pranzoFIERRO

Nato cinque anni fa, We Love Potenza «è un Movimento d’ impegno civico “apartitico” sorto per recuperare e salvaguardare l’identità di Potenza» (cit: sito ufficiale). Suo presidente e fondatore è il dinamico Enzo Fierro: 48 anni, testa lucida, occhialini “transition” e cadenza simpaticamente... “fi errana”. Con lui abbiamo parlato, per l’appunto, d’identità.

Come giustifica la sua esistenza?
E’ il frutto di un atto d’amore dei miei genitori. Cerco di emulare i loro insegnamenti: senso del rispetto verso le persone e vivere senza dare troppe noie al prossimo, anzi, dandogli una mano.


Il fatto di chiamarsi “Fierro”, è stato più un vantaggio o uno svantaggio? Mi risponda con onestà.
E’ chiaro che grazie a questo cognome io mi sono realizzato, anche nella società. Grazie alla condivisione di una parte della mia vita con mio zio (Gaetano Fierro – ndr), ho conosciuto tante persone e fatto tante cose (ma non dimentico però che Fierro è anche il cognome di mio nonno, grand’uomo). Per quanto riguarda la politica -ahimè- questa cosa l’ho dovuta un po’ patire, perché ogni cosa che facevo o che dicessi... sembrava che parlassi sempre “per nome e per conto di”. Ciò ha fatto sì –ingiustamente- che non potessi godere di una “mia” posizione o di una collocazione autonoma e personale.


Ma la politica per lei è un discorso chiuso? No, perché, sui social qualcuno ha malignato che le sue attività culturali con “We Love Potenza”, siano mirate a darle una visibilità utile a…
…ma guardi che io la politica la sto facendo. Ho fondato questo movimento perché amo visceralmente la mia città, me ne sto quindi occupando, e occuparsi della propria città significa FARE politica. Ma, per rispondere alla sua domanda, no, non ho alcuna ambizione personale.


Quindi non la vedremo alle regionali?
No. Assolutamente no.


E alle comunali?
Non penso proprio. Con We Love Potenza ho trovato la mia dimensione.


Quando mi ha spiegato il perché di “We Love Potenza”, per un attimo ho temuto che anche lei mi sbandierasse in faccia la parola “Potentinità”, assai in voga fra certi “leoni” (è il caso di dirlo) da tastiera.
Trovo anch’io che quel termine sia una forzatura, nata forse per opporsi alla “Materanità”. L’“identità potentina” –il nastro fondamentale sul quale noi operiamo- è un’altra cosa. Guardi, è vero che Potenza è stata maltrattata per anni, ma è anche vero che questa città non ha i caratteri “identitari” ben marcati e riconosciuti. Il Materano s’identifica nei Sassi, noi dobbiamo focalizzarci sui NOSTRI simboli.


Che sono?
Tra quelli sui quali stiamo lavorando per ricostruire “l’identità”, ci sono sicuramente: il Ponte San Vito, il ponte Musmeci, il tempietto di San Gerardo, la Torre Guevara, la Villa Romana, e il fiume Basento. Ma ci sono anche dei personaggi: tra gli storici, Giuseppe Rendina, Raffaele Danzi, Raffaele Riviello, Emanuele Viggiano; tra gli artisti, da Antonio Busciolano a Michele Giacomino; tra gli uomini di cultura contemporanei, Vito Riviello, Gerardo Messina, Antonio Motta, Giulio Stolfi; fino agli esponenti del teatro potentino: La Bella, La Rocca, Crisci, Bavusi. E poi, naturalmente, c’è Michele di Potenza: quando lei mi chiederà la canzone preferita io le risponderò “Cundana mia”. (Ride)


Lei quindi non lo ascolta solo a San Gerardo. Sta tutta qui la differenza, eh. Mi parli della nascita del “Comitato Promotore per la Fondazione di Potenza”, di cui lei è stato eletto presidente.
Consta di 21 partner. Vorremmo fosse “il volano” per portare a termine la costituzione della Fondazione entro il mese di maggio 2020. Una Fondazione di Comunità è un ente noprofit (fatto di privati cittadini, istituzioni, associazioni, operatori economici e sociali) nato con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita della comunità stessa, promuovendo la cultura della solidarietà, dell’identità e della responsabilità sociale. Quando sento dire: “Potenza città universitaria”, “Potenza città dei servizi”, “Potenza città dei parchi” e così via…sono tutte intuizioni felici, ma che non si possono realizzare se alla base non c’è una “comunità”.


E come mai Potenza questa comunità non ce l’ha?
Un po’ per “colpa” dei potentini (egocentrici e autoreferenziali, poco altruisti), e soprattutto perché –nel corso degli anni- Potenza ha accolto persone da tutto il circondario.


E quindi i potentini “veraci” sono pochi.
Esatto, ma ciò non toglie che quelli della seconda o terza generazione, quelli nati qui, sono ormai potentini veri e vanno ricondotti verso la riappropriazione di luoghi e simboli. Dobbiamo tutti prenderci cura della nostra città.


Sì, ma in giro (specie tra i giovani) c’è davvero tutta questa voglia di riappropriarsi di un’identità e- soprattutto- di averne cura?
E’ proprio questo il punto. Dobbiamo sfatare il luogo comune che a Potenza non c’è (e non si fa) mai niente. I limiti della città ci sono –e li conosciamo tutti- ma gli spazi per una “riappropriazione” non mancano, e We Love Potenza nasce proprio per questo.


Ma l’ultimo san Gerardo le è piaciuto?
No, cioè, alla sfilata dei Turchi mi sono annoiato parecchio. E’ stata una parata “di ruotine”. E infatti mi sono permesso di proporre una novità, per trasformare l’evento in un’occasione di maggiore richiamo turistico (e nel 2019 si celebra il IX centenario della morte del Santo Patrono!). Non dimentichiamo, infatti, che San Gerardo che appare e respinge i Saraceni sul Basento, l’allegoria della barca e tutto il resto, sono episodi fortemente radicati nel nostro immaginario popolare. Quale migliore occasione, quindi, per utilizzare il parco Fluviale del Basento? In quella cornice si potrebbe completare il senso stesso della sfi lata: potrebbe diventare il secondo set “naturalistico”; si potrebbero mettere in scena (con compagnie e associazioni del posto) raffi gurazioni teatrali e di arte performativa che si richiamano a quegli episodi.


Il suo movimento si chiama “Noi amiamo Potenza”, ma c’è qualcosa che lei “odia” della città?
Sì. Qualcosa dei potentini. La critica facile e gratuita, la scarsa propensione a mettersi in gioco e soprattutto la tendenza a disconoscere e a sminuire il lavoro altrui.


Se potesse prendere Pittella sottobraccio, cosa gli chiederebbe per la città?
Mi dicono che abbia già fatto molto per Potenza (intervenendo sulla questione deficit), ma forse avrebbe dovuto maggiormente trattare questa città da capoluogo di regione. Visto che lo siamo ancora.


E a De Luca cosa direbbe?
Visto che abbiamo vissuto anche un tragitto comune (Scelta Civica), di proseguire sulla strada del civismo, e di non farsi abbindolare o avvinghiare in “appartenenze” partitiche.


Lei prima ha citato Michele di Potenza: quale sua canzone si adatterebbe al momento che vive la città?
Io direi “Visceledda”. E’ un modo col quale –riferendosi alla “ciliegia”- una volta si chiamavano le ragazzine.


E Potenza cos’è? Una ragazzina? Una ciliegia?
No, nel senso che dobbiamo re-innamorarci della nostra città. E lei, dal canto suo, deve mettersi il rossetto migliore, lo smalto migliore, per essere di nuovo corteggiata.


Veniamo al calcio. Coi successi rossoblù, tutta la città si è riscoperta “tifosa”.
Ma non c’è solo il Potenza. Il calcio può essere un fenomeno utile al processo per riguadagnare quell’identità di cui abbiamo parlato finora, ma questa non può essere confinata solo alla bandiera di una squadra.


Oltretutto, il Potenza andrebbe sostenuto sempre, non solo quando vince.
Ma anche nella politica va così. Adesso, per esempio, sono tutti grillini…


Il film che la rappresenta?
“Braveheart” di e con Mel Gibson


Il Libro?
“Moby Dick”, anche se sono molto legato a “Istoria della città di Potenza”, di Giuseppe Rendina.


Fra cent’anni cosa vorrebbe fosse scritto sulla sua lapide?
«La tenacia fatta uomo».