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di Walter De Stradis

 

 

 

Pochi altri medici lucani possono vantare un “palmares” di incarichi e riconoscenze prestigiose come le sue. Il professor Michele De Bonis, spesso e volentieri titolato come “eccellenza”, nazionale e regionale, originario di Pietragalla (Pz), è primario dell’Unità di Cardiochirurgia delle Terapie Avanzate e di Ricerca presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, professore associato di Chirurgia Cardiaca e già Direttore della Scuola di Specializzazione in Cardiochirurgia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Ricopre ruoli di prestigio a livello europeo ed internazionale e presso l’Unità che dirige esegue oltre 5.500 interventi maggiori di cardiochirurgia, di cui circa 3000 in qualità di primo operatore.

Ciononostante, è in maniera manifesta un uomo di un’affabilità e un’umiltà addirittura spiazzanti, che ogni mese prende il treno per venire a visitare, qui a Potenza, i suoi corregionali bisognosi di cure.

Ah…e ha fatto parte dell’equipe che ha operato un certo Berlusconi.

d - Come giustifica la sua esistenza?

r - Pariamo con una domanda che forse è la più importante, fra quelle che mi farà. La mia esistenza la giudico sulla base del dono più grande che ho: la mia Fede. Tutti noi siamo il risultato di UN progetto d’amore e siamo chiamati a corrispondervi. Per caso, l’altro giorno, rispondendo a un messaggio di mia moglie (anche lei cardiochirurgo), ho trovato ciò che aveva scritto sul suo profilo whatsapp, una frase di don Tonino Bello: “La vita ci è donata per conoscere Dio; la morte per incontrarlo e l’Eternità per possederlo”. Credo che possa riassumere una risposta alla sua domanda.

d - Lei è originario di Pietragalla, ma sin da giovanissimo ha lasciato la Basilicata. Si è mai sentito, in qualche modo, un’eccellenza sottratta alla sua regione?

r - Se avessi potuto (o potessi), contribuire di più al bene della mia regione, mi avrebbe riempito di gioia. Il motivo per cui sono andato via –quando avevo 18 anni- è per frequentare l’Università Cattolica del Sacro Cuore, in una facoltà a numero chiuso, in quel momento anche l’unica. Quella era la struttura che in quel momento, a mio giudizio, poteva offrirmi le migliori prospettive. Non credo di essere stato “sottratto”, avendo liberamente scelto di proseguire un percorso che era quello che mi interessava: avere la migliore preparazione possibile, e seguire la mia passione, ovvero la Medicina.

d - A microfoni spenti mi ha detto di essere stato un “biglietto giallo”.

r - Sì. Avendo la mia famiglia un reddito molto modesto, ero un “biglietto giallo”. Ma ricordo con piacere questo colore, perché sono molto riconoscente alla “Cattolica”. Ho potuto frequentare quella Università, a numero chiuso, sostanzialmente in modo gratuito, purché mantenessi un rendimento molto alto (bisognava avere la media, almeno, del 29,5). In virtù di ciò, avevo anche a disposizione un alloggio (in un collegio della “Cattolica”) e un contributo spese per i libri.

d - Lai ha grosse collaborazioni a livello europeo…

r - …ho iniziato abbastanza presto questo tipo di percorso, andando al St. George Hospital di Londra; prima ancora ero stato in Belgio, presso diverse istituzioni. Successivamente, pur avendo superato l’esame (di per sé abbastanza difficile) per esercitare negli Stati Uniti, sono rimasto in Europa, lavorando al San Raffaele. Nel frattempo sono arrivati alcuni altri incarichi, fra i quali, quello di presidente della Task Force sulla Chirurgia Mitralica e Tricuspidalica della European Association for Cardiothoracic Surgery; quello di presidente del Working Group for Cardiovascular Surgery della Società Europea di Cardiologia; di referente per l’Europa dell’American Heart Association (l’associazione americana più grande in ambito di cardiologia). Attualmente sono il Presidente della Mitral Research Network, un’organizzazione di ricerca della Heart Valve Society. Sono stato anche “visting professor”, sia in Inghilterra sia nel centro in cui il professor Barnard fece il primo trapianto di cuore in Sudafrica. Ho poi avuto un ruolo importante nelle liee guida (Società Europea di Cardiologia e Cardiochirurgia) sulle valvulopatie nelle ultime tre edizioni.

d - Lei è dunque un Lucano, un vero luminare, che si è affermato a livello nazionale e internazionale; eppure una volta al mese, o giù di lì, torna qui a Potenza per fare le visite al centro Kos. A occhio e croce, uno come lei non ne avrebbe bisogno.

r - Dipende dal modo col quale si intende questo lavoro. Ha ragione, se guardiamo all’aspetto economico, non ne ho bisogno. L’esigenza è nata però dal fatto che, ormai molti anni fa, ricevevo tantissime richieste di informazioni, contatti etc. Ma questi pazienti non potevo visitarli, e dunque o dovevo invitarli a Milano o dovevo limitarmi a consultare la loro documentazione a distanza. Tutto ciò non mi rendeva sereno, ovviamente, e pertanto questa scelta di venire a Potenza periodicamente, concentrando un certo numero di visite, mi consente di offrire un servizio che posso reputare davvero utile a chi lo desidera.

d - Fra i numerosi premi ricevuti, non manca quello di “Lucano Eccellente”. Qual è stato per lei, se c’è stato, il valore aggiunto nell’essere un Lucano?

r - (Sorride). C’è stato, eccome. La parte lucana che ritrovo dentro di me è soprattutto legata ai valori che ho ricevuto e che –perlomeno alcuni- si ricevono per “osmosi”. Mi riferisco al basso profilo, all’umiltà dei miei genitori e delle persone che mi hanno circondato; le amicizie che ho vissuto; la semplicità dei rapporti; il capire, fin da subito, che le cose bisogna conquistarsele, e che non si vive di rendita, bensì di sacrificio e lavoro. Voglio dire anche altro: la Lucania è Colore, la Lucania è Luce. E’ ciò che faccio notare ai miei figli (che amano tornare); qui il verde è più verde, il blu è più blu. Contavo con mia figlia, l’altro giorno, i paesi del mondo in cui sono stato per lavoro: ventidue. Nelle grandi città i colori sono sempre offuscati. E poi, vogliamo parlare dei sapori? Della genuinità? Della bassa densità della popolazione, anch’essa un valore? Della vita che ha un ritmo diverso? A tutto ciò bisognerebbe associare –e sta succedendo, succederà- tanta, tanta professionalità, servizi, risposte.

d - Ecco, cosa invece NON le piace della Basilicata, quando ci torna?

r - Le dico una cosa, con dispiacere, che qui mi capita da anni: se un paziente ha prenotato una visita, e poi non ci viene, non disdice. Non chiama per disdire. E se lo si chiama, perché non sta venendo, non risponde. E’ il segnale di un fatto: noi tutti dobbiamo fare anche un po’di autocritica, invece di esprimere solo lamentele. Dobbiamo riflettere di più sul nostro senso civico. Al San Raffaele, se un paziente non viene, sistematicamente chiama e disdice, e il suo posto viene preso da un altro.

d - Lei ha fatto parte dell’equipe chirurgica che nel 2016 ha operato Berlusconi, che immagino circondato da tutto un “entoruage”, invasivo o meno. Quando si ha “sotto i ferri” un personaggio del genere, si avverte una certa pressione, rispetto alle situazioni più ordinarie?

r - Se devo dare una risposta sincera, come fatto finora, dico “senz’altro”. La pressione –e anche un po’ di legittima ansia- si avverte, anche per la presenza di telecamere e giornalisti. In sala operatoria però bisogna concentrarsi su quello che si fa, “ricordando” la storia del paziente (che comunque si è incontrato prima). Portiamo in sala operatoria parte della sua famiglia, le preoccupazioni di coloro che stanno con lui, ma in quella sede c’è un “campo” in cui si è molto tecnici e persino “freddi”, per fare le cose per bene. Come per tutti i pazienti, si voleva andasse tutto bene. Ciò è avvenuto, e, sì, abbiamo tirato tutti un sospiro di sollievo.

d - Il libro che la rappresenta?

r - Non so se mi rappresenta, ma il testo che continua a essere sul mio comodino (e così sarà per sempre) è un’opera che in pochi conoscono. E’ un libricino piccolo così, apparteneva a un mio zio sacerdote che è stato missionario per diciotto anni sul Mato Grosso: “L’imitazione di Cristo”. E’ di un anonimo, probabilmente di ambiente monastico. Riempie il cuore di bene. Per lo stesso motivo, continuo a leggere e rileggere un’opera, in dieci volumi (cinquemila pagine), di Maria Valtorta, “L’Evangelo come mi è stato rivelato”.

d - Il film?

r - Ce ne sono tanti. Potrei dirle “La Leggenda del pianista sull’oceano” di Tornatore, “Il pianista” di Polanski, ma anche “Interstellar” di Nolan. Cerco quei film che mi lasciano dentro delle emozioni.

d - La canzone?

r - Direi “Making movies” dei Dire Straits, così come “Tunnel of Love”. Ricordo benissimo quando uscì il loro album “Love over Gold”: avevo vinto una borsa di studio per andare negli Usa, bandita dalla Regione Basilicata (“Intercultura”). Il disco fu la colonna sonora di quei sei mesi americani.

d - Mettiamo che fra cent’anni, qui in Basilicata, scoprono una targa a suo nome: cosa le piacerebbe ci fosse scritto?

r - Credo sia una fase di San Paolo: “Ha concluso la sua battaglia, ha conservato la Fede”.