di Antonella Sabia

 

 

 

 

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Si è svolto martedì scorso, presso il Centro Pastorale Caritas a Tito, il convegno "Ci vuole un fiore...SoS-Tenere oltre la prestazione", alla presenza di Don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana, S.E. Mons Salvatore Ligorio, arcivescovo metropolita di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo e Ignazio Punzi, formatore psicologo. Utilizzando il gioco di parole SOS-TENERE, si è voluto focalizzare l’attenzione su quello che è “il sostegno vero che va oltre il servizio che ognuno presta presso la propria comunità”, rifacendoci alle parole di apertura di Marina Buoncristiano, direttore Caritas Diocesana Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo. “Sostenere, significa tenere da sotto, così come in un fiore, la corolla è sostenuta dallo stelo, senza il quale morirebbe in poco tempo. Vogliamo tracciare un bilancio dei nostri percorsi e farcisempre nuove domande, per offrire un servizio che non sia sempre lo stesso. Il nostro obiettivo è abitare questa storia, facendoci donatori di speranza”, ha continuato la direttrice.

Prima del convegno, approfittando della presenza dei vertici nazionali di Caritas Italiana, abbiamo rivolto qualche domanda a Don Marco Pagniello.

d: Come si inserisce la situazione della nostra regione all’interno del contesto nazionale?

r: Potenza, così come altre zone dell’Italia, soprattutto al Sud, risente un po’ di quelle fatiche che ormai segnano il cammino di queste diocesi. Penso per esempio ai giovani che abbandonano il proprio territorio in cerca di un futuro migliore, il lavoro che manca, il lavoro precario, ma anche il “lavoro povero”, cioè quella situazione che si registra anche a livello nazionale, che anche se una persona è occupata, non riesce ad avere la vita dignitosa a cui aspira. La più grande miseria penso poi sia quella legata alla denatalità, si nasce poco nel nostro Paese e questo è anche il segno della precarietà che si vive. Mi verrebbe da sottolineare anche la situazione di molte famiglie che rinunciano alla cura della propria salute perché i tempi di attesa delle ASL sono lunghi e non tutti possono permettersi di rivolgersi al privato. Insieme a quella educativa sono queste le tre grandi povertà che oggi affliggono il nostro Paese.

d: Come diceva, dalla nostra terra già tanto martoriata, i giovani vanno via, tendono a scappare. Ci sono delle responsabilità? Cosa si può fare per provare a trattenerli?

r: Sicuramente ci sono delle responsabilità, innanzitutto del mondo adulto che non ha saputo ricreare le condizioni necessarie affinché i giovani potessero essere ancora i protagonisti del proprio territorio. Comprendo i giovani che nel presente, guardandosi attorno, fanno la scelta di andare via ma allo stesso tempo credo che proprio attraverso la scelta di rimanere, passa il riscatto di quel territorio. Cosa fare per i giovani credo sia la vera sfida, così come vado ripetendo da un po’ di tempo a questa parte, è una di quelle sfide che solo se affrontate in un clima di corresponsabilità in cui ognuno fa la sua parte,si possa vincere, continuando a fare ognuno un pezzetto senza collegarsi agli altri, invece, non si va da nessuna parte.

d: Con Marina Buoncristiano, più volte negli scorsi mesi abbiamo parlato di nuovi poveri, in particolare durante e dopo la pandemia. Quali sono oggi i volti della povertà?

r: Durante la pandemia abbiamo visto tanti nuovi volti della povertà, perché ci siamo ritrovati all’improvviso in uno stato di bisogno. Oggi, passata la pandemia, per tanti di loro continua questa emergenza, a causa del lavoro povero di cui parlavamo prima, ma mi viene da pensare anche ai giovani e agli adolescenti che non sono ancora venuti fuori dalle dinamiche della pandemia. I dati delle neuropsichiatrie infantili in Italia, infatti,ci dicono che sono aumentate le prese in carico e sono aumentati anche i tentativi di suicidio. La pandemia ha lasciato degli strascichi importanti, di fondo c’è un problema relazionale, e questo non solo nei giovani, si fa fatica oramai a costruire relazioni nella realtà e quindi tante volte ci si nasconde dietro bugie che producono false identità e quando si viene scoperti, si sceglie la strada più “facile”, si sceglie di “scappare”.

d: Quali sono le sfide di Caritas per il futuro?

r: Crediamo che in questo momento la vera sfida sia quella di rilanciare con forza un piano di corresponsabilità. Caritas, e più in generale la Chiesa, credo possa ricoprire il ruolo di facilitatrice in questo percorso, al fine di sedersi tutti insieme allo stesso tavolo, intanto per leggere la realtà con gli stessi occhi e già questo sarebbe un grande passo, poi per pianificare insieme una strategia facendo un discernimento rispetto alle priorità. Le sfide sono talmente tante che affrontarle tutte quante insieme è inutile, ma soprattutto impossibile e credo che ogni territorio, ogni singola realtà debba cominciare a stabilire quali sono le priorità della sua comunità, e da lì cominciare insieme a fare dei passi concreti. Abbiamo bisogno di una nuova stagione per il nostro Paese in cui si va oltre le ideologie, superando alcuni modi di fare, dove ci si mette a disposizione l’uno degli altri. Questo si, sarebbe un grande cambiamento culturale. Non possiamo abbassare la guardia, altrimenti ci accontenteremo sempre, invece bisogna alzare un po’ lo sguardo e guardare lontano. Penso quindi ad una nuova politica, a tanti giovani che qualche volta possono rinunciare alle proprie soddisfazioni personali e si diano da fare per costruire il bene comune, ad adulti che sappiano lasciare andare i giovani nel realizzare i propri sogni. Credo in qualcosa di nuovo che già c’è e sta venendo fuori, bisogna solamente cogliere questi germogli di novità e su questi costruire.