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di Walter De Stradis  

 

 

 

 

Ha la voce bassa, con un flebile accento pugliese (è originario di Lucera, provincia di Foggia).

Dai modi affabili, monsignor Ciro Fanelli, cinquantasette anni, è vescovo della diocesi Melfi-Rapolla-Venosa dall’agosto del 2017. Dalle finestre della sua stanza in Largo Duomo 12, complici anche questi tempi di Pandemia (e non solo), il suo è uno sguardo da un punto di osservazione privilegiato, ma anche seriamente preoccupato.

d: Come giustifica la sua esistenza? Quando ha capito che nella sua vita sarebbe stato un sacerdote?

r: Il desiderio, vero, del sacerdozio mi ha accompagnato sin dall’infanzia. In età giovanile quel desiderio si è però trasformato in interrogativo, facendo sì che io non entrassi sin da subito in seminario (a Napoli, con i Gesuiti), bensì dopo il liceo. La mia, se vogliamo, è dunque stata anche una scelta maturata, sofferta, ma in ogni caso decisa, forte, chiara.

d: La sua famiglia di cosa si occupava? E c’è stata una figura che magari l’ha particolarmente ispirata?

r: Per quanto riguarda il cammino sacerdotale no, ma certamente in me c’era il fascino esercitato da alcuni preti carismatici, questo sì. I miei erano entrambi agricoltori: lì a Lucera, dove sono nato, avevano degli appezzamenti di terreno, ove conducevano quella vita semplice, tipica del mondo contadino dei nostri territori. Da loro ho appreso il mondo valoriale, dell’onesta, dell’accoglienza, e dell’operosità. Perché il pane a casa non arrivava con lo stipendio del 27 del mese, ma con le stagioni e i raccolti, e quindi col Tempo, con la Volontà del Buon Dio e soprattutto con la fatica.

d: Il tema è anche attuale, con l’incancrenirsi delle povertà (anche sociali) e dello spopolamento, causato dalla penuria di opportunità. Che quadro ha lei dell’indigenza nei territori della sua diocesi, e dei Lucani in generale?

r: Direi che la prima "povertà" attuale è proprio il calo della popolazione. Sulle altre siamo in un equilibrio simile alle altre regioni del Sud. Ciò che ci differenzia, pertanto, è proprio questa fuga dei cervelli; cosa che, in sé per sé, se ci riflettiamo, non è una cosa negativa, poiché i nostri giovani portano altrove la ricchezza del territorio di provenienza (a mo’ di biglietto da visita) e poi comunque fanno palestre scientifiche e culturali. Il punto è che dovrebbero essere messi in condizione di TORNARE in Basilicata, con quel valore aggiunto acquisito, e così dare alla loro terra la “scossa” necessaria.

d: E perché non accade?

r: Beh, dipende dalle singole persone, ma anche dal territorio, dall’assetto sociale che non crea le condizioni tali affinché certi profili professionali possano ben radicarsi. Il ruolo della politica dovrebbe essere fondamentale nel creare queste condizioni.

d: Impossibile, proprio qui a Melfi, non parlare delle grandi speranze, e forse anche delle delusioni, rappresentate dalla “Fiat” (oggi Stellantis). Respira anche lei i segnali di preoccupazione che aleggiano, oggi più che mai, sui lavoratori dello stabilimento?

r: Li respiro, sì. Sono arrivato qui nel 2017, proprio nel momento più delicato della “crisi”, diciamo così, della Fiat (la morte di Marchionne e i nuovi assetti di gestione); poi c’è stata l’incidenza della Pandemia e il verificarsi di alcune scelte dell’Azienda, che non sempre hanno risvolti positivi sul nostro stabilimento. Più volte ho partecipato a incontri pubblici, facendo sempre notare che le questioni Stellantis non sono confinate al “piccolo” stabilimento lucano, o al Vulture-Melfese, ma sono bensì una costola del sistema-Italia. La soluzione può essere dunque solo governativa e internazionale.

d: Come “esorcizzare”, secondo lei, lo spettro della delocalizzazione e/o dei licenziamenti?

r: Potenziando il più possibile le professionalità dei nostri operai, facendoli entrare nel nuovo assetto con una maggiore formazione. E poi, potenziare il “nuovo”: a quanto mi risulta quello di Melfi è l’impianto meglio attrezzato. E’ logico, però, che non si può programmare il futuro e lo sviluppo di un intero territorio esclusivamente su Stellantis, poiché anche una sedia ha almeno quattro piedi. E’ un’illusione pensare che la Fiat, da sola, possa risolvere tutti i problemi sociali ed economici. Il lavoro si basa sulla valorizzazione della cultura, dell’ambiente e delle tante altre opportunità che la politica dovrebbe saper intercettare e far crescere.

d: Cosa le chiedono più spesso i fedeli? Immagino il lavoro…

r: Soprattutto nella situazione pazzesca di oggi, gente che sette anni fa magari aiutava gli altri, oggi ti viene a chiedere aiuto per la bolletta, per il condominio, per le cose più elementari. Le mense e gli aiuti alimentari oggi entrano in case che prima nemmeno conoscevano. E penso di aver detto tutto.

d: Immagino abbia parlato col nuovo sindaco, Maglione…

r: Sì, ci siamo incontrati già due volte, e simbolicamente nel corso della festa del santo patrono di Melfi del febbraio scorso. Ma ho preso parte anche a consigli comunali aperti (su suo invito). Con lui abbiamo focalizzato alcuni aspetti, a cominciare da quello del lavoro. Anche in riferimento al Pnrr, che entrambi ci auguriamo possa arrivare DOVE deve arrivare. C’è poi, come accennavo, l’indotto culturale: la cattedrale, il castello, il museo civico, il museo ecclesiastico, le chiese rupestri... C’è tutto un mondo…

d: …che finora è stato valorizzato come? poco, molto…

r: E’ stato valorizzato, anche bene (il museo dell’episcopio di Melfi è straordinario, al pari di quello del castello, e anche le chiese rupestri sono tenute bene). Il punto è non perdere un treno che potrebbe avere effetti più “allargati”. Col sindaco abbiamo però parlato anche di ambiente ed eco-sostenibilità, e in lui ho trovato una persona attenta, così come i suoi collaboratori.

d: Abbiamo accennato anche al Covid, c’è stato per lei un momento particolarmente difficile, una storia particolare che l’ha segnata…

r: Le storie sono tante, ma ce n’è stata una in particolare… quella di una famiglia, a noi vicina, che si è vista distrutta dal virus, con la morte di padre, madre e cugino. E poi c’è tutta la questione del distanziamento, che ci ha creato dei “vulnus” profondi. Tutti siamo stati colpiti, ma ne soffrono particolarmente anziani e giovani, che non hanno potuto socializzare.  

d: Per quel che ha visto, il nostro sistema sanitario regionale ha tenuto botta, ha funzionato bene?

r: Hanno fatto fatica, come tutti gli altri in Italia. Non erano attrezzati per una problematica di tale impatto.

d: Nel frattempo, a “sopire” un po’ molti discorsi sulla Pandemia, è intervenuta una guerra.

r: C’è un momento di crisi mondiale che Papa Francesco aveva intravisto, richiamandosi ai valori della fraternità e più volte aveva acceso la lampadina dell’allarme sugli investimenti nel mondo delle armi; così come più volte alcuni scienziati avevano fatto comprendere come alcune delle risorse economiche o energetiche potessero diventare fattori di conflitto a livello mondiale. E questa è una guerra fratricida (sarebbe come se il nostro Sud combattesse contro il Nord) che, come qualcuno ha detto, sta a cento passi da noi.

d: Tornando a questioni più locali, le faccio la nostra domanda “tormentone”: se potesse prendere il presidente della Regione Basilicata sottobraccio, cosa gli direbbe?

r: Le stesse cose che ho detto al sindaco di Melfi: di attenzionare soprattutto il lavoro, per togliere quelle sacche di povertà, di investire molto sulla ricerca di possibilità lavorative, diffuse e diversificate, atte a ridare DIGNITA’ a famiglie e persone; valorizzare il tessuto culturale della Basilicata, che è di suo ricco e denso e che non è secondo a nessuno. E poi c’è il discorso ambiente.

d: Nei giorni scorsi, a proposito di Basilicata & Cultura, si è riparlato spesso del “Vangelo” di Pasolini, regista e scrittore di cui ricorre il centenario. Siamo anche prossimi alla Pasqua e, come sa, quel film fu girato in gran parte in Basilicata, a Matera e a Barile. Il film fu supervisionato e plaudito, anche, dalla Chiesa cattolica. Lei che giudizio ne dà oggi?

r: E’ stata un’operazione di alta cultura. Pasolini a suo tempo era anche una figura controversa, ma era anche un poeta, uno autore che ha saputo usare i diversi “tasti” della cultura per comunicare un messaggio che voleva –ieri, ma potrebbe essere anche oggi- scardinare dei meccanismi che imbrigliavano la società. Tra l’altro, da quello che ho letto di recente, non sembrerebbe che Pasolini fosse totalmente ateo: certo, si dichiarava tale, ma aveva un animo sicuramente religioso. Lui ci ha mostrato la figura di Gesù in una prospettiva cruda…

d: …“rivoluzionaria”…

r: Sì.

d: Il film che la rappresenta?

r: Non ne vedo molti, preferirei citare due libri -dalle tematiche molto attuali- di una scrittrice lettone, Zenta Maurina Raudive: “Perché il rischio è bello” e “Il Lungo viaggio”.

d: Ha anche una canzone?

r: Beh, mi viene in mente quella di Jovanotti, “A te”.

d: Mettiamo che fra cent’anni scoprano una targa a suo nome qui alla Diocesi, cosa le piacerebbe ci fosse scritto?

r: «Un uomo che ha creduto nel Vangelo».