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Sarà presentato domani venerdì 22 giugno (alle 19.00) presso la sede dell’Associazione Filatelica Culturale “Isabella Morra” di Potenza, in via Pisacane 5 (Portasalza), il primo libro interamente dedicato ad Antonio Infantino, «il personaggio musicale più intenso, complicato e originale che la Basilicata abbia partorito negli ultimi decenni (…) che ha ispirato molti artisti di fama nazionale ed è stato copiato a man bassa da altrettanti». Si tratta de “Nella Testa di Antonio Infantino” scritto dal direttore di “Controsenso Basilicata” Walter De Stradis e pubblicato da Villani Editore.

All’incontro prenderanno parte, oltre all’autore, l’editore Villani e il rag. Umberto Savoia, presidente dell’Associazione. L’incontro sarà moderato dalla giornalista Rosa Santarsiero. La serata sarà allietata da un’esibizione dei cantautori Giancarlo Cuscino e Nunzio Miscio.

Dall’introduzione del prof. Giovanni Caserta:

« L’animale o bestia, a Tricarico, è il ragno della “taranta”, fabuloso e immaginario, che bisogna cacciare via, come quando, la mattina di Pasqua, le donne lucane battevano col matterello, o con qualunque mazza, mobili e pavimento e tutta la casa, per cacciare, ad alte urla, il demonio. Ma perché questo possa darsi, bisogna che la musica, come la danza, sia essa pure irriguardosa delle regole, cioè “folle”. Si è lontano dal folklore. Come mezzo di espulsione dell’animale, cioè della bestia, ovvero del demonio, il ballo della “taranta” o “tarantola” ha un senso tutto mistico e religioso, traumatico. Di qui l’irritazione di Infantino quando gli vogliono far dire che il suo è folklore. “Il folklore – dichiara – è ciò che non tiene conto delle radici profonde“; folklore è indossare l’abito della nonna e ripeterne gesti e canti. E’ nostalgia, idillio, non tragedia, non bestemmia.

Sul piano esistenziale, soggettivo, questo significava, per Infantino, una vita da “vagabondo” e da sradicato senza patria, alla ricerca di tutte le Tricarico del mondo. Con somma disperazione di mamma Angelina, presto scomparsa, egli è stato ed è un vagabondo, poco interessato alla costruzione di un futuro stabile e tranquillo, si direbbe borghese, tipico di chi, seduto sugli allori, raccoglie il frutto del suo lavoro o dei favori mendicati e ottenuti. Il suo modello di artista fu ed è Dario Fo, con cui collaborò a più riprese. Perciò la sua Musa è il sarcasmo, la beffa, lo sberleffo, dietro cui ride il Mistero Buffo. E’ un’arte che, secondo il monito di Orazio, ridendo dicit verum. Ma è il vero profondo e perenne, giacente al di là e al di qua del vestito che si indossa o della lingua che si parla; al di là e al di qua del luogo o del tempo in cui si vive. E’ il morso della “taranta”».