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di Walter De Stradis

 

L’avvocato Leonardo Pinto è consigliere nazionale dell’ANF - Associazione Nazionale Forense, nonché uno storico esponente, ex dirigente nazionale, dell’MSI: già consigliere comunale a Stigliano -il suo paese d’origine- a Grassano e a Matera, fu anche candidato sindaco nella Città dei Sassi. Una volta non arrivò in Parlamento per una manciata di voti, ma oggi non se ne pente, perché «La Politica mai avrebbe potuto darmi ciò che mi ha regalato la professione forense. E comunque, dall’MSI me ne uscii quando divenne di moda un certo Berlusconi».

D: Come giustifica la sua esistenza?

R: Come tutti gli esseri umani, cerco di pormi degli obiettivi, anche se il percorso non è mai facile. Credo di aver sempre avuto una sensibilità sociale molto forte. Non a caso, all’interno del partito ero nella sua anima sociale, potremmo dire nella sua componente di “estrema sinistra”.

D: Quando ha capito che nella vita avrebbe fatto l’avvocato?

R: Sembrerà strano, ma è stato un caso. Lavoravo in un ente para-pubblico, ero iscritto ad Agraria (con ventuno esami dati) ed ero il segretario provinciale dell’MSI, nonché capogruppo al comune di Matera. E come tale ero costretto a “convivere” con il codice penale, a causa delle denunce che spesso ricevevano i ragazzi del partito. Sa, un manifesto fuori posto, delle parole dette in un comizio…

D: … qualche rissa.

R: … qualche rissa (sorride), insomma, erano quei tempi lì, non facili per noi. Sennonché, prima di un incontro a Bari col senatore Araldo di Crollalanza, mi intrattenni in un bar, l’Odeon, nei pressi dell’Ateneo. Alla cassa c’era una ragazza molto prosperosa che ammiccava, e allora per darmi delle arie dissi all’amico che mi accompagnava che avrei cambiato facoltà e che mi sarei iscritto a Giurisprudenza, che era proprio lì di fronte. Tornato a casa, però, mi convinsi davvero che dovevo prendere quella laurea (nonostante sapessi che avrei perso tutti gli esami di Agraria), per attrezzarmi a difendermi: come accennavo, c’era un’aggressione continua nei confronti dell’MSI, e io non avevo peli sulla lingua.

D: Lei ha detto di essere uscito dall’MSI a causa della “moda” di Berlusconi. Adesso potremmo dire che ce n’è un’altra, quella di coloro (come alcuni direttori di giornali o la senatrice Ronzulli) che sostengono che il Cavaliere vada “risarcito” con la nomina di senatore a vita, dopo che è stato diffuso l’audio del togato Amedeo Franco, il magistrato che ricoprì il ruolo di relatore della sezione feriale della Cassazione presieduta dal magistrato Antonio Esposito, che nel 2013 condannò il presidente di Forza Italia nel processo Mediaset. In un incontro con lo stesso Berlusconi, infatti, Franco avrebbe confessato che quella sentenza fu “pilotata dall’alto”.

R: Giuridicamente, quella del “risarcimento” è una gigantesca castroneria, di una imbecillità totale. E chi la propone dovrebbe vergognarsi, poiché offende gli Italiani. Se davvero una sentenza è sbagliata, il nostro Codice di Procedura Penale prevede –in presenza di determinate condizioni- una cosa che si chiama “revisione del processo”. Vede, Berlusconi ha introdotto il virus della “antidemocraticità”, introducendosi in politica per curarsi i fatti propri, non certo per il bene dell’Italia. A questa storia potremmo dare un titolo: “Berlusconi, Napolitano e un morto che non parla”. Il defunto è il togato Franco, che non c’è più, e che ora non può argomentare le sue presunte –ripeto, presunte- dichiarazioni. Qualcuno ha aspettato sette anni per fare uscire questo audio. Se il magistrato fosse vivo, e se fosse tutto vero (io ho i miei dubbi), passerebbe i guai suoi. C’è inoltre un particolare che sfugge ai più: fu lo stesso Franco, a norma di legge, a fissare l’udienza alla Sezione feriale! Non fu dunque Esposito a decidere che si dovesse celebrare ad agosto. Il tutto rende inspiegabile quella “confessione” di Amedeo Franco a Berlusconi!

D: Lei cita anche l’ex Presidente della Repubblica, Napolitano, perché contestualmente si è tornato a parlare di un presunto incontro che avrebbe avuto con Berlusconi dopo la condanna. In quell’occasione, si sarebbe parlato di uno scambio: la grazia al Cavaliere, se questi si fosse ritirato dalla politica.

R: Gravissimo. A quanto pare, si sarebbe trattato di un intervento a gamba tesa dell’ex Presidente, la più alta Carica che sarebbe uscita dal suo contesto istituzionale per andare a trattare in una sede privata. Roba da Repubblica delle Banane!!!

D: Siamo a ridosso dell’esplosione del “caso Palamara”, in cui si è parlato di un “sistema” di correnti che orienterebbe le nomine nella Magistratura. Scoperta dell’acqua calda o bomba a ciel sereno?

R: Come premessa, mi lasci dire che nella cosiddetta “Prima Repubblica” la classe dirigente era di un altro livello (aveva perlomeno il senso del limite), a fronte di quella di bassissima qualità che ci ritroviamo oggi. Alcune cose del cosiddetto “sistema Palamara” forse avvenivano anche prima, in quanto nel CSM c’è sempre stata una componente laica (i non togati). Ma questa, attenzione, era composta da professori, personalità del mondo del diritto, mentre oggi l’attuale vicepresidente, espressione della corrente di Renzi, è uno che aveva fatto le barricate contro gli inquirenti che indagavano sulla famiglia dello stesso Renzi. E oggi è vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Arriviamo a Palamara: ricordo un’intervista tv di diversi anni fa in cui Cossiga gli diede della “faccia di tonno”, apostrofandolo malamente. Evidentemente Cossiga, solo guardandolo, aveva ritenuto si trattasse di un faccendiere. Vede, non è scandaloso che i magistrati si possano riunire in associazioni, bensì il peso che a queste si attribuisce nelle “trattative” per la distribuzione degli incarichi. Il merito ahimè non c’entra più nulla, o quasi.

D: Come se ne esce? Perché a pagarne le conseguenze sono i cittadini.

R: Eliminando l’interferenza politica dal CSM: la quota laica va abolita. Inoltre, la nomina di consigliere dell’organismo va effettuata –una volta stabiliti i titoli, le competenze e tutti gli attributi necessari per accedervi- per sorteggio. E’ questo un sistema che a suo tempo aveva già individuato Indro Montanelli. Come cittadino e come avvocato chiedo che venga ridata credibilità al sistema giudiziario. I beneficiari del “sistema Palamara”, quelli cioè che hanno ottenuti incarichi dirigenziali nelle Procure tramite un indirizzo politico specifico, a mio avviso devono essere trasferiti d’ufficio: significa ridare un’immagine di trasparenza a certi incarichi e affrancare gli stessi magistrati da un "sistema" che può condizionarli!

D: Quando si parla di giustizia in Basilicata, diversi avvocati citano presunte “incompatibilità ambientali”, dovute a legami di parentela di alcuni magistrati.

R: C’è di più, qui ci sono i misteri: è inammissibile che il cadavere di un cittadino possa restare per diciassette anni nel sottotetto di una chiesa. Ma io voglio parlare di un’altra cosa.

D: Prego.

R: L’assurdo tentativo di vendita del Palazzo di Giustizia di Potenza (rientrante nel patrimonio indisponibile del Comune e costruito con fondi in buona parte ministeriali), votato all’unanimità dal consiglio comunale, Santarsiero sindaco. Lo scopo era pagare i debiti delle pessime amministrazioni del Comune di Potenza, nell’indifferenza degli avvocati, la distrazione dei magistrati e l’acquiescenza di una popolazione supina. L’operazione sarebbe pure riuscita, se un gruppo di legali -segnatamente il sottoscritto e l’avvocato Montagna- non si fossero messi di traverso, riuscendo a far annullare quelle delibere. Pur avendo vinto nei vari gradi di giudizio, facendo sì che l'edificio rimanesse pubblico, non ci siamo fatti pagare, anche in presenza di una sentenza che sanciva il riconoscimento delle spese a nostro favore. L’idea del Comune era di vendere la struttura, pagata con soldi ministeriali, a una società privata, per poi riprenderla in affitto, e pagare il canone con i fondi dello stesso Ministero! Ma, dico, stiamo scherzando? Come dissi all’epoca, Totò era stato più bravo a vendere la fontana di Trevi. Immagino che ci siamo dovuti scontrare con grossi interessi.

D: A “microfoni spenti” mi diceva che sta per fondare un’associazione che sarà attiva in ambito sanitario.

R: Secondo la mia formazione, alcuni servizi indispensabili devono essere innanzitutto pubblici. Tuttavia, col passare del tempo, le strutture del sistema sanitario nazionale sono diventate a servizio non già degli ammalati, bensì di medici e infermieri. Questo è un andazzo che va invertito.

D: Se potesse prendere Bardi sottobraccio, cosa gli direbbe?

R: Di andare a casa. Non è assolutamente in grado di governare questa regione, né lui, né i suoi assessori. Vede, quelli del centrosinistra ne hanno fatte di tutti i colori –e sottolineo DI TUTTI I COLORI- ma almeno una certa competenza ce l’avevano. Qui invece siamo al non saper né leggere né scrivere!

D: La canzone che la rappresenta?

R: “Il ragazzo della via Gluck” di Celentano, comunica la tragedia della modernità.

D: Il film?

R: “Casablanca”, con Humphrey Bogart e Ingrid Bergman. Una summa dei pregi e dei difetti dell’umanità.

D: Il libro?

R: “Il coraggio della libertà” di Levi e “L’arte del dubbio” di Carofiglio.

D: Fra cent’anni cosa vorrebbe fosse scritto sulla sua lapide?

R: «Ha fatto tutto quello che ha potuto. Sena risparmiarsi».