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di Walter De Stradis  

 

 

 

A chi gli fa notare che la sua breve apparizione-cameo nella recente riduzione cinematografica di “Diabolik” (regia dei Manetti Bros.) ricordi un po’ quelle del sorridente Stan Lee nei film sui supereroi Marvel, Giuseppe Palumbo risponde che è più una cosa “alla Hitchcock”. Ma ormai non è più un “mistero” per nessuno che il disegnatore materano (sabato scorso di ritorno nella città dei Sassi per presentare proprio il numero 900 del celeberrimo ladro in calzamaglia) sia uno dei massimi esponenti del fumetto nel Belpaese.

d: Come giustifica la sua esistenza?

r: Ah, beh, è stato chiaramente un errore! Probabilmente dovuto ad avverse condizioni climatiche (risate), e quindi i miei genitori…

d: Qual è stato (se c’è stato) il momento in cui ha capito che nella vita, per lavoro, avrebbe disegnato fumetti?

r: Come quelli della mia generazione, sono cresciuto leggendo fumetti, perché in realtà non c’era molto altro (sempre per la serie “Avverse condizioni climatiche”). Ho sempre disegnato fumetti, con i miei amici e con mio fratello. Una volta studente di Lettere classiche (e appassionato anche di archeologia e storia antica) ho perseguito anche la strada del fumetto, e -di conseguenza- il giorno della laurea avevo già alle spalle diverse pubblicazioni a mio nome. Per cui, ancora oggi, la domanda “ma come fai a leggere i fumetti”, per me non ha alcun senso, visto che io ci ho imparato a leggere!

d: Ma ancora oggi, persino uno come il professor Dorfles dice che leggere i fumetti non è la stessa cosa che leggere i libri…

r: Vabè, lui voleva essere provocatorio, secondo me, e io -che sono sempre dalla parte dei provocatori- ne capisco il senso. Forse intendeva dire che oggi in libreria tra i maggiori bestseller ci sono sicuramente i fumetti; ma non puoi pensare, avendo magari letto solo Zerocalcare (o Diabolik, per citare due modi opposti di fare fumetto), di aver completato un’idea culturale di lettura (che invece comprende poesia, filosofia, romanzi…).

d: Ricordiamo la sua militanza con “Frigidaire”, e il suo “Ramarro” (nato negli anni 80), il primo supereroe masochista della storia dei comics …ecco, di questa esplosione dei supereroi (in libreria e soprattutto al cinema), cosa direbbe il suo sarcastico personaggio?

r: Ci ho fatto anche una vignetta, in cui Ramarro dice «Deadpool? Ah, sì, è stato il mio stagista!».

d: In effetti, quel personaggio della Marvel (che spopola sia nei fumetti sia al cinema), è un supereroe dissacrante al pari del suo Ramarro.

r: …e ha la stessa capacità di rigenerarsi.

d: Quindi può sempre fare causa alla Marvel!

r:No, no, per carità, le idee sono di tutti. (risate)

d: Da diversi anni ormai nella sua vita c’è Diabolik: qualcuno le avrà fatto sicuramente “notare” il passaggio da un personaggio “underground” come Ramarro, a un “big” come il supercriminale delle Sorelle Giussani. Qualcuno le avrà anche sicuramente fatto la battuta, “Ma come, dopo Frigidaire, adesso anche tu con i ‘poteri mainstream’ del fumetto!?».

r: Si badi che, sì, Diabolik o Tex hanno una diversità di approccio rispetto a Ramarro, ma a quel tipo di critiche ho sempre risposto che Frigidaire comunque NON ERA underground, avendo un ENORME bacino di lettori (circa centomila, cioè dieci volte tanto le vendite effettive). Stessa cosa oggi con “Zerocalcare”: non credo lo si possa definire “underground”, ma vero “mainstream”!

d: Lei è un “Lucano che ce l’ha fatta”, ma che vive fuori (Bologna). Questo particolare le ha giovato nell’affermarsi?

r: No, perché io ho studiato a Matera e all’università di Bari. La mia formazione è stata qui e qui sono cresciuto con tanti autori locali, coi quali, sì, giravamo per Roma, Bologna, etc. (perché non c’era ancora Internet), ma vivendo qui, nelle nostre città.

d: Eppure, ancora oggi, serpeggia la percezione che per un Lucano –che vive in Lucania- tutto sia più difficile.

r: Il luogo comune che “dalla Basilicata è difficile farcela”, corrispondeva al vero una volta, ma oggi questa idea troppo “regionalistica” va anche un po’ sfatata: io stavo a Matera, ma non mi sentivo fuori dal mondo. Prendevo il treno e andavo a Roma! Poi tornavo a casa, disegnavo le mie storie, e poi chiamavo il corriere che le riportava a Roma…

d: Lei ha disegnato Scotellaro, poi Pasolini, manca all’appello Carlo Levi. Col sindaco di Aliano, qualche settimana fa, abbiamo anche parlato del “levismo”, ovvero del lascito –inteso in senso negativo- che secondo alcuni ancora pesa sull’immagine della nostra regione.

r: Storicamente, ritengo che l’azione di Levi sia stata fondante per il rinnovamento della nostra regione (certe questioni le ha denunciate lui). A volte accade però che –magari anche a fin di bene- la cultura e la politica trasformino tutto in retorica. E’ dunque la RETORICA su Levi a essere dannosa, non la sua azione.

d: Assolutamente d'accordo.

r: La visione che lui aveva della Basilicata, infatti, ritengo che sia tuttora la più interessante. In particolare la sua idea di un luogo in cui il tempo ha una sua dimensione diversa, rispetto a quella esterna (in un mondo che all'epoca, con l'industrializzazione, si avviava verso una sorta di capitalismo). La sospensione del tempo che Levi aveva trovato qui non era solo quella dell’esilio, bensì qualcosa di metafisico, magico, surreale…Questa sua concezione è stata un po’ dimenticata, fraintesa, addirittura considerata pericolosa negli ambienti più a sinistra (per via di questa deriva spiritualista, quasi “religiosa”).

d: Tutte cose rilanciate alla grande anche da Antonio Infantino.

r: Di cui sono un grande fan!

d: Che tipo di fumetto farebbe dunque su Levi?

r: Glielo dico subito perché c’è un progetto in atto, che fa seguito a quello che ho dedicato a “Uno si distrae al bivio” di Rocco Scotellaro. Ho scoperto infatti che l’ultima opera di Levi, “Quaderno a cancelli” (ristampato da pochissimo) era dedicata proprio a Scotellaro, tramite una nota (anche se c’è un dibattito sul tema), in cui lo definiva “maestro e fratello”. Poiché la scrittura e l’approccio delle due opere (fra il randomico, il surreale e lo spirituale) sono molto simili, mi piacerebbe rieditare il mio “Uno si distrae al bivio”, inserendovi anche “Quaderno a cancelli”.

d: Qui a Matera è stato girato in parte l’ultimo 007. Tuttavia, nelle scene ambientate nei Sassi, si vedono le “solite” cose, trite e anacronistiche: in particolare c'è quella scena con le pecore in mezzo alla strada. Insomma, la consueta approssimazione, un po’ come quando nei film americani si sentono i gondolieri parlare in napoletano.

r: Mah, sa, è questione di immaginario collettivo, ed è inutile andarci contro; anzi, quasi quasi conviene assecondarlo: e quindi viva le pecore nei Sassi! Non ci sono mai state, in realtà, ma noi ce le mettiamo! (risate). Guardi, avere questa idea anche un po’ “libera” di Matera città dell’immaginario (cosa che io vado proponendo da tempo), secondo me potrebbe alleggerire il carico retorico che c’è un po’ intorno.

d: Si spieghi meglio.

r: Mi riferisco proprio alla retorica di derivazione “leviana”, a proposito di una città solamente “contadina” (mentre qui c’erano anche i pastifici, o i fabbri, come mio nonno). Tutto ciò mi fa specie, mi fa sorridere, come i gondolieri che parlano napoletano. Detto questo, credo che comunque tutto sia superabile, e che un film come l’ultimo James Bond farà comunque bene alla città.

d: Mentre “Matera 2019”…

r: Non ne parliamo, per carità, sennò mi rovino la serata!

d: Ho intervistato diversi intellettuali di Matera, e a volte è emerso questo comune sentire, circa il non essere stati coinvolti adeguatamente… ma, al di là di questo aspetto (e del discorso turismo), la Città ha DAVVERO beneficiato di quella opportunità?

r: A mio avviso no, ma lo dico da tempo. Tuttavia, ripeto -come nel caso di 007- certe cose fanno parte della città, quindi perché criticarle e basta? Nel bene e nel male hanno agito, hanno fatto delle cose. Io non sono stato escluso, anzi a un certo punto c’erano in ballo delle idee, ma ho capito che non si potevano fare in un certo modo e mi sono fatto da parte. Ho scelto dunque di NON fare, perché non c’erano le condizioni. Quindi la mia critica precede addirittura gli esiti!

d: L’errore più grande di Matera 2019 qual è stato?

r: …ehm, il non avermi permesso di fare delle cose! (risate) No, scherzo, sicuramente il non aver pensato a strutture sostanziali e concrete come il teatro, il cinema, e a tutte le situazioni inadeguate che ci sono; il non aver pensato alla creazione di festival, strutturandoli, facendoli crescere…Guardi, io vado a Venezia tutti gli anni, ma non per Venezia, ma perché lì ci sono tante cosa da fare!

d: Eppure c’è chi, sempre a proposito di Matera 2019, ha parlato addirittura di “eventificio”, cioè di troppi eventi…

r: Mmm, inizio a sentire dei dolori di stomaco (risate). Perciò lascerei perdere…

d: Se potesse prendere Bardi sottobraccio cosa gli direbbe?

r: Che nel mio settore c’è una filiera, che si può far crescere. E non è detto che in futuro gli esiti non si vedano. Qualcosa si sta già muovendo.

d: Anche da parte della politica?

r: Boh? Quella è sempre una materia sfuggente.

d: La canzone che la rappresenta?

r: “Azzurro”, nella versione di Paolo Conte.

d: Il film?

r: “8 e ½”.

d: Il libro?

r: Le dico l’ultimo che mi è piaciuto: “Quando abbiamo smesso di capire il mondo” di Benjamin Labatut.

d: Fra cent’anni cosa le piacerebbe ci fosse scritto sulla sua lapide?

r: Ho già dato disposizioni in merito: “Io credevo”. Puntini puntini.