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di Antonella Sabia

 

 

 

 

“Sono cambiati i tempi, non ci sono più i giovani di una volta!” Alzi la mano chi non ha mai sentito proferire queste parole. Un luogo comune, quasi certamente, che unisce donne e uomini cresciuti in un’altra epoca. Soprattutto quando accadono fatti gravissimi, come quelli a cui si è assistito (in Centro e non solo) durante le serate estive: ragazzini troppo speso ubriachi, risse, bottiglie spaccate, dehor divelti. Zero valori e pochi punti di riferimento, si dice di questi ragazzi, ma quali sono questi valori che spiccavano in passato e ora sembrano persi? È la società che li ha fatti smarrire, sentire soli? In quale parte, gli adulti possono essere corresponsabili di questo cambio generazionale? Ci siamo confrontati con una psicologa, Costanza Galante, un’insegnante, Pina Sabia, e un parroco, Don Mimmo Florio, per avere tre punti di vista differenti sul tema.

IL PARERE DELLA PSICOLOGA: COSTANZA GALANTE

d: Cosa sta succedendo ai giovani di oggi? Si può parlare di cause scatenanti?

r: Alcuni dei principali effetti collaterali della pandemia e del conseguente stato di isolamento in cui ci siamo ritrovati lo scorso anno, sono stati l’incremento del disagio giovanile e in particolare l’aumento dell’aggressività in giovani e giovanissimi. In questo periodo sono aumentate le problematiche legate ai disturbi del sonno e ai problemi alimentari. I ragazzi, che in genere vivono la gioventù come uno stato di grazia e spensieratezza, per la prima volta sono stati invasi dall’ansia, accompagnata da una sensazione di impotenza e frustrazione. Un vissuto che in molti casi è sfociato in aggressività verso sé stessi, verso i genitori oppure, come in questo caso, verso l’ambiente esterno che ci circonda. Alla rabbia e all’aggressività verbale ampiamente riscontrata sia nelle interazioni reali che nel mondo virtuale, come i social network, si sono affiancati disturbi psicosomatici, una diminuzione dell’autostima e un perenne stato di apatia e tristezza.

d: Come si possono aiutare questi ragazzi? In generale, accettano l’aiuto dei professionisti?

r: Il primo step necessario è quello della prevenzione, per rendere i ragazzi più consapevoli del proprio mondo interiore e quindi anche consci di eventuali difficoltà. Insegnare ai giovani ad ascoltarsi e a cogliere i segnali di un eventuale disagio li sprona a chiedere aiuto e a non chiudersi a riccio in sé stessi. Un ulteriore passo è quello di apprendere e far apprendere la resilienza: aiutare i giovani ad adottare strategie di coping adeguate per affrontare le difficoltà in modo adattivo, flessibile, senza abbandonare i propri sogni e le proprie ambizioni.

d: Spesso si parla anche di depressione, ansia, che affligge i giovani oggi. È un fenomeno verificato? Succede oggi più che in passato?

r: Possiamo affermare senza esitazione che l’emergenza sanitaria ha messo a dura prova tutti, soprattutto i giovani, in fase di formazione della propria personalità e di costruzione del proprio futuro per ritagliarsi un posto nel mondo. Da un giorno all’altro il loro orizzonte pieno di opportunità è stato mutato in un tempo sospeso, di perenne attesa. La quotidianità è cambiata irrimediabilmente e così anche la motivazione a fare progetti, fissare obiettivi e pianificare il futuro. L’assenza di obiettivi e di motivazione è una delle caratteristiche tipiche della depressione, ma non ne farei un discorso generalizzato. Abbiamo vissuto un’emergenza non solo sanitaria, ma anche sociale, culturale, psicologica. Non eravamo pronti a reagire nella misura più adeguata, dunque una sensazione di stanchezza e infelicità è comprensibile, bisogna trovare il modo di essere resilienti e di trasmettere ai ragazzi le giuste strategie di coping per fronteggiare le difficoltà e riappropriarsi del proprio benessere psicologico e della propria vita.

L'indagine continua sul prossimo numero con gli altri interventi previsti.