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Don Peppino Nolè, 76 anni, da 48 parroco della chiesa di San Giuseppe a Rione Lucania a Potenza, si accende una sigaretta sottile, ce ne offre una e racconta: «Guai a chiamarlo vizio, questo. Pensi che una volta Papa Pio XI offrì un sigaro a un cardinale, ma questi rifi utò asserendo di “non avere quel vizio”. Allora il Pontefi ce gli rispose: “Se questo fosse un vizio, vizioso come sei, tu ce l’avresti di sicuro!”».

Come giustifica la sua esistenza?
Servendo il Signore, attraverso il mio prossimo. A fine giornata, la mia gioia è se sono stato capace di aiutare il maggior numero di persone possibili.


Lei è nativo di Avigliano.

Sì, sono stato lì fino ai dieci anni, poi nel 1952 la mia famiglia si è trasferita qui a Potenza.


Di cosa si occupavano i suoi genitori?
Ad Avigliano avevano quella trattoria che si trova a “U Sur’tiedd”, ovvero “la salita” che collega la piazza fino al Monastero. Fu ceduta a “Mauariedd” (oggi si chiama ancora così), quando noi ci trasferimmo nel capoluogo. Ricordo il gran quantitativo di persone che venivano a ristorarsi, in occasione delle fiere, dei mercati, e anche dei funerali.


Non sarà per questo che lei ci tiene particolarmente alla mensa parrocchiale?
Certamente. Mi è rimasto molto di quell’esperienza infantile. E poi c’è l’esperienza biblica: nelle Sacre Scritture spesso si parla del Regno di Dio come di un “banchetto”. Non per nulla, prima di morire Gesù volle celebrare l’ultima cena insieme a gli apostoli, che poi trasformò nel segno sacramentale della sua presenza in mezzo a noi. Pertanto, ogni volta che condividiamo un pasto con qualcuno, c’è veramente Dio fra di noi.


Anche perché, come si dice, bisogna “nutrire” lo spirito, ma anche il corpo vuole la sua parte.
Per l’amor del cielo! Monsignor Baldelli, il presidente della POA (Pontificia Opera Assistenza, nata nel Dopoguerra, che forniva cibo alle parrocchie per sostenere le famiglie povere), soleva dire: «Io non mi permetto di parlare di Dio a una persona, se prima non mi accerto che ha mangiato».


Bellissima frase. I politici dovrebbero scriverselo sulla fronte, quando vanno in giro a parlare di voti.
Come no! Come diceva lei, il discorso della mensa io l’ho sempre portato dentro.


Una volta trasferiti a Potenza i suoi genitori gestirono un altro ristorante?
No, una salumeria, in via Pretoria numero 7.


E lei quando ha capito che avrebbe fatto il sacerdote?
In un campo scuola a Camigliatello, nella Sila. Facevo la seconda media e –seppur servissi messa e tutto- non avevo mai pensato di prendere i voti. In quell’occasione (c’era un ritiro spirituale), però, sentii all’improvviso una voce possente dentro di me: «Tu farai il sacerdote!».


La più classica delle “chiamate”, insomma.
Già. Era il 1955. L’anno dopo entrai nel seminario qui a Potenza, in Viale Marconi.


E divenne parroco di “Chianchetta” quando?
Nel 1970. In realtà mi avevano proposto di entrare nell’Accademia Ecclesiastica, dove si formano i diplomatici vaticani. Un’ottima opportunità, ma io preferii rimanere qui nel quartiere, dove –oltretutto abitavo da qualche tempo (pensi, sono stato ordinato sacerdote qui, nella chiesa di san Giuseppe!). Ero molto attratto da Rione Lucania, che aveva una realtà difficile, soprattutto in riferimento ai giovani. Era un quartiere totalmente abbandonato, con una popolazione sfiancata, particolarmente bisognosa.


Una “nomea” che il rione si è portato dietro per anni.
Per me non fu difficile capire che qui non ci voleva una pastorale “tradizionale”, bensì una “d’assalto”: promozione sociale, dopo-scuola (anche per adulti, affinché conseguissero la terza media)… Prendemmo ragazzi che venivano dalle “periferie” della Basilicata e li ospitammo presso famiglie del rione affinché potessero studiare: uno di loro oggi è vice primario di endocrinologia all’Università di Pisa.


Ha avuto anche parrocchiani che poi sono diventati politici?
Sì. Ne cito uno solo: Pinuccio Messina, che è stato assessore al Comune di Potenza e che ancora oggi collabora con noi ogni giorno.


La sua “pastorale d’assalto”, ovviamente, comprendeva anche la mensa.
La prima nacque nel 1972, per i ragazzi del doposcuola (ci lavoravano 30 volontari universitari). La mettemmo su senza nemmeno un soldo: mi feci prestare un milione di lire da due fidanzati (era il loro pre-salario) e con quei soldi comprai la cucina. Poi sindaco e presidenti di provincia e regione mi diedero 3 milioni ciascuno. Pensi, un fornitore ci consegnò cibo “a credito” per un anno. La mensa chiuse nel 1974, contestualmente all’esperienza del doposcuola.


Invece la mensa dei poveri, quella de “Il Samaritano”, quando nacque?
Nel 1988, grazie all’intervento dell’allora assessore alle politiche sociali Antonio Potenza, che ci diede 520 milioni di lire per ristrutturare questi locali e quelli di sopra (la scuola di musica). Io gli avevo chiesto molto di meno, ma lui aveva risposto: «Con 100 milioni non ci fai niente». La mensa dei poveri operò per 23 anni, fino al marzo 2011, quando fu chiusa dall’Autorità Sanitaria perché –pur in presenza dell’autorizzazione sanitaria- una parte della cucina era più bassa rispetto alle norme vigenti.


Ma poi perché siete stati fermi sette anni?
Semplice. Perché i lavori strutturali necessari richiedevano circa 250mila euro, che noi non avevamo.


E ora come li avete trovati?
In concomitanza con l’anno giubilare, che coincideva anche con il 50esimo anniversario della parrocchia (nonché del mio sacerdozio), il Governatore Pittella ha ricevuto e accolto una nostra richiesta che prevedeva un progetto di inclusione sociale. Ha messo volentieri a disposizione 300mila euro, grazie ai quali abbiamo potuto fare dei lavori veramente straordinari. Adesso ci rimane solo di acquistare (oggi pomeriggio viene il fornitore), gli arredi e un furgone per il trasporto dei pasti. La mensa, inaugurata a inizio maggio nel corso dei festeggiamenti del quartiere, entrerà in funzione ai primi di giugno. Si chiamerà mensa Mensa della Solidarietà “Papa Francesco”. E’ gestita dalla Fondazione “Madre Teresa di Calcutta Onlus”, che io stesso ho creato.


Chi potrà venirci a mangiare?
Innanzitutto i poveri, ma anche persone sole, disoccupati, studenti, pendolari…


Il prezzo del pasto?
Per i poveri sarà comunque gratis, anche se con l’iniziativa “Aggiungi un posto a tavola”, abbiamo chiesto alla città (famiglie, scuole, parrocchie) di “adottare” un povero, fornendo un contributo di 6 euro a pasto. Per tutti gli altri, il prezzo non sarà di molto superiore a questa cifra.


Ma come farete a capire chi sono i veri poveri e chi no?
Ci sarà il “filtro” delle parrocchie e della Caritas, i quali –consultando l’ISEE di coloro che faranno richiestaci indicheranno quali sono le persone bisognose. Non so quanti ne verranno, ma posso dirle con certezza che i poveri sono aumentati.


Nel quartiere o in città?
In città. Per esempio, al nostro centro di ascolto c’è chi si reca per chiedere un aiuto per pagare la bolletta della luce o del gas, ma c’è anche chi chiede direttamente prodotti alimentari…


Oltre a essere aumentati, i poveri sono anche cambiati?
Assolutamente sì. Chi ha perso il lavoro è un nuovo povero. In questa categoria ci sono persone che non pensavano mai che un giorno si sarebbero trovate in condizioni d’indigenza, spogliati completamente, anche dal punto di vista psicologico. Il problema, in città, è la mancanza di lavoro.


Lei mi dice che Pittella le ha dato i fondi per fare la mensa dei poveri, ma non crede che la Politica debba muoversi molto prima, affinché poi non ci sia il bisogno di allestire mense del genere?
Certamente. La vera politica si occupa delle cause.


Il quartiere ospita anche molti immigrati. Alla mensa verranno anche loro?

Sì, stiamo pensando anche di fare una cena etnica, di tanto intanto, alla quale far partecipare tutti, a prescindere dalla provenienza. Una delle persone addette alla cucina sarà una straniera. E’ un segno di integrazione. Attorno a questa mensa, speriamo che nascano tante altre cose! Ci sono già degli africani che vengono a cantare nel coro della messa. E sono bravi.


Gli immigrati il pasto lo pagheranno?
Dipende dalle organizzazioni che li ospitano. Si potranno attivare convenzioni.


Torniamo a Pittella. Le ha dato una mano (300mila euro) per la mensa, ma poi magari in autunno le chiederà di fargli campagna elettorale in parrocchia…
Senz’altro chiederà di dargli una mano, ma non mi sembra una cosa così scandalosa.


E lei gliela darà?
Beh, nel rispetto della libertà di coscienza degli altri. Guardi, dal momento che si è stati attenti a tutti, perché non mostrare attenzione proprio verso chi si è rivelato VERAMENTE di aiuto alla nostra causa?


Immagino, allora, che con qualche altro politico avete avuto difficoltà a “interloquire”.
Eh eh eh!!! Mi viene da ridere. Cioè, ha ragione… in realtà… in generale con la politica abbiamo buoni rapporti, ma non è mancato chi non riusciva a capire il valore della nostra iniziativa. Ma guardi che questo è successo anche all’interno della Chiesa stessa.


C’è chi l’accusa di eccessivo “protagonismo”?
Sì, perché nel mondo lucano c’è molta invidia. Il ragionamento è: “Io non sono stato capace di fare quello che Don Peppino fa, e quindi neanche lui lo deve fare. Anzi, gli devo tagliare le gambe”. Da qui la critica. Da qui la calunnia.


In effetti… sul suo conto si sentono dire cose antipatiche.
Allora, negli anni 90, tramite la cooperativa “Il Samaritano”, io sono stato uno di quelli che ha creato più posti di lavoro. Siamo riusciti a prendere tanti lavori e di conseguenza tanti lavoratori. Questo ha creato molte aspettative, ma a chi non ha trovato spazio, non è rimasto che criticare: «Don Peppino prende i soldi». Scommetto che l’ha sentito anche lei.


Già.
Vede? Solo chi non fa niente sta al riparo.


Ma lei di errori non ne ha proprio fatti?
Tante cose nel quartiere si potevano fare meglio, ma la sostanza è 50 anni di dedizione a Rione Lucania.


“Potenza sta morendo”. E’ vero?
I potentini solitamente sono lamentosi, ma stavolta hanno ragione. Il centro storico è scomparso, la disoccupazione giovanile è ai massimi, la gente se ne va.


Il libro che la rappresenta?
I tre volumi che Papa Ratzinger ha pubblicato sulla figura di Gesù.


La canzone?
Quella di Dalla …sul marinaio che arrivava, con un accento straniero. (“4-3-43” – ndr)


Il film?
Non saprei proprio. Faccia lei.


Fra cent’anni cosa vorrebbe fosse scritto sulla sua lapide?
«Tentò di essere un buon samaritano per la sua gente».