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di Walter De Stradis

 

Da quindici anni è sindaco del suo piccolo comune, Balvano, in provincia di Potenza. Un’eternità, dal punto di vista politico. Il 44enne Costantino Di Carlo, capelli e barba rossicci, spruzzati di grigio, negli anni a venire, verrà probabilmente ricordato anche per aver patito in prima persona le pene del Virus che sta cambiando il corso della Storia, dal più piccolo al più grande agglomerato umano su questo Pianeta.

D: La sua vicenda, quella di un sindaco lucano che ha portato la croce del Covid sulle proprie spalle, è emblematica anche del “decorso” della malattia stessa. Infatti, stando ai suoi comunicati, a inizio marzo scorso lei aveva inizialmente annunciato di essere risultato negativo al tampone. Solo alcuni giorni dopo, però, le cose erano cambiate...

R: Sì. Avevamo saputo che alcuni colleghi di lavoro di mia moglie erano risultati positivi, così ci mettemmo in isolamento domiciliare e ci facemmo il tampone, inizialmente risultato negativo per entrambi. Alcuni giorni dopo lo ripetemmo, sempre in isolamento, e solo lei risultò positiva. A quel punto il nostro isolamento domestico divenne separato: lei in casa, io in una tavernetta sottostante. Circa una settimana dopo, però, risultai positivo anch’io al tampone. Avevo sintomi tipici: febbre, mal di testa, stanchezza. La terapie –antibiotica e cortisonica- non si rivelarono pienamente efficaci e cominciai ad avvertire un dolore tra le scapole, il segnale di una broncopolmonite…

D: … sua moglie quindi era praticamente asintomatica, mentre per lei si rese necessario il ricovero al San Carlo di Potenza.

R: Lei aveva sintomi lievi, diciamo. La mia saturazione cominciò invece a scendere sotto la soglia limite, toccando picchi pericolosi (86-87), e quindi col medico ritenemmo opportuno il ricovero. Dalla Tac del Pronto Soccorso emerse infatti che ero affetto da broncopolmonite bilaterale intersiziale. Fui quindi ricoverato al reparto Covid 2, quello alle spalle del Pronto Soccorso.

D: Che tipo di realtà ha incontrato?

R: Guardi, in quindici giorni di ricovero ho incrociato in tutto una ventina di compagni di stanza. I primi tempi, i degenti che iniziavano a stare meglio dopo alcuni giorni di cure (gente più o meno della mia età, fra i 40 e 50 anni) per me rappresentavano un traguardo; quando poi iniziai io stesso a stare meglio, rivedevo nei nuovi arrivati le mie condizioni iniziali. Riscontrai che il numero dei giovani, miei coetanei, stava crescendo e che questi erano anche molto sintomatici. Notai contestualmente che in alcuni casi, la pesanti cure (terapia antibiotica, cortisonica, ciclo antivirale) portavano all’ “esplosione” di alcune piccole criticità che magari in occasioni normali non si rilevano. Penso alla glicemia o alle transaminasi, o alle altre contingenze di alcuni casi specifici che in qualche modo si amplificano, specie in chi già ne soffre.

D: Cosa emergeva invece a livello umano?

R: Due cose sostanzialmente. La prima è il Tempo: quasi immobile, passato stando sempre a letto, scandito esclusivamente dalle gocce delle flebo. La seconda: prelievi e terapie iniziavano prestissimo la mattina (anche alle quattro e mezzo) e la cena era alle 18: da quel momento in poi c’era l’attesa di un’altra giornata, che sembrava non arrivare mai. Ricordo poi il ricovero di un 45enne particolarmente ansioso, che nonostante le nostre rassicurazioni («ci siamo passati anche noi, stai tranquillo, poi respirerai meglio») è andato nel panico e ha cominciato a diventare cianotico. Ci pensi: il respirare per noi è un atto naturale, spontaneo, ma quando ne sei privato, anche solo in parte, diventa una cosa che devi “gestire”, “decidere”, controllando i gesti. Io stesso ho faticato un po’, ma ho incontrato pazienti che sono stati davvero male, come questo ragazzo (ora diventato mio amico) che poi è finito in rianimazione ed è stato 4-5 giorni “in croce”, collegato alle macchine cardiache, perché era a rischio collasso da un momento all’altro.

D: Che risposta ha ricevuto dalla struttura pubblica? Da paziente, che giudizio dà dell’ospedale San Carlo?

Io mi sono permesso di scrivere una lettera al direttore generale, per ringraziare la struttura. La responsabile del reparto Covid 2, la dottoressa Gianna Mennillo, è una persona STRAORDINARIA, e con lei tutti i medici e gli infermieri. Lo dico fuor di retorica, parlando come paziente. Noi tutti siamo stati sinceramente curati, non solo dal punto di vista medico-farmacologico: anche solo nel darci la sveglia, gli infermieri scherzavano e la stessa dottoressa responsabile, magari stanchissima (e si vedeva dagli occhi), ogni giorno passava a dirci una parola buona: «Pensa a come stavi ieri, oggi va già meglio. Ieri avevi dieci litri di ossigeno, oggi ne hai tre. Bada ai progressi». Quindi c’è stato veramente un “accompagnarci fuori”, che ci ha aiutato a vedere la luce.

D: Oggi lei fortunatamente è uscito da questo tunnel, ma adesso spostiamo il suo punto di vista, e passiamo da quello del paziente a quello dell’amministratore. Come giudica le scene di affollamento e di calca alle tende del Qatar di Potenza, in corrispondenza del turno di vaccinazione per la fascia di età dai 79 ai 60 anni (ammessa anche senza prenotazione) di lunedì scorso?

R: Le immagini di calca infastidiscono chiunque. Se da una parte si può capire l’azione del cittadino che cerca di non perdere il posto, dall’altra bisogna fotografarne gli effetti: su cento casi di infezione, novanta magari sono asintomatici o paucisintomatici, ma chi vive il reparto Covid, sa bene che gli altri dieci presentano problematiche molto serie. E se faccio un “fermo immagine” di quella calca, penso inevitabilmente al fatto che per salvaguardarsi bisogna mantenere le distanze, e quelle immagini invece sono insopportabili, ingiustificabili (senza voler additare nessuno). C’è bisogno di un’organizzazione un po’ più strutturata. Mi auguro che non si ripeta più, a tutela di chi organizza e di chi va lì a fare il vaccino. Non è accettabile che ci vadano mille persone e poi magari ne escano positive cento.

D: In generale come giudica l’operato della Regione Basilicata nel contrasto alla Pandemia?

R: Bisogna starci dentro: è difficile per la Regione ed è difficile per i Comuni. Io comprendo gli sforzi...altre cose le comprendo meno. Ripeto: c’è bisogno di una migliore organizzazione. Mi riferisco al tracciamento. Mi riferisco ai tamponi antigenici, di cui i Comuni si fanno carico, e i cui esiti abbiamo difficoltà a “caricare” sulla Piattaforma: il mio Comune, ma sfido qualsiasi altro Comune lucano, praticamente non li ha mai caricati! E quando chiediamo delucidazioni agli addetti della Task Force regionale, questi non ci sanno dare indicazioni su come fare, e c’è un rimando e rimbalzo continuo tra persone. Io sono stato anche uno dei 21 sindaci che ha criticato l’istituzione della zona rossa regionale, laddove altre regioni hanno agito per province o per comprensori (tant’è che la stessa Regione poi ne ha preso atto). Capisco che bisogna attenersi alle norme e alle indicazioni ministeriali, ma bisogna anche calarsi un attimino nel territorio: il “cuore” di Napoli è diverso da Balvano, che a scuola ha 160 bambini e che ha spazi più aperti.

D: La sua collega di Ginestra la settimana scorsa ci parlava di difficoltà di “comunicazione” con la Regione stessa, e ci parlava delle Ordinanze regionali, che legge prima sui giornali e che solo dopo arrivano al Municipio. E’ così anche per voi?

R: E’ così per tutti. Non lo dico io, o solo io, ma lo dice l’Anci. Alcune volte è capitato che le ordinanze di chiusura delle scuole siano arrivate alle dieci di sera e noi siamo stati “massacrati” dai nostri concittadini perché non sapevano cosa sarebbe successo l’indomani. I Comuni devono organizzare il trasporto scolastico... e agli autisti cosa diciamo? Si parte? Non si parte? E quando glielo diciamo? Alle tre di notte? C’è poi tutta la questione della sanificazione degli istituti, insomma, ci sono delle decisioni che vanno prese in un tempo utile. E’ mancata anche la condivisione delle scelte. Certo, non vuol dire che il governatore o l’assessore debbano ascoltare 131 sindaci, ma C’E’ l’Anci per questo! E deve condividere alcuni percorsi.

D: Se potesse prendere Bardi sottobraccio cosa gli direbbe?

R: Di condividere maggiormente e di non caricarsi di decisioni solitarie. Adesso ci sono dei comuni con dei picchi di contagio e che -solo loro- sono passati in zona rossa: se questo tipo di ragionamento l’avessero applicato prima, magari ad alcuni altri comuni si sarebbero risparmiati una quindicina di giorni in rosso, che penalizzano eccome. E magari i ventuno sindaci non avrebbero protestato. Ci sono paesi lucani di 500 abitanti, che con zero contagi si sono ritrovati in zona rossa! Vanno dunque censiti i comuni dove c’è il picco. Pertanto, con molto, molto riguardo, a Bardi direi che sul territorio ci sono ALTRE istituzioni locali, e cioè i sindaci, che governano le comunità, che sono il “front office” dei cittadini, che vengono “massacrati” dai cittadini. Perché tocca a me sindaco spiegare al compaesano che il bar è chiuso, che non può uscire... certo, potrei cavarmela dicendo “L’ha deciso la Regione, l’ha deciso il Ministero”, ma la problematica rimarrebbe. Occorre condividere, tenere l’Anci dentro, sulla falsariga della Conferenza Stato-Regioni, perché le buone idee possono venire a chiunque.

D: Al di là del Covid, Balvano di cosa ha maggiormente bisogno adesso?

R: La Basilicata deve essere innanzitutto definita: siamo Terra per il turismo? Per l’industria? Per l’agricoltura? Per tutte e tre le cose? Per nessuna? La terre che non sanno avere un’identità faticano di più. Noi facemmo un grande investimento sulle Gole del Platano, e recentemente abbiamo realizzato una strada ferrata in un vecchio percorso dei minatori, scavato in una roccia verticale. Proprio in un momento come questo, penso che gli “spazi larghi” della nostra regione siano una grande risorsa. Negli ultimi anni abbiamo registrato in queste zone l’arrivo di persone con la voglia di un turismo “lento”, all’aria aperta. Chiederei pertanto alla Regione di accompagnare i comuni in questa direzione, specie quelli che vi hanno già investito.

D: La canzone che la rappresenta?

R: “Dolcenera” di De Andrè.

D: Il libro?

R: “Sogno cose che non sono state mai” di Robert Kennedy. L’ho letto di recente e lo consiglio a tutti.

D: Il film?

R: “Il Miglio verde”.

D: Immaginiamo che fra cent’anni in questo Comune scoprano una targa a suo nome. Cose le piacerebbe ci fosse scritto sopra?

R: Che sono stato tra la gente.