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Nato ad Acerenza sessantatrè anni fa, da trenta vive e lavora in Romania, ove è presidente di Palazzo Italia, un incubatore di imprese (al momento cinquantacinque), che sostiene il made in Italy (e il made in Basilicata) nell’area balcanica e nel nord della Germania. Il tutto attraverso la promozione dei prodotti Italiani, ma anche il sostegno a quelle attività che puntano alla internazionalizzaizone, offrendo sedi alle imprese in procinto di delocalizzarsi, facendo anche da “sponda” per corsi Erasmus e ospitando persino il “desk dei Comuni” (con cui si interfacciano, ad esempio, tanto Acerenza stessa, quanto Sant’Angelo Le Fratte). Senza contare, inoltre, una Scuola di Formazione Professionale in ambito Ristorazione, curata dall’Associazione Cuochi Italiani, che promuove anche nelle scuole pubbliche, sin dalle elementari, il concetto di “sana alimentazione”, possibilmente Lucana. La sede di Palazzo Italia è ubicata nell’area nord-est di Bucarest, ed è lì che il nostro collaboratore Rocco Esposito ha raggiunto Giovanni Baldantoni, per quella che è la prima “intervista a pranzo” che abbiamo realizzata all’Estero.

«Una delle nostre mission –spiega Baldantoni- è l’educazione alimentare per uno stile di vita salutare, rivolgendoci soprattutto alle nuove generazioni. Insegniamo a utilizzare correttamente i prodotti. Attribuiamo ai ristoranti un “certificato di qualità”, il brand “Origini Italiane”, e sosteniamo il mondo femminile (con “Donna Chef”), ovvero la donna intesa come madre responsabile dell’alimentazione del bimbo, sin dalla nascita. Veniamo inoltre da un’esperienza realizzata il 14 gennaio scorso proprio a Potenza, in occasione dell’evento internazionale di boxe organizzato da Peppe Gruosso (mio figlio, Fabrizio Baldantoni, è il vice presidente vicario della Federazione Pugilistica Italiana). In quei giorni Potenza, per quanto riguarda la boxe, è forse diventata il cuore dell’Europa, se non del mondo. Per noi Palazzo Italia, così come per l’Associazione Cuochi e per Coldiretti, è stata un’occasione per promuovere la sana alimentazione, contro i cibi sintetici. Io stesso, sul ring, a mo’ di ragazza col cartellone, ho presentato la “piramide alimentare”».

d: Lei ha un passato da imprenditore e da sportivo… ma perché proprio la Romania?

r: Perché la Romania è stata scelta trent’anni fa in quanto piazza suscettibile di espansione, non tanto per guadagnare dalla Romania stessa, quanto per vederla come mercato. Noi abbiamo creduto in questo mercato per esportare il Made in Italy (compresi anche i prodotti del settore edilizia etc.). Tuttavia è importante considerare anche che la Romania, nell’area balcanica, rappresentava il momento opportuno, quello di passaggio fra la fine del regime comunista (con la caduta del Muro di Berlino), e l’adesione all’Europa, avvenuta nel 2008. Noi però siamo qui dal 1993, e nel frattempo la Romania è cambiata, si è innovata, ha aderito perfettamente alle regole europee e speriamo che presto adotti come moneta l’Euro. Speriamo inoltre che crescano le retribuzioni salariali in modo tale da far crescere il potere d’acquisto del cittadino, e di conseguenza il commercio.

d: Quanto è stato difficile confrontarsi con un Paese diverso, a cominciare dalla lingua, assai peculiare, e di cui –tutto sommato- in Italia si ha solo una visione parziale, soprattutto del mondo del lavoro (le attività di badante per le donne, e di agricoltore per gli uomini).

r: Noi comunque già lavoravamo sull’Estero, avendo l’obiettivo si esportare prodotti italiani; per cui parlavo già bene il Francese e l’Inglese e pertanto non riscontravo alcuna difficoltà. Pensi che noi abbiamo lavorato molto anche con la Serbia, con la Russia, con tutta l’area balcanica, ma anche con la Francia etc. A un certo punto abbiamo deciso di restare qui, in virtù della vicinanza, ma anche della similitudine, col nostro Popolo (non dimentichiamo infatti Traiano e la strada Traianica). La definirei una vicinanza del Popolo “Romano” al Popolo “Rumeno”. Non dimentichiamo, inoltre, che nel Secondo Dopoguerra il centro della Romania e le aree più interessate dalle cave di marmo erano state destinazione dell’emigrazione di pietrai, marmisti e scalpellisti. E poi in certe aree ove si estrae il petrolio ci sono venuti ingegneri ed architetti del Nord Italia. Di rapporti, insomma, ce ne sono stati tanti.

d: In questo Paese tuttavia forse non sono abituati all’immigrazione da altre nazioni, come lo siamo noi in Italia, e certo un Italiano che viene qui e diventa qualcuno deve aver in qualche modo fatto “sensazione”. Pertanto immagino che qualche difficoltà ci sia stata all’inizio.

r: Come accade a tutti gli emigrati, è normale che quando vai all’Estero sei guardato dall’alto in basso. Chiarito questo, uno deve avere la forza, il coraggio e la costanza per fare qualità, essere esperti in ciò che si fa, dare suggerimenti giusti, fornire le corrette prassi di crescita per tutti, formare il personale e fornire qualcosa di innovativo e di duraturo.

d: Sì, ma da Italiano è stato più difficile o più facile?

r: Nel momento in cui siamo arrivati noi, gli Italiani erano ben visti, come in tutto il mondo. Ancora oggi è così, ma va detto che i Rumeni sono ormai cresciuti tanto da affrontare ogni tipo di attività, ogni tipo di competizione. Per noi è stato particolarmente importante, in un’area geografica in cui registrava un problema di patologie cardio-vascolari, diffondere l’educazione alimentare, che era qualcosa di nuovo.

d: Avete ricevuto aiuti dalle istituzioni italiane? E oggi qual è il vostro rapporto con esse, Ambasciata compresa?

r: Posso dire che l’Ambasciata Italiana, col suo Istituto commerciale estero, è sempre stata in giro per il mondo a promuovere il Made in Italy in maniera istituzionale, tutto qua. Noi non abbiamo un rapporto importante con l’Ambasciata perché ci occupiamo del mercato rumeno; abbiamo dunque rapporti con le istituzioni rumene, con i produttori italiani che vogliono esportare. Sette anni fa, qui in Romania, fummo i primi a organizzare la “Settimana della Cucina Italiana nel Mondo”. Sa bene, inoltre, che i rapporti degli Italiani con le ambasciate dipendono dai diplomatici, e lei dunque ha toccato un tasto ancora dolente per noi che viviamo all’Estero. In tutto il mondo ambasciate e consolati hanno dovuto ricevere tantissime sollecitazioni, ma la Romania era ancora un Paese con pochi emigrati e quindi, probabilmente, era poco interessante rispetto alle altre. Tuttavia, l’Istituto Italiano di Cultura, l’Istituto Commerciale estero, gli stessi ambasciatori e gli stessi consoli hanno cercato di dare quello che hanno potuto.

d: Lei però è venuto qui, in un Paese ancora “fresco” di Ceausescu…

r: Sì, ma c’era la Blefari Melazzi che è stata un’ambasciatrice favolosa. Ma oggi come oggi, in un Paese comunitario, l’Ambasciata diventa sempre meno importante dal nostro punto di vista, mentre per le relazioni diplomatiche rimane alla base di tutto. Se posso dire la mia, andrebbero messe a punto però diverse altre cose, che valevano tanto ieri per gli emigranti in America con la valigia di cartone, quanto oggi per noi che stiamo in un Paese di nuova emigrazione, come l’area Balcanica. Questa è una zona che riceve le persone, dà quello che può, ma poi dobbiamo essere bravi noi a collocarci, perché c’è molta competitività e molta concorrenza.

d: Lei dunque si sente un “emigrante”?

r: Lo sono sempre stato, mi sentivo cittadino del mondo già da quando vivevo in Italia e, con cinquecento dipendenti, esportavo appunto nel mondo. Noi oggi offriamo crescita all’estero, non solo in Romania, ma anche in Bulgaria, Moldavia, Ungheria e nel nord della Germania.

d: Torniamo al discorso dell’Euro: in molti in Italia il cambio della moneta lo hanno considerato alla stregua di una “truffa”. Non teme che, col passaggio all’Euro, anche qui possa riversarsi un rischio speculazione?

r: No. La speculazione continua a esserci proprio perché qui c’è ancora la moneta locale. Di sicuro il passaggio sarà traumatico, come lo è stato in Italia. Ma se si vogliono intercettare i finanziamenti della Comunità Europea bisognerà affrontarlo. Detto questo, la Romania ha dato una possibilità importante all’Italia: circa diecimila studenti italiani hanno avuto QUI la possibilità di studiare Medicina, di fare attività medica e chirurgica; cosa che, invece, i politici italiani –con i “numeri chiusi”- non hanno ancora capito, e cioè che bisogna “aprire” le porte delle Università ai nostri cervelli. Io stesso ho sostenuto tanti Italiani, meritevoli, che hanno coronato il loro sogno e sono diventati medici qui, e ora vivono qui, anche vicino a me.

d: Cosa si sente di consigliare, magari a qualcuno quel vuole fare il suo stesso percorso?

r: Guardare al Mondo: produrre qualcosa nella nostra Lucania ed esportarlo, potrebbe essere la soluzione migliore. Il made in Italy ha ancora un grande valore. Ma è importate dire che io qui sono stato accolto bene perché MI SONO COMPORTATO bene. Al contrario di ciò che, ahimè, a volte si vede in Italia, anche se non bisogna mai generalizzare.

(Intervista raccolta su video da Rocco Esposito, testo di Walter De Stradis)