dedicato invece agli alunni della scuola secondaria.

Le attività, che si svolgeranno sia in classe che all’aperto con escursioni rispondono a due precise finalità: far conoscere le specificità ambientali e culturali del territorio di riferimento e di quello limitrofo (Parco regionale Gallipoli Cognato e delle Piccole Dolomiti Lucane); trasferire ai ragazzi il concetto di rispetto eamore per l’ambiente naturale. Al termine dell’anno scolastico, al fine di consentire un’illustrazione del lavoro svolto è prevista una giornata conclusiva, durante la quale gli studenti avranno la possibilità di poter rivedere, attraverso l’esposizione di materiali di sintesi dei singoli itinerari, le attività sviluppate e di verificare l’effettiva acquisizione delle nozioni trasferite.

“Il nostro auspicio, attraverso il progetto Educambiente - ha detto Ambrogio Laginestra, responsabile del Dipartimento Relazioni con il territorio di TotalEnergies EP Italia - è quello di aiutare i giovani e quindi le future generazioni ad essere sempre più consapevoli che tutti noi siamo inseriti in un sistema complesso di relazioni in cui interagiscono non solo fattori fisici e biologici, ma anche aspetti che riguardano la presenza e le attività dell’uomo nell’ambiente”.

 

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Che la primavera sia arrivata ormai da un po’, ce lo dicono i tanti alberi in fiore e l’erba che vediamo intorno a noi. Forse troppa. Facendo un giro, infatti, per le vie cittadine, la nostra attenzione (e quella dei nostri lettori) è caduta sulle tante aree verdi pubbliche, aiuole, rotatorie e aree attrezzate, dove erba incolta mista a rifiuti si sta impossessando anche dei marciapiedi, e nessuno pare interessarsi, restando così non solo abbandonate a se stesse, ma diventando un pericolo per i cittadini con il caldo alle porte.

Suddette aree –o meglio, alcune di queste- erano state interessate più di un anno fa da una manifestazione di interesse propalata dal Comune, indirizzata a cittadini, organizzazioni di volontariato, parrocchie e operatori privati, per ottenerne l’affidamento in adozione (fermo restando la natura di superficie pubblica, accessibile a tutti e soggetta alla normativa urbanistica comunale), e tenerle in stato di decoro, oltre a poter organizzare iniziative finalizzate alla sensibilizzazione sull’uso consapevole degli spazi verdi. “Non è voler delegare la manutenzione ad altri”, specificò il Sindaco durante la presentazione del progetto, “bensì la volontà di avvicinare i cittadini ai propri spazi, sentirli propri e averne cura”. E la risposta è stata importante da parte della comunità, considerando quanti cartelli oggi si trovano esposti in queste aree (di associazioni, privati e pubblici che hanno scelto di adottare un’area verde), ma tante sono anche le segnalazioni arrivate alla nostra redazione, in cui si chiede come mai se è stata firmata una convenzione, alcune (non tutte) di queste aree verdi continuano a essere in stato di abbandono e/o di incuria. Molti si sono chiesti inoltre come mai il Comune ha deciso ad un certo punto di far pagare la gestione del verde agli affidatari (seppur con cifre non certo alte), se poi in città si continuano ad avere disservizi, dai bagni pubblici alle scale mobili. Come vengono gestite dunque queste aree?

Intanto, è emerso che i cartelli esposti nelle diverse aree verdi, cartelli pubblicitari ovviamente, sono stati affissi dietro pagamento di un compenso (una sorta di canone annuale, tra 35 e 39 euro a cartello, di dimensioni non superiori a 0,60mq ogni 50 mq). Pare inoltre che gli uffici comunali preposti, proprio in questi giorni stiano contattando quanti hanno avuto in adozione questi spazi, per avere una conferma dell’interesse a curare le aree assegnate, nonché richiedere il pagamento di un nuovo compenso per l’anno in corso.

C’è sicuramente molta confusione, e a confermarlo sono proprio alcuni di loro, gli affidatari, che sono rimasti perplessi rispetto alla nuova richiesta di pagamento “della pubblicità” (specie perché negli anni passati, a quanto ci riferiscono, era gratis), e ufficialmente stanno attendendo il rinnovo della convenzione per l’affidamento delle aree per questo nuovo anno, prima di procedere allo sfalcio dell’erba. Perplessità che avrebbero spinto alcuni cittadini, associazioni e privati a scegliere di lasciare le aree verdi a loro assegnate, a causa delle spese, ritenute eccessive, a loro carico (tra pubblicità e ingaggio di una ditta esterna che si occupi della manutenzione).

A questo punto, viene da chiedersi, a chi giova dunque proporre queste iniziative, se parte della città rimane in disordine? Ma soprattutto, il Comune effettua sopralluoghi nelle suddette aree affidate come previsto dalla convenzione? Non si è in grado, con mezzi propri, di badare al verde cittadino?

Abbiamo provato a contattare gli Uffici preposti, ma la telefonata è andata a vuoto. Gli interrogativi, al momento, rimangono ma continueremo ad occuparcene nelle prossime settimane.

Antonella Sabia

 

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di Walter De Stradis

 

 

Le sue interviste, specie quelle rivolte ai politici locali (alcune delle quali diventate celebri), gli mancano molto. «…Perché era il microfono e tenere me, e non viceversa», spiega.

Nonostante abbia lasciato il TGR da qualche tempo, Edmondo Soave è tuttavia impegnatissimo su più fronti: è Presidente della FISM (Federazione Scuole Materne Cattoliche), è responsabile della comunicazione per la Diocesi di Potenza, ed è attivo con l’UCSI (Unione Cattolica Stampa Italiana), di cui è stato presidente regionale.

Qualche giorno fa, inoltre, c’è stato un importante incontro sul tema “La “Basilicata possibile”, o “La Basilicata del bene comune”: lo ha organizzato la CRAL, Consulta Regionale delle Aggregazioni Laicali. Vi aderiscono una quarantina fra associazioni e movimenti ecclesiali, ed Edmondo Soave è membro della Presidenza.

d: Come giustifica la sua esistenza?

r: E’ la domanda della Vita. Ho studiato Filosofia solo per rispondervi. Dico sempre che divento calvo perché la Provvidenza mi tira per i capelli, e ha cominciato parecchio tempo fa! (sorride). Credo che ci sia un Disegno divino. Non siamo qui per caso.

d: Quando ha capito che nella sua vita avrebbe fatto il giornalista?

r: Quando feci il concorso in Rai. Ma in realtà ci avevo pensato da prima. Avendo studiato a Roma, andai a sentire uno di quegli incontri che Scalfari teneva per presentare al pubblico La Repubblica, e in quell’occasione affermò che avrebbe fatto dei concorsi per giornalisti. E così, col mio bravo -ma abbastanza “normale”- 110 e lode in tasca, mi presentai in redazione e chiesi conto di questi fantomatici concorsi. Brutalmente mi risposero che erano solo tattiche pubblicitarie. Così rinunciai e mi diedi all’insegnamento, finché, nel 1979, un amico –nella piazza di Anzi, il mio paese- mi disse che c’era un concorso in Rai. Io ero scettico, ma questo amico – e qui entra in gioco la Provvidenza- mi portò i documenti in casa, e il resto è storia.

d: A proposito di concorsi, se digito il suo nome su Google appare, primo fra tutti, un titolo di un blog che recita “Al concorso Rai vince anche la figlia dell’ex giornalista Rai, Soave”…

r: …sì, beh, rimasi piuttosto male quando uscì un articolo del genere. Potrei dire tante cose (che mia figlia è brava, e ha preso sempre il massimo dei voti), ma mi limito a dire che si è laureata alla Cattolica e che viene dalla Scuola di Perugia, da dove proviene almeno uno/due terzi dei giornalisti Rai (specie i vertici). Aggiungo solo una cosa: se fossi stato così potente da manovrare un concorso, non avrei certo lasciato mia figlia disoccupata per quattro anni!!!

d: La Basilicata secondo lei è una regione meritocratica?

r: No. C’è una bellissima intervista del vicepresidente della Cei, in cui si dice che i ragazzi se ne vanno dal Sud, non solo perché non trovano lavoro, ma anche e soprattutto perché c’è un sistema clientelare talmente diffuso che scoraggia. Carlo Trigilia, noto meridionalista che è stato anche ministro nel governo Letta, parla di “capitalismo politico”. Cosa vuol dire? Che le decisioni oggi sono tutte politiche, mentre una volta erano partitiche. Oggi sono una prerogativa dei “capibastone”.

d: A proposito della politica che “capitalizza” tutto, giorni fa leggevo un comunicato dell’assessore Cupparo, in cui («da cattolico prima che da assessore regionale») faceva suo e rilanciava l’appello della Cral del Giovedì Santo. Oggi, in generale, vanno molto di moda i politici che tirano fuori il rosario o che si rivolgono alla Madonna: cosa ne pensa?

r: Rispondo con le parole di cardinal Bagnasco: «E’ meglio essere Cristiani senza dirlo, piuttosto che dirsi Cristiani senza esserlo». Pertanto, se certi politici sono Cristiani davvero, farebbero bene a essere più moderati, nei termini e nei pensieri, e soprattutto a PRATICARE il Vangelo. Il Vangelo si diffonde per contagio, per le azioni che si fanno, non per le cose che si dicono; altrimenti Gesù sarebbe un Socrate ebreo. E non lo è. O è un Dio o è un matto: noi crediamo che sia un Dio, e lo seguiamo.

d: D’altro canto, proprio oggi (mercoledì scorso – ndr), si legge di comportamenti in Consiglio regionale che rasentano l’assurdo: si votava per il rinnovo degli uffici di Presidenza, e qualche consigliere –pare per fare “un dispetto” a Cicala- ha scritto sulla propria scheda il nome di un editore e di un giornalista, ritenuti invisi al Presidente uscente: una mancanza di rispetto clamorosa per il ruolo affidato loro dai cittadini.

r: Da noi non c’è soltanto una povertà educativa, ma anche informativa. Alexis De Tocqueville diceva che “la Democrazia è il potere del popolo informato”, e in Basilicata –a parte il servizio pubblico della Rai, che è l’unica informazione che “passa”- questo è un concetto in forte discussione, considerate le difficoltà che (non per colpa loro) hanno i giornali: a causa della scarsezza dei lettori, in più del 50 % dei paesi, i quotidiani non arrivano nemmeno.

d: Vuol dire che la politica se ne approfitta?

r: Non la Politica, i partiti (se esistono), ma siccome non mi pare che siano così strutturati, sono sempre “capibastone” che se ne avvantaggiano. La politica è morta, non c’è nessun dubbio su questo. Altrimenti non saremmo in queste condizioni! Mancano proprio i luoghi di dibattito.

d: Quando è morta la Politica?

r: Da noi? Sicuramente con la fine della Prima Repubblica. Non che prima fossimo in un Eden, ma almeno una volta c’era la Dc che mieteva consensi (addirittura a Potenza anche oltre il 50%), ma c’erano anche i Socialisti, i Comunisti. Ognuno nella sua casamatta magari, ma si discuteva; si aveva una visione, parziale, ma la si aveva. Adesso c’è stato un crollo nell’interesse pubblico, e la tentazione, tutta meridionale, di trovare la soluzione “individuale” al problema, che a sua volta ti lega al clientelismo, che noi della Cral riteniamo maturi sulla pelle dei più poveri e bisognosi. Alla Cral parliamo di “strutture di peccato”, un concetto introdotto da Giovanni Paolo II nel 1985: il peccato che si è oggettivato, una struttura da cui si è costretti, in qualche modo, a passare.

d: Una sorta di malevola, burocrazia aggiuntiva.

r: Esatto. Che opera per garantire chi è già garantito.

d: Una volta -si dice spesso- almeno c’erano “gli statisti” (Colombo etc.)

r: Il problema del Sud non è la mancanza di statisti, visto che le eccezioni possono nascere ovunque, ma la Politica in sé, la “medietà”, la media della consapevolezza politica: anche se dessimo le chiavi della politica lucana a San Pietro, beh, non credo riuscirebbe a risolvere granché! Se il contesto è totalmente ostile, è lecito non aspettarsi “miracoli”.

d: Qual è allora la strada, magari indicata nel vostro ultimo incontro, per riguadagnare la regione alla politica vera, e viceversa?

r: L’obiettivo è innanzitutto quello di mettere insieme le forze cristiane e cattoliche, ma non per guardare avanti –paradossalmente- ma per tornare alle origini: il Cristiano o è politico o non è. C’è poco da discutere.

d: Gesù era politico?

r: Suo malgrado, se vuole, ma lo era. La sua è stata una condanna politica, perché dava fastidio al potere di allora, aveva cacciato i mercanti dal tempio… Mounier diceva che la politica o la fai attivamente, o non la fai, ma in quel caso la fai lo stesso, ma passivamente, a favore delle forze che comandano. La politica, insomma, non si può evitare.

d: In questo momento i Lucani sono più politici “attivi” o più politici “passivi”?

r: Passivi, totalmente.

d: Per colpa solo dei “capibastone”?

r: No. Attenzione. La mia lunga militanza nella professione mi ha messo spesso di fronte al gioco del rimpiattino: le cose non vanno bene? Per il politico locale è colpa del politico di Roma, che non dà abbastanza soldi; per il politico di Roma è colpa del politico locale, che non sa spenderli. La verità, come sempre, sta nel mezzo, e la risoluzione dei problemi implica l’impegno dell’una e dell’altra parte. C’è la cultura dei doveri, oltre a quella dei diritti. Nella “Repubblichetta” della Basilicata c’è inoltre l’errata convinzione che i nostri problemi possiamo risolverli da soli: è inconcepibile. La nostra Regione, la Questione Sud (prima porta del Mediterraneo), vanno posti invece in un’ottica nazionale, europea. Si è portati a credere che quello che ci riguarda sia soltanto un divario economico, quando invece è un vero e proprio divario “di cittadinanza”, che ha origine alla nascita: in settantasette comuni della Basilicata non esiste UNA SOLA struttura a favore dei bambini!

d: Se potesse prendere Bardi sottobraccio, cosa gli direbbe?

r: Di essere più presente, di tenere in maggiore considerazione i giovani disoccupati lucani. La nostra è soprattutto una disoccupazione intellettuale.

d: Bardi ha detto che la polemica sulle sue nomine “napoletane” è…

r: …banale, e ha ragione: perché è ovvio che non dovrebbe essere così! (ride) Oddio, se uno ti porta un Einstein, noi in Regione ce lo teniamo finché è possibile, ma non mi pare che qui da noi lui abbia portato tutti questi Maradona.

d: E al sindaco Guarente cosa direbbe?

r: Che se non si risolve il problema del centro storico non si risolve il problema di Potenza.

d: Il libro che la rappresenta?

r: I libri che ho letto più volte sono “I Fratelli Karamazov”, “I Demoni” e “Il Gattopardo”.

d: La canzone?

r: “L’albero di trenta piani”, ma perché mi piace Celentano.

d: Il film?

r: Non sono un appassionato.

d: Se la sua vita fosse un articolo di giornale, quale sarebbe il titolo?

r: “Si è divertito”.

d: Motivo?

r: Ho fatto il mestiere più bello del mondo, in assoluta libertà, e gli errori commessi sono tutti miei.

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di Walter De Stradis

 

 

 

 

La settimana scorsa è stato siglato nella Sala dell’Arco del Palazzo di Città, il contratto attraverso il quale il Comune concede in uso all’Avis di Potenza i locali che ospitavano gli uffici comunali di via Nitti.

Incredibilmente rassomigliante all’attore Will Patton, Anthony Clementi (il nome di battesimo si deve al “periodo americano” dei suoi genitori) è il Presidente cittadino dell’Associazione Italiani Volontari del Sangue.

d: Prima di Pasqua è dunque arrivato questo “dono” del Comune, considerate le ben note traversie che l’Avis di Potenza ha vissuto proprio per problemi legati alla sede…

r: Sì, vorrei però precisare che ci sarà un canone di locazione, quello previsto per le associazioni di terzo settore. Si può dire quindi che, sin dal suo insediamento, questo Comune (nella persona del sindaco, degli assessori, ma anche di alcuni dipendenti municipali assai disponibili) ci ha “donato” soprattutto la sua attenzione, visto che l’operazione è stata lunga e faticosa. Abbiamo risolto un bel problema, dato che ultimamente si operava con la consapevolezza di doversi trovare un’altra casa.

d: A scanso di ogni possibile equivoco: il canone sarà direttamente a carico dell’Avis questa volta?

r: Sì, a carico dell’Avis comunale. Credo che per fine maggio ultimeremo le operazioni di trasloco necessarie a trasferirci nella nuova sede e ad abbandonare la vecchia, di proprietà dell’Ater, sita in via Volontari del Sangue. In merito a quest’ultima, avevamo provato a chiedere una rinegoziazione del contratto di locazione (prevedendo anche un minor numero di metri quadrati da usare), e l’applicazione delle condizioni previste per le associazioni del terzo settore, ma non è stato possibile.

d: La nuova casa dell’Avis comporterà anche un nuovo corso per l’associazione? In questi anni si sono lette sui giornali anche notizie controverse…

r: Indubbiamente. Come capita anche nelle migliori famiglie, e nelle migliori associazioni, qualche anno fa l’Avis veniva da un periodo, in effetti, controverso. C’erano delle diatribe tra Avis regionale e comunale; una commistione di problemi associativi e anche personali, che rischiava di protrarsi a lungo. Tempo dopo c’è stata la mia nomina –tra parentesi, non mi sarei mai sognato di fare il Presidente, essendo un semplice donatore dall’età di diciotto anni- poiché mi era stato chiesto di dare un contributo. Ho pensato quindi di metterci una pietra sopra, su qualsivoglia controversia passata, perché non facevano bene all’Avis ed erano soprattutto senza soluzioni. Per questi motivi, la svolta c’è già da cinque anni: ci occupiamo esclusivamente di promozione della donazione e della donazione del sangue stessa. Il tutto avviene, a livello associativo, in uno spirito di grande condivisione e partecipazione corale, anche collaborando con altre associazioni.

d: Quali sono i vostri rapporti col sistema sanitario locale?

r: Di base ci sono dei protocolli d’intesa tra l’ospedale San Carlo e l’Avis regionale, a cui si attengono la sezione comunale di Potenza e tutte le altre consorelle sul territorio: noi facciamo in modo di garantire il fabbisogno, ordinario e quotidiano, di sangue, in riferimento sia alle sale operatorie sia ai malati cronici (leucemici, talassemici…). Non bisogna però creare né eccedenze né mancanze. Un’associazione come la nostra serve anche e soprattutto per gestire le emergenze: quando l’Avis regionale segnala l’urgente richiesta di dieci sacche di sangue “0” negativo, o magari di piastrine, noi abbiamo un gruppo di donatori abituali al quale sappiamo di poter attingere, servendoci anche di un database che ci dice chi è in condizione di donare in quel momento. Poi, chiaramente, ci sono le donazioni periodiche ordinarie, organizzate e regolarizzate dalla nostra segreteria, anche tramite le “famose” telefonate ai soci (sorride). Pensi che solo a Potenza ci sono più di duemila e duecento donatori.

d: Donare, per sua stessa definizione, implica non aspettarsi nulla in cambio, ma prendiamo lei: da volontario che non percepisce emolumenti, cosa ha avuto, in ritorno, dall’Avis?

r: La bellezza e la meraviglia di una donazione gratuita e anonima.

Se dovesse fare uno spot?

r: C’è già quello storico, con quell’attore (Glauco Onorato, tra l’altro celebre voce di Bud Spencer – ndr), che sulle scale di un centro prelievi incontra un ragazzo che gli chiede dove si va a donare il sangue: entrambi scoprono successivamente di averlo fatto “per Mario”, amico del giovane, ma del tutto sconosciuto a quell’altro. E’ questa la meraviglia di una donazione anonima, un atto che nessuno conosce. La ricompensa? Il sorriso del medico o del volontario Avis, che magari poi ti offre la colazione. Oggi, in questi tempi di Pandemia, in cui si usano molto i social, a fini promozionali magari pubblichiamo online la foto di gruppi –organizzati- di persone venute a donare, come l’AS Volley Santa Maria, ad esempio.

d: La Pandemia, appunto: i Potentini hanno continuato a donare?

r: Assolutamente sì, e in totale sicurezza. Anche perché la donazione era una delle attività d’urgenza consentite anche durante il Lockdown. Dico sempre che io stesso il Lockdown non l’ho vissuto: sono stato solo una domenica a casa, perché ogni giorno mi recavo in sede. Si faceva via social o al telefono tutto ciò che non si poteva fare in presenza. In quel periodo abbiamo allacciato rapporti con le più disparate associazioni e/o gruppi organizzati, e hanno collaborato tutti. Pensi che nel primo anno di Covid abbiamo avuto soltanto trenta donazioni in meno rispetto all’anno precedente. Oggi invece vanno addirittura aumentando.

d: C’è qualche storia particolare, non solamente legata al Covid, che l’ha segnata?

r: Mi piace quando vengono a donare i gruppi familiari, ma di storie ce ne sarebbero tante. Recentemente avevamo allestito uno stand ai mercatini natalizi della villa di Santa Maria. Lo scopo era quello di fare “proseliti”, ma alcune risposte ci hanno lasciati di stucco. Una ragazza ci ha detto “Vi conosco, vi conosco, perché io USUFRUISCO delle vostre donazioni” e una famiglia, addirittura, ci ha mostrato un pargolo dicendo “Lui non ci sarebbe, senza di voi!”. Bellissimo.

d: La politica ha mai cercato di penetrare nell’Avis? C’è chi cerca di ottenere visibilità personale entrando nell’Avis?

r: Mmm… no. Magari qualcuno in passato, dopo essersi speso in Avis ha poi voluto –legittimamente- vivere la sua storia politica. Ma la politica è totalmente al di fuori della nostra organizzazione.

d: Quindi riuscite a gestire senza essere sotto la consueta “spada di Damocle” di chi ha il potere di chiudere i rubinetti.

r: Ribadisco la nostra estraneità alla politica, altrimenti forse non avremmo avuto tutti quei problemi legati alla sede… (sorride). Nel corso della Pandemia, certo, abbiamo rivolto alcuni inviti al Sindaco e ai consiglieri, e coloro che sono venuti a donare –e sono diversi- lo hanno fatto singolarmente e senza squilli di trombe. Hanno avuto questa sensibilità e rispetto nei confronti del nostro lavoro.

d: Come giudica invece la “tenuta” del sistema sanitario regionale di fronte al Covid? Ultimamente abbiamo anche scoperto che Governatore e l’ex assessore al ramo non si stimavano…e nel mezzo c’erano i cittadini.

r: (Sorride in silenzio).

d: Ha la faccia di chi vorrebbe dire tante cose.

r: Beh, quel battibecco politico, parlando da semplice cittadino, non è stato bello a vedersi. Magari è apprezzabile che non se le siano mandate a dire, ma certo risulta sconfortante scoprire il clima col quale si sono gestiti due anni di Pandemia. Da ignorante in materia, mi chiedo perché non si sia realizzata una struttura permanente, dedicata a gestire questa e altre eventuali urgenze; non è bello osservare ancora la “provvisorietà” con cui si opera alle famose tende “del Qatar”, in cui tanti disagi vengono attenuati dalla presenza costante di associazioni di volontariato. Anzi, mi chiedo: cosa sarebbe stato senza questi volontari? C’è L’Avo (Associazione Volontari Ospedalieri – ndr), ci sono gli Scout, la Protezione civile…Con tutti i loro limiti, queste persone hanno addolcito l’accoglienza e contribuito all’organizzazione.

d: Se potesse prendere Bardi sottobraccio, cosa gli direbbe?

r: (Altro sorriso) Che arriva un momento in cui bisogna essere operativi, pratici, concreti. Basta diatribe. Basta chiacchiere. Basta finire sui giornali con accuse reciproche. E’ un momento gravissimo, e non solo per la Pandemia (c’è la Sata che va a rotoli, ci sono le conseguenze della Guerra…). C’è bisogno di un’operazione di rilancio. Ci sono troppe famiglie con situazioni di grave disagio sociale e, in tutto questo, fa malissimo leggere di litigi per poltrone e cariche. E’ una cosa che offende la dignità delle povere persone. Nei supermercati, gli scaffali con i prodotti in offerta sono perennemente vuoti. Ci sono attività che chiudono di continuo e altre che tirano a stento, ma solo perché sono a conduzione familiare. E leggere di litigi politici è davvero mortificante.

d: Il film che la rappresenta?

r: “C’era una volta in America”.

d: Il libro?

r: “Narciso e Boccadoro”, di Herman Hesse.

d: La canzone?

r: “Povera patria”, e “E ti vengo a cercare” del compianto Battiato.

d: Mettiamo che fra cent’anni all’Avis di Potenza scoprano una targa a suo nome, cosa le piacerebbe ci fosse scritto?

r: «Anthony Celementi: un amico».

 

 

 

 

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di Antonella Sabia

 

 

 

I mercatini dell’usato in Centro Storico sono stati più volte oggetto di critiche, un argomento divisivo tra quei cittadini che apprezzano le proposte degli espositori e quanti invece credono che possano in qualche modo ledere l’immagine della principale via cittadina. Da qualche tempo, l’usuale e caratteristico mercatino mensile dell’usato e del baratto è stato spostato per svariati motivi dal Centro alla periferia (Via Milano), ed è stato oggetto di una petizione (che richiede «che detta manifestazione si svolga esclusivamente nel Centro Storico» e di comprendere «come sia stato possibile portare a via Milano, rimaneggiare vistosamente e non pubblicizzare sul sito eventi del Comune e sulla stampa locale, come avveniva in passato») presentata dall’Associazione di Via del Centro Storico “La Potenza del Centro”. Abbiamo rivolto qualche domanda al suo segretario, Giovanni De Marco (dopo aver chiesto alcune informazioni anche a Paolo Paladino, presidente dell’associazione materana che si interessava anche al mercatino di Potenza).

d: È stata inoltrata il 30 marzo, quale riscontro ha avuto questa petizione?

r: Siamo stati invitati due volte in IV Commissione dal presidente Michele Beneventi: la prima per ascoltare le ragioni che hanno animato l’estensore della petizione, la seconda per ascoltare gli espositori che organizzano la manifestazione. Facendo qualche passo indietro, il mercatino nasce nel 1997, all’interno di un documento programmatico di proposte che l’allora assessorato alle attività produttive aveva sottoscritto per il “rilancio economico del Centro Storico” (nel riquadro). Per molti anni, quasi una ventina, lo si è continuato a fare in Centro, e qualora Piazza Mario Pagano fosse impegnata, c’era la possibilità di spostare la manifestazione a Piazza Sedile, davanti la Banca d’Italia; in alternativa a Largo Pignatari o Piazza Isabelli, zone che affacciano su Via Pretoria, in modo tale che anche i meno informati avrebbero avuto la possibilità di passarci e vederlo.

d: Come mai si è pensato di spostarlo in un rione distante dal Centro?

r: La nuova amministrazione ha ritenuto di dover contattare anche un’altra associazione proveniente da Foggia che organizza tanti mercatini di questo tipo e che avrebbe dovuto coesistere con quella che già organizzava l’evento da tempo. Si è quindi palesata la necessità di dividere gli spazi di Piazza Prefettura, che nel frattempo, con la concessione del suolo pubblico a bar e attività ristorative della piazza, erano ulteriormente diminuiti. Pertanto, quelli dell’Associazione che da 5-6 organizzavano i mercatini in città hanno preferito declinare l’offerta e spostarsi dal Centro, perché si sa che queste manifestazioni, inoltre, necessitano di tanti permessi, e relative responsabilità (va detto comunque che come cittadini siamo ben lieti di ospitare anche altre associazioni, considerato che in un mese ci sono diversi weekend a disposizione).

d: L’incontro che ha coinvolto gli espositori come è andato?

r: Nel frattempo, per mere questioni di logistica, è stata costituita una nuova associazione con i vecchi iscritti (denominata “Eventi Lucani”), che ha richiesto la possibilità operare nuovamente in Piazza Mario Pagano, e pare che il 7 e 8 maggio prossimi il Mercatino dell’usato tornerà a farsi lì (recuperando una manifestazione che non si è potuta fare per la presenza della pista da pattinaggio). Per il futuro? Almeno per un anno e mezzo, salvo imprevisti, il mercatino dovrebbe continuare a tenersi sempre in Piazza Mario Pagano, conciliando le esigenze delle varie associazioni che in passato operavano in Centro.

d: Secondo lei questo tipo di eventi contribuisce invece alla vitalità del centro storico?

r: Certamente, per quanto mi riguarda, negli oltre 26 anni di queste manifestazioni, i migliori libri sulla storia locale li ho comprati al mercatino. Lo so che a molti non interessa, ma conosco gli espositori e spesso si trovano oggetti meritevoli di essere acquistati. Sono innamorato della comunità nel quale vivo, ma purtroppo dobbiamo dire che Potenza come “piazza” non è delle migliori in assoluto sul piano turistico, poiché richiederebbe visitatori nuovi ogni volta che c’è una manifestazione (considerata la proverbiale “assuefazione” dei residenti). Bisogna dire che non siamo una comunità particolarmente collaborativa, ma questo richiederebbe una riflessione su tanti temi che riguardano non solo il centro storico, ma la città in genere. Possiamo parlare del trasporto pubblico su gomma, ma anche degli impianti meccanizzati di collegamento con la periferia, completamente stravolto rispetto al suo progetto: questo qui al “Due Torri” che si ferma a via Mazzini, quello che dovremmo fare a via Cavour che comunque non arriverebbe al Campus Universitario, sono scelte che si fanno “a mezza cottura” e spesso si rivelano mai produttive. Queste non sono lagnanze, sono esclusivamente riflessioni su come va avanti questa città.

d: Lei vive e lavora in Centro, cosa servirebbe per il rilancio del centro storico?

r: Solo riflettere su quello che è accaduto fino ad oggi. Faccio un esempio: quando leggo sui giornali che l’UNIBAS intende realizzare il fabbricato per l’Università di Medicina nella parte del campus che guarda verso le carceri, mi vengono i brividi., Abbiamo inoltre dislocato le ASL in zone diverse e lontane tra loro, al Madre Teresa poi trovare parcheggio è veramente difficile.

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L’accordo di oggi - ha dichiarato il direttore Affari istituzionali e Relazioni esterne di TotalEnergies, Dante Mazzoni - riveste per noi grande importanza perché è frutto di un lungo lavoro di consultazione e confronto messo in campo nell’ambito del Tavolo della Trasparenza con tutte le parti interessate, dalla Regione alle organizzazioni sindacali, dai Comuni della Concessione “Gorgoglione” al mondo delle imprese. A tutti gli attori coinvolti spetta ora la piena condivisione e applicazione degli impegni sottoscritti: noi - ha concluso Mazzoni - faremo come sempre la nostra parte”.

 

 

 

 

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di Antonella Sabia

 

 

 

Solamente due mesi fa, con la prima giunta comunale del sindaco Guarente, la città di Potenza aderiva al progetto ‘Italia Smart Working Place’, ideato da Everywhere Tew, una piattaforma che accoglie quanti, in fuga dalle città, desiderano lavorare in mobilità per un certo periodo di tempo, per vivere un’esperienza autentica all’insegna di uno stile di vita più sostenibile. Non solo, l’ex assessore comunale al turismo, Galella, aveva affermato che “si intendeva puntare sul rilancio turistico della nostra città partendo dall’anima di questo territorio, dalla prossimità che si respira attraversando le nostre strade, per raggiungere dei viaggiatori differenti in grado vivere e valorizzare il nostro Borgo-Città”.

È proprio questa caratteristica della città di Potenza, in particolare del centro storico, caratterizzato da vicoli, scalinate che dovrà essere messa in risalto se, per il post Covid, si vorrà attrarre nuovi flussi di viaggiatori, turisti di passaggio o semplici curiosi, e avvicinarli al capoluogo per la sua affascinante struttura urbanistica, l’attrattività del paesaggio, la cultura e il ricco patrimonio storico-architettonico custodito. Anche alla luce dei recenti apprezzamenti da parte di registi, e attori del piccolo e grande schermo che hanno avuto modo di soggiornare in città e apprezzarne tutte le caratteristiche di “Città verticale”. Non dimentichiamo però, il realistico commento dell'attore Haber che l'ha definita brutta.

Per comprendere le necessità di un centro storico oramai in abbandono, abbiamo chiesto a chi Via Pretoria la vive ogni giorno. Per rilanciare il turismo in città, di cosa c’è bisogno? A rispondere è Sergio Mattioli di Ubik, tra i pochi in Centro aperti anche di domenica. “Considerando la storia della città e i vari terremoti nel corso dei secoli (che hanno devastato il territorio), non la rendono città “storica”, ma ciò non significa “brutta”, semmai architettonicamente migliorabile (qui c’entra ovviamente la politica passata e presente); il miglior modo per far ritornare il Centro fulcro della città è legato alle infrastrutture, al ripristino di alcuni vecchi uffici pubblici (che “costringevano” il cittadino a frequentare il Centro), all’introduzione, nuovamente, dei mercatini di frutta e verdure (vedi Piazzetta “dei Poverelli”, quella del Pesce, etc etc) e, magari anche, con la possibilità di alcuni pulmini che raggiungano il pieno centro (i vecchi “Pollicini”). Attrarre, quindi, coi i servizi primari, potrebbe essere una idea, vecchia ma sempre utile. Sviluppare anche la vita universitaria dei fuori sede, potrebbe essere di aiuto”.

Per dare una forte impronta e una identità al centro storico, sarebbe interessante poter dare dei nomi o installare delle targhe sulle gradinate, vicoli caratteristici molti dei quali –INCREDIBILMENTE- non recano nomenclature evidenti al passante e/o eventuale turista (a prescindere o meno che “derivino” il proprio nome dalla strada principale). Interpellato il neoassessore alla viabilità Massimiliano Di Noia su questa questione, ha “rinviato” la proposta ai cittadini, i quali potrebbero proporre al Comune, a suo dire, delle idee in tal senso. È una via percorribile? O il Potentino si è rassegnato al destino della città e del suo centro storico? Ancora Mattioli a rispondere: “L'idea delle targhe e di una maggiore informazione sulla storia, cultura e tradizione potentina è assolutamente positiva, da fare subito. Si potrebbe, anche, pensare di agevolare l’artigianato, per incrementare il lavoro e caratterizzare Potenza. Considerando che turisti negli ultimi anni se ne vedono, perché non anche offrire loro, sabato e domenica un pranzo a prezzo agevolato, tipico potentino (in convenzione magari del Comune con i ristoratori). Ottima idea quella di coinvolgere i cittadini, con proposte ed idee. Non mi pare, inoltre, che siamo rassegnati al decadimento del Centro, fermo restando che è un problema di tante città, anche quelle più famose, storiche e d’arte e turistiche in genere (ovunque i Centri stanno morendo, purtroppo). Mi è capitato spesso di dover rispondere a turisti che chiedevano il perché di chiese e musei chiusi di domenica, tutto questo -si sa- ha dei costi, ma del resto quando andiamo in altre città, è proprio quello che cerchiamo”.

Parole invece disilluse, quelle di un altro storico commerciante del Centro, Vincenzo Domizio: “Purtroppo capita sempre più spesso di vedere gente triste in giro. Per rilanciare il centro storico sono necessarie un miliardo di cose, ma bisogna partire ridando dignità a questa strada. La stessa Piazza Matteotti, per quanto chiunque ci lascia il cuore passando, non si può non notare che è tenuta male, è adorna, cadono pezzi di cornicioni. E non parliamo dei negozi abbandonati, sfitti, questo è il risultato purtroppo delle cose fatte con poco amore. Ricordo le parole di Alessandro Haber, che penso sia stato onesto con se stesso, dicendo che è una città brutta, tra l’altro non è il primo a dirlo”. Sull’identità e la caratterizzazione di vicoli e gradinate: “Esco tutte le mattine a correre, e purtroppo mi tocca constatare che proprio le scale di cui si parla sono tenute male, molto spesso anche sporche di escrementi, tutte cose che comunque abbiamo sempre ripetuto all’amministrazione. Purtroppo, molto spesso, il potentino non si ribella più, accetta quello che si fa nel bene e nel male. Abbiamo Palazzo Loffredo quasi abbandonato a sé stesso, e penso anche ai ragazzi del progetto Erasmus da Spagna, Turchia che cercavano brochure su Matera e Potenza, ma hanno trovato poco e niente. Ricordo che era stato preso un impegno anche per dedicare una strada o una piazza al nostro conterraneo Pino Mango: è mai stato fatto?”, ha concluso Domizio.

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