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Cari Contro-Lettori,

nel nuovo libro di Vinicio Capossela, a pagina 316 si legge quanto segue «…Che fine fece il corvo? Si sistemò in Basilicata e lì fondò una repubblica di rapaci. Poi arrivarono i politici e presero il loro posto. In Basilicata c’è il petrolio. Sembrerebbe una fortuna ed eppure non si traduce in ricchezza per il territorio. Del petrolio resta l’inquinamento delle falde acquifere e altri danni all’ambiente e alla salute. I controllori dipendono dai controllati e per il sistema clientelare imperante la gente è praticamente privata del diritto di protestare, pena la perdita del lavoro. Al posto dei contadini di Carlo Levi ora ci sono gli impiegati. La rassegnazione non cambia» (“Eclissica”, Vinicio Capossela, Feltrinelli 2021).

Il famoso musicista-scrittore ha letto questo breve passaggio ad alta voce nel corso della presentazione del suo volume (una sorta di, corposa, biografia artistica) tenutasi giovedì sera a Pignola (borgo a pochi passi da Potenza al quale lo stesso Capossela è assai legato, in virtù di alcune amicizie e collaborazioni musicali maturate negli anni). E, nonostante il clima rigido, si può dire che è stato l’unico momento di “gelo” in una serata per altri versi calda, confortevole e travolgente (terminata col pubblico che accompagnava in coro il noto cantautore, che ha concluso la serata con l’esecuzione di alcuni suoi brani).

A sfogliare il libro, ci si accorge che –oltre ad alcuni altri passaggi in cui l’autore elogia le bellezze e le risorse culturali della nostra terra- c’è tuttavia qualche altra amara e acuta divagazione, vedasi alcune righe relative a certe dinamiche materane (non facciamo spoiler, le trovate nel libro). Parliamo di un testo (in cui la Basilicata è solo una parte di un tragitto assai più ampio) scritto da un grosso personaggio per un grosso editore con una grossa distribuzione: un papabile best-seller, insomma. Per farla breve, l’ennesima figura escrementizia (Emilio Fede sarebbe più spiccio) a livello nazionale, per la Basilicata è bell’e servita. E non è certo colpa dello scrittore. Il poetico e trasognato Vinicio Capossela non è infatti quel che si definisce un artista “impegnato”, né di “denuncia” (e non è certo obbligatorio), ma evidentemente vale anche per lui ciò che ci disse il jazzista partenopeo Daniele Sepe (lui sì, impegnato e di denuncia) a margine di un altro concerto, quello pro-operai Fiat tenutosi a Potenza, in piazza Don Bosco, nel 2004 (cit. dal numero di Controsenso di quel 5 giugno): «Il compito di risvegliare le coscienze toccherebbe ai politici, dato però che loro non lo fanno, ci vediamo costretti a parlare di politica noi artisti che invece potremmo cantare della fidanzata che ci ha lasciato o di quella che verrà. Preferirei che si tornasse noi musicisti a fare delle grandi sinfonie e i politici a fare il loro mestiere». E scusate se è poco. E non consola né tranquillizza il fatto che il brano letto da Capossela sia riferito a una sua esibizione a Potenza che risale (esattamente) a 10 anni fa. Specie se, ancora OGGI, e solo per dirne qualcuna, Eni e Total fanno sega a importanti convegni (come quello di Stigliano) e uno come il Monsignor Intini, il vescovo di Tricarico (altro paese assai legato, e viceversa, a Capossela, per via di Infantino e Scotellaro), ha invitato pubblicamente i Lucani (allo stesso incontro) a diventare protagonisti del loro futuro e della tutela dell’ambiente; su questa materia, dice, anche la Chiesa è chiamata a prendere posizioni, in linea con quanto affermato da Papa Francesco.

E Amen.

Walter De Stradis