profumoliberta.jpg

 

 

 

 

Cari Contro-Lettori,

nel settembre del 1991 un «uomo d’onore» di Cosa Nostra, disse a Paolo Borsellino: «Non deve aver più paura, io che dovevo ucciderla sono in carcere». Il magistrato rispose: «Paura? Ma tu non sai che è bello morire per cose in cui si crede; volevate uccidermi a Marsala? A Palermo dovete uccidermi, è più facile». Soggiunse: «Un cristiano non teme la morte. Chi vuol salvare la sua vita la perderà, e chi la perderà l’avrà salvata». Pochi mesi dopo, il 19 luglio 1992, proprio a Palermo, la vita di Paolo Borsellino veniva stroncata nella strage di via D’Amelio. Ma, come aveva affermato proprio quello stesso «uomo d’onore», in realtà «La mafia aveva paura dell’onore di Borsellino; perché Borsellino era il vero uomo d’onore, che non diviene tale con la “pungitura” o bruciando l’immaginetta, ma con la forza delle idee».

Tutto ciò lo riportava Mario Cicala su “Micromega” n. 5 del 2000.

“Come ogni anno ricordiamo il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della Polizia di Stato che con lui morirono nel tragico attentato del 19 luglio 1992. Lo facciamo innanzitutto per un dovere civico e morale -ha dichiarato il presidente della Regione Basilicata Vito Bardi- perché i giovani sappiano che la nostra Repubblica, e con essa i principi di legalità e trasparenza, sono stati difesi strenuamente da eroi moderni della lotta a tutte le mafie come i giudici Borsellino e Falcone, che hanno segnato profondamente, con i loro innovativi metodi di investigazione, le strategie dello Stato per combattere le organizzazioni criminali. I futuri successi nella lotta alla mafia, fino alla recente cattura di Messina Denaro, si devono anche alla intelligenza investigativa di quei giudici e alla loro capacità di scoprire gli investimenti delle mafie nell’economia e nella grande finanza. A 31 anni di distanza, nella mutata situazione di oggi, resta la lezione che i servitori dello Stato caduti nella lotta alle mafie ci hanno lasciato: ancora una volta occorre riaffermare i valori della democrazia e della libertà come motore per un ordinato sviluppo civile e sociale, che metta al bando la criminalità organizzata ed ogni forma di violenza e di sopraffazione”.

Per il Presidente del Consiglio regionale della Basilicata, Carmine Cicala, in veste di Presidente del Coordinamento delle Commissioni e degli Osservatori regionali per il contrasto della criminalità organizzata e la promozione della legalità “Risuonino ancora una volta, le parole del giudice Borsellino che diceva in particolare ai giovani: ‘La lotta alla mafia deve essere, innanzitutto, un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità’. Un invito - ha concluso Cicala - che deve interrogare tutti, nessuno escluso”.

Anche il presidente del consiglio comunale di Matera, Francesco Salvatore, insignito a novembre 2022 del “Premio Borsellino per la legalità” ha voluto rendere pubbliche alcune sue riflessioni, citando una lettera incompiuta vergata dallo stesso giudice: «Il conflitto inevitabile con lo Stato, con cui Cosa Nostra è in sostanziale concorrenza (hanno lo stesso territorio e si attribuiscono le stesse funzioni), è risolto condizionando lo Stato dall'interno, cioè con le infiltrazioni negli organi pubblici che tendono a condizionare la volontà di questi, perché venga indirizzata verso il soddisfacimento degli interessi mafiosi e non di quelli di tutta la comunità sociale». “Un conflitto, quello tra Stato e mafie –afferma Salvatore- che oggi ha mutato la propria forma ma che resta assolutamente attuale e di grande attenzione”.

Meditate gente, meditate. Walter De Stradis