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di Antonella Sabia

Ha fatto dei suoi piatti, una vera e propria filosofia, o per dirla alla sua maniera CIBOSOFIA. Tradizioni e studio, ospitalità e accoglienza sono gli ingredienti in più della sua “Luna Rossa”, a Terranova del Pollino, nella Basilicata più nascosta. Federico Valicenti non ha bisogno di tante presentazioni: lo chef lucano ha conquistato i palati più fini, a cui ha dedicato piatti della tradizione che col tempo si sono mescolati a sapori raffinati e creativi. Con lui, abbiamo affrontato il tema della pandemia, e delle sfide che la ristorazione lucana dovrà affrontare nei prossimi mesi.

D: A distanza di qualche mese, con il nuovo DPCM ci ritroviamo ad affrontare il tema delle chiusure, quali sono le sue sensazioni?

R: La cosa che mi preme capire è su quali basi sia stata presa una decisione uguale tra bar e ristoranti. La situazione è sicuramente delicatissima, anche se quest’estate la Basilicata è stata presa d'assalto dai turisti in particolare dalle regioni vicine, e oggi sarebbe opportuno più che piangere sul Covid, cercare di dare continuità a questa visibilità che ha avuto.

D: Rispetto a marzo quali sono le differenze?

R: Sicuramente la prima volta è stato peggio poiché avevano chiuso del tutto, oggi se pur con sfortuna a pranzo possiamo lavorare e la sera qualcuno può organizzarsi con l’asporto. Ci dobbiamo adeguare, non possiamo pensare che qualcuno abbia degli interessi a portare avanti questa pandemia: esiste, è una realtà, ci sono stati tanti morti e non possiamo negare quello che stiamo vivendo, un periodo buio e cupo, ma a volte questi periodi aprono a nuove prospettive. Oggi la grande vocazione della Basilicata è quella di essere un territorio pulito e integro, dove si può trovare distanza sociale, “slow life”, bisogna vendere questo prodotto, non piangersi addosso, ma cercare di fare di questo problema un opportunità.

D: “Io non apro”, scriveva così il 18 maggio in occasione delle riaperture, in una lettera all’assessore Cupparo. Cosa le risposero in quell'occasione?

R: Assolutamente niente, nessuno, ma non era nemmeno quello che io pretendevo, perché so che non può un singolo ristoratore, un abitante di un luogo ameno, un’area interna come Terranova di Pollino, avere una voce così forte. Ho avuto tantissime testimonianze di affetto e solidarietà per quello che stava succedendo, è ancora difficile oggi capire cosa significa avere un ristorante nelle aree più interne, bisogna cambiare i concetti di base, perché noi abbiamo tante variabili che influiscono oltre al momento che stiamo vivendo: pensiamo ad una strada che frana, un percorso innevato che non viene liberato. I ristoranti come il mio, batto sulla questione delle aree interne, non rientrano solo nel settore della ristorazione, il nostro è un atto culturale. In questi piccoli paesini non è possibile parlare di ristorazione tout court, in cui si mangiano i prodotti locali, il nostro è un atto di civiltà, è questo che non riescono a comprendere. Se chiude il ristorante nell’area interna, tutto l’indotto (chi fa il formaggio, i salumi, chi vende la frutta) viene bloccato. L’errore è pensare che la ristorazione sia tutta uguale, ma non è così per fortuna.

D: Dallo Stato adesso cosa si aspetta?

R: L’obolo non l’ho mai chiesto e mai lo chiederò. Quello che desidererei io dalla Regione, dallo Stato, è che queste aree interne venissero defiscalizzate almeno per 10 anni, solo così potrebbero sopravvivere. Ricevere 600/1000 €, non risolve nulla, non dà alcuna possibilità di sopravvivenza, è un ristoro momentaneo.

D: Durante la stagione estiva, in parte si è riusciti a recuperare le perdite dei mesi precedenti?

Assolutamente sì, solitamente nei mesi estivi si lavora bene, sempre pieni, questa estate si è riversata molta più gente nei piccoli borghi della Basilicata, perché si cercavano spazi aperti e distanze. Del resto il lockdown ha prodotto questo: la ricerca della natura, la voglia di rimettere le mani in pasta, ha fatto accarezzare di nuovo la farina, l’acqua e le cose naturali. Oggi bisognerebbe capitalizzare quel messaggio e quella narrazione, invece non si fa che parlare del Covid, ci stanno bombardando psicologicamente e si finisce per assistere ad episodi di violenza come a Napoli, Torino che sono davvero vergognosi… Non riesco a capire perché protestare. Bisogna tutelare la nostra salute. Chi rischia di chiudere però adesso non siamo noi, quanto più trattorie e ristoranti nei centri storici delle grandi città, dove il cibo è inteso come commercio, e ora come ora ci sono pochi turisti. Oggi, essere considerati una zona povera, forse ci ha arricchiti.

D: La ristorazione è un mondo in continua evoluzione, la pandemia ha bloccato anche la formazione?

R: Sicuramente, a me personalmente ha bloccato un bellissimo progetto di una scuola di cucina nel metapontino, che però riprenderemo non appena ci sarà la possibilità. Ci sono progetti straordinari in giro, bisogna aspettare un po’ e portare pazienza. Io premierei chi ha il coraggio di rimanere in Basilicata, chi ha deciso di portare avanti dei progetti nel proprio paese.

D: Lei è un cultore delle tradizioni, si definisce un CIBOSOFO: ci spiega il significato di questo termine?

R: Cibosofia è un termine che ho coniato io, non ha niente di trascendentale e niente di elevato. Il cibosofo, per me, è colui che racconta il territorio attraverso il cibo, ed è fantastico raccontare la Basilicata attraverso i suoi cibi, in particolare quelli dimenticati che stiamo riprendendo. È straordinario il patrimonio delle cucine antiche lucane, se riuscissimo a valorizzarlo con dovizia di particolari sarebbe un passepartout per le prossime sfide che ci attendono da un punto di vista gastronomico, ma anche territoriale e politico. È un concetto difficile, ma pian piano riusciremo a farlo comprendere.

D: Prima ha parlato di avere pazienza, viste le tante incognite che ruotano intorno a questo settore, come pensa che ne uscirete?

R: La pazienza non basta, bisogna armarsi di cultura. Credo molto nel mercato in cui sopravvive chi è bravo. Quando ci sono questi eventi straordinari, viene anche tagliato fuori chi non è capace, ma sono convinto che la Basilicata ne può uscire bene, dovrebbe solamente cercare di capire bene qual è il ruolo che vuole ricoprire. Quello che io auspico è che non perda la sua autenticità e la sua identità, e che le aree interne vengano attenzionate e valorizzate di più dalla regione stessa.