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di Antonella Sabia

 

 

 

 

 

 

Riprende questa settimana il viaggio all'interno dei rioni di Potenza. Lo faremo attraverso gli occhi di chi vive la quotidianità e la comunità ogni giorno, proprio come il parroco di Rione Lucania, Don Giovanni Di Carlo, che da poco più di un anno è parte viva di uno dei quartieri più popolati della città.

d - Come si vive nel rione? Cosa ha trovato al suo arrivo?

r - Mi trovo bene qui, all'inizio è stato un po' difficile, dopo essere stato per quattro anni a Santa Croce, di cui due di COVID. Ho dovuto rimettermi in cammino, esattamente come le pregresse esperienze, infatti, sono stato 15 anni a Paterno, 10 ad Avigliano, 11 a Tito. Ho fatto tanti spostamenti nella mia vita, e cambiare nuovamente a 70 anni, è stata un po' una novità. Sono arrivato qui dopo vari problemi che si erano creati in questa parrocchia,e il vescovo ha pensato di mandarmi pensando che fossi la persona giusta in quel momento. Sono un po' il parroco delle emergenze, non è la prima volta che accade, però Dio vede e provvede, e al di là dei traslochi qui sto bene. Ho trovato sicuramente una bella comunità, persone semplici con cui si può dialogare, però mi sono accorto sin da subito che è una realtà che presenta diverse problematiche sia a livello sociale sia religioso.

d - Rione Lucania veniva definito da alcuni “rione ghetto”, ancora oggi si percepisce questa sensazione?

r - No questo ormai è superato, anche grazie a tutta l'opera messa in campo da Don Peppino e da tutti gli altri sacerdoti che con lui hanno collaborato. Naturalmente però bisogna camminare, non bisogna fermarsi, è necessario uscire a riveder le stelle, la luce. In generale i tempi sono difficili, se pensiamo alle crisi economiche che si susseguono una dietro l'altra, poi la pandemia è andata ad aggravare ulteriormente le crisi già esistenti e infine tutti questi conflitti, che seppur lontani dal nostro quotidiano, sono più vicini di quanto pensiamo e ci portano a vivere talvolta in uno stato di tensione a livello inter-sociale, ma anche nella vita religiosa poiché c'è stata una sorta di diaspora...

d - Non c’è partecipazione alla vita religiosa da parte del quartiere?

r - Proprio qualche giorno fa, in un incontro con oltre 200 parroci provenienti da tutte le parti d'Italia, abbiamo appurato che la realtà delle chiese vuote è generalizzata in tutto il Paese. In questo quartiere però ho notato una cosa, già questa estate, quando venivano organizzati degli eventi aggregativi da parte delle associazioni. Molto spesso purtroppo la gente preferisce rimanere chiusa nelle proprie case, nei loro problemi e nella loro malinconia. Molti hanno difficoltà a uscire, a incontrarsi con gli altri.

d - C’è qualche motivo che giustifica queste chiusure?

r - Indubbiamente più di qualcuno è stato fortemente preso e condizionato da una sorta di apatia, di stanchezza psicologica e a volte anche sfiducia a livello di rapporti umani. Ma non è chiudendosi che si può risolvere una situazione, anzi probabilmente si peggiora. Ed è per questo che tante volte stimolo anche io alla partecipazione e alla presenza.

d - Anche lei vive nel quartiere, i cittadini lamentano qualcosa?

r - Ho cominciato il mio cammino il 7 gennaio 2023 e a marzo stabilmente ho iniziato a vivere qui. In realtà non ho mai sentito grosse lamentele, proprio perché molto spesso non è semplice avere rapporti con le persone, per la mancanza del dialogo che dicevamo prima, non si progetta qualcosa tutti insieme e quindi non si riesce a creare quel senso di comunità. Provano a farlo le associazioni di quartiere realizzando frequentemente degli eventi e per quanto riguarda la chiesa, io ci credo e voglio crederci. Abbiamo avviato un percorso di incontri con un parroco che viene da Firenze, che ho conosciuto in terra santa poco prima dello scoppio della guerra. Padre Gaetano Lorusso è un rogazionista, viene una volta al mese proprio per cercare di far rinascere la comunità parrocchiale coinvolgendola sotto più aspetti, dallo sport alla musica, dalla cultura all'oratorio che vorremmo cercare di ripristinare. Ci sono poi la Caritas, i centri di ascolto, e stiamo pensando anche alla creazione di una pagina web.

d - È un modo anche per attirare i giovani?

r - Esatto, perché ahimè tranne due o tre che vengono in chiesa la domenica, i ragazzi hanno totalmente abbandonato la chiesa, quando in realtà dovrebbero essere loro la mente e il motore per la rinascita della comunità. Ci abbiamo provato con un oratorio estivo, ma purtroppo non so se è stato più un centro estivo o un “parcheggio”, talvolta capita anche questo, per ovvie ragioni.

d - Possiamo dire però che Rione Lucania è un quartiere accogliente, visto l'ampio numero di cittadini stranieri residenti?

r - Sì assolutamente, la gente è abbastanza accogliente, qui alloggiano molti cittadini stranieri, anche se sono solo di passaggio per cui a volte non c'è neanche il tempo di potersi inserire. Purtroppo è la situazione del lavoro che preoccupa molto, se prima il quartiere era vissuto dal cosiddetto ceto medio oggi purtroppo è medio-basso, anzi più basso che medio. Io credo però che se ci fosse una maggiore partecipazione da parte dei cittadini, con proposte che vengono direttamente da loro e con apertura al dialogo, si potrebbero fare delle cose belle, che ci aiuterebbero a crescere ma anche ad uscire da quella situazione di apatia e blocco che dicevo prima. Da un punto vista più prettamente religioso devo dire che nelle ultime settimane ho notato una maggiore partecipazione in chiesa, talvolta meravigliandomi.

d - La famosa mensa di Rione Lucania è attiva?

r - È una bella realtà, era stata chiusa per poi riaprire, ma vedo che funziona e lavora bene. È aperta a tutti, ad ora di pranzo, dal lunedì al sabato, anche a chi viene da fuori, i prezzi sono accessibili e contenuti ed è molto frequentata in particolare dalle persone anziane. Uno dei tanti problemi di questo quartiere è proprio l'alto numero di persone sole e in là con gli anni.

d - Nei prossimi mesi la città di Potenza sarà chiamata a scegliere il nuovo primo cittadino, se fosse lei il sindaco quali sarebbero le sue priorità?

r - Prendo in prestito quello che disse John Kennedy nel 1961, il giorno della sua elezione. Disse agli Americani di non pensare tanto a quello che lo Stato avrebbe potuto fare per loro, ma ciò che loro invece avrebbero potuto fare per l'America. Pertanto direi ai cittadini di Potenza, e di Rione Lucania, di pensare a cosa loro vorrebbero per il Rione affinché possa crescere. Non bisogna stare lì sempre ad aspettare che scenda il panierino dall'alto, ma è necessario che ognuno faccia la sua parte, così da arricchirsi tutti. Di una ricchezza, anche se grande, una volta preso tutto rimane ben poco. Bisogna mettere a disposizione il proprio talento a servizio della comunità affinché cresca ognuno di noi, ma anche la società in cui viviamo, e questo vale a tutti i livelli.

 

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di Walter De Stradis

 

 

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ppuntamento è all’ingresso del tribunale di Potenza, ove lavora come centralinista. Siamo fuori al portone e gli telefoniamo: “Esco”, dice lui. Pochi istanti dopo, distratti un attimo dal cellulare, ci vediamo sorpassare da un agile giovane che cammina veloce e sicuro con un lungo bastone bianco. Trentacinque anni, il potentino Maro Rafaniello è un inno alla gioia al solo vederlo. Non è un caso che la sua storia, quella di un ragazzo ipovedente che a un certo punto perde completamente la vista, raccontata nel libro “Vedo il mondo con le mani” (realizzato insieme alla giornalista Eva Bonitatibus), abbia avuto molto successo.

Impegnatissimo nel sociale (e non solo), Marco è vicepresidente di Uici (Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti), sezione di Potenza.

d - Qual è stato il percorso che l’ha portata in associazione e quali le attività principali?

r - Sono un giovane potentino, da sempre dinamico e attivo in città. Anche da ipovedente (sono diventato non vedente totale in un secondo momento), mi sono dato molto da fare nel volontariato, a partire dall’oratorio nel mio quartiere, rione Cocuzzo. Dopo essere a lungo stato socio, da luglio 2020 sono vice presidente della sezione potentina dell’UICI. E’ una bellissima realtà. Ci occupiamo di ogni aspetto (burocratico, assistenziale, ludico) in favore dei soci, tutti affetti da disabilità visiva. Creiamo inoltre progetti in partenariato con altre associazioni: lettura, sensibilizzazione, percorsi al buio, cene al buio (sperimentando gusti e odori insieme a persone che non si conoscono), con camerieri ciechi e ipovedenti.

d - Parliamo degli aspetti sanitari, in Basilicata ci sono eccellenti strutture per quanto riguarda l’oculistica.

r - Io l’ho sperimentata ben poco, anche perché il mio oculista, molto umilmente. a suo tempo mi consigliò di rivolgermi fuori regione, perché qui la situazione non era buona. Quand’ero piccolo, dunque, ci rivolgemmo a centri specializzati di fuori, ove alla fin fine mi è stato creato, tra virgolette, un danno. Oggi, anche in virtù delle testimonianze da me raccolte, posso dire che l’oculistica lucana è molto buona, e mi riferisco sia al centro di Venosa sia a quello di Potenza (anche se è chiaro che, rispetto ad altre regioni, per forza di cose, il numero degli interventi chirurgici magari è minore).

d - E la Città in sé per sé? Sa, si parla e si legge spesso di strade, buche e marciapiedi pericolosi per chiunque...

r -...certo, per le persone anziane, per quelle con bambini. Guardi -non per giustificarmi, ma per rimarcare ciò che sto per dire- premetto che io Potenza la amo. Però, a livello di accessibilità, non ci siamo.

d - Si riferisce ai non vedenti?

r - No, parlo in generale. Di recente ho camminato con un’amica con passeggino al seguito, e lei ha riscontrato difficoltà, in molte parti di Potenza. Io vivo la città in toto, movida compresa, ma sono sempre accompagnato; in alcune zone riesco a muovermi anche da solo (avendo avuto la vista fino a un certo punto della mia vita, alcuni tratti me li ricordo), però in generale debbo dire che la città non è accessibile. In molte zone i marciapiedi mancano o sono rotti. Un passo avanti è stato fatto, da parte dell’Amministrazione (che ha ascoltato le nostre richieste) con l’acquisto dei pullman dotati di sintesi vocale (cioè con avvisi su zone e fermate). Alcuni soci mi riferiscono che non sempre vengono attivati, ma io li ho presi pochissime volte e funzionavano,

d - Accennava al fatto che si è confrontato con il Comune, su certe problematiche.

r - Sì, da diversi anni, specie con l’ultima Amministrazione. Devo essere sincero: le nostre richieste quasi sempre sono state accolte. A volte no. Ma è chiaro che bisogna anche mettersi nei panni di chi amministra. Le richieste sono tante e non sempre i fondi ci sono e non sempre si può pretendere.

d - Per un ipovedente o un non vedente quali sono le problematiche di questa città che in primis andrebbero risolte?

r - Beh, c’è la viabilità...se uno vuole muoversi da solo, non tutti i parchi sono accessibili. Un po’ di anni fa, nell’ambito di una “camminata al buio” al Parco Mondo, bendammo tutti gli amministratori, dando loro anche il bastone bianco col quale ci muoviamo, onde poter sperimentare le difficoltà che incontriamo noi. In generale, sul luogo in sé si può anche intervenire, ma il problema vero è: come ci arrivo io? Ci sono le strisce pedonali? E i sensori? Io faccio fitness ogni mattina e percorro -accompagnato- dieci chilometri, sperimentando tutta la città e relativi problemi. In molte zone non si può camminare da soli, mancando i semafori sonori per poter essere autonomi, come invece accade a Bologna, ove infatti ho sperimentato una vera accessibilità.

d - Ecco, cosa si potrebbe “copiare” da queste città?

r - Innanzitutto la buona educazione del cittadino. Ci si lamenta sempre dell’Amministrazione, ma bisognerebbe interrogarsi sul proprio comportamento, quando si parcheggia sui posti per disabili, sui marciapiedi, o non si dà adeguata attenzione all’altro. Molti sono attenti, alcuni mi chiedono se ho bisogno di una mano, quando mi vedono per strada; ecco, partiamo da qui, iniziamo a cambiare la forma mentis. Come dicevo, gestire una città non è semplice e le risorse economiche non sempre ci sono.

d - Anche a seguito dell’uscita del suo libro, di cui s’è parlato molto, lei ha fatto e fa tutt’oggi molti incontri nelle scuole. Per esperienza so che i bambini fanno domande “senza filtri”.

r - Dipende dall’età. I bambini delle scuole elementari possono rimanere sorpresi dal “diverso”, ovvero dal ragazzo col bastone bianco o con la “bacchetta magica”, e in quei casi racconto la mia esperienza tramite un breve cartone animato, in cui si evidenzia la diversità come valore aggiunto. Coi ragazzi di medie e superiori, che sono in una fase di crescita, il discorso si sposta sulla mia esperienza di studente. Con gli adulti, poi, è bellissimo, perché lì devi aiutare a scardinare tanti limiti: facendo esperienze sensoriali, da bendati, sperimentano la perdita di controllo. Si tratta di toccare ciascuno le proprio corde ed è bello, perché negli adulti si smuovono proprio gli animi.

d - Cos’è che oggi la fa incazzare più di tutto?

r - Sempre la maleducazione, mi manda in bestia. Stare poco-poco più attenti all’altro, e cambiare il modo di comunicare, può davvero fare qualcosa. Così è tutto risolvibile.

d - Siamo a pochi mesi dalle elezioni: la politica l’ha mai cercata?

r - Mmm... no. Mi piacerebbe lavorarci, dare cioè un contributo gratuito, da volontario, come faccio oggi nel sociale, ma non nascondiamoci: quello è un ambiente in cui, per sua natura (anche per la presenza di tante idee diverse), bisogna scendere a compromessi, e a me non piace. La situazione in città oggi è molto difficile, e pur avendo del potenziale, non so se potrei essere all’altezza. Bisognerebbe trovare una squadra giusta.

d - Rispetto a quali problemi si può dire che la politica lucana è ipovedente o non vedente del tutto?

r - Prima parlavamo di viabilità e di accessibilità... e poi viviamo in un contesto che costringe i ragazzi ad andare via, per poter assistere a un banale concerto, o per trovare lavoro. Un po’ è anche la posizione del territorio, le strade, i mezzi... Qualcosa si sta facendo, specie con i tanti giovani volenterosi: se uno VIVE la Città, come faccio io, si rende conto che il fermento c’è. Il problema di fondo è sempre l’assenza di risorse (ma c’è anche chi va via per presa di posizione). A me basta quello che ho, faccio tutte le attività possibili, dal canto allo sport.

d - La sua città, mi diceva a microfoni spenti, non la cambierebbe per nulla al mondo.

r - Qui ho la mia famiglia, ho la fortuna di avere un lavoro (grazie anche alla mia disabilità, altrimenti sarebbe stato un problema anche per me), ho qui tutte le attività creative che mi interessano (fare un libro, organizzare incontri di lettura, teatro, sport, associazionismo, serate di salsa e bachata)... e poi, qui, rispetto alle altre città, la movida che c’è te la puoi godere davvero: parlo di spazi, di economia e di sicurezza. Qui a Potenza ho la mia dimensione e ho TUTTO.

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di Antonella Sabia

 

 

 

 

Dopo qualche settimana dedicata alle festività natalizie, ai bilanci di fine anno e ai buoni propositi per il 2024, torniamo a dare voce ai giovani studenti del Liceo Galilei di Potenza, impegnati nel progetto “Galilei in Radio” su Spotify. Questa settimana riprendiamo alcune domande di Giulio Pedota all’attrice Anna Ferruzzo, che ha avuto onere e onore di vestire i panni di mamma Filomena, probabilmente uno dei ruoli più complessi, forti e profondi della fiction Rai “Per Elisa – Il caso Claps”.

G - È stato uno dei ruoli più difficili, rimasto nelle nostre memorie e nei nostri occhi, un volto minato dal dolore, che lei ha saputo interpretare magistralmente.

A - Non so se è il ruolo che è arrivato di più, ma sicuramente mi ha emozionato sin dal momento in cui mi hanno proposto di fare il provino. Conoscevo la storia di Elisa dalla televisione, dagli interventi che Filomena e Gildo di frequente facevano a Chi l’ha visto, alla disperata ricerca della verità. Questa figura di madre mi commuoveva ed emozionava ogni volta, una donna piena di forza e dignità, ma anche di ostinata saggezza, che ho potuto constatare dopo averla conosciuta e diventando sua amica.

G -Con la famiglia Claps è rimasto quindi un rapporto di amicizia anche dopo il set?

A - Assolutamente si. Filomena sul set venne una sola volta, mentre Gildo era più frequente. Dopo la messa in onda mi ha chiamata, una telefonata piena di affetto e riconoscenza: ci era grata per aver restituito dignità alla loro storia. Poi è nato questo rapporto, e lei mi ha più volte chiamata per sapere come stanno i miei genitori a Taranto. È una donna molto materna e accogliente.

G - Cosa ha portato a casa di questa fiction?

A - Per un'attrice quando si interpretano ruoli così complessi, soprattutto quando sono ispirati a personaggi realmente esistiti e che ancora vivono, l'esperienza emozionale è doppia. Si ha la paura di non essere all'altezza della situazione perché bisogna restituire dignità a una storia così importante, poi per regalare verità al personaggio, bisogna continuamente attingere alle proprie esperienze e alla propria verità emotiva, che non sarà mai dolorosa quanto quella di Filomena. Quando si è concluso questo percorso ho avvertito un vuoto, perché sul set le giornate vengono riempite dalla sensazione di fare una cosa importante. (…) Di Filomena volevo rappresentare lo spirito combattivo nella ricerca della verità, nonostante il dolore, riprenderne il timbro di voce, ma mai farne una fotocopia.

G - Fino a qualche mese fa la città di Potenza è stata silente, spesso omertosa nei confronti di una famiglia che meritava più affetto per tutto quanto accaduto. Questa pagina è stata riaperta solo grazie a un cambio generazionale, cioè grazie a dei giovani che nel 1993 non erano neanche nei meandri del pensiero dei loro genitori. Che effetto fa essere riconosciuta come “la madre di Elisa”?

A - È una bella responsabilità, mi fa solo piacere se qualcuno ricorderà la figura di Filomena attraverso il mio viso, anche se lei ha un volto talmente importante, forte, con occhi profondi e un volto scavato nel marmo. La presa di coscienza della città di Potenza rispetto a tutta la vicenda dei Claps passa soprattutto attraverso la vostra generazione che ha una marcia in più rispetto anche alla mia, quando alcuni temi erano pressoché sconosciuti, penso al femminicidio, ma anche alla legislazione assurda che allora non permetteva a nessuno di andare a denunciare la scomparsa di un caro, se non erano passate le 48 ore. La partecipazione della vostra generazione è un momento di grande speranza, anche per tutti quelli che attraverso la televisione hanno aperto il cuore, e con una certa libertà mentale hanno compreso che finalmente doveva essere riaperta quella pagina e letta con occhi giusti. (…) Devo dire che in questo caso mi sono piaciuta, nel senso che credo di essere stata credibile e mi sono emozionata nel rivedermi, cosa che non capita spesso.

G - Ha utilizzato l'aggettivo “credibile” parlando del ruolo interpretato, in questa lunga storia che dura da 30 anni forse è proprio la credibilità a essere mancata in alcune istituzioni, Chiesa e Stato: il vostro cast, ma anche Pablo Trincia con il podcast, è come se avesse dato uno schiaffo morale proprio a chi in questi trent’anni anni si è girato dall’altra parte.

A - Abbiamo tirato fuori la verità da una fiction, sovvertendo un po' i ruoli, è una delle più grandi soddisfazioni per noi tutti. Dove non ha voluto o potuto la Chiesa o la Magistratura o le Istituzioni, è arrivata una presa di coscienza attraverso una storia rappresentata dalla televisione, un prodotto di alto livello che ci ha visti coinvolti, e la presenza di Gildo sul set ci ha sempre confortati, avendo il suo appoggio e una visione corretta delle cose.

G – Il suo è un Curriculum molto denso, una lunga carriera cinematografica, tanti ruoli televisivi, passando per il teatro.

A - Sono sempre stata timida e ho fatto molto teatro perché credevo che per fare cinema e televisione ci volesse un carattere molto più arrembante e non riservato come sono io. Per passare da teatro a piccolo/grande schermo è stata necessaria tanta di volontà oltre al caso, e una giusta dose di talento. Poi ti capita un ruolo come quello di Filomena, che cancella tutte le preferenze fino a quel momento, mi riempie di bei ricordi e di emozioni belle.

G - Un consiglio a tutti gli studenti: che cosa il teatro potrebbe regalare a un giovane e cosa il teatro invece ha regalato a lei?

A - Per me il teatro è stata la cura, ero di una timidezza quasi patologica, ho scoperto il teatro proprio grazie alla scuola, al liceo, perché la mia insegnante mi aveva eletta lettrice ufficiale di Dante ad alta voce. Mi faceva tanti complimenti e disse che dovevo andare a teatro, ma venendo da una famiglia molto umile non potevo, fu proprio lei a regalarmi un abbonamento, e da quel giorno la mia vita è cambiata. Da lì è cominciata la mia risalita, sono partita dai laboratori teatrali che mi hanno fatto scoprire qual era la forma di comunicazione che mi mancava. Per me il teatro dovrebbe essere imposto a scuola, una materia di studio proprio perché i laboratori teatrali sono prima di tutto una cura per l'anima, ogni laboratorio è prima di tutto un mezzo di condivisionesoprattutto in questi tempi dove ognuno di noi è preso dal proprio cellulare.

Auguro quindi a tutti gli studenti di trovare insegnanti illuminati, dare loro credito e fiducia. Proprio come la mia insegnante, che mi ha aiutato a credere in un sogno, e io ho studiato tanto per riuscire a realizzarlo. Mi raccomando ragazzi, a testa alta sempre!

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di Walter De stradis

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calo di Grassano, Tursi, San Giorgio Lucano, Sant’Arcangelo, Oliveto Lucano e Stigliano in provincia di Matera; Teana e adesso Montemurro in provincia di Potenza. Venticinque anni di sacerdozio (festeggiati l’estate scorso a Stigliano), di cui quindici in Italia.

Il neo parroco di Montemurro, il cinquantenne don Mario Antonio, è un sacerdote originario dell’Angola, dai modi particolarmente soavi e con un sorriso che è di per sè un abbraccio. La fuga dei giovani, dai piccoli centri lucani -di cui ormai ha vasta esperienza- ma anche dalla fede, è uno dei sui crucci: per questo, a un certo punto -lui, cintura nera di karate- ha deciso di sposare la pastorale con le arti marziali.

d - In quale momento della sua vita ha capito che sarebbe stato un sacerdote?

r - Da ragazzo, in Angola, a Cubale, il mio paese, mi piaceva molto pescare, e una mattina, mentre mi accingevo a farlo, vidi che lì nei pressi c’era il gruppo scelto per il seminario e allora mollai la canna e andai dal parroco (che era Svizzero). Lui disse ok: potevo anch’io dare gli esami (che superai il giorno dopo).

d - Ma cosa la spinse, quel giorno particolare, a contattare il suo parroco?

r - Da bambino pregavo sempre, e fui colpito dall’arrivo di un sacerdote nel mio paese. Dissi subito a mia madre che anch’io volevo essere sacerdote. Anche a scuola mi dissero che ci ero portato. E così, poi, in quel giorno di pesca, mi convinsi del tutto.

d - E’ interessante, perché lo stesso Gesù disse ai discepoli «Vi renderò pescatori di uomini».

r - Infatti. Ci ho pensato spesso, anche perché al mio Paese abbiamo trascorso situazioni non facili. Io ho fatto anche gli studi di medicina, e mi sono trovato davanti a un bivio, anche perché ero l’unico ad aver superato la selezione per il seminario. Alla fine, pur sapendo che il percorso sacerdotale era lungo, mi affidai a Dio, seguendo la Sua volontà, e le cose sono andate bene. E adesso sono in Italia da quindici anni, dopo essere stato sacerdote nella mia stessa Angola.

d - Veniamo ad alcune questioni attuali. In Basilicata, come del resto in tutto il Paese, il dibattito sui migranti è sempre all’ordine del giorno. Ieri (martedì – ndr), c’è stata la notizia di questa maxi indagine sul CPR a Palazzo San Gervasio, che sarebbe stato teatro di gravissimi maltrattamenti. Qual è la situazione nel nostro Paese, a suo modo di vedere?

r - Quello dell’immigrazione è un problema serio e difficile. Non vorrei entrare nei dettagli, ma sappiamo che ci sono vari tipi di immigrazione, quella economica, quella dovuta a guerre e calamità. Ci sono luoghi di partenza, di transizione e di arrivo. Io ho fatto una tesi sul tema, incentrata sul conflitto tra il diritto internazionale e l’immigrazione: se pensiamo alla tutela internazionale dei diritti umani, beh, sappiamo già che esistono delle violazioni di base, a livello di persona umana, figuriamoci per chi emigra. La persona umana è “imago dei”, immagine di Dio, ecco perché è molto importante tenere alta l’attenzione. E non mi riferisco solo ai migranti. Parlo di diritti fondamentali della persona. Ciò non esclude che vi siano però delle situazioni positive, ed è bello che tramite anche gli studi che si fanno nelle università, i giovani imparino quanto è importante la persona umana.

d - Spesso, anche per molte altre questioni, gli esseri umani diventano solo numeri?

r - Bravo, esatto.

d - Ma i giovani migranti, africani e non, potrebbero essere una risorsa -come sostengono alcuni- per ripopolare i paesi lucani come questo, sempre più svuotati?

r - Non saprei dire se potrebbe trattarsi di una risorsa per i paesi in via di spopolamento, ma certamente l’immigrazione in sé è GIA’ una risorsa. Se pensiamo agli Italiani che sono emigrati in America, Australia o Germania, sappiamo che hanno contribuito grandemente allo sviluppo di quei paesi.

d - Lei è stato sacerdote e parroco in vari comuni lucani, tutti afflitti -chi più chi meno- dallo spopolamento. So che è una tematica che le sta a cuore, ma se potesse prendere sottobraccio il Presidente della Regione, cosa gli direbbe?

r - E’ una bella domanda. Incoraggerei solamente a continuare a fare il bene, inteso come bene comune.

d - La gente che vive in questi posti di cosa ha bisogno principalmente?

r - Di attenzione. C’è il problema della disoccupazione e dei giovani che, andati fuori a studiare, poi non tornano più. E piano piano li perdiamo. Ma occorre pure capirli, se rimangono a Milano, Torino, Germania, Francia. Proprio lì, a Notre Dame di Rems, l’arcivescovo mi aveva dato la responsabilità di fare una pastorale universitaria ed ebbi il piacere di conoscere tanti studenti di Lecce, che non volevano più tornare indietro. Dunque l’attenzione a questi giovani è importante, ma sappiamo anche che non è facile trattenerli; in ogni caso una soluzione va trovata, perché perdiamo un vero capitale umano, medici e altri professionisti lucani che se ne vanno definitivamente, quando invece servirebbero qui.

d - C’è anche la questione povertà: le Caritas lucane periodicamente diffondono dati allarmanti. Qual è la sua personale esperienza in merito, avendo operato in vari comuni?

r - Sì, la povertà c’è e l’ho vista in alcune parrocchie in cui sono stato. La Chiesa, tramite la Caritas, cerca di operare nel sociale e tante persone sono venute proprio da me, e ho dato il contributo. E’ una dimensione che certamente si nota.

d - Lei è cintura nera di Karate, e ricordo che a Oliveto Lucano aveva organizzato delle “scuole” per i ragazzi del posto. Come si conciliano il sacerdozio e le arti marziali?

La questione è infatti tutta qui. A livello personale, per me non sarebbe poi così importante, ma mi rendo conto che a livello pastorale, trattandosi di curare le anime, in giro ci sono problemi di socializzazione. Dopo la famiglia e la scuola, lo sport è un mezzo molto bello per socializzare.

d - Ma perchè proprio il karate?

r - E’ una disciplina in cui ci sono tutte le fasce d’età, dal bambino all’adulto. A mio modo di vedere, se vogliamo “tenere” i giovani, dobbiamo inventarci qualcosa. Ho provato con seminari di studi biblici, ma i ragazzi non ci calcolavano nemmeno. Quando invece qualcuno di loro mi ha visto, anche in tv, praticare il karate, si è incuriosito e ha manifestato il desiderio di prendervi parte. Ho capito allora che quello poteva essere un modo per “tenerli” e evangelizzarli tramite questa disciplina. Nel karate ci sono tanti valori: il rispetto, l’auto-dominio, lo spirito indomabile, l’equilibrio. Coi ragazzi creiamo allora un modo di fare pastorale, facendo magari messe solo con gli allievi (ma anche con i genitori e i nonni). I giovani ci vengono volentieri e poi organizziamo momenti di socialità come pranzi e cene. Notiamo che in questo modo si guariscono tante cose, a livello, spirituale, a livello psichico. Si tratta anche di “fabbricare” la salute già a partire dall’età pediatrica. Sappiamo inoltre che ci sono tanti suicidi, ma tramite questa autodisciplina i giovani si concentrano, sanno che hanno dei compiti da fare e pertanto acquisiscono autostima e stanno bene con loro stessi. Io stesso ho rivoto una domanda alla campionessa lucana Terryana D’Onofrio: «Come ti troveresti di fronte a un fidanzato che ti lascia?». E lei mi ha risposto: “Proseguo per la mia strada. Mi faccio il mio “kata”, il mio “papuren”, e sto bene». Si tratta quindi di trovare un equilibrio e saper gestire i pensieri negativi. A Oliveto Lucano avevo una scuola ben avviata, che ha ospitato anche il Presidente del Coni, e adesso penso che dobbiamo ricrearla anche qui.    

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LAVELLO - Anche quest’anno, come avviene ormai dal 2017, la Fondazione Alessandra Bisceglia ViVa AleETSoffrirà a giovani lucani dai 18 ai 28 anni d’età, la possibilità di svolgere nella sede di Lavello un’importante esperienza formativa di Servizio Civile.L’obiettivo è quello di selezionare due operatori a supporto delle attività che vengono svolte a sostegno delle persone affette da patologie rare e dei loro familiari. Gli interessati dovranno candidarsi al bando di Servizio Civile Universale - pubblicato sul sito ministeriale del Dipartimento per le Politiche Giovanili (www.serviziocivile.gov.it) - aderendo al progetto “Una rete per il malato oncologico - Riabilitazione, orientamento e accompagnamento ai servizi 2024”.

Il programma è realizzato dalla Favo, la Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia, alla quale la Fondazione Alessandra Bisceglia è federata dal 2011.La durata del Servizio civile sarà di 12 mesi con un impegno di 25 ore settimanali e con un assegno mensile per le attività svolte di 507,30 euro. Gli aspiranti operatori volontari dovranno presentare la candidatura entro e non oltre le ore 14 del 15 febbraio 2024 all’indirizzohttps://domandaonline.serviziocivile.it.Le istanze inoltrate verranno ricevute direttamente da Favo, che si occuperà della valutazione dei titoli di ogni aspirante operatore, mentre la Fondazione Alessandra Bisceglia ViVa Aleprovvederà ai colloqui di selezione.

Per ogni ulteriore informazionebasta consultare il sito internet della Fondazione Alessandra Bisceglia (www.fondazionevivaale.org) -da cui è possibile scaricare anche il bando con la scheda sintetica di progetto-inviare una mail all’indirizzo di posta elettronica (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) o chiamare i seguenti numeri telefonici: 0972-81515; 338 2884122. È possibile, inoltre, scansionare il Qr Code nella locandina allegata e compilare così la domanda.

“Svolgere il Servizio Civile in enti o associazioni, soprattutto del terzo settore - commenta la responsabile per i rapporti istituzionali della Fondazione Alessandra Bisceglia,Raffaella Restaino - è un’esperienza di crescita esaltante per tanti giovani che si apprestano ad affacciarsi al mondo del lavoro e che hanno una particolare sensibilità nei confronti di chi soffre o ha bisogno di aiuto. L’apporto che si riceve da tutti loro è allo stesso tempo fondamentale per organizzazioni, come la nostra, che si prodigano quotidianamente per dare sostegno alle persone affette da patologie rare”.

Infine, le testimonianze delle due operatrici, arrivate a settembre alla Fondazione. “Da questo anno di esperienza - dice Teresa Annale - mi aspetto di esseremessa alla prova, di sbagliare ed imparare dai mieierrori, voglio dare il mio contributo, voglio migliorareil mio senso di responsabilità e la capacità dilavorare in gruppo, ma soprattutto voglio essered'aiuto per chi si rivolge alla Fondazione in cercadi sostegno e di risposte”.“È un’occasione unica di crescita personale, un’opportunità di educazione fondamentale nella retesociale e soprattutto - sottolinea Maria Covelli - mi sta fornendo un bagaglioe una rete di conoscenze che saranno sicuramenteutili per il mio futuro, sia a livello umano che lavorativo”.

 

 

 

 

di Antonella Sabia

 

 

 

 

mons_fanelli_04_01_24.jpgCompletiamo le nostre interviste di fine/inizio anno con i vescovi lucani, pubblicando quella realizzata con Monsignor Ciro Fanelli, vescovo di Melfi-Rapolla-Venosa.

d - Cosa ci portiamo dietro del 2023?

r - Il 2023, purtroppo, è stato un anno in cui l’umanità ha sofferto molto a causa di conflitti e di guerre, ma anche per le crescenti situazioni di povertà a livello mondiale e locale. Di non secondaria importanza è stato il problema legato alle difficoltà nel gestire in maniera efficace e umana il flusso migratorio. Dinanzi a queste “voragini” non si può rimanere indifferenti; esse devono scuotere fortemente le coscienze e orientarle verso una maggiore responsabilità morale e civica, così da creare subito le condizioni necessarie per costruire una maggiore coesione sociale e una più visibile solidarietà. Dinanzi a questi drammi umanitari, data la loro complessità, sono convinto che bisogna intervenire su più livelli, ma soprattutto è necessario promuovere il dialogo, come strumento non solo specifico della diplomazia, ma anche della politica. Senza dialogo non ci si può incamminare verso orizzonti di reale fraternità e di concreta amicizia sociale.È necessario un cambio di mentalità, che facciapassare da una cultura incentrata sull’indifferenza e sullo scarto, ad una più solidaristica ed inclusiva.

d - La regione sarà chiamata alle urne nei prossimi mesi, qual è il suo auspicio e/o la sua richiesta ai politici che si apprestano a rappresentarci?

r - L’impegno dei politici locali è chiamato a essere eticamente significativo e realmente efficace nella risoluzione dei problemi della nostra gente. La politica è chiamata sempre, ma soprattutto nei momenti complessi e difficili, a perseguire con tenacia il bene comune e a disegnare una progettualità adeguata ai bisogni concreti della regione, in modo tale da ridare futuro e opportunità di rinascita culturale, sociale ed economica a tutte le componenti della società civile, ma in modo particolare alle fasce più deboli, valorizzando tutti gli ambiti produttivi del territorio. Il lavoro dovrà essere sicuramente la grande emergenza da non trascurare. I dati statistici, che in questi giorni vengono diffusi da diversi organi di stampa, se da un lato evidenziano le criticità della nostra regione, dall’altra possono costituire, in un certo qual modo, la mappa realistica delle priorità su cui effettivamente lavorare sinergicamente per assicurare un serio rilancio regionale, dal calo demografico fino alle questione economiche così da garantire giustizia sociale per tutti.

d - In questi anni sei anni di Ministero come è cambiata la vita in quei territori, anche post pandemia?

r - La pandemia, purtroppo, non è stata sicuramente un bene per nessuno. Essa ha accelerato molti processi negativi che hanno spesso distrutto in profondità nelle singole persone la serenità, la fiducia nell’altro e la tensione positiva verso il futuro. A livello sociale, invece, uno degli effetti negativi più gravi causati dalla pandemia, a mio parere, è stato quello di aver minato le condizioni per guardare alla possibilità di costruire una società coesa e attenta ai bisogni concreti dei più deboli ed emarginati. In questa fase post pandemia l’impegno da parte di tutti dovrebbe consistere nell’aiutare la società auscire da due mali: le paure fobiche e gli ingiustificati egoismi; questo impegno deve diventare un vero imperativo etico, altrimenti assisteremo ai continui e dilaganti atteggiamenti di inciviltà e di criminalità, come ad esempio il dilagare del femminicidio. La pandemia ha, purtroppo, ritardato per tante realtà, anche quelle ecclesiali, il raggiungimento di alcuni traguardi importanti; per la mia diocesi di Melfi-Rapolla-Venosa, ad esempio, tra le esperienze forti che sono state bloccate dalla pandemia vi è stata la visita pastorale. Ma, nonostante tutto, lo scorso 1° ottobre 2023 ho iniziato la visita pastorale, partendo da Rionero in Vulture, facendomi “pellegrino del Vangelo” per raggiungere le 33 le parrocchie della diocesi. Incontrare, ascoltare e condividere esperienze sarà in concreto il ritmo della visita pastorale in ogni singola comunità. Questo cammino di Chiesa, a Dio piacendo, terminerà nel 2025. Nei vari incontri già fatti, ho riscontrato da parte di tutti un grande desiderio di ripartire, di stare insieme, di “rivivere”, sia pure in modo nuovo, l’appartenenza vitale alla propria comunità, insieme a tanta voglia di partecipare. Ma ho constatato anche che sono presenti molti timori e stanchezze: ci si si sente più soli; il contesto sociale attuale, con tutte le sue criticità, non aiuta a uscire da queste solitudini sociali, determinando - per tanta gente- condizioni di vita spesso insostenibili. Il calo demografico, che è super evidente nei piccoli centri, non manca di far percepire i suoi effetti negativi anche nelle città più grandi. L’assenza dei giovani nei nostri paesi abbassa anche il livello di resilienza sociale delle comunità. Bisogna perciò reinvestire sulle persone, sulla formazione e costruire una progettualità ad ampio respiro e condivisa.

d - Guerre, vecchi conflitti che si riaccendono, e purtroppo episodi ripetuti di femminicidio, ma anche povertà, disoccupazione e spopolamento. Papa Francesco ripete spesso che “Nessuno si salva da solo”, in che modo fronteggiare questi mali del secolo?

r - “Nessuno si salva da solo” è un concetto che Papa Francesco ha sempre ripetuto sin dall’inizio del suo pontificato. È un principio che non può ridursi ad uno slogan, ma deve essere declinato in tutte le dimensioni del vivere umano, da quello più immediato, che sono le relazioni interpersonali, a quello più complesso che coinvolge cultura, politica, economia e finanza. Se questo criterio di inclusione solidale, che è un valore altamente etico, non diventa il criterio guida delle decisioni e delle scelte personali e sociali, sarà difficile uscire dal labirinto in cui ci troviamo a vivere.

d - Da spettatore ha assistito ai riflettori che si sono riaccesi a Potenza intorno al caso Claps, la riapertura della Trinità e le tante accuse verso la chiesa, come istituzione più in generale. Un suo commento in merito.

r - Il caso Claps è innanzitutto l’atroce e terribile sofferenza della famiglia di Elisa, alla quale va tutta la mia solidale vicinanza. E’ una sofferenza che chiede rispetto. Personalmente credo che questa dolorosa e drammatica vicenda che ha colpito Elisa e la sua famiglia esige tante attenzioni, tutte importanti. Ma tra queste attenzioni l’impegno per smascherare ogni colpevole atteggiamento omertoso deve essere prioritario. La riapertura della Chiesa ha suscitato polemiche. Ma le polemiche non devono fermare il dialogo su ogni versante. Le polemiche non portano da nessuna parte. L’orizzonte per comprendere il senso della riapertura della Chiesa è stato offerto da papa Francesco quando ha affermato che quel luogo di culto è chiamato a “custodire la memoria di Elisa” e a diventare “un luogo per la preghiera silenziosa, l’adorazione, la ricerca del confronto interiore e spirituale e per la promozione di una serena riflessione sulla sacralità della vita”, affinché mai più si ripetano tali esecrabili e mostruosi delitti.

d - Cosa si augura per il nuovo anno per i lucani e per i fedeli della sua Diocesi?

r - Cosa augurare per i lucani? Innanzitutto che ogni comune della Basilicata sia concretamente attenzionato dai decisori e che ogni cittadino possa trovare lo spazio e le opportunità nella propria terra per crescere umanamente, professionalmente, socialmente, che venga posto nella condizione di ridare un volto nuovo alla Basilicata. È giunto anche il tempo per la nostra regione che vengano realmente valorizzate le grandi risorse naturali e umane di cui è dotata. L’agenda sociale della Chiesa italiana per il 2024 prevede un appuntamento di grande rilievo: la 50a Settimana sociale dei cattolici italiani, che si svolgerà a Trieste, sul tema “Partecipazione e democrazia”. Questo binomio è fondamentale se si desidera raggiungere una vera rinascita culturale, sociale e politica. Per la nostra diocesi di Melfi-Rapolla-Venosa il 2024 sarà un tempo speciale sia perché stiamo vivendo, come dicevo, l’esperienza forte e coinvolgente della visita pastorale, che intende confermare il cammino di fede in ogni comunità parrocchiale, ravvivando l’entusiasmo apostolico degli operatori pastorali, e sia perché, avendo messo a tema l’Eucaristia per il prossimo triennio, possiamo sperimentare in concreto che la comunità cristiana, quando nasce e rinasce nell’Eucaristia, può essere, come richiede il Vangelo, nonostante le sue fragilità e limiti, “luce” e “sale” della terra in cui vive e opera.

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«Stiamo vivendo la drammaticità del momento presente attraverso i tanti focolai di guerra che stanno divampando su tutta la terra. Quante brutalità! Quanto sangue versato inutilmente! Quanta innocenza trucidata! Quante donne violate e spezzate! Quanta fatica per tracciare strade di pace sulle quali far scorrere giustizia e fraternità! Ma penso anche al devastante terremoto in Turchia e Siria, del Marocco e dell’Afganistan, al naufragio di Steccato di Cutro, alla lotta per il cambiamento climatico, le inondazioni e incendi in Libia e Somalia. In questo clima di grande tensione e paura tutti sentiamo il desiderio di “Pace” che abbia come fondamento la giustizia. Se ci sono ingiustizie, guerre, disuguaglianze, stermini, morti innocenti, malattie varie, clima impazzito con le conseguenze che tutti conosciamo, è solo perché l’uomo si è dimenticato di essere uomo e pretende di essere padrone della vita personale, degli altri, di interi popoli. Le nostre piccole ma preziose comunità sono intrise di valori umani e spirituali, sempre capaci di costruire nuovi ponti umani ogni volta che la storia, per la ottusa presunzione degli uomini, li distrugge; coltivare l’accoglienza, il cuore che si dilata verso i bisogni e le necessità degli altri, la fatica e il sacrificio;rendere viva una terra amata, baciata e mai disprezzata».

Inizia con questa riflessione la nostra tradizionale intervista di fine anno con Monsignor Antonio Giuseppe Caiazzo, arcivescovo di Matera-Irsina, vescovo di Tricarico.

d - Quali sono le maggiori criticità del territorio lucano in termini di povertà, disoccupazione, giovani che partono?

r - Alla luce del Natale di Gesù che stiamo celebrando, anche nelle nostre realtà, diventa impegno concreto per sostenere e salvaguardare una Sanità che appare sempre più a corto di ossigeno, quindi malata e in procinto di collassare; di una economia che ritorni a mettere la persona al centro e prima del profitto e dell’interesse; di una politica che superi lotte e beghe interne, capace di mettersi in cammino per incontrare ed ascoltare la gente, sentire le problematiche, le esigenze, e rendersi conto, guardando con i propri occhi le tante criticità presenti dappertutto, ma in particolare nelle nostre aree interne. Ascoltare e condividere quanto le nuove generazioni ci chiedono, sapendo intercettare il loro linguaggio, nelle scuole, nelle parrocchie, nelle piazze, progettando e investendo energie e denaro affinché si vinca la tentazione sempre più impellente di lasciare la nostra amata terra. E ancora, con lo stesso sguardo dei pastori verso la grotta di Betlemme, riaffermare il valore della vita come sacra, per vincere la tentazione di servire la morte in nome di un falso progresso e un errato senso di civiltà e libertà. In questa logica non mi stancherò mai di ripetere che tutti abbiamo bisogno di essere educati per riconciliarci con la natura, tornando ad amare e rispettare la nostra madre terra dalla quale siamo stati impastati e alla quale ritorneremo. La Basilicata è la terra d'Italia con il più alto numero di siti potenzialmente inquinati in proporzione al numero degli abitanti. Lo spettro che ritorna dell’incubo nucleare, con l’individuazione di 10 siti sul nostro territorio dove smaltire le scorie radioattive, ci preoccupa non poco e ci interroga seriamente.

d - Cosa auspica in vista delle prossime elezioni regionali?

r - La necessità di una Basilicata più capace di essere: solidale, inclusiva, partecipata, giovane, operosa, in salute, attraente. Alla luce di queste considerazioni mi auguro che il confronto avvenga più sui programmi che sulla dialettica spesso sterile, inconsistente, accusatoria e senza una reale progettazione. I candidati degli opposti schieramenti dovranno necessariamente vincere la tentazione del populismo e ascoltare il grido della gente di questa terra, che chiede rispetto, bene comune e crescita umana, crescita economica.

d - Anche se dalla finestra, continuiamo ad assistere a guerre, vecchi conflitti che si riaccendono, e purtroppo episodi ripetuti di femminicidio che si consumano in ambito familiare. Come si fa a fare i conti con queste sofferenze e guardare con occhi di speranza?

r - Papa Francesco spesse volte ci ha ricordato: “Nessuno si salva da solo”.È quanto ci chiedono i bambini sfruttati, uccisi, violentati nell’animo e nel corpo, in tutte le parti del mondo, così come le donne considerate oggetto di desiderio e di possesso che, in nome di un amore malato, vengono uccise. È quanto ci chiedono i tanti bambini mai nati ed abortiti come gli anziani soli e parcheggiati. Nessuno si salva da solo, nessuno può essere escluso dalla vita: tutti apparteniamo a questa grande famiglia che è l’umanità. Ce lo chiedono quanti hanno fame e sete di giustizia, quanti, come Maria e Giuseppe, si sentono stranieri e non accolti.A Natale non si diventa più buoni! È il falso messaggio pubblicitario che ha il fine unico del guadagno! Natale è ogni giorno! È l’occasione quotidiana che a noi viene concessa per uscire dall’indifferenza, dall’apatia, dal silenzio omertoso, e diventare operativi indicando, senza nessuna pretesa ma con convinzione, orizzonti e mete lontani da raggiungere, speranza che diventa certezza di una umanità senza guerre, povertà, ingiustizie. Come credenti sappiamo che Gesù è la vera Pace e che il pane va spezzato e condiviso sempre e che la guerra del grano non può diventare uno strumento di ricatto per ottenere la vile vittoria. L’acqua non può essere negata per costringere alla resa, senza nessuna pietà, gli innocenti, scudi umani immolati; che l’elettricità non può essere interrotta anche per le culle di neonati costretti ad una agonia inenarrabile. Nel mondo non c’è pace perché manca l’amore. C’è solo violenza che ha la pretesa di seppellire i diritti più elementari della convivenza umana. È così in Terra Santa e Palestina, in Ucraina come in tante altre parti dell’Africa, del mondo intero.

d - Vicenda Elisa Claps, la Chiesa della Trinità di Potenza è stata riaperta al culto ad agosto, prima celebrazione il 2 novembre. Il caso è tornato alla ribalta negli scorsi mesi, in seguito alla serie TV in onda su RaiUno. Una sua riflessione in merito.

Ribadisco quanto detto nel comunicato del 6 novembre scorso. Vicini con la preghiera e, comprendendo il dolore della famiglia di Elisa Claps perché è anche il dramma di tutti e di quanti cercano la verità, la giustizia e rifuggono compromessi omertosi, ma l’affermazione di questo insopprimibile diritto non giustifica violenze di nessun tipo. Rimango, però, profondamente colpito dai gravi giudizi espressi nei confronti dell’Arcivescovo Ligorio che so uomo mite e seminatore di pace e fraternità. Ritengo che, come ha indicato lo stesso Papa Francesco, sia compito della comunità cristiana elaborare proposte e percorsi di riconciliazione, di guarigione e di purificazione che trovino anche nella preghiera e soprattutto nell’Eucaristia il centro, la sorgente, lo stile e il vertice. 

d - Il suo augurio ai Materani e ai Lucani tutti per l’anno che verrà.

r - Un semplice augurio che diventa impegno. Lo faccio con le parole di S. Teresa di Calcutta e di Gianni Rodari:

Cosa posso dirvi per aiutarvi a vivere meglio in questo anno?

Sorridetevi
gli uni gli altri;

sorridete a vostra moglie
a vostro marito
ai vostri figli
alle persone con le quali lavorate
a chi vi comanda;
sorridetevi a vicenda;
questo vi aiuterà a crescere nell’amore
perché il sorriso è il frutto dell’amore.

O anno nuovo, che vieni a cambiare
il calendario sulla parete,
ci porti sorprese dolci o amare?
Vecchie pene o novità liete?
Dodici mesi vi ho portati,
nuovi di fabbrica, ancora imballati;
trecento e passa giorni ho qui,
per ogni domenica il suo lunedì;
controllate, per favore:
ogni giorno ha ventiquattr’ore.
Saranno tutte ore serene
se voi saprete usarle bene.
Vi porto la neve: sarà un bel gioco
se ognuno avrà la sua parte di fuoco.
Saranno una festa le quattro stagioni
se ognuno avrà la sua parte di doni.

 

 

 

 

 

 

 

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di Antonella Sabia

 

 

 

C

ome di consueto, affidiamo alle parole dell’arcivescovo di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo, l’augurio di speranza, per prepararci ad un Santo Natale e all’arrivo di un nuovo anno.

d - Che anno è stato, per lei, il 2023?

r - Si sono succeduti tanti eventi, personalmente, la conclusione del mio mandato pastorale come vescovo. Ho compiuto l’11 febbraio, 25 anni, di cui 6 vissuti nella diocesi di Tricarico, 13 a Matera, per poi giungere a Potenza. C’è stata poi nuova attenzione per il caso della famiglia Claps; abbiamo cercato un dialogo e speriamo in un futuro di poter essere più aperti e approfonditi a questo dialogo.

d - Mi ha anticipato, negli ultimi mesi grazie all’attenzione mediatica tra serie tv e podcast, la vicenda della nostra concittadina è tornata agli onori della cronaca, e Potenza ha avuto nuovamente i riflettori puntati, anche relativamente alla riapertura “silenziosa” della Chiesa della Trinità. Qual è la lettura da parte sua di quanto è successo?

r - Un dialogo con la famiglia c’era, eravamo convenuti all’apertura della chiesa, alla celebrazione delle messe. Forse poi a causa di un fraintendimento dall’una e dall’altra parte… In occasione del Natale ho scritto anche una lettera, indirizzata alla comunità per il tramite della stampa, in cui emerge da parte mia una possibilità di riconciliazione con la famiglia Claps, poiché crediamo molto nel dialogo.

d - Da parte sua, si sente di aver sbagliato in qualcosa?

r - Umanamente sono tante le cose che possono accadere, chi non sbaglia? Nessuno porta con se la ragione assoluta, tantomeno è in torto assoluto. Dico sempre, se eventuali difficoltà ci sono state nelle comunicazioni, possiamo recuperare.

d - Pensando a Filomena, una madre a cui da trent’anni è stato privato di festeggiare il Natale con la propria figlia, quale augurio si sente di rivolgerle?

r - Dal primo momento che ci siamo incontrati e conosciuti, ho sempre mostrato attenzione e delicatezza nei confronti di questa donna, madre che si è vista privata di una figlia in un modo così. Perciò dico: attenzione umana prima di tutto, poi espressione anche di una carità che si fa viva quando c’è una forte presenza di dolore. Sarebbe fondamentale, per questo, trovare un modo per riprendere un dialogo, che ci permetta di arrivare a una convenzione di intenti.

d - Allargando invece lo sguardo oltre i confini, continuano guerre tra grandi paesi o conflitti storici che si riaccendono, che affliggono il mondo intero. Seppur lontani minano spesso quel sentimento di speranza che in fondo tutti i nutriamo. Con quali occhi dobbiamo guardare al futuro?

r - Anzitutto dobbiamo sperare che queste persone vivano in pace con se stessi, bisogna recuperare in ogni uomo la pace interiore perché quando un essere è in pace, a sua volta genera pace. I conflitti nascono nel momento in cui l’uomo non è più così somigliante a Dio, ma vuole prevaricare i diritti dell’altro, scalfire la giustizia. Mancando diritto e giustizia non ci può essere pace. Allora va il richiamo agli uomini di potere, che devono decidere e tener conto del popolo, perché non ci siano morti innocenti, dall’una e dall’altra parte. Mi auguro che ci sia una maggiore consapevolezza da parte di tutti, una ricomposizione di pace personale e che ci siano delle riflessioni fondate sulla giustizia, ma aperte a un incontro di misericordia e amore nei confronti del prossimo.

d - Due mesi fa ha annunciato le dimissioni, rimettendo il suo mandato nelle mani del Papa: cosa si augura per il futuro di questa Arcidiocesi?

r - Compiuti gli anni stabiliti dal Codice di diritto canonico, quindi 75 anni, essendo nato nel 1948, ho rimesso il mandato nelle mani del Santo Padre, Udine e Potenza attendono ancora il nuovo mandato. Penso che sia fondamentale la continuità, ma anche l’innovazione che ognuno porta con sé, come capacità di responsabilità e di esperienza illuminata a dare il meglio di se stessi per servire la Chiesa, supplire a tutti i bisogni che possono esserci.

d - In chiusura, vogliamo rivolgere un augurio per queste festività natalizie alla comunità e anche un messaggio di speranza per l’anno che verrà?

r - Si recuperi l’umanità. Potenza ha un potenziale non indifferente, per cui bisogna assumersi tutte le dovute responsabilità, ognuno nel settore in cui è specializzato, nessuno deve fare delle deleghe rispetto alle proprie responsabilità. In secondo luogo, siamo chiamati a esercitare, tra qualche mese, un grande potere come popolo, le elezioni politiche: al di là dei partiti, la speranza è che la politica diventi un impegno per quegli uomini capaci di servire la comunità, e non di servirsi della comunità. Paolo VI parlava di “Servizio alto della Carità”.

Pertanto l’auspicio per la nostra città, e per tutta la regione, è quello che chi verrà eletto in forma democratica, si assuma delle responsabilità, prenda a cuore le sorti di questa comunità, di una regione che per 25 anni ho conosciuto, potuto sperimentare tutto il suo fascino e tutte le sue ricchezze. E ancora l’auspicio è che si possa lavorare a una progettualità intuitiva e lungimirante, non a forme di sussistenza “a pioggia” per accontentare la gente, ma offrire una linea dedicata particolarmente ai giovani affinché non si sentano più costretti ad abbandonare questa terra. Lì dove si mettono le radici, c’è humus per tutta la vita. E il Lucano, è Lucano per la sua forte identità, umanità e ricchezza interiore.

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di Walter De Stradis  

 

 

 

 

E’ nata in un campo d’internamento civile in India, nel 1946 ("per gentile concessione” degli Inglesi che, penetrati in Persia in tempo di guerra, avevano fatto prigioniero praticamente tutto il corpo diplomatico, compresi i suoi genitori), ma si professa “sfortunata”, in realtà, perché in quel paese vi è rimasta pochissimo e non si ricorda niente! Basterebbe questo a dare un’idea della passione viscerale che la professoressa Novella Capoluogo Pinto, presidente di Universum Basilicata, nutre per la Cultura. La sua Panda verde, col bagagliaio colmo delle pubblicazioni della sua associazione, ne è un’ulteriore conferma.

d - Professoressa, il suo nuovissimo libro, l’ultimo di una serie abbastanza lunga, s’intitola “Ho le vertigini – Diario degli ultimi sei anni” (Universosud). Il testo racconta l’ultima fase nella convivenza con un uomo molto amato (suo marito, scomparso da poco), ma afflitto da una grave malattia.

r - Nel libro parlo soprattutto di me, di tutto ciò che ho provato standogli vicino in questi ultimi sei anni. Mio marito, a un certo punto, era molto “freddo” nei confronti della malattia, dicendo cose del tipo “Ma che mi curo a fare? Si tratta solo di rimandare di qualche mese, tanto vale morire subito”. E io soffrivo terribilmente perché, anche mezzo morto, avrei voluto continuare a tenermelo vicino. A un certo punto, però, mi chiese anche di aiutarlo a morire, e non perché soffrisse, ma perché non si accettava più: era un uomo bellissimo, diventato l’ombra di se stesso.

d - In questo percorso, che ruolo hanno avuto le nostre istituzioni sanitarie? Si è mai sentita in qualche modo lasciata sola o...

r - No. L’urologo -che da più di vent’anni, seguiva Pino- era addolorato, in quanto questo tumore non si era mai visto con l’ecografia, e i valori del sangue, fino al 2017, non si erano mai alterati. Improvvisamente, però, gli salì il PSA, e il dottore gli rifece l’ecografia e il tumore non si vide. Lo portò lui stesso a fare la risonanza magnetica, con urgenza, e venne fuori un carcinoma di tre centimetri e mezzo. Da qui il dolore del dottor Lorusso: assurdamente, il tumore si era annidato in un punto della prostata che non si vedeva mai all’ecografia! E non c’erano stati segnali: Pino era stato bellissimo fino agli ultimi due anni. Ma purtroppo, a quel punto il cancro era inoperabile. Mio marito è stato poi seguito dal dottor Dinota, come oncologo, anch’egli un medico straordinario, che instaura un rapporto meraviglioso col paziente.

d - Qual è lo scopo di pubblicare un diario come questo? Cosa si aspetta dal suo libro?

r - Ecco. Volevo che restasse traccia di questi sentimenti, miei e di mio marito, per i miei figli. Non immaginavo, però, l’apprezzamento tributato a questo mio lavoro da Alberto Barra e Yvette Marchand, miei carissimi amici, e successivamente anche da Andrea Galgano, Francesco Potenza...

d - Sta citando poeti e pittori...

r - Sì, mi hanno davvero sbalordita, perché mi hanno fatto delle recensioni bellissime.

d - Ma cosa deve arrivare a un lettore che non sia uno dei suoi figli?

r - Credo... il messaggio di un amore davvero grande e in qualche modo anche particolare. Pino la malattia l’ha affrontata male, e ha spesso avuto bisogno (com’è naturale) di sfogarsi -anche in maniera assai dura- su chi gli era vicino, in questo caso io. Io non credo di avere grandi meriti, ma penso che una persona che ama alla fine si comporta come mi sono comportata io.

d - E’ questo il grande messaggio del libro.

r - Anche perché oggi le persone non sopportano più niente, non hanno più pazienza, per nessuna cosa.

d - L’amore è anche pazienza, soprattutto nei momenti di difficoltà estrema.

r - Sì.

d - Lei è presidente di “Universum Basilicata”, una prestigiosa associazione che si occupa di arte e cultura e che promuove, da molto tempo, il premio di poesia “Universum”, diventato negli anni uno dei più importanti in ambito letterario.

r - A marzo faremo la cerimonia di premiazione dell’undicesima edizione. Abbiamo avuto persino una concorrente dal Paraguay e dal Venezuela, mentre dall’Europa arrivano continuamente...

d - Quanto è duro mantenere una realtà del genere in Basilicata? Ha avuto anche lei difficoltà di interlocuzione con le istituzioni per ottenere sostegno?

r - Bah, io mi reputo molto fortunata. Intanto perché ho il sostegno della Banca di Credito Cooperativo...

d -...che però è un privato.

r - Sì, ma è importante comunque. Specie perché, da alcuni anni, siamo costretti a pagare il Teatro Stabile (e quest’anno non so manco se riusciremo ad averlo, perchè ci sono i lavori). Però è bello far vedere questa “bomboniera” ai concorrenti che vengono da fuori, è una cosa che mi riempie d’orgoglio.

d - Quindi tutto bene.

r - Sì, io sono contenta, perché tra le quote d’iscrizione e il contributo della banca, riesco a portare avanti ogni anno le iniziative, come la pubblicazione dell’antologia del concorso.

d - Quindi, soldi a Comune, Regione etc., non ha mai avuto bisogno di chiederli?

r - No, ma so che non me li avrebbero dati, per cui … (ride).

d - Adesso diranno che la prevenuta è lei.

r - E vabè, no, so che ci sono problemi per avere qualcosa, soprattutto a livello comunale. Tant’è vero che mi fanno pagare il Teatro! Darmi la sala sarebbe già un contributo sufficiente, no? E invece, per tre ore di pomeriggio, ho pagato 225 euro (per le associazioni, la giornata intera costa 450).

d - Ritengo che possano esserci norme nazionali per lo mezzo, ma il suo messaggio in ogni caso è che le associazioni meritevoli andrebbero comunque agevolate.

r - Semplicemente per un fatto: noi portiamo gente a Potenza. Gente che viene, che so, da Pordenone, da Sondrio, da Varese, ho concorrenti dalla Lombardia, dal Friuli e dal Veneto, persone che non verrebbero a Potenza per nessun altro motivo. Vengono per il Premio, anche perché noi i premi non li spediamo.

d - Più in generale Potenza com’è messa? Sa, l’ultima persona che ho intervistato, come tanti in precedenza, lamentava una città un tantino “sonnolenta”.

r - Il fenomeno è molto discontinuo: noi abbiamo avuto casi in cui la sala era pienissima, mentre l’altra sera alla Galleria Civica, alla presentazione del mio libro, molte persone che aspettavo non sono venute, perchè in concomitanza c’erano altri eventi. In ogni caso, da parte mia, cerco di dare visibilità agli autori locali (specie se sono iscritti alla Universum Basilicata); operiamo sul territorio regionale, andando anche molto nei paesi. In genere si può dire che le persone vengono, ma non c’è questa affluenza enorme, anche -ripeto- a seguito della compresenza di vari eventi.

d - Quindi intanto non è vero che gli eventi non ci sono. Ma è anche vero che da noi c’è più gente che scrive che gente che legge?

r - Questo sì, sicuramente, ma dappertutto. I nostri soci leggono (sorride), ma in genere si scrive tanto e si legge poco.

d - Lei è anche fiduciaria provinciale della Federazione di Scherma. E’ una cosa che va avanti addirittura dal 1972, mi accennava prima.

r - Sì, quando ebbi l’incarico ne fui felice, perché è stata la passione di una vita. La Schermisitica Lucana la fondammo nel 1979, quando Pino ebbe il titolo di maestro dall’Accademia. La scherma non è come i giochi di squadra: nel basket possono arrivare duecento ragazzi e l’istruttore dà un pallone ciascuno e tutti si mettono a palleggiare. Nella scherma, invece, la lezione si può fare solo a tre/quattro, mentre gli altri debbono stare seduti a osservare. E il maestro è più un educatore, che un istruttore.

d - Adesso mi faccia un “affondo”, uno sul sindaco di Potenza e uno sul presidente della Regione.

r - Al primo chiederei di procedere, quanto più rapidamente possibile, alla ristrutturazione della palestra del Coni, ove avevamo la nostra sala di scherma e si poteva lavorare bene. Oggi ci ritroviamo sotto la piscina di Montereale, in quel corridoio di una sessantina di metri, nato per la corsa veloce. E’ un arrangiamento: assieme al palazzetto Coni, Potenza ha perso tantissimo. Al presidente della Regione direi di stare un po’ più vicino al settore Cultura. Per esempio, quando il Presidente del consiglio regionale era Lacorazza, beh, lui era uno che stava davvero vicino alla Cultura. Da quando non c’è più lui, ho perso completamente le tracce di quella istituzione, ma immagino abbiano altri problemi, pertanto la mia non è una critica.

d - Ma con la Cultura si mangia o no?

r - No. (Sorride). La Cultura è un amore.  

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Sono 15 gli studenti dell’Istituto Tecnico Tecnologico “16 agosto 1860” di Corleto Perticara che TotalEnergies EP Italia ha premiato con una borsa di studio per i risultati ottenuti nell’anno scolastico 2022/2023.

Le borse di studio, tra le iniziative di responsabilità sociale promosse sul territorio da TotalEnergies EP Italia insieme ai partners della JV Tempa Rossa, Mitsui E&P Italia B e Shell E&P Italia, sono state consegnate dal direttore Affari Istituzionali Relazioni Esterne e CSR di TotalEnergies, Stefano Scisciolo e dai rappresentanti delle istituzioni scolastiche e locali.

Borse di studio e stage formativi in azienda per gli studenti più meritevoli sono parte dell’atto di liberalità sottoscritto da TotalEnergies e Istituto Tecnico Tecnologico “16 agosto 1860”, con l’obiettivo di valorizzare l’impegno degli studenti durante l’intero anno scolastico.

“L’Istituto Tecnico Tecnologico è una scuola storica, che ha favorito la formazione di tanti talenti corletani (medici, professori, ingegneri, imprenditori e professionisti di ogni categoria); per questa ragione l’amministrazione e TotalEnergies si impegnano in modo costante e continuo per evitare la chiusura di un plesso così importante per il territorio” - ha dichiarato il sindaco di Corleto Perticara, Mario Montano - “I rappresentanti dell’amministrazione comunale hanno partecipato con profondo orgoglio alla cerimonia di premiazione, augurando ai cittadini del futuro il miglior prosieguo negli studi”.

“L’iniziativa di conferire delle borse di studio agli studenti più meritevoli, nata lo scor-so anno con l’aspettativa di consolidarla negli anni, è al suo secondo appuntamento”- ha dichiarato Stefano Scisciolo, direttore Affari Istituzionali Relazioni Esterne e CSR di TotalEnergies - “L’obiettivo della Compagnia resta quello di poter offrire un supporto concreto a genitori e studenti nell’ambito del diritto allo studio, promuovendo ancora una volta la formazione e la meritocrazia come strumento di sviluppo perso-nale e sociale”.

"Continua la virtuosa interazione della scuola con il territorio - ha aggiunto la dirigente dell’Istituto Tecnico Tecnologico “16 agosto 1860”, Michela Antonia Napolitano - offrendo agli studenti diverse opportunità per il presente e per il futuro".

Nello specifico, la JV Tempa Rossa ha premiato gli studenti del primo, secondo, terzo e quarto anno con la media aritmetica più alta al termine dell’anno scolastico 2022-2023, mentre, per le quinte classi, le borse sono andate ai tre alunni che hanno ottenuto il voto più alto all’esame di stato. I beneficiari, a seconda delle classi di appartenenza, potranno destinare le borse (dai 400 ai 3.000 euro) all’acquisto di testi scolastici, materiale elettronico di supporto alla didattica o per un soggiorno di studio all’estero per lo svolgimento di un corso di lingua. Gli studenti che hanno conseguito la maturità, invece, potranno impiegare la somma per le spese legate alla frequentazione dell’Università; in alternativa, avranno l’opportunità di partecipare a uno stage formativo di sei mesi negli uffici di TotalEnergies.

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