pranzoSAMMARTINO

Capello argenteo alla Andy Warhol («Mah, è la prima volta che me lo dicono»), andatura, fisico e postura da giovanotto (a dispetto dei 60 anni che compirà a breve), Domenico “Mimmo” Sammartino, responsabile della redazione lucana della Gazzetta del Mezzogiorno, scrittore pluripremiato, è il Presidente dell’Ordine dei giornalisti di Basilicata.

Come giustifica la sua esistenza?
Giustificarla? Beh, possiamo darle dei significati: Etica, senso della responsabilità. Io credo anche nel valore dell’utopia, del sogno. Ma sono fattori che presuppongono comunque un “noi”.


Ma quando ha capito di “essere” un vero giornalista? Il mio vecchio direttore diceva che si acquista questa consapevolezza quando si comincia a essere stanchi di essere “scocciati” dagli altri.
Un mio vecchio compagno di classe ricorda che manifestai “l’intenzione” di fare il giornalista in primo liceo. All’epoca mi ero appassionato al concetto di politica come “impegno e condivisone” (insomma, eravamo quelli che volevano cambiare il mondo), pertanto iniziai a leggere molto, quotidiani e libri. Presto pensai di poter contribuire io stesso al dibattito, e qualche tempo dopo mi iniziarono a pubblicare proprio su uno di quei giornali: Il Manifesto. Fu in quel momento che mi resi conto. Feci le mie prime “paginate” sulla Basilicata; ricordo un reportage sulla frana di Senise del luglio 1986, e un’inchiesta su una misteriosa “catena” di suicidi a Sasso di Castalda. Qualcuno in paese pensava ci fosse di mezzo un arcano sortilegio.


E’ di oggi la notizia della condanna a sei anni per Roberto Spada, che ha aggredito un giornalista. Questo tipo di episodi, tuttavia, si ripete sempre più spesso, anche per mano di gente “comune”.
A me una volta è capitato di fare denuncia perché avevano buttato dell’acido sulla mia macchina. Al di là di questo, la gente “comune” di cui lei parla oggi aggredisce anche i professori, se è per questo. Forse è quella la vera novità, visto che la Storia ci narra di diversi cronisti vittime della mafia o dei potentati in generale. Tuttavia, credo comunque che sia venuta meno l’idea del limite, dell’etica, della responsabilità, del riconoscimento delle funzioni e dei ruoli. La caduta di questa idea è moltiplicata dall’involgarimento, dall’indecenza e dall’impoverimento culturale che passa soprattutto attraverso i social network. Sia chiaro, non sono una iattura in sé, ma l’utilizzo che se ne fa il più delle volte è becero. Ad esempio, non è che prima in Italia mancassero i razzisti, ma una volta si vergognavano: oggi è diventato un titolo di merito. Pensi al “cattivismo” di cui, proprio in questi giorni, sta soffrendo il nostro Paese.


A volte, però, anche i giornalisti sembra che “rincorrano” le notizie dei social. E non il contrario. A volte è una gara al ribasso.
Esistono esempi positivi ed esempi negativi. Certo, oggi tutto è cambiato, ma non deve diventare una gara a chi dà prima la notizia, visto che ormai chiunque abbia un telefonino e vede un incendio è in grado di darla. La sfida oggi è un’altra: avere giornalisti qualificati e preparati, che sappiano –in modo responsabile, completo ed esaustivo- dare tutti i risvolti di una notizia già nota, “gerarchizzarla” (valutare gli aspetti importanti e quelli trascurabili), e svelare contesti e retroscena. Tutto ciò presuppone un atteggiamento né di rifiuto delle nuove tecnologie, nè di adesione “acritica”.


In Basilicata ultimamente c’è un fiorire: quando andrà in pensione (pare presto) aprirà anche lei un blog/sito d’informazione personale?
Mah …(sorride). Penso che continuerò a scrivere. Definirò le modalità. Inoltre, continuerò sicuramente a fare libri, a presentarli e – come sta accadendo adesso in Lombardia con il mio “Canto Clandestino”- a collaborare con chi vorrà metterli in scena.


Lei ha scritto un libro che s’intitola “Vito Ballava con le Streghe”. Quali sono le streghe con cui balla oggi la nostra regione?
Innanzitutto ci tengo a dire che le streghe del mio libro erano belle! (Ride). Era un racconto popolare che è diventato anche il tema di un percorso letterario fra Castelmezzano e Pietrapertosa.


… ma le “streghe” brutte di oggi?
Beh, ritengo che debba partire una risposta dall’alto e dal basso, a quello che è altrimenti un destino segnato: lo spopolamento, la denatalità. Bisogna riconoscersi intorno a qualche cosa: il valore, la bellezza, la particolarità di una terra, della sua gente e della sua storia. Di conseguenza, pur non potendo sottrarci tout-court alle esigenze e alle richieste che vengono da Roma o Bruxelles, bisogna far in modo che non si passi il limite, il punto di equilibrio fra ciò che è dovere dei Lucani dare a gli altri, e ciò che gli altri non devono togliere a noi. La Basilicata non deve diventare “terra di scarto"–o peggio- “comunità di scarto”.


Lei si riferisce alle questioni petrolio o scorie nucleari…
… sì, ma anche all’eolico. Un settore interessante che però non può essere affidato alle interpretazioni “creative” o poco serie, all’anarchia o ai desiderata dei privati. Il paesaggio appartiene a tutti. Ecco, questa è un’idea culturale su cui la Basilicata deve ancora crescere. Bisogna capire che “ciò che è di tutti è anche mio”; e invece solitamente si pensa che “ciò che è di tutti non è di nessuno” e quindi campo libero agli sfregi.


E’ cambiato il rapporto fra la politica e la stampa negli ultimi anni? Qui da noi ogni tanto si sente questo refrain: “I giornali ormai li leggono solo i politici, per farci botta e risposta”.
E’ un tipo di “informazione” che non mi ha mai riguardato. E penso che sia la politica sia il giornalismo possano solo avvantaggiarsi nell’essere “gelosi” ciascuno della propria autonomia.


Si è parlato spesso di una legge regionale di sostegno all’editoria.
Guardi, viviamo giorni in cui è stata annunciata la chiusura della redazione materana della Gazzetta del Mezzogiorno… il discorso è serio. Dare un sostegno –tramite regole trasparenti- alle aziende vere, alle testate radicate nella regione, che danno lavoro, che danno realmente voce ai territori, significa incentivare un fattore di crescita comune, cioè di TUTTI, e non è in contraddizione (né un’invasione di campo) col discorso autonomia a cui accennavamo.


La politica l’ha mai cercata?
Mai. (Ride) Né io ho cercato loro. Peraltro, credo che un giornalista che passa alla politica poi non possa più tornare indietro. Fermo restando, comunque, che nella vita uno può cambiare mestiere. Ma la nostra è una scelta di campo.


Da Presidente dell’Ordine dei Giornalisti, c’è una qualche “tiratina d’orecchie” che si sente di fare?
Mah, non si può generalizzare. Certo, c’è chi questo lavoro lo svolge con senso di responsabilità, autonomia e onestà intellettuale (perché la “neutralità” non può esistere), mettendoci la faccia… e poi anche da noi ci sono alcuni che vivono un equivoco su questa funzione (anche per scarsa preparazione) e talvolta interpretano lo scrivere come una “licenza d’uccidere”, o come la possibilità di dire qualunque cosa senza risponderne. Non esiste “libertà” di stampa senza “responsabilità” di stampa: è la differenza fra la stampa seria e certo becerume che ad esempio passa sui social media.


Il libro che la rappresenta?
“Le memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar e “Dialoghi con Leucò” di Cesare Pavese.


Il film?
“Dead Men” di Jim Jarmusch.


La canzone?
Ce ne sarebbero diverse, ma oggi –anche per le cose a cui ho accennato- direi “Mio Fratello che guardi il Mondo” di Fossati.


Fra cent’anni cosa vorrebbe fosse scritto sulla sua lapide?
Facendo gli scongiuri: «Esiste solo ciò che si racconta. Ho raccontato quello che ho potuto: adesso tocca a voi».