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“Ogni Primo Maggio è un’occasione per riflettere sul mondo del lavoro, specie femminile, e fare bilanci. Da qui la solita domanda: si tratta davvero della Festa del Lavoro o del “ricordo del lavoro”? L'Italia conta oltre 3 milioni di disoccupati e circa 10 milioni di poveri; la disoccupazione è schizzata al 12% ed al 40% quella giovanile (15-24 anni). I dati diventano, purtroppo, ancor più sconfortanti se declinati al femminile.

In Italia circa il 49,1% di donne lavora (contro una media europea del 62,6%) ed il divario diventa ancor più crescente se le donne hanno figli. Nel 2018 quasi la metà delle lavoratrici tra 25 e 49 anni con almeno tre figli ha lavorato part-time contro il 7,0% degli uomini nella stessa situazione. Questi dati nel 2018 hanno fatto retrocedere l’Italia che si posiziona al 70esimo posto secondo il Global Gender Gap Index, posizione tra le peggiori tra i paesi dell’Europa occidentale. In particolare, l’Italia continua ad essere agli ultimi posti per opportunità lavorative e partecipazione economica delle donne: la disparità salariale tra uomini e donne relega il nostro Paese al 123simo posto. Pur avendo in media un più elevato livello di istruzione, rispetto agli uomini ed un miglior rendimento, le lavoratrici guadagnano mediamente il 22% in meno rispetto ai lavoratori. Solo il 27% delle cariche manageriali nelle imprese è al femminile. La prevalenza di contratti part time, inoltre, rende impossibile una stima delle madri che smettono di lavorare dopo il parto. Le carenze del welfare e dei servizi per l’infanzia favoriscono l’esclusione o l’uscita di molte donne dal mercato lavorativo e compromettono le prospettive di carriera di molte altre. I dati confermano la difficoltà di conciliare l’occupazione con la prole, tanto da spingere molte madri a dimettersi. Un’indicazione viene, tuttavia dal Servizio Ispettivo del Ministero del Lavoro, chiamato a verificare se le dimissioni presentate da una dipendente in gravidanza e nei primi tre anni di vita del bambino siano genuine e non frutto di pressioni o comportamenti illegittimi. Dalla relazione annuale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, diffusa alle Consigliere di parità, emergono purtroppo dati non incoraggianti. I dati si basano sulle attività di convalida relative all’anno 2017, previste dalla legge di tutela della maternità e della paternità, per ciascuna richiesta di dimissione o risoluzione consensuale. A livello nazionale, nel 2017 sono 39.378 le convalide, circa 2000 in più rispetto all’anno precedente, di cui la maggior parte di esse (97%) sono dimissioni. Sulla distribuzione in base al genere, infatti, il 77% delle dimissioni proviene dalle lavoratrici madri, con un calo del 2% rispetto l’anno precedente, controbilanciato da un forte aumento delle dimissioni dei papà: dai 7859 del 2016 si passa ai 9066 del 2017, un 15% in più. Tanto evidenzia come sia aumentata la condivisione tra mamme e papà nella scelta di dimettersi per le difficoltà connesse alla conciliazione dei tempi di vita e famiglia con tempi di lavoro.Le motivazioni delle dimissioni: difficoltà di conciliare i tempi di vita con quelli lavorativi: il 36,1% si dimette per la carenza di una rete di supporto o per assenza di parenti, ovvero assenza o carenza di welfare territoriali (o costi elevati dei servizi). È possibile analizzare anche i dati territoriali, in quanto da quest’anno le Consigliere di parità hanno l’accesso al programma nazionale del Portale della vigilanza per la visione dei dati disaggregati Raffrontando quindi i dati territoriali, si evince che nel 2017 nel territorio regionale lucano vi sono stati 498 recessi, di cui 31 maschi e 467 femmine; quelli legati alla maternità 415, di cui 1 maschio e 414 femmine. Nel 2018 – nella provincia di Potenza - sono state consolidate 126 dimissioni, di cui 4 provenienti da padri. Nella provincia di Matera abbiamo avuto 187 convalide, di cui 21 da parte di uomini. La novità che balza agli occhi è che, nella difficile scelta della conciliazione, vi è un maggiore coinvolgimento dei padri. Come a livello nazionale e nei diversi anni, i motivi del recesso permangono, sempre gli stessi: le difficoltà di conciliazione lavoro e servizi di cura del bambino; assenza di parenti di supporto e costi degli asili. Il settore più coinvolto è quello del terziario. Ancora, in Basilicata, dal Rapporto sulla situazione del personale riferito ad aziende medio-grandi, si evince che l’occupazione femminile è particolarmente rara nelle aziende potentine, dove si assesta appena al 25,4%. La sproporzione di genere tra occupanti più rilevante emerge nell’industria dove la tradizione di occupazione maschile è legata anche a caratteristiche di lavoro svolta. Dal punto di vista contrattuale, si privilegia il tempo parziale e quasi tutta l’aspettativa per maternità è ad appannaggio delle donne, evidenziando lo scarso successo del congedo di paternità. In questo contesto, si deve fare i conti anche con il problema della sicurezza sul lavoro. Invero, non si hanno dati certi sul numero di morti sul lavoro nel nostro Paese perché l’Inail elabora e rileva soltanto i dati che riguardano i propri associati. Sono in aumento anche le tecnopatie e le malattie c.d. professionali, ovvero causate da lavori rischiosi e usuranti. A questo dobbiamo aggiungere il lavoro nero, lo sfruttamento dei diritti dei lavoratori, che negli anni, invece di aumentare, vengono sistematicamente ridotti. Si pensi, in particolare, al caporalato agricolo che schiavizza migliaia di persone nei campi, specie donne. Questi dati non sono sfuggiti al Parlamento Europeo che li scorso 4 aprile ha approvato con ampia maggioranza (490 voti a favore, 82 contrari e 48 astensioni) la nuova direttiva sul work-life balance (che dovrà essere recepita dai Paesi membri nei prossimi 3 anni) con lo scopo di rimuovere gli ostacoli che impediscono la crescita occupazionale, favorendo la condivisione dei carichi di cura con quelli lavorativi. Alla luce di quanto esposto, si comprende bene come la Festa del Primo Maggio rappresenti sempre più un momento di riflessione sullo stringente problema sociale della mancanza di lavoro. Si auspica, dunque, una sempre maggiore diffusione di buone pratiche presso le aziende, volte a favorire la conciliazione in parola, e che la diffusione di questi dati possa costituire un valido spunto di riflessione e di azione da parte di tutte le forze impegnate sul territorio - a partire dalle Istituzioni - a favore delle politiche del lavoro e dell’occupazione”

Ivana Enrica Pipponzi. Consigliera regionale di Parità