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di Walter De Stradis

 

 

 

 

“Lavoradio” è il nome del programma radiofonico (oggi podcast digitale), col quale il giornalista e orientatore potentino Vito Verrastro ha per anni fornito (e fornisce tuttora) notizie sul mondo dell’occupazione a quanti –ed è un dettaglio fondamentale- sono dotati di “orecchie per ascoltare”.

d: Lei, unico lucano, di recente è stato nominato “Digital EU Ambassador”. Un incarico maturato in ambito di Commissione europea (tramite la DgCnect di Bruxelles). Di che si tratta?

r: Diciamo cosi, siamo delle “antenne” territoriali -in tutto una quindicina in Italia- ciascuna con la voglia e la capacità di trasferire alle comunità (locali e interregionali) ciò che accade a Bruxelles, sul piano della tecnologia e dell’innovazione digitale (incluso l’attuale, grande dibattito sull’Intelligenza Artificiale). Siamo tutti volontari, ma si tratta di un incarico prestigioso che è conferito a chi ha già un proprio seguito sul territorio.

d: Entriamo subito nel vivo, a proposito di lavoro e di digitalizzazione. La Pandemia ci ha dimostrato, tramite la modalità dello smart working, che alcuni tipi di impieghi e professioni è possibile e conveniente svolgerli a casa...

r: Lo “smart” o “remote working” ci ha fatto capire che alcune rigidità (di spazi, di tempi, di modalità) potevano essere abbattute. Questa cosa si concretizza in un’enorme opportunità, c’è infatti un movimento crescente, in tutto il mondo, di “nomadi digitali”; di persone cioè che hanno a disposizione la Rete e che determinate tipologie di lavoro possono svolgerle da qualunque posto. La libertà è enorme: possono lavorare da remoto, ma anche di notte, la mattina presto, in base cioè alle caratteristiche di ognuno. In questa modalità si lavora infatti per obiettivi, e non a compartimenti stagni, come accadeva prima e come accade ancora adesso per molti impieghi. E’ chiaro, l’operaio in fabbrica ha ancora dei turni di lavoro, ma anche quello oggi è un “operaio 4.0”, in quanto deve dialogare con la macchina. Il lavoro infatti è sempre più automatizzato: meccanici ed elettrauto stanno diventando “meccatronici”. La tecnologia oggi è assai pervasiva, entrando nel 93/94% dei nostri impieghi.

d: Nella Basilicata della “fuga dei cervelli”, il nomadismo digitale è un possibile argine al fenomeno?

r: Sappiamo che in Italia -e non solo- le aziende sono alla caccia di talenti, ma spesso hanno difficoltà a trovarli (ed è un paradosso), pertanto stanno allargando il loro raggio d’azione, cercandoli ovunque. Ciò significa che io-Lucano, con le competenze giuste, posso lavorare per aziende di Milano, Torino o New York. Tutto questo fino a dieci anni fa era impensabile.

d: In Basilicata si sta approfittando di questa possibilità?

r: Beh, c’è tutto un cambiamento culturale da mettere in atto, che non è veloce come quello tecnologico. Se però Scuola e Università continuano a dirci che le dinamiche sono quelle di vent’anni fa, è difficile che si cambi registro.

d: Ma tecnologicamente, almeno, siamo al passo con le altre regioni?

r: Nelle aree in cui c’è la banda larga, ritengo di sì, assolutamente. Se io voglio, oggi, posso formarmi qui da Potenza, accedendo ai corsi gratuiti della Harvard University. Se poi voglio quella certificazione, mi costa in tutto 50/60 dollari, nulla di proibitivo. Certo, è in Inglese, e proprio per questo ci vogliono le competenze per recepire quel messaggio.

d: Volendo dunque, un Lucano potrebbe tranquillamente lavorare a distanza per un’industria americana. Alla luce di tutto ciò, come leggere quelle polemiche –anche recenti- sui professionisti “non lucani” che occupano posizioni lavorative di rilievo nella nostra regione, tanto nel pubblico quanto nel privato?

r: Per me la territorialità conta pochissimo, la sfida vera si gioca sulle competenze. Oggi, se sei competente, a prescindere dalla tua provenienza, hai uno sbocco lavorativo maggiore, rispetto a qualche anno fa quando, sì, la territorialità contava di più.

d: Diceva che c’è difficoltà a trovare talenti. Cosa vuol dire?

r: I cambiamenti sono veloci; la sfida si è spostata dal piano dell’occupazione a quello dell’“occupabilità”. E’ un concetto, quest’ultimo, che in Italia non sta passando. A sentire anche i dibattiti recenti, in Italia l’“occupabilità” sembra meramente coincidere con “l’età da lavoro”, mentre è qualcosa di molto più complesso. Si tratta della capacità di lavorare su se stessi, profondamente e continuamente, onde acquisire competenze e rimanere appetibili per un mercato del lavoro che cambia in fretta. Faccio un esempio: mio figlio ha studiato per diventare sviluppatore web; ha fatto un percorso di sei mesi di full immersion, e nove di tirocinio, ma oggi buona parte della sua competenza è fatta di Intelligenza Artificiale! Questo per dire che i lavori cambiano in fetta e se non si acquisiscono competenze, pur se collocati temporaneamente nel mercato, a un certo punto si rischia di rimanere fuori.

d: La parola d’ordine, mi pare di capire, è sempre e comunque “aggiornamento”. E vale per tutti.

r: La linea della formazione, nel secolo scorso, partiva dalla scuola dell’obbligo, arrivava all’università e si fermava lì. Oggi, invece, parte dal primo giorno d’asilo e si chiude dopo la pensione. Ci sono infatti tanti pensionati che continuano a lavorare e ad aggiornarsi. A parte il discorso delle pensioni che sono troppo basse, queste persone hanno capito che il processo formativo deve continuare e dev’essere una specie di compagno di vita. Questo vale per tutte le professioni, operai compresi, tranne, probabilmente, i dipendenti pubblici, che sono iper-garantiti (occupando un posto di lavoro che difficilmente verrà loro tolto).

d: Quindi il dipendente pubblico non si aggiornerà…

r: …a meno che non sia costretto, ma a mio avviso l’iper-garantismo non arriverà a questo. Tutti gli altri sono invece su un tapis roulant acceso a velocità media. Se non ti aggiorni, il tapis roulant ti porta addirittura indietro.

d: Vorrei commentare con lei gli ultimi dati Istat, freschi freschi, del censimento permanente della Basilicata. L’anno di riferimento è il 2021. «La popolazione legale, al 31 dicembre 2021 ammonta a 541.168 residenti, in calo dello 0,7% rispetto al 2020 (-3.962 individui) e del 6,4% rispetto al 2011». Il problema principale è l’assenza di lavoro?

r: E’ anche interessante leggere i dati sul mercato del lavoro lucano, presenti nel bollettino mensile Excelsior, realizzato dalle Camere di commercio, mediante delle domande rivolte alle imprese (“di quali e quante professionalità avete bisogno”?). Leggendo scopriamo che il nostro è un mercato piccolo, di numeri, ed è povero, nel senso che solo 2/3 laureati su 10 vengono assorbiti nel mercato locale. Il 50% circa del mercato chiede infatti operai specializzati. Il nostro è un mercato nel quale al 70/80% i contratti sono a tempo determinato. E quindi è naturalissimo cercare sbocchi all’esterno. Tuttavia, pur essendo un fattore innegabile, l’invecchiamento può tramutarsi in un vantaggio. L’invecchiamento progressivo, infatti, apre a una serie di professioni che stanno sotto il cappello della “silver economy” (l’“economia d’argento”), che tuttavia non è stata ancora percepita come un vantaggio.

d: Mi faccia un esempio pratico.

r: Ci sono i classici servizi di cura della persona (badanti, infermiere etc.), ma c’è tutta un’area di persone di 60/70 anni che vogliono rimanere attive e al passo coi tempi: per un giovane “smart”, che ha voglia di fare, quella è una potenziale platea sterminata di persone da alfabetizzare, poiché non vogliono essere tagliate fuori dai processi digitali.

d: Altro dato Istat: «Diminuiscono, rispetto al 2011, le persone in cerca di occupazione (-39,9%), in particolare per la componente maschile (circa 8mila unità in meno, pari a -40,3%), e gli occupati (533 persone in meno), ma solo fra gli uomini (-1,9%)».

r: Questi dati, innegabili, certificano che intanto qualcosa si è inceppato nel rapporto persona-lavoro; ma i report di importanti aziende internazionali ci dicono che solo il 5% delle persone nel mondo si sente coinvolta nel proprio lavoro. Ciò implica che molti degli occupati di tre/quattro anni fa se ne sono andati, e ora si stanno riposizionando (magari anche in proprio), ripensando al proprio ruolo, alla ricerca di un nuovo lavoro che per loro abbia maggiore senso. Questo tipo di domande, circa le gratificazioni offerte dal nostro lavoro, abbiamo cominciato a farcele dopo il Covid.

d: Non siamo lontani dalle elezioni regionali: in tema di lavoro e di innovazione, quale dovrebbe essere la prima pratica sul tavolo degli aspiranti governatori?

r: L’orientamento. Ne manca completamente la cultura, e non solo in Basilicata. E ciò implica innanzitutto una migliore conoscenza di sè, dei propri valori e delle proprie aspettative, onde reagire fattivamente ai veloci cambiamenti di un mercato sempre più frastagliato. Se mancherà la cultura dell’orientamento, sarà facile andare in crisi di fronte alle prime difficoltà.