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S
i è formato alla corte di Mogol, ma non è mai diventato “un cortigiano” della musica. Col cantautore Raffaele Tedesco, originario di Moliterno (Pz), continua la nostra “rubrica nella rubrica”, ovvero l’analisi della realtà musicale lucana, così come vista dai suoi protagonisti.

d: Come giustifica la sua esistenza?

r: Beh, domanda impegnativa. Sicuramente la mia esistenza è legata musica.

d: Quando ha capito che avrebbe fatto il musicista e il cantautore?

r: Credo da subito, perché nella mia famiglia si è sempre respirata arte, il mio prozio –Michele Tedesco- è stato un pittore di grandissimo rilievo tra le fila dei Macchiaioli.

d: Al quale, tra l’altro, rassomiglia, a guardare alcuni ritratti.

r: Qualcosa c’è. Era lo zio di mio nonno, falegname di professione e a sua volta violinista di passione. Come dicevo, l’arte c’è sempre stata in famiglia e mi è stata tramandata. Pensi che la prima volta che salii su un palco avevo tre anni, era ad una sorta di Zecchino d’oro dell’epoca. Non ho mai pensato, in realtà, di fare altro.

d: Fare musica in Basilicata, in particolare, significa investire più che mai su se stessi...

r: Certo, fino ai diciotto anni mi sono esibito nei locali del Sud Italia, poi verso la metà degli anni Novanta Mogol mi scelse e mi ritrovai al CET. Divenni membro di un gruppo vocale e strumentale che si chiamava “Cime di Rap” (nome più che altro goliardico, suggerito da una mia amica, grande cantante barlettana).

d: Il periodo al quale si riferisce è lo stesso durante il quale il CET di Mogol ha intrapreso una collaborazione con la nostra Regione?

r: No, in realtà la mia collaborazione è nata prima. Solo in seguito sono partite delle borse di studio per aspiranti musicisti. Io mi sono iscritto, ho pagato, ma ci fu comunque una selezione, in quanto non prendevano tutti. Dopo il corso, ci fu l’idea di promozionare la scuola con dei gruppi. Ebbi dunque l’opportunità di suonare nei più importanti teatri d’Italia e di partecipare a trasmissioni Rai nazional-popolari, particolarmente seguite dal pubblico. Fu una lunga collaborazione col CET, durata dal 1995 al 2003.

d: Si narra delle famose partite di calcio organizzate da Mogol al CET. Lei ha mai partecipato?

r: Certamente, anche perché ho sempre giochicchiato a calcio. Ricordo che Mogol abbandonava interviste o lezioni per rincorrere un pallone. Non se ne perdeva una.

d: Qual è l’insegnamento più importante che le ha lasciato Mogol?

r: Che fare il musicista è un lavoro, ma forse questo aspetto non viene ancora percepito.Infatti ancora oggi spesso ti chiedono “Fai altro nella vita?”, oppure “Suoni? E allora facci una canzone, và”… Comunque, dopo il 2003 ho avuto un contratto discografico con la Warner Chappell Music italiana, leader nel mercato editoriale, e le mie canzoni sono state usate come colonne sonore di trasmissioni Rai. Le ho cantate io stesso. Il mio primo disco si intitola “La strada”.

d: Quindi c’è anche tutto un discorso legato ai diritti d’autore…

r: Il discorso del diritto di autore si è un po’ azzerato con l’arrivo delle App, che hanno complicato il mercato.

d: Giungiamo così al nocciolo della questione: quanto è difficile scegliere un lavoro come questo, specie in Basilicata?

r: In realtà in questa regione qualsiasi lavoro si faccia comporta delle difficoltà notevoli. C’è sempre la famosa differenza tra chi opera e vive in altre realtà, già tra Milano (dove recentemente ho cantato un brano inedito, in occasione della presentazione del fumetto su Dalla Chiesa) e Roma ci sono delle differenze molto forti, figuriamoci al Sud.

d: Ritiene che se si fosse buttato nel Folk, come molti dei suoi colleghi, avrebbe avuto maggiori opportunità?

La Basilicata è, storicamente, la patria del folk. Tuttavia, ognuno deve fare la musica che sente. Io sono un appassionato delle canzoni d’autore e non mi vedrei proprio a fare altro.

d: È più difficile però proporsi come musicista d’autore rispetto a chi sceglie le tradizioni popolari?

r: Direi di sì, anche perché stiamo attraversano un momento culturale assolutamente difficile. Un presidente della Regione, un assessore, un sindaco dovrebbe avere gli stessi strumenti –ammesso che ci siano per le altre attività- per valutare e valorizzare una giusta proposta musicale. Generalmente la carica “alla Cultura” è considerata quasi inutile, e di conseguenza non ci sono gli strumenti atti a valorizzare al meglio una proposta.

d: Quindi lei crede che la politica, regionale o locale, abbia delle responsabilità in una non adeguata promozione della musica lucana?

r: Credo sia un problema generale, che in Basilicata c’è, certamente. La politica anziché essere al servizio dell’arte e della musica se ne impossessa solo quando le conviene.

d:...e quand’è che le conviene?

r: Per poter poi dire magari, “Questo l’ho fatto fare io!”. Ma ci sono tante cose che possono essere convenienti per un politico. Non c’è una valutazione oggettiva, e come dicevo, a volte mancano gli strumenti. Se il politico di turno ha trenta euro di budget, sicuramente li dà a chi fa il musicista come terza professione: chi è musicista professionista non ci può venire, per trenta euro. Ma al politico in realtà non interessa cosa fa uno e cosa fa l’altro, per lui ”chi viene, viene” va bene. Spesso succede questo.

d: Esistono secondo lei nella musica lucana i raccomandati della politica?

r: Beh, probabilmente sì, come esistono per tutte le altre attività, credo.

d: Ma è vero che per suonare in Basilicata bisogna per forza interagire con la politica (il che non è un fatto negativo in sé, poiché –come dicevamo- la politica molto spesso gestisce gli eventi)?

r: Mmm, dipende da cosa si va a fare, per alcuni eventi sicuramente sì.

d: Quali sono le differenze che nota suonando in Basilicata e in altre regioni?

r: In Basilicata, ahimè, spesso ci si ritrova di fronte a un pubblico che poco conosce la canzone d’autore. E’ più difficile qui in Basilicata portare avanti una proposta del genere.

d: Torniamo al famoso discorso dell’imbracciare un tamburello.

r: Sì, certamente è più facile, anche se il mio non è un atto d’accusa. In Puglia e Campania invece c’è sicuramente anche un ascolto diverso.

d: Se potesse prendere il presidente della Regione sottobraccio, cosa gli direbbe?

r: Beh, le cose da dire sarebbero tante! (sorride). Rimanendo nel mio ambito, gli proporrei di dare più importanza all’arte, di dare più fondi alla musica, pur comprendendo che ci sono delle priorità. Qualcuno più importante di me disse “Senza cultura non c’è progresso”.

d: E se potesse “cantargli” qualcosa, che titolo le viene in mente? Cosa si può adattare alla momento che vive la nostra terra?

r: (Sorride) C’è una canzone che si adatterebbe a lui, come a tutta la classe politica: “Sono solo canzonette”, di Bennato. Specialmente per la parte in cui dice: «Guarda invece che scienziati, che dottori, che avvocati, che folla di ministri e deputati! Pensa che in questo momento, proprio mentre io sto cantando, stanno seriamente lavorando». Dice tutto: «Non mettetemi alle strette/Sono solo canzonette».

d: Secondo lei il panorama musicale lucano cosa ha da offrire in realtà? Cosa andrebbe promozionato di voi autori lucani? Spesso si parla dei successi ottenuti dalla promozione musicale che avviene nelle altre regioni…

r: Bisognerebbe portare la musica nelle scuole. Molti problemi nascono da lì e la musica in quell’ambiente sarebbe una grande conquista.

d: Educare dunque a un uso “consapevole” della musica?

r: Assolutamente sì. La musica italiana è nota nel mondo per la sua melodia, si pensi alla canzoni classiche napoletane –o persino ai Ricchi e Poveri!- e poi ci sono i testi che parlano di nobili sentimenti. Una tradizione che all’estero ci invidiano. Non ho nulla contro il Rap o la Trap, ma non ci appartengono, non c’entrano nulla con la musica italiana. Non sento più la melodia e oltretutto i testi sono zeppi di violenza e volgarità. Ci siamo un po’ dimenticati di quei sani valori, basti pensare che la Ricordi, la più grande casa discografica italiana, è stata venduta ai Tedeschi!

d: Questa estate ha portato in giro –anche fuori regione- uno spettacolo dedicato ai “due Lucio”, ovvero Dalla e Battisti. È stato difficile cambiare registro?

No, perché la mia passione per la musica è nata proprio grazie a loro. Questo spettacolo tra l’altro è già rodato, poiché in replica da molti anni.

d: C’è stato poi lo spettacolo con Fabrizio Bosso, qui a Potenza.

r: E’ nato anche un docufilm. Ha dato quel qualcosa in più alla mia musica. Il mio ultimo disco, “Che fortuna la musica”, tratta proprio di libertà espressiva e improvvisazione. Quella con Bosso è stata una bella esperienza, ho conosciuto una bella persona oltre che un grande artista.

d: Le è invece mai capitato di rimanere deluso dopo aver conosciuto di persona un artista famoso?

r: Be’, sì. Il grande artista è colui che è realmente consapevole di esserlo, dunque assume un atteggiamento assolutamente rilassato con gli altri. Se il musicista non è sereno con se stesso, lo è anche con gli altri, e questo l’ho notato anche in alcuni artisti di grande fama. Ricordo invece quando vidi Guccini a Sanremo. Lo chiamai e fu lui a venirmi incontro.

d: La canzone che la rappresenta?

r: “A muso duro” di Bertoli.

d: Il Film?

r: “Shine”, degli anni Novanta. Quello del famoso pianista.

d: Il libro?

“Il macchiaiolo lucano”, di Mimmo Mastrangelo.

d: Tra cent’anni cosa vorrebbe fosse scritto sulla sua lapide?

r: «Raffaele Tedesco, una persona onesta».