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di Walter De Stradis

 

 

Sabato scorso, al Centro Teatrale Polivalente di Malvaccaro, lui era fra gli ospiti d’onore della 22esima edizione del Festival di Potenza; eppure, quando il patron Mario Bellitti, finite le prove, gli ha detto che c’era un giornalista in attesa di intervistarlo, Gianni Donzelli, voce degli Audio 2, si è schernito e, puntandosi il dito sul petto, ha mormorato: «A me? E vabè». Nonostante (o magari proprio in virtù) delle migliaia di copie di album venduti e dei dischi d’oro e di platino ricevuti, forse la migliore sintesi di quanto lui stesso ci ha detto di lì a qualche minuto, a proposito di passione e umiltà, è proprio questa.

«La mia generazione è quella di un adolescente che viveva un periodo, negli anni Settanta, in cui in Italia e nel mondo c’era il meglio del meglio dal punto di vista musicale. Nell’ultima ventina d’anni, le cose sono molto cambiate: la musica, come arte, ma intesa soprattutto come passione, è come se fosse un po’ morta. A mio avviso, si è persa l’immaginazione, la fantasia».

d: L’immaginazione non è più al potere, insomma?

r: Non si agisce più col cuore, tanto per cominciare. Col mio socio (Vincenzo Leomporro - ndr), prima di fondare gli Audio 2 nel 1992-93, abbiamo fatto, boh, una quindicina d’anni di gavetta? Sì, di sacrifici, anche economici (nastri e cassette, viaggi avanti e dietro tra Napoli, Roma e Milano). Perché c’era appunto la passione. Oggi il concetto di gavetta, tra i più giovani, non è proprio più concepito.

d: Oggi c’è l’ambizione di poter arrivare subito a quei quindici minuti di fama di cui parlava Warhol.

r: Si preferisce arrivare subito a quei quindici minuti, piuttosto che fare quindici anni di gavetta. Ripeto, per la maggior parte di questi ragazzi è un discorso di partecipazione e fantasia che manca; ma non è solo colpa loro, bensì di tutto il sistema, delle produzioni. Questi giovani magari sono anche più furbi e intelligenti rispetto a quanto lo eravamo noi, ma vengono illusi di poter arrivare subito in tv e diventare famosi. Ma quello è spettacolo, non è musica.

d: Di recente, proprio un personaggio importante dei “talent show” (Morgan – ndr), avrebbe denunciato presunte “cricche” di potere musicale che orienterebbero carriere e quant’altro. Cosa ne pensa?

r: Per volontà mia, sono completamente dissociato, provenendo da un’altra generazione e da tutt’altro “modus” -“vivendi” e “operandi”- rispetto alla maniera d’intendere la musica.

d: Ma oggi, in Italia, un giovane realmente armato di talento e di buone ambizioni, ha effettivamente la possibilità di fare carriera o deve per forza scendere a compromessi?

r: Ripeto, non c’è più il concetto di musica come la più bella e importante forma d’arte. E’ diventato tutto un sistema per creare “movimenti”, in cui la musica è al 90% show, spettacolo, e per il resto, forse, musica vera e propria.

d: Come Audio 2 siete esplosi anche in virtù del timbro vocale che lei ha, molto “alla Battisti”. Quando ha scoperto di avere questa caratteristica?

r: Nel passaggio tra bambino e adolescente: dalla sera alla mattina, mi risvegliai con questa voce, sorprendendo me stesso e mia madre. Naturalmente, ero già appassionato di Battisti, e, approfondendolo, scoprii questa somiglianza. Una cosa impressionante: credo vada avanti dal 1975, anche prima degli Audio 2.

d: Alla fin fine lei collaborò anche con Mogol, in qualche modo riformando (virtualmente) una coppia mitica.

r: Sì, con lui abbiamo iniziato a collaborare fattivamente nel 2007; ma Mogol aveva ascoltato una demo in cui cantavo in Inglese maccheronico, e -non sapendo nemmeno che fossi io- ne era rimasto folgorato. L’idea era quella di fare un solo brano insieme, ma poi ne risultò un intero album di dieci canzoni, che vinse il disco d’oro nel 2009.

d: Di grande successo è stata anche la vostra collaborazione con Mina, col famoso brano “Acqua e sale”, presente nel disco “Mina C e l e n t a n o ” , del 1998. E’ stato quello il suo momento più alto come autore?

r: Ce r t a m e n t e , perché in quel caso scrivemmo sia “Acqua e sale”, sia altre due canzoni. In realtà era stata proprio Mina a scoprirci, nel 1992, tramite “Neve” (brano che poi avrebbe inciso). Le inviammo la cassettina e dopo quarantacinque giorni esatti chiamò a casa mia.

d: Anche lei rimase incredulo, come accadde al suo collega Tullio Pizzorno (autore di diversi testi per Mina e presente anche lui al Festival di Potenza -ndr)?

r: No, perché in quel periodo facevo anche un altro lavoro (in un’azienda aeronautica vicino la mia città, Napoli, per poter mantenere la famiglia) e non ero a casa. Rispose mia moglie, ma non capì che si trattava di Mina, in quanto lei si era presentata come “Anna Maria Mazzini”, il suo vero nome. E dovetti subire anche una scenata di gelosia, perché mia moglie sentì questa voce bella, settentrionale, e pensò a chissà cosa. Non si ricordava bene il nome, ma mi disse: «Ha chiamato questa tua “amica”. Ma chi è? Parlava come una mitragliatrice!». Dopo alcuni suoi tentativi di ricordarne il cognome («“Manzoni”? “Mazzella”?»), capii che si trattava di “Mazzini” e mi andarono di traverso i tortellini in brodo che stavamo mangiando! Il giorno dopo mi misi in ferie, in attesa che -come Mina aveva annunciato- mi richiamasse, e munito di panini, caffè e sigarette, mi misi di guardia vicino al telefono (ecco, a questo mi riferivo quando parlavo di passione, sogno, immaginazione, ma anche di umiltà: per me fino a quel momento sarebbe stato impensabile che una come Mina chiamasse di persona!). La telefonata tuttavia non arrivò, e me ne tornai in ufficio disilluso. Ma una sera lei chiamò. Mi paralizzai come Fracchia, e non riuscii a dire una parola. In una telefonata di sette/otto minuti, non capii niente. Ricordo che, poco prima di chiudere, Mina mi chiese quanti anni avessi. Impiegai due, tre giorni per intuire il motivo di quella domanda: nella sua mente, evidentemente, c’era già l’idea di farci produrre dal figlio Massimiliano (cosa poi avvenuta per i nostri primi sei album). Se invece di trentuno, di anni ne avessi avuto cinquanta, sarebbe stata una cosa poco credibile.

d: Il fatto di cantare “alla Battisti”, invece, le ha mai creato qualche problema?

 

 

 

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Donzelli al Festival di Potenza

 

 

r: Beh, forse all’inizio i più scettici pensarono che io scimmiottassi, che facessi finta, che giocassi su Battisti (che era scomparso dalla scena pubblica, pur continuando a fare dischi). Poi, all’uscita dell’album degli Audio 2, non mancò chi si disse sicuro che quello fosse proprio Battisti, sotto falso nome per non pagare le tasse. Qualcun altro disse che si trattava del figlio Luca. Tempo dopo venni a sapere che qualcun altro ancora, tramite l’oscilloscopio, un analizzatore di spettro, aveva campionato e confrontato la voce mia e quella di Lucio, per capire se si trattava effettivamente di Battisti. Risultò che, all’80/90%, in alcune bande di frequenza, effettivamente c’erano delle cose uguali!

d: E nessuno disse che lei era il figlio illegittimo di Battisti? (risate)

r: No, questo mai. Però, nonostante il grande successo, ci fu qualcuno che si disse convinto che saremmo durati solo un anno. E invece abbiamo vinto il Telegatto, dischi d’oro e dischi di platino, abbiamo fatto la colonna sonora del primo film di Pieraccioni, e abbiamo scritto ben tredici canzoni per Mina, di cui tre sono presenti nel disco con Celentano, il più venduto della storia italiana.

d: E a questo punto, allora, cosa sognano, ancora, Donzelli e gli Audio 2?

r: Le dirò, ogni tanto sogno un bello spaghettino col pomodoro fresco. Sono rimasto un uomo semplice, com’ero agli inizi. In realtà, per carattere, ho sempre la sensazione di non aver fatto ancora niente, nonostante tutto quello di cui stiamo parlando-. Pertanto ho sempre la voglia di buttarmi a fare questo o quello, come se avessi appena iniziato. La musica per me è sempre ossigeno e anche le piccole cose mi offrono stimolo. Sono un Gemelli ascendente Acquario: se mi fermo due secondi mi vengono i mal di testa.