pranzoCASERTA

Dal 1996 è medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte, per decreto del Presidente della Repubblica. Non a caso, Giovanni Caserta, 79 anni, storico e critico letterario (con un intenso passato da docente), quando si tratta di mettere in “luce” alcuni lati “oscuri” della sua Matera e del suo golden moment, è sempre sul podio degli interventi più ficcanti.


Come giustifica la sua esistenza?
Mah, non si sceglie di nascere, come si dice, anche se oggi qualcuno vorrebbe pure scegliersi la morte. La mia esistenza è giustificata dal fatto che, per puro caso, mi sono trovato a studiare e a non fare il contadino o l’operaio. Qualche tempo dopo, mi sono trovato anche a fare il maestro, che significa essere a contatto con la vita reale e i bisogni della gente (soprattutto quando questa professione la si fa in un paese, come quando ho iniziato io a Grottole).


Fino ai 18 anni lei ha abitato in un Sasso (uno di quelli “vecchio stile”).
Si, fino al secondo anno di università, avevo 18/19 anni circa. Ero a Bari (poiché in possesso di una borsa di studio) e quando rientrai a casa per Natale, mi diressi come al solito verso i Sassi, ma un anziano vicino mi indicò la mia nuova destinazione: la “casa di risanamento”. Una sorpresa. Vede, allora non era facile comunicare, non c’erano i telefoni, al massimo la cartolina postale, e i miei genitori sapevano appena leggere e scrivere...


Mi è stato raccontato che vivere in un palazzo non le sembrò questo grande miglioramento…
La vera svolta era infatti avvenuta quando mi assegnarono una stanza tutta mia, come vincitore di una borsa di studio. Nella casa dello studente, avevo un bagno, un lavandino tutto mio, avevo l’acqua calda: allora sì che capii quale fosse la differenza! La casa di risanamento di Matera non mi piacque molto, proprio perché era a piano rialzato: noi che avevamo sempre vissuto sotto terra, senza finestre, volevamo luce, finestre e aria. Questo mio lontano desiderio, l’ho trovato confermato in un film, “Anni Ruggenti” con Nino Manfredi, in cui un personaggio che aveva abitato nei Sassi diceva appunto di volere una finestra o un balcone, per vedere finalmente la vita dall’alto. Perché noi ci sentivamo sempre “sotto” i piedi degli altri.


Una domanda un po’ “rischiosa”: a Potenza (ma non vale certo per tutti), con la nomina di Matera a Capitale della Cultura, più di qualcuno ha detto: «Fino a ieri quasi si vergognavano dei Sassi, ora hanno questa fortuna. Non se la meritano!». C’è un minimo fondo di verità in questa frase?
Non si può dire “non se la meritano”, sarebbe come addossare ingiustamente colpe e peccati storici. In effetti, però, è stata una fortunata coincidenza, spesso anch’io non mi trovo d’accordo con i miei concittadini. Quando venne fuori l’idea della candidatura a Capitale della Cultura, mi intervistarono e dissi che c’erano buone possibilità, ma non perché Matera avesse una cultura superiore, ma semplicemente perché era il simbolo, l’emblema di una cultura inferiore, cioè di una cultura di emarginazione. Non si può dire d’essere allo stesso livello dell’Austria, dell’Inghilterra o di Milano: il Sud è l’esempio di una terra ancora oggi depressa, e Matera all’interno del Sud rappresentava un simbolo, un po’ come i Trulli di Alberobello, come i Nuraghi di Sardegna. D’altra parte, anche Carlo Levi se ne accorse: nominò Matera Capitale, ma non Industriale od Operaia, bensì Contadina. Per questa nostra diversità, che derivava da secoli di depressione, l’economia è rimasta latifondista e feudale fino alla Riforma Agraria; poche famiglie possedevano tutte le terre del contado materano, insieme alla Chiesa e al Comune, gli altri erano tutti servi della Gleba. Ciò ha dato vita a una condizione e un rapporto sociale per cui si sono create a Matera due città: quella del “piano”, cioè di coloro che comandavano, e quella di coloro che dovevano servire. Cosa è successo: quello che ieri era un esempio di grande depressione e di grande ingiustizia e iniquità sociale, è diventato un caso di grande diversità e grande interesse, che ci ha permesso di diventare Capitale Europea della Cultura.


Ma il dato antropologico oggi è al centro dell’effettiva valorizzazione in atto?
Qui tocchiamo un altro tasto particolare, perché quando succedono questi salti abissali, c’è sempre la possibilità di travisare e di stravolgere, che poi è quello che secondo me sta succedendo. Noi stiamo gonfiando un fenomeno che tradisce quella che è la nostra tradizione, il nostro passato e la nostra identità. Stiamo creando una città che vuole gareggiare con Venezia, Firenze, una città che punta tutto sul turismo.


E quale, invece, dovrebbe essere il terreno di gioco?
Quello degli assetti produttivi della città, cioè l’agricoltura, l’industria e il commercio, in modo tale da evitare di creare una città “artificiale”, quella che si sta inventando in questo periodo, una città tutta turistica che punta solo sull’aspetto estetico, sul cinema, sullo spettacolo, sulla cartolina. Questo potrebbe anche tradursi in un grande fallimento, un grande flop.


Insomma, dopo “La Bella Napoli”, “La Bella Matera”…

Infatti, non per niente si insiste molto sul cinema, sulle fiction televisive.


Concretamente, cosa si dovrebbe fare?
Noi non abbiamo un’autostrada, non una ferrovia, abbiamo l’area industriale del Basento su cui non si può operare per via della contaminazione del suolo, abbiamo un’agricoltura che andrebbe debitamente sfruttata con i nostri prodotti tipici, magari attraverso industrie di trasformazione, abbiamo anche il pane. Su questo bisognerebbe insistere, sulla nostra tradizione che ha avuto come economia prevalente proprio l’agricoltura.


Ma non è che ci si vergogna di questo?
Io non credo che ci si debba vergognare. Piuttosto, credo che non riusciamo a trovare giovani che siano pronti ad affrontare le vie che ho citato prima; i modelli che vengono dalla televisione sono quelli dei cantanti, di Sanremo, degli attori. Allora i giovani fuggono, o rifuggono da quelle che potrebbero essere le attività materiali e concrete, tra queste il mondo dell’agricoltura, la fabbrica. Invece, stiamo costruendo una città di cartone, e direi che l’idea di Matera 2019 ha creato anche una forma di fanatismo. Quando a Potenza qualcuno dice «i materani non se lo meritano», è forse proprio perché si avverte un eccesso di entusiasmo e persino di tifo calcistico. I materani si stanno creando la convinzione di essere parte di una città più bella di Siena, ma sempre Levi, parlava di “una città bellissima, perché impressionante”.


Matera non fa più impressione?
È qualcosa che si sta guastando, che si perde; i Sassi stanno diventando tutt’altra cosa: diventano alberghi, ristoranti. Faccio una profezia: non credo che dopo il 2019 troveremo ancora questa sovrabbondanza di locali. Temo che tutti questi piccoli servizi che si sono creati, alla fine dovranno affrontare delle difficoltà economiche notevoli, con il rischio di chiusura.


Non so se l’ha già fatto, ma se potesse prendere sottobraccio Verri o la Sole, o il Sindaco De Ruggieri, in maniera amichevole, anche dialettale, cosa direbbe loro?
Gli direi che stanno sbagliando, che hanno sbagliato loro e i politici che con loro hanno avuto rapporti. Nel loro atteggiamento c’è un modo d’essere da Illuministi, cioè di gente che fa il proprio lavoro senza avere contatti diretti con quella che è la realtà civile. In effetti questo è un comitato che è stato un po’ “paracadutato” sulla città e non ha avuto la cura di preoccuparsi del tessuto con cui accordarsi. Per cui, tutto ciò che si fa, lo si fa astrattamente. Mi domando che cosa questo comitato lascerà a Matera dopo il 2019, e quanti saranno in grado eventualmente di continuarne il programma? Certo, probabilmente in città non c’era nessuno che avrebbe potuto raccordarsi a livello europeo come hanno fatto queste personalità, ma il loro ruolo doveva essere quello di una “locomotiva”, per lasciare poi persone che fossero in grado continuare, una volta trascorso il 2019. Feci anche l’esempio della Commissione di studiosi creata negli anni ’50 da Friedmann, il quale si preoccupò proprio di inserire degli studiosi locali di storia, sociologia e antropologia materana. Quando la commissione finì il suo corso, quei giovani continuarono invece a lavorare in città, diventando personalità di riguardo, anche amministratori.


Sta toccando un tema importante. Il fatto che Verri non sia materano, neanche lucano, che Leporace sia calabrese, qualcosa deve pur significare?
Credo di aver risposto a questo. Di belle intelligenze nella città di Matera e di belle persone che hanno lavorato nel mondo dell’urbanistica, della sociologia e della filosofi a, ce ne sono, ma quante di queste sono state contattate?


Qualcuno leggerà le sue parole, e poi magari ricorderà anche che lei è stato consigliere regionale e comunale negli anni Settanta e Ottanta, e sempre nel PCI. Sta dicendo cose di sinistra?
Credo proprio di si.


Fra le sue opere, leggo “Lo spirito del silenzio - Antologia degli scrittori lucani”. Mi viene da pensare che oggi più che mai “il silenzio” sia prezioso, perché in Basilicata si legge poco, ma scriviamo praticamente tutti.
Quella è un’espressione di Sinisgalli: lo spirito del silenzio è lo spirito della Basilicata, che però induce alla meditazione e alla riflessione. Accadeva perché avevamo una massa di analfabeti, gente che non leggeva, che non scriveva. In Lucania non abbiamo avuto una grande istruzione, né una diffusa cultura (rappresentata fino a qualche decennio fa dalla nobiltà). C’è stata poi la lotta all’analfabetismo, l’istruzione obbligatoria, e quindi c’è stata un’esplosione culturale, una forma di riscatto, quasi una vendetta. A un certo momento, ci si è impadroniti della scrittura e si è pensato con la scrittura di dare sfogo all’inferiorità di ieri e al proprio complesso.


Oggi quindi a scrivere sono perlopiù dei complessati?
Qualche tempo fa, feci polemica perché a Matera si spendevano troppi soldi per delle manifestazioni culturali che non mi convincevano. Si riducevano poi tutti a spettacoli i cui protagonisti erano personaggi di fuori. Anziché avere denaro che entra, noi mandiamo del denaro fuori, anche con Matera 2019. Basti pensare al famoso Capodanno, che io non farei mai, perché quei soldi si potrebbero spendere in una maniera molto più fruttuosa, attraverso delle opere concrete che possano rimanere. Detto questo, mi capita spesso di incontrare giovani che hanno scritto delle poesie, e mi chiedono di guardarle e di dare un giudizio: molte volte si tratta di giovani laureati che alle spalle hanno disoccupazione, non hanno lavoro e vivono con i soldi dei genitori, molte volte la poesia è quindi anche una forma di sfogo, di liberazione a scopo terapeutico. Molto incide anche il desiderio di farsi conoscere, di esprimere i propri sentimenti; allora è facile, in queste zone dove non c’è una grande industria culturale, che il giovane sia solo, e che scriva e pubblichi a proprie spese. Spesso questa è una vera espressione di disagio.


Viene un giovane da lei, magari un suo ex allievo bravo, che ha scritto un bel libro e vuole partecipare al “Premio Basilicata”. Cosa gli direbbe?
(Silenzio) Se ti va, partecipa. (Sorriso)


Diceva prima che si sta gonfiando questa cosa di Matera 2019, invece quanti sono i palloni gonfiati a Matera?
(Ride) I palloni gonfiati sono ovunque. Piuttosto mi preoccupa il fatto che ci siano molti “palloncini” gonfiati. Questo senso della vanità, della propria superiorità, di essere in una città privilegiata, mi preoccupa.


Come a dire “Materani, scendete un po’ dal piedistallo” …
…si, non crediate di essere l’ombelico del mondo.


Il libro che la rappresenta?
Sono legato al Manzoni, quindi….


La canzone?
“Vola Colomba”.


Il Film?
“Rocco e i suoi fratelli”..


Tra cent’anni cosa vorrebbe fosse scritto sulla sua lapide?
«Ha cercato di fare il suo dovere ».