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Cari Contro-Lettori,

Pino (il nome è di fantasia) lavora come “tuttofare”, ovviamente senza contratto, per alcuni uffici privati della Città. Un tempo, una vita fa, era stato un “assunto” pure lui, ma poi la grossa azienda del Nord da cui dipendeva in qualità di operaio specializzato aveva chiuso i battenti e –dopo aver fatto un ciaone circolare a sindacati e istituzioni di sorta- aveva battuto anche la ritirata.

Passata dunque quell’età anagrafica che può rendere la propria persona “appetibile” per un nuovo, stabile posto di lavoro, Pino si era dovuto rimboccare le maniche sulle braccia non troppo lunghe, ma spesse. Dopotutto era solo l’ennesima volta nella sua vita, quell’esistenza sbocciata in una casetta di contrada coi mattoni esposti e la camera dei genitori (quella col lettone gonfio, ma duro) con un’ampia finestra sulla campagna multicolore.

Pino “ci ha famiglia”, ma non nel becero senso comune italiota, cioè quell’idioma consolatorio cui troppo spesso si ricorre in caso di “necessità”, e pertanto, come accennato, gira per alcuni uffici della Città facendo piccoli lavori: pulizie, lampadine da cambiare, risme di carta da comprare, piccoli guasti da riparare. Il fatto è che a lui non piacciono i sussidi, preferisce darsi da fare. Solo così, ci spiega, si sente “di esistere”. Ma in questo modo, il suo “stipendio” mensile (tutto sommato, nel senso matematico) in questi tempi di magra pandemica, alcune volte non ha raggiunto nemmeno i due zeri, nonostante il suo cellulare squillasse in continuazione, perché Pino è uno di quei tipi strani che sanno fare tutto e di cui non si può fare a meno. Pagarlo come si deve? Beh, nessuno è perfetto.

Pino ha due figli che vivono e lavorano a Chiasso, ove hanno trovato adeguato sbocco –facendo la strada più lunga, spesso l’unica, che rimane ai giovani Lucani- per le loro competenze e capacità. L’infaticabile padre ha voluto raggiungerli per il battesimo del suo primo nipotino svizzero, ma alle prime luci dell’alba (ma forse era ancora notte) del giorno prima, lui si trovava ancora con dei vecchi e pesanti faldoni fra le braccia, cioè roba da spostare in un vecchio e polveroso magazzino della ditta tal dei tali.

Pino, che con l’aria che tira non ha voluto prendere il treno, si è poi fatto prestare i sodi dal fratello per potersi pagare la benzina e raggiungere la Svizzera, dopo un viaggio interminabile e senza dormire, giusto qualche pipì e un panino lungo la strada. Le sigarette? Una spesa inutile che ha dovuto tagliare, da tempo.

Una volta a Chiasso, distrutto, ma felice, Pino ha finalmente riabbracciato i suoi figli e dato il primo bacio al nipotino, ma il giorno dopo è subito ripartito (ancora quell’alba), prima che ricominciasse a squillargli il telefonino a tutto spiano.

Ma in realtà non è di quel viaggio che aveva premura di raccontarci, bensì del ragionamento, e dell’idea, che man mano sta maturando, come un frutto “proibito”, ma succulento, nella sua testa. Alla tenera età di anni 64, l’indistruttibile Pino, ormai morto e rinato tante di quelle volte, sta meditando seriamente di raggiungere definitivamente i suoi figli, sì, lì in Svizzera, e di mandare al diavolo una volta per tutte questa Terra di politici incapaci, di eterni litiganti per le Poltrone (vecchi, ma anche e soprattutto nuovi) e di familismi soffocanti (in TUTTI i settori, nessuno escluso).

Dopo la fuga dei giovani talenti, ci sarà anche quella di molti dei loro, più attempati, genitori?

Stiamo freschi! E il Generale Inverno (lui no) non c’entra nulla con certi brividi.

Walter De Stradis