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di Walter De Stradis

 

 

 

La FMMG (Federazione italiana medici di medicina generale) ha di recente tenuto un incontro con l’assessore regionale Leone e il governatore Bardi, ove ha messo sul tavolo –tra le altre cose- le criticità rilevate nella gestione dei tamponi rapidi, concessi –com’è noto- anche alle farmacie (oltre che ai laboratori di analisi, ai medici di famiglia e ai pediatri di libera scelta).

La farmacie –spiega il segretario regionale del sindacato, il dottor Antonio Santangelo, originario di Vaglio (Pz)- non facevano altro che riversare su noi medici di famiglia l’onere di registrare l’esito del tampone rapido su altre piattaforme. E in un momento, come quello di inizio anno, in cui la Piattaforma regionale è andata in crisi, ci siamo trovati a dover rispondere a centinaia di telefonate per compiti rispetto ai quali non eravamo preparati (si trattava di caricare esami fatti da altri, sovente senza documenti scritti, ma con gli esiti comunicati solo “a voce”).

d: Adesso la situazione è dunque rientrata?

r: Sì. Adesso tutti gli operatori abilitati (dai medici di famiglia alle farmacie e così via) registrano ciascuno i propri tamponi sulla Piattaforma regionale, che a sua volta invia i dati al Sistema nazionale.

d: In settimana, attraverso un comunicato, lei ha inoltre avvertito la necessità di precisare che SOLO i medici possono certificare l’avvenuta guarigione dal Covid.

r: Prima del 31 dicembre, per un soggetto positivo al tampone antigenico rapido, c’era l’obbligo di sottoporsi a un tampone molecolare; e quindi noi medici dovevamo inserire il paziente in Piattaforma e richiedere quell’esame (e a quel punto scattava anche l’isolamento del soggetto). Tuttavia, a causa dell’intasamento del sistema, le persone –anche dopo dieci giorni di attesa- non venivano chiamate presso la struttura pubblica per fare il tampone molecolare, e quindi si trovavano in una sorta di “limbo”, dato che non venivano “liberate” dal tampone molecolare. Di conseguenza, noi medici di famiglia ci siamo fatti carico di accettare anche l’esito di un tampone antigenico per poter liberare i soggetti (trascorsi i tempi stabiliti dalle norme ministeriali). Dunque abbiamo anche ribadito che la certificazione sull’avvenuta guarigione è sempre e comunque un atto medico.

d: Avete anche ribadito che non vanno confusi “isolamento” (precauzione che riguarda i soggetti positivi) e “quarantena” (che attiene alle persone venute a contatto con un positivo).

r: C’è stata un po’ di confusione anche a causa di alcune norme ministeriali. Lo scorso anno la quarantena veniva equiparata dall’Inps a periodo di malattia; quest’anno, le leggi sono cambiate (sono venuti meno i finanziamenti dello Stato per detta misura), ma –grazie ai progressi ottenuti in virtù della campagna vaccinale- un cittadino che ha chiuso il ciclo di vaccinazioni non è più soggetto alla quarantena, bensì all’auto-sorveglianza (si tiene a distanza di protezione e, se non sviluppa sintomi, dopo 5 o 10 giorni è libero di fare ciò che vuole).

d: Lei ha fatto riferimento al “tilt” che ha riguardato la Piattaforma del sistema sanitario regionale, a cavallo delle Festività. La situazione è ancora quella di un …“flipper”?

r: Direi che al 70% la situazione della Piattaforma si è risolta (si è ovviato alle difficoltà incontrate dai sindaci ed è stata potenziata la struttura informatica e dei server). C’è ancora da affinare il collegamento fra la Piattaforma regionale e quella nazionale (il Sistema che regge sulla tessera sanitaria), che è poi quella che rilascia il Green pass. Ma grosso modo si è in dirittura d’arrivo.

d: Ma perché c’è questo ripresentarsi “cronico” di situazioni di stallo nei sistemi informatici?

r: Qui esco fuori dal mio seminato e non faccio un discorso medico: non vorrei che, a un certo punto, a livello nazionale si sia ripercorsa la strada tracciata già da altri Paesi (come la Gran Bretagna), ovvero far circolare il virus, visto che l’ultima variante è meno patogenica e fa meno danni della Delta. Altrimenti non si spiega perché questa volta non ci siano stati limiti alla circolazione dei soggetti.

d: Forse non ho capito bene: perché FAR CIRCOLARE il virus??? (Sembra pane per i complottisti)

r: Per ottenere prima l’immunità di gregge. Il ragionamento potrebbe essere: se questo virus –che è più contagioso, ma meno aggressivo- infetta più persone, alla fin fine non troverà più individui suscettibili, e quindi man mano, variando la sua architettura (si spera), diventerà una banale influenza.

d: Sarebbe questo dunque il motivo per cui vanno in tilt le piattaforme?

r: Una cosa è gestire dieci/cento casi al giorno, ben altra è gestirne, all’improvviso, diecimila. Le linee informatiche quelle sono.

d: Tra i suoi pazienti c’è sicuramente qualche No vax, e magari anche qualche complottista. Che spiegazioni si dà? E cosa cerca di dire a questo tipo di pazienti?

r: Non mi do spiegazioni, il loro mondo è variegato: c’è chi è ultra-convinto dell’inutilità del vaccino, ma soprattutto c’è chi HA PAURA del vaccino stesso. Sabato mattina scorso ho provato a convincere un imprenditore (che non è manco mio paziente) a venire a farsi il vaccino; non c’è stato nulla da fare, ma almeno ho avuto più fortuna con uno suo dipendente. In quel frangente, mi sono accorto che l’imprenditore stava visibilmente male per la paura. E la paura è un fatto viscerale. Ma prima o poi una soluzione bisognerà pur trovarla.

d: E’ un cane che si morde la coda. Come se ne esce?

r: Eh, come le dicevo, con l’immunità di gregge.

d: E quindi secondo lei Speranza e soci hanno fatto quel ragionamento di cui parlavamo prima?

r: Non posso sapere cosa ci sia nella testa di Speranza. Ripeto, è un ragionamento che mi sono fatto io: la libera circolazione delle persone ha permesso che circolasse anche il virus, proprio in virtù della sua minore capacità di fare danni (la maggior parte dei miei pazienti quest’anno è infatti rimasta a casa, senza neanche la necessità di attivare le Unità speciali).

d: Ovviamente, chiariamolo, nonostante questa sua ipotesi, il messaggio è sempre quello di utilizzare TUTTI gli strumenti di protezione e di precauzione.

r: Assolutamente sì, su questo non ci piove. Anche in casa, in presenza di soggetti positivi (che devono comunque restare separati in una stanza), va indossata la mascherina! E questo fin quando, proseguendo con le dosi booster, non arriveremo almeno al 90% dei soggetti vaccinati.

d: Le dosi booster sono dunque la chiave per raggiungere l’immunità di gregge.

r: Assolutamente sì, sono la chiave, soprattutto se si vuole evitare che i contagiati finiscano in ospedale.

d: Chiariamo ulteriormente: lei dice che, secondo un ragionamento prettamente matematico, la circolazione di questa particolare variante del virus (che fa meno danni) alla fin fine potrebbe portare all’immunità di gregge; ma dice anche che la chiave per ottenere sempre l’immunità di gregge è comunque la protezione individuale e il vaccino. Vuol spiegare questa che sembra una contraddizione in termini?

r: Partirei dalla mia esperienza personale. Ho fatto la prima dose di vaccino il 6 gennaio 2021, e tre giorni dopo ho preso il virus (e sono guarito); dopo sei mesi ho fatto la seconda dose, e dopo altri cinque mesi la terza. Nonostante tutto, indosso ancora la mascherina. Perché? Perché ciò che è certo oggi diventa incerto domani; la vaccinazione ci aiuta moltissimo, ma vediamo anche soggetti -che hanno fatto la dose booster- che contraggono comunque il virus. Cosa vuol dire tutto questo? Da un lato il vaccino tutela (il vaccinato che contrae il Covid poi non sviluppa la malattia), ma un conto è se si ammalano cento, un altro conto è se se ne ammalano diecimila: in quei diecimila possono esserci anche persone fragili e superfragili, che invece rischierebbero la vita.

d: Cosa raccomandare dunque al cittadino? Vaccinarsi e tutelarsi sempre...

r: Esatto. E NON abbassare mai la guardia. Anche perché non è da escludere che prima o poi esca fuori un’ulteriore variante, questa volta PIU’ patogena.

d: Non può entrare nella testa di Speranza, ma che giudizio ne dà come ministro?

r: Come medico di famiglia, il mio non può che essere un giudizio positivo. E non perché è un conterraneo. Posso inoltre testimoniare l’accoglienza entusiastica ricevuta al congresso nazionale del mio sindacato. Ha dovuto fronteggiare qualcosa che fino a qualche tempo fa era del tutto inimmaginabile, e aver saputo dare "una dritta" è un grosso risultato. Errori possono anche esserci stati, ma non è compito mio entrare nel merito. Mi viene da pensare che la "pecca" di Speranza è forse quella di appartenere a un partito troppo piccolo.

d: Il sistema sanitario regionale, dal canto suo, ha tenuto bene?

r: Nei primi mesi di pandemia riscontrammo difficoltà, se penso alla carenza dei presidi di protezione (era quello il periodo della polemica con l’assessore Leone a seguito di certe sue controverse dichiarazioni); la Fimmg nazionale fece una sottoscrizione di fondi, e io stesso girai la provincia a distribuire dalle sette alle dieci mascherine per ogni iscritto. Man mano poi la macchina è andata oliandosi e diciamo che, grosso modo, la cose sono rientrate (se si tengono fuori le problematiche riscontrate dal Dipartimento di Prevenzione, tra l’altro svuotato di personale, andato in pensione). Dal canto nostro abbiamo dato a Bardi la nostra disponibilità a gestire in Piattaforma il discorso delle guarigioni dei soggetti positivi.

d: Se potesse prendere Bardi sottobraccio, cosa gli direbbe?

r: Di “prendere in mano” il discorso della Sanità territoriale, perché se è vero che i nostri paesi si stanno svuotando, si sta svuotando anche la classe medica a supporto della nostra popolazione. Lei pensi che io per primo, a quasi sessantotto anni suonati, ho fatto la guardia medica a Vaglio, la sera della Vigilia e dell’Ultimo dell’anno. Non c’erano medici disponibili a garantire il servizio nel mio paese. C’è bisogno di una ristrutturazione del servizio sanitario regionale. Non si può pensare di creare dodici cattedrali nel deserto, e poi lasciare scoperto il piccolo paese, i cui abitanti hanno gli stessi diritti degli altri. So che Bardi ha a cuore questo problema, che però ha bisogno di un confronto serio e serrato, che non può essere solo stimolato dall’emergenza. Ci vogliono quotidianità e programmazione.