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Cari Contro-Lettori,

 

 

 

dal 2014 a oggi, gli sportelli bancari in meno in Basilicata sono pari al 17%. I comuni che ne sono totalmente privi sono ben 33: 21 nella provincia di Potenza e 12 in quella di Matera. Negli ultimi due anni, c’è stata un’emorragia di dipendenti bancari lucani pari al 15,68% (sono passati da 1300 a circa 1100), leggermente al di sopra del dato nazionale che è del -14%.

Il tutto, se gli aridi numeri non lo avessero reso già abbastanza chiaro, si tramuta in un clamoroso disservizio per i cittadini lucani, soprattutto per quelli che non hanno grossa dimestichezza con la cosiddetta “digitalizzazione”, misura di cui si fanno vanto e scudo le banche che chiudono le loro filiali qui in Basilicata. Come se non bastasse, i loro nuovi piani industriali prevedono un ingresso ogni due uscite di personale, ma non sempre –e qui casca l’asino- nella zona di uscita. Talvolta, sulla carta, viene garantita la “territorialità delle assunzioni”, ma poi –TAC- arrivano i trasferimenti fuori regione.

In tutto questo, ci riferisce sempre Bruno Lorenzo, segretario generale FISAC CGIL, c’è l’assordante silenzio della politica locale. Loro, i nostri rappresentanti, dicono che le banche sono aziende private e che in un libero mercato non possono interferire con le scelte delle banche stesse. Ma guarda caso –prosegue- è un “libero mercato” solo quando le banche devono guadagnare e avere carta bianca nel desertificare le zone meno “appetibili”, escludendo così fette importanti della popolazione da tutta una serie di servizi irrinunciabili (specie ora, con l’arrivo dei soldini del Pnrr).

Le banche si dedicano sempre meno alla concessione del credito (e l’economia locale ne risente) perché è più redditizio vendere polizze, così come si guadagna sempre a tagliare il costo più alto di un’impresa, ovvero il personale. I politici dicono sia “la logica del privato”, ma poi quando si tratta di ripianare, quelle stesse banche che erano “private” diventano magicamente “pubbliche” e dunque vai col tango delle “good banks”, delle ricapitalizzazioni e istituti “sanati” a un euro: tutto a spese della collettività, e cioè noialtri, noi semplici cittadini, che magari ci dobbiamo sciroppare trenta chilometri per raggiungere il bancomat più vicino.

E poi, sempre per i nostri politici, le banche sono “private” -e dunque possono chiudere e delocalizzare quando vogliono- salvo poi ricordarsi di essere “un servizio pubblico essenziale” come nel caso della Pandemia. In quel periodo il “digitale” non andava dunque bene?

Non si può accettare questa visione distorta del mercato -lamenta alfine la FISAC CGIL- nata e alimentata con la silente complicità di una classe politica (nazionale, ma anche locale), che pure avrebbe l’obbligo costituzionale di vigilare su credito e risparmio.

Ma Bardi, Guarente e Bernardi, a fronte delle innumerevoli chiusure di filiali e di servizi essenziali al cittadino lucano, hanno preferito i silenzio alla proposta, il ponziopilatismo politico al confronto sociale.

Leggete, a tal proposito, la nostra intervista con Bruno a pagina 7.

E’ questo è SOLO UNO degli aspetti di una politica locale affetta da preoccupante afasia.

Walter De Stradis