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di Walter De Stradis

 

 

Il suo libro sull’irriverente gruppo musicale degli Squallor (“Una rivoluzione rock”) è l’unico testo finora mai scritto sull’argomento, ma il musicista, critico e insegnante potentino Marco Ranaldi (figlio del compianto “Ninì”, già direttore del Museo Provinciale di Potenza), ha al suo attivo diverse altre pubblicazioni (fra queste “Pino Daniele. Cantore mediterraneo senza confini”; “Lelio Luttazzi. Lo swing nell’anima”; “Samuele Bersani. Chiedi un autografo all’assassino”; “Domenico Modugno. L’uomo in frack”, e molti altri titoli).

La sua ultima pubblicazione, appena uscita per i tipi di Officina di Hank, s’intitola “Suono comunicante. La musica immaginata di Ennio Morricone”.

d: Come giustifica la sua esistenza?

r: “Hai dett’ sterz!”, come direbbero a Potenza. Innanzitutto cerco di seguire il cammino segnato da mio padre (il già citato Francesco Ranaldi, noto archeologo e pittore - ndr), che mi ha riempito la vita dal punto di vista culturale; e poi con questa grande passione per la musica, che mi ha portato prima a fare il musicista e successivamente il critico.

d: Sul risvolto di copertina del suo ultimo libro, dedicato a Morricone, leggo che è anche “psicologo”.

r: Sono laureato in psicologia. Vi sono arrivato tramite lo studio della musicoterapia. Il mio maestro era il compianto Gianluigi Di Franco (che era poi la voce nel noto brano di Tony Esposito, “Kalimba de Luna”), che riteneva fondamentale la psicologia in quel tipo di percorso.

d: La provoco subito: lei è un musicista, e come critico ha pubblicato molti libri importanti e scrive su alcune riviste e quotidiani nazionali, e inoltre è giurato delle Targhe Tenco, ma qui a Potenza non è uno dei nomi “ricorrenti” dell’ “ambiente”. Essere più conosciuto a livello nazionale piuttosto che locale è frutto di una sua scelta? O è uno degli effetti del “sistema culturale” lucano?

r: Sorrentino direbbe che sono “le conseguenze dell’amore” (sorride). La verità è che questa è una città difficile, alla quale pure abbiamo dato tanto –e continuiamo a farlo- con l’associazione “Instabile”. Ma questa città ti sceglie se TU la scegli, ovvero se ti metti a chiamare e a chiedere, altrimenti resti fuori e sei uno “sfigato”. Anche mio padre era molto più famoso fuori che a Potenza, ma la sua era una scelta. Io per ragioni logistiche faccio il musicista qui, in un ambiente fatto di persone non facili, diciamo. Come scrittore non sono uno che si butta avanti, anche se mi rendo conto che bisogna avere “faccia e cuzzetto”, come si dice da noi. Tuttavia non sono un borghese -in una città molto borghese- e ci sono degli ambiti che non amo frequentare: mi basta che il mio lavoro sia riconosciuto dalle persone veramente attente.

d: Come dicevamo il suo ultimo libro, fresco di stampa, è su Ennio Morricone, personaggio a proposito del quale sono già usciti diversi testi. Perché un ulteriore libro? Cos’ha di diverso il suo?

r: Il mio libro non è una biografia, ma un'analisi a più livelli: ho cercato di prendere otto aspetti di Morricone, cercando di far emergere il suo modo diverso di “sentire” le cose.

d: Il titolo è in effetti “Suono comunicante – la musica immaginata”.

r: Lui è stato un grande comunicatore, ma come si suol dire, “non se la tirava”. Io l’ho conosciuto discretamente bene e posso dire che pur avendo tutte le carte in regola per essere un tipo hollywoodiano alla John Williams, rimaneva sempre il Morricone di Trastevere. Lui aveva un’idea di suono fenomenale, e nell’ultima parte della sua carriera è arrivato a scrivere cose di una bellezza indicibile, toccando veri e propri punti di svolta nell’evoluzione del suono compositivo.

d: Eppure si è letto che il Morricone compositore di colonne sonore cinematografiche si era sempre portato dietro il cruccio di sentirsi in qualche modo limitato in quell’ambito, e di non essere altrettanto noto per le sue produzioni di musica “assoluta”, ovvero sganciata dai film.

r: Sì, lui aveva iniziato a fare musiche da cinema per soldi, e in effetti -nel corso delle cinque interviste che gli ho fatto negli anni- era emerso questo suo “sminuire” –le virgolette sono d’obbligo- la scrittura per film. Ma guardi, tutto dipende dall’ambiente italiano, ove nell’opinione di molti, ancora, oggi, lui è solo quello “delle colonne sonore”, come se i grandi compositori fossero altri, quelli che non si “abbassano” a scrivere per i film o per le canzonette. Pensi che nel mio libro c’è anche chi arriva a definire Nino Rota “quello della ‘Pappa al pomodoro’”. E’ l’ignoranza forte dell’intellighenzia italiana.

d: Però poi quando vinci un Oscar…

r: Non gliene frega niente a nessuno lo stesso. Morricone ha continuato a essere più apprezzato in America. Gli fecero una corte enorme per andare a insegnare lì.

d: Qual era il rapporto fra Morricone e la nostra regione?

r: NON aveva un rapporto con la nostra regione. L’unica volta lo feci venire io a Potenza, in occasione della prima edizione di “Musicinema”, nel 1990. Se la memoria non mi inganna non era mai stato neanche a Matera, ma mi disse che era stato sul set del film “I Basilischi” della Wertmuller (in parte girato a Palazzo San Gervasio), per il quale aveva fatto le musiche. Quelle a Potenza furono due giornate molto intense. Ci fu un’esecuzione di musiche sue e poi un convegno, e la sera proiettammo “Nuovo Cinema Paradiso”, fresco vincitore di Oscar. Tuttavia ci fu un episodio molto spiacevole, che fece molto risentire Morricone (e il sottoscritto ebbe il suo bel da fare per calmarlo). Era infatti atteso il Presidente di un importante ente politico, ma quella mattina risultò all'improvviso inspiegabilmente... “impegnato”, e il Maestro ci rimase malissimo. Questo ti fa capire in che regione viviamo: le istituzioni non mostrarono alcun interesse per uno che ERA GIA’ Morricone. Pensi che mancava persino il direttore del Conservatorio!

d: Morricone sopravvisse benissimo lo stesso.

r: Ma certo, lui era una persona che non si negava, anche se poteva apparire burbero. Si può dire però che viveva in un mondo tutto suo, quello della musica, ma su quel terreno era sempre più che disponibile con chi ne volesse parlare.

d: Lei ha parlato di musica come terapia. Quale sarebbe invece la terapia giusta per curare la nostra regione?

r: Domanda cattiva. Questa regione avrebbe bisogno di riprendere dalla musica il senso di cordialità, la capacità di unire. Ma io da anni, al contrario, vedo un distacco dalla musica, soprattutto se intesa come comunicazione; vedo un disinteresse, se non per le solite situazioni “omologate”, che dunque vanno bene così.

d: Il libro che la rappresenta?

r: “Amare Tradire” di Aldo Carotenuto.

d: Il film?

r: “C’era una volta in America” (a prescindere dalle musiche di Morricone).

d: La canzone?

r: “Il nostro concerto” di Umberto Bindi, “Prima dammi un bacio” di Lucio Dalla, ma anche una qualsiasi di Enzo Jannacci.

d: Mettiamo che fra qualche anno la “Potenza culturale” le dà un premio: si sente soddisfatto o… “omologato” anche lei?

r: Ma siamo tutti omologati, inutile negarlo. Se mi dessero un premio sarei riconoscente, ma mi auguro innanzitutto che questa città impari ad amare le proprie risorse, perche ce l’ha e le ha avute. E io me le ricordo.