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Il progresso e l’introduzione di nuove tecnologie corrono di pari passo, nel campo delle telecomunicazioni l’evoluzione è galoppante, la diffusione di internet attraverso dei dispositivi portatili rende necessario adottare reti che velocizzino sempre di più lo scambio dei dati, sono lontani i tempi dell’ETACS, oggi i dati viaggiano con il 4G ed è in sperimentazione un sistema di trasmissione, il 5G, molto più performante.

In Basilicata la città di Matera è una delle poche città italiane in cui si sta sperimentando questo nuovo sistema di trasmissione dati e nella città dei Sassi sono stati effettuati notevoli investimenti dalle società telefoniche. L’introduzione di questo standard di comunicazione mobile, che entrerà ufficialmente in funzione nel 2020, sta però dividendo l’opinione pubblica e la comunità scientifica in quanto si ipotizza che le onde radio generate dai ripetitori del segnale 5G potrebbero arrecare danni alla salute e perfino, sostiene qualcuno, alla natura. Navigando su internet alla ricerca di notizie che possano tranquillizzarci ci si accorge che non c’è alcuna certezza circa la potenziale dannosità delle onde elettromagnetiche generate dagli apparati che utilizzano il sistema trasmissivo 5G, acronimo che sta per standard di quinta generazione. Prima ci cercare di capire come stanno, dal punto di vista scientifico, le cose cerchiamo di capire cosa è effettivamente il 5G e quali sono le decantate proprietà che rivoluzioneranno l’utilizzo dei dispositivi mobili e non solo e che consentiranno di adottare la cosiddetta “connessione globale”. Con il 5G si potranno scaricare programmi pesanti o vedere film in4K in mobilità e permetterà di rendere realtà tutti quei progetti che oggi sembrano fantascienza: per esempio ci saranno le auto connesse, si potranno digitalizzare le infrastrutture stradali, si creerà l’Internet of Things, si creeranno le smart home e tante altre applicazioni che richiedono una banda larghissima per funzionare. Perché c’è tanta diffidenza verso questo nuovo standard di trasmissione? Parte della comunità scientifica sostiene che prima di rendere fruibile questa nuova tecnologia bisognerebbe aspettare che gli studi in corso diano responsi attendibili in quanto aumenterà sensibilmente l’esposizione ai campi elettromagnetici di radiofrequenza, aggiungendoli a quelli già prodotti dalle tecnologie 2G, 3G, 4G, Wi-Fi e altre. L’utilizzo sempre più intensivo delle tecnologie che nessuno potrà evitare di essere esposto perché, a fronte dell’aumento di trasmettitori della tecnologia 5G ci saranno, secondo le stime, da 10 a 20 miliardi di connessioni (frigoriferi, lavatrici, telecamere di sorveglianza, autovetture) che faranno parte del cosiddetto “Internet delle cose”. Tutto questo potrà causare un aumento esponenziale della esposizione totale a lungo termine di tutti i cittadini ai campi elettromagnetici da radiofrequenza. Gli effetti biologici dei campi elettromagnetici, ricordano alcuni scienziati, includono: aumento del rischio di cancro, dello stress cellulare, dei radicali liberi dannosi, di danni genetici, di cambiamenti strutturali e funzionali del sistema riproduttivo, di defi cit dell’apprendimento e della memoria, di disturbi neurologici e di un impatto negativo sul benessere generale degli esseri umani. Secondo alcune fonti scientifiche i danni vanno ben oltre la razza umana poiché vi è una crescente evidenza di effetti nocivi sia sulla flora che sulla fauna. A far da contraltare le rassicurazioni di altri scienziati, in Italia a tranquillizzare la popolazione ci hanno pensato di recente alcuni studiosi ed esponenti di istituzioni scientifiche che a seguito di un’audizione alla Camera dei Deputati essi affermano che non ci sono certezze circa gli eventuali rischi causati dalla diffusione della tecnologia 5G. C’è però chi sostiene che si dovrebbe applicare il principio di cauzione stabilito dalla nostra Costituzione secondo cui fin quando non si è certi che non ci sono danni per la salute umana non si dovrebbero utilizzare tecnologie potenzialmente dannose per l’uomo. Dal punto di vista legislativo la Basilicata dovrebbe essere “coperta” in quanto è in vigore la Legge Regionale n° 30 del 5/4/2000 (NORMATIVA REGIONALE IN MATERIA DI PREVENZIONE DELL’INQUINAMENTO DA CAMPI ELETTROMAGNETICI) in cui l’articolo 5 prevede la stesura dei piani comunali per localizzazione dei ripetitori, mentre l’articolo 8 introduce il catasto regionale di tutti gli impianti. Successivamente, il 1° agosto 2003, è stata introdotto il Decreto Legislativo n° 259 (CODICE DELLE COMUNICAZIONI ELETTRONICHE) che di fatto ha reso inefficace la nostra legge regionale cambiando le regole per le autorizzazioni. Nessuno in questi 16 anni di vigenza del D. L.vo 259/2003 in Regione si è preso la briga di adeguare la Legge Regionale e ci troviamo in uno scandaloso vuoto normativo e con una Legge inapplicata ed inapplicabile, in Basilicata quasi nessun Comune ha provveduto ad adottare il Piano comunale per il posizionamento dei ripetitori, nè la Regione ha implementato il Catasto dei ripetitori per cui non si conosce il numero e la posizione degli impianti telefonici e radiotelevisivi sparsi sul territorio regionale. Anche l’Ente deputato a fare i controlli sulle emissioni da tempo non effettua un monitoraggio continuo, basta dare un’occhiata al sito dell’ARPAB per accorgersi che le ultime campagne di misurazioni si riferiscono all’anno 2013 mentre relativamente al 2018 si è svolta una sola misurazione su una Stazione Radio Base di Tito e su nove di Potenza.