- Walter De Stradis
- Sabato, 03 Febbraio 2018 10:05
Se non fosse per i capelli sale e pepe, diresti che Ciccio Colonnese è rimasto tale e quale a quello dei tempi d’oro col Napoli e con l’Inter. Il calciatore più famoso e di maggior successo che il capoluogo lucano abbia mai partorito, è ancora oggi un “ragazzo” posato e che non se “la tira” (cosa rara, per uno che di mestiere, appunto, tirava calci a un pallone).
Come giustifica la sua esistenza?
E’ partito tutto da una scommessa che ho fatto con me stesso. In realtà, infatti, il “campioncino” della mia famiglia era mio fratello Giuseppe. Lui era un calciatore molto dotato tecnicamente, l’idolo di tutti a casa, mentre io giocavo a basket.
A basket???
Proprio così, avevo iniziato col mitico Gaetano Larocca. Ripeto, anche a livello territoriale, quello corteggiato nel calcio era Giuseppe, ma a 12 anni scattò in me la voglia di dimostrarmi alla sua altezza, e di superarlo. In effetti mi sentivo trascurato.
E così prese e indossò gli scarpini.
Sì, anche se ero un po’ in ritardo con l’età, iniziai a giocare a calcio con l’Aviglianese, che aveva il settore giovanile più importante, all’epoca. Ricordo che prendevo il treno sotto casa mia, a Via Angilla Vecchia. A differenza di mio fratello, che era mancino e aveva “il piedino”, io non avevo talento tecnico, ma decisi di ovviare con l’abnegazione e con la mia fisicità, allenandomi forsennatamente.
E suo fratello quando iniziò a “preoccuparsi” dei suoi progressi?
(Sorride). Quando avevo 15-16 anni e fui preso dal Potenza, che all’epoca era in serie C. Tuttavia, quando iniziai a giocare in prima squadra, mi scontrai subito con la difficoltà di emergere nella mia città. Come si dice, “Nemo propheta in patria”. L’allenatore Di Somma mi preferiva un veterano della C, Costa, che aveva 36 anni. A fine stagione, nel 1991, colsi allora la palla al balzo. Il direttore sportivo del Giarre, sapendo che io non ero felice qui, disse al dirigente Vito Giuzio: «Colonnese me lo prendo io».
Quindi, se fosse stato per il Potenza, lei non avrebbe fatto la carriera che ha fatto?
Esatto, glielo dico con onestà: il Potenza è stata la squadra che ha infuso in me la voglia di scappare per dimostrare quanto fossi valido. Sembra assurdo, ma qui nella mia città non ho avuto quel che meritavo. E’ una cosa, tuttavia, che accade ovunque, nelle realtà locali.
Quando ha capito che ce l’aveva veramente fatta?
Quando arrivai alla Cremonese, società di serie B che aveva fatto emergere gente come Vialli, Marcolin, Bonomi, Favalli. Al Giarre furono pagati due miliardi di lire. Al mio esordio in serie A, a Torino (Cremonese- Juventus), marcai Luca Vialli. In quel momento dissi a me stesso, «Madò, ma che sta succedendo?! Sono qui! Sono qui!».
Come si fa a non perdere la testa quando arrivano i veri guadagni?
Guardi, per me era diverso, perché per emergere avevo troppo sofferto. Inoltre, venivo da una famiglia di geometri, ingegneri, presidi di scuola, in cui l’aspetto culturale era fondamentale. Avere quindi una formazione e dei valori da rispettare, mi ha aiutato a non comportarmi da sprovveduto. Quando uscivo di casa mi dicevo, «Ciccio, sii serio e integerrimo, perché la gente paga per venirti a vedere». Oltretutto l’esperienza a Cremona all’inizio fu anche dura: mi ritrovai subito a dover sentire i vari «Colonnese-Terùn!».
Anche a Milano?
Lì fu diverso, perché -avendo giocato nel Napoli- arrivai all’Inter da giocatore già affermato. Certo, all’inizio a San Siro c’era un comprensibile scetticismo, ma ci fu una cosa che non dimenticherò mai. Io ero arrivato a Milano grazie a uno scambio di giocatori, e tempo dopo il presidente Moratti, interrogato da un giornalista su chi fosse stato il suo miglior acquisto, rispose: «Sarebbe facile dire Ronaldo, ma lui l’ho pagato 25 miliardi. Colonnese, invece, mi è costato zero e ha reso più di tutti!». E’ per questo che sono ancora molto legato all’Inter e a Moratti. In quel momento, capii che la mia voglia di non perdere la testa e di rispettare sempre i tifosi mi aveva premiato.
C’è qualcosa che, dal punto di vista umano, l’ha delusa più di tutte?
Scoprire, a distanza di anni, che quel Calcio fantastico, pieno di campioni, in cui mi ero ritrovato a giocare io, in realtà viveva il più grande scandalo della nostra storia sportiva.
Si riferisce a Calciopoli.
Io non ho vinto uno scudetto, ma poi vengo a spere che…
…ma all’epoca non avevate “sentore” che ci fosse qualcosa che non tornava?
Sì, il sentore c’era, ma… è come quando sai che tua moglie ti fa le corna, ma non puoi certo immaginare che va a letto con tre persone diverse! Una cosa così devastante non la pensavamo certo.
Con quali giocatori ha mantenuto, ancora oggi, i rapporti migliori?
Con Zamorano, Pagliuca, Zanetti, Bergomi, Simeone… a detta di tutti, quell’Inter lì, quella del 1998, era la migliore dal punto di vista umano: un mix giusto di stranieri e di Italiani. C’era un vero attaccamento alla maglia. Ancora oggi siamo molto amici, e spesso andiamo in giro a giocare con l’Inter Forever.
Cosa ha perso da allora il calcio?
E’ cambiato dal punto di vista sociale. Nei settori giovanili non si fa più calcio, ma business. Oggi si specula, c’è poca cultura, spesso sono i genitori che rovinano i figli, perché vogliono essere i loro allenatori. E’ più che mai necessario che a insegnare calcio ci siano professionisti qualificati.
A Potenza, da sempre, c’è il sogno di Colonnese allenatore, o presidente. Gliel’avranno detto in tanti…
Non si può sempre pensare che tutto sia dovuto o che sia facile. Con tutta onestà, oggi nella mia testa non c’è questo pensiero. In questo momento il Potenza ha una struttura solida, un allenatore preparato. All’inizio della sua avventura, Caiata, che è un mio caro amico, mi ha chiesto «Ciccio, cosa vuoi fare?»: io l’ho ringraziato, ma gli ho detto che non ero interessato. Non mi sentivo ancora in grado di cimentarmi in una categoria che non conosco, in una città in cui c’è una passione irrefrenabile. Volevo essere onesto con me e con la mia città. Il Presidente Caiata è molto bravo nel suo lavoro, è un imprenditore di grande successo, però gli ripeto spesso che nel calcio ci vuole “calma e sangue freddo”. E vedo che lui, in maniera molto intelligente, lo recepisce, trasmettendolo anche allo spogliatoio. Sarà il tempo a dire quando e se la mia potrà essere una fi gura dirigenziale o magari d’immagine.
Al momento diciamo che lei è un “consigliere” di Caiata.
Quando ha qualche dubbio o necessità dal punto di umano o professionale, io ci sono sempre.
Quando l’ha conosciuto?
Lui era rappresentante d’Istituto al Ragioneria a Potenza, la mia scuola.
Immaginavo a Siena.
No, però ci siamo rivisti lì. Quando feci le visite mediche per il Siena, nel 2004/2005, lui disse a un accompagnatore della squadra, “Portatemi Colonnese, ditegli di me”. Mi dissero allora che a Piazza del Campo c’era un “mio compaesano”, da allora siamo diventati grandi amici.
Com’era a scuola Salvatore Caiata?
È sempre stato così. Capelli lunghi, rappresentante d’istituto, molto esuberante, pieno di idee innovative. Caratterialmente siamo molto simili, ma io un pochino ragiono, lui è un istintivo.
E questa decisione di candidarsi? Come la giudica?
Anche a me spesso è stato chiesto di entrare in politica…
… più da destra o da sinistra?
Da ambo i lati, ma ho sempre rifiutato, perché penso di non essere portato. Lui invece è sempre convinto di fare la scelta giusta, un po’ come quando mi disse: «Sto andando a prendere il Potenza, vuoi farlo insieme a me?». Anche in quel caso rifiutai, consigliandogli però di attendere giugno, perché lui voleva prenderlo già in inverno. A distanza di tempo, mi ha ringraziato. Non so chi sia stato a spingerlo in politica, ma credo sia sincero in quello che fa, perciò penso sia davvero convinto quando dice che in questa città si può fare meglio rispetto a quello che ha trovato lui.
In questi ultimi 30 anni, nel tornare a Potenza, lei l’ha trovata via via migliorata o peggiorata?
Onestamente? Anch’io la trovo molto peggiorata, dal punto di vista del pessimismo generale, della tristezza, e questo mi spiace molto. Nei giovani di oggi c’è tanta voglia di evadere, perché qui non c’è nulla. Tuttavia nessuno ha cercato di dire “Rimango e mi cimento qui”. Vorrei solo che Potenza fosse una città più felice.
Se venisse da lei un adolescente a chiederle qualche consiglio per tentare la carriera nel calcio, cosa gli direbbe?
Per prima cosa devi avere rispetto per le regole, rispetto per chi ti allena. Poi bisogna avere una cultura, la scuola è fondamentale. Anche l’insegnamento delle scienze motorie è di cruciale importanza, aiuta la mente e allontana lo stress.
Come fa a mantenersi così in forma? Si allena tutti i giorni?
No, mangio poco, sto attento all’alimentazione, e non ho mai bevuto. Cerco di allenarmi, ma non tutti i giorni.
Lei è un tipo molto “quadrato”, ma il più grosso “colpo di testa” che ha fatto?
Nessuno, non mi sono mai nemmeno ubriacato.
Ma non ha nemmeno mai mandato a fan… qualche mister?
Beh, in verità l’unico è stato Lippi, e infatti mi ha mandato via dall’Inter (Moratti non lo avrebbe mai fatto). Ci litigai perché il 26 Aprile 1998 perdemmo lo scudetto a Torino. Lui mi vedeva fra i “ribelli”, e ci fu questo alterco.
Lippi è rimasto sempre juventino col cuore, anche quando era all’Inter.
E infatti: lui juventino, noi interisti. Tra l’altro, me lo sono ritrovato come testimone di nozze di mia moglie! Al mio matrimonio!
Mamma mia.
Si, perché mia moglie è di Montecatini, delle sue parti, insomma. Pensi che lui ebbe a dire, «Monica, ma tra tanti calciatori… proprio Colonnese?! Quello mi voleva picchiare!». (Risate).
Il film che la rappresenta?
“Il Gladiatore”. È il mio carattere, andare avanti e superare gli ostacoli.
La canzone?
“A te”, di Jovanotti. Rappresenta la mia vita, l’unione che ho con la mia famiglia. Ho una moglie fantastica e un figlio fantastico. Tutto ciò ha fatto sì che la fi ne della mia carriera non fosse traumatica.
Il libro?
“Il Manuale del guerriero della luce”, di Paulo Coelho. Lo consiglio ai giovani.
Tra cent’anni cosa vorrebbe ci fosse scritto sulla sua lapide?
«Colonnese si nasce, non si diventa».
Massimo Moratti, con la sorella Bedi, al compleanno di Colonnese (con la famiglia) il 10 agosto scorso