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di Antonella Sabia

 

In città si sta provando a tornare alla normalità -con negozi, bar e ristoranti aperti- fatta però di mascherine, guanti, gel alcolici e distanza sociale. Ripartire non sarà semplice, e a confermarlo ci sono tanti imprenditori che denunciano cassa integrazione non percepita e pratiche bancarie per i prestiti garantiti lunghe e piene di incartamenti. Ne parliamo con Dino Manicone, imprenditore nel settore abbigliamento, con diversi negozi in città.

 

D: La vita in Via Pretoria è ricominciata?

R: Sì pian piano la gente è tornata ad uscire anche perché noi siamo animali da branco, ci piace stare tra la gente. Ho visto tanto senso di responsabilità, quasi tutti con le mascherine, rispetto ad altre regioni del nord che si sono lasciati andare facilmente.

D: Come sono andati i primi giorni di riapertura?

R: In questa fase iniziale c’è molta calma, la gente ancora ha un po’ di paura, anche se rispetto al primo giorno pian piano entrano con più fiducia. Sicuramente con il tempo questa paura passerà. Ho ricevuto anche tante chiamate dei clienti che non vedevano l’ora che riaprissimo. Abbiamo sanificato tutti i nostri negozi, vicino alle casse abbiamo installato il plexiglas, e abbiamo il gel all’ingresso. Abbiamo fatto enormi sacrifici, insieme ai nostri dipendenti, per rendere gli spazi a norma e ripartire.

D: I suoi dipendenti hanno usufruito della cassa integrazione? Ci sono stati ritardi e disservizi.

R: Abbiamo 14 dipendenti, nei mesi di chiusura sono stati messi in cassa integrazione. L’80% lo ha ricevuto, alcuni ancora no per diversi problemi tecnici. Siamo stati tra i primi a presentarla, molti dei nostri dipendenti hanno famiglia, molti hanno scadenze, e in qualche modo bisognava vivere.

D: Tra le misure di sostegno governativo vi è il prestito garantito, ne avete fatto richiesta?

R: Sì, in base ai fatturati, avevo accesso ad un prestito superiore a 25.000 €. Ad oggi però le banche ci stanno chiedendo solamente documenti. Abbiamo prodotto solo ed esclusivamente carte, molto spesso dovevamo essere noi a leggere ed interpretare i decreti, non tutte le banche conoscevano le procedure. Tra l’altro, questi documenti dopo qualche giorno venivano sostituiti e bisognava produrne di nuovi. Questa burocrazia è davvero esasperata. Ho un gruppo WhatsApp con circa 250 amici imprenditori di tutta Italia, tutti abbiamo riscontrato gli stessi problemi.

D: Anche le banche quindi erano in difficoltà?

R: All’inizio non sapevano dove mettere mano, c’è una confusione davvero allucinante. È una mia sensazione, ma sembra che le stesse banche non hanno fiducia nel Governo. Ad oggi sono trascorsi due mesi e non è successo nulla, da quello che si sa, a livello nazionale solo il 3% dei richiedenti hanno preso questi soldi. Un’azienda come la nostra, che resta chiusa per 70 giorni, ha subito un grave danno per la mancanza degli incassi, è venuta meno la liquidità. Se le banche non intervengono in maniera tempestiva, potrebbe scatenarsi un effetto domino, tra clienti e fornitori, nessuno può pagare l’altro.

D: Invece per quanto riguarda le tasse?

R: La maggior parte delle scadenze sono state spostate a settembre, ma ci sono anche i fitti dei locali, e tante altre spese collaterali. Si ferma l’azienda, i costi no.

D: Per quanto riguarda il Comune di Potenza, avete sentito la vicinanza degli amministratori?

R: Dico la verità, con i politici non mi interfaccio volentieri. Penso comunque che a livello locale non possono fare granché, le casse sono abbastanza povere, al massimo possono andare incontro ad esigenze di spazi esterni, per bar e ristoranti, per esempio. Chi deve intervenire per le nostre aziende, è il governo nazionale. Anche le nostre associazioni di categoria in questa fase sono state forse un po’ latitanti, facendo pochi interventi a nostro favore, in Italia non siamo stati forse ben rappresentati.

D: Cosa dovrebbero fare a livello nazionale?

R: Il governo ci ha chiuso i negozi, e dovrebbe fare in modo di farci ripartire, immettendo nel sistema la liquidità, altrimenti tutte le aziende, sane o meno, vanno in difficoltà. Conte ha fatto grandi proclami, ma sostanzialmente ha “sparato a salve”. Le banche stanno alla finestra a guardare, senza contare i tempi lunghi, è da oltre un mese che produciamo carte, bilanci e note. Inoltre con le banche abbiamo solamente rapporti telefonici o via mail, non potendo parlare a voce abbiamo ulteriori difficoltà. Devo sottolineare però che ho notato maggiore attenzione da parte delle banche più piccole, sul territorio, che si stanno dimostrando più collaborative, cercando soluzioni. Quelle più grandi attendono sempre ordini dall’alto, ma in generale il problema è che neanche loro sanno esattamente come muoversi con le pratiche. Le imprese senza liquidità non possono sostenere i costi che prima sostenevano con gli incassi. Gli imprenditori hanno anche degli impegni presi in precedenza, perché il nostro lavoro è fatto di programmazione, con scadenze finanziarie.

D: Quali sono i rischi?

R: Bè il rischio è che tutto questo potrebbe produrre licenziamenti e disoccupazione. Basti pensare che non tutti gli imprenditori hanno avuto la forza per riaprire, bisognerebbe dare una medaglia a chi l’ha fatto, rimettere in sesto l’economia dopo due mesi è davvero difficile, senza contare anche lo stress emotivo che è scaturito da questo periodo. Lo Stato dovrebbe capire che c’è un problema reale, ai proclami deve far seguire i fatti concreti. Noi in Basilicata siamo stati abbastanza fortunati, e inoltre abbiamo rispettato le regole. Penso anche però che saremmo potuti partire un po’ prima, sempre con le dovute precauzioni, ma, in questo caso la situazione del Nord ha dettato i tempi. Comunque noi siamo un popolo che sa reinventarsi, volitivo, dopo ogni caduta ci rialziamo.