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Che sia un artista (anche se a lui la parola non piace), lo si vede dall’aria perennemente pensosa, da esistenzialista preoccupato, e dagli improvvisi cambi di registro, nel tono della conversazione. E anche dal fatto, infine, che come foto a corredo dell’articolo ha preteso un “selfie” (strumento a suo avviso da rivalutare) e non una foto “banale” della conversazione. Armando Mango, paroliere, musicista produttore, è ricordato per gli exploit col compianto fratello Pino, ma ha scritto pezzi anche per Mietta, Patty Pravo, Loretta Goggi e molti altri artisti ancora (come vedremo). Lo abbiamo incontrato nel “Lanificio Mango” che gestisce a Lagonegro, un “bistrot” per definizione, ma che in realtà si propone di essere una fucina culturale e musicale in moto continuo.

Come giustifica la sua esistenza?
Non so se questa è una domanda bella o brutta (ride). In ogni caso, ho sempre cercato di improntare la mia vita alla correttezza, alla chiarezza, alla luminosità che dai a te stesso: non basta la luce che possiedi, ma occorre saperla trasmettere esternamente.


Ma oggi chi è Armando Mango?
(Silenzio). Oggi? E’ uno che ha un passato in più. Siamo anche figli del nostro vissuto. Tuttavia, azzardare è una cosa importante: da ragazzo mi chiedevo spesso cosa avrei fatto “da grande”, ma mi rispondevo sempre che comunque avrei avuto a che fare con la musica. Per mio fratello Pino era lo stesso. Iniziammo che eravamo adolescenti.


Quando avete capito che la musica sarebbe diventata veramente il vostro lavoro?
Dall’inizio. Per noi due la musica… le nostre canzoni, non sono mai state un hobby. E’ un discorso che ha a che fare con la passione. E’ Lei stessa che ti segna il percorso. Basta seguirlo. Le confesso, comunque, che la parola “arte” non mi piace molto e non l’ho mai usata riferendomi a me stesso.


Non si reputa un artista?
Non spetta a me dirlo, deve venire dagli altri.


Vabè, ma dopo tutte le cose che ha fatto…
Sì, ma lo devono dire comunque gli altri! Chi comincia sentendosi già un artista è fallito in partenza, ma in ogni caso, nel momento in cui ti convinci di essere tale, vuol dire che sei prossimo alla fine.


Perché?

Perché un artista vero non sa di esserlo. E’ un cercatore, che va oltre, e quindi cerca quello che non sa. Se lo sapesse, non lo cercherebbe.


Qual è la prima canzone che ha scritto?
Mah, è difficile, più che altro ricordo la prima volta che scrivemmo un pezzo e ci dicemmo: «Questa è una bomba!». E’ stato nel caso di “Se mi sfiori” e di “Sentirti”, composte nei primi anni Settanta, che hanno cantato anche –rispettivamente- Mia Martini e Patty Pravo, che a metà di quel decennio dominavano la scena. Addirittura, Patty Pravo cantò tre o quattro dei nostri brani nel suo album internazionale prodotto da Vangelis (“Tanto”, Aprile del 1976 – ndr). Mia Martini cantò il nostro brano in un album arrangiato da Luis Bacalov (“Che vuoi che sia”, Maggio 1976 – ndr). Non so se mi spiego: due premi Oscar hanno lavorato su alcuni nostri brani, prima ancora che uscisse l’album d’esordio mio e di Pino (“La mia ragazza è un gran caldo”, Ottobre 1976 - ndr)! Non è certo una cosa che accade a tutti gli esordienti!


Ma come arrivaste alla RCA?
Partimmo, con un panino nella tasca, a portare le nostre canzoni...


Si, ma i Lucani credono sempre che le cose siano al di fuori della loro portata. Immagino che le abbiano chiesto spesso «Come fecero due ragazzini di Lagonegro ad arrivare subito alla RCA a Roma?».
Sì, è vero, ma questa mentalità a noi Lucani ci uccide. Nasciamo briganti e moriamo coglioni. E lo scriva, per favore.


Sono qui per questo.
Noi non abbiamo mai chiesto né ottenuto favori da chicchessia, tantomeno dai politici. Comunque, come dicevo, arrivammo a Roma e basta. Anche se all’epoca fu un viaggio allucinante. E così, questi due minorenni di Lagonegro bussarono alla porta e furono ricevuti nientemeno che da Tonino Coggio, coautore di “Piccolo grande amore”, che all’epoca era impiegato come “interno” alla RCA. Ennio Melis era il grande vate, invece, l’inventore dei cantautori. Facemmo sentire la nostra cassetta e ci fu risposto che ci avrebbero richiamato il venerdì successivo. Non trovando conveniente tornarcene al paese, aspettammo trepidanti in una pensioncina alla stazione Termini (“Rialto”), col solito panino tra i due comodini. Quel venerdì arrivò, e ci fu proposto un contratto d’opzione di sei mesi, che sarebbe poi diventato un vero contratto di edizione, della durata di sette anni. Fu così che iniziò tutto.


Quando arrivarono i primi soldi?
Anni e anni dopo. Il vero successo è arrivato dopo un decennio. Oggi è una cosa impensabile, visto che tutti vogliono andare subito a Sanremo. Noi non ci pensavamo proprio, anzi, quando ci proposero di andarci, tememmo che la nostra reputazione ne avrebbe risentito. Nonostante i soldi latitassero, però, noi continuammo a fare dischi: “Arlecchino” nel 1978, “E’ pericoloso sporgersi” nel 1982, più vari singoli. Ma erano tutti fi aschi, ragazzi! “Australia” non ha venduto una copia! Le cose cambiarono dopo il Sanremo con “Lei verrà” (1986 – ndr), ma a quel punto avevamo già dieci anni di carriera alle spalle e stavamo facendo un percorso “a salire”. L’anno prima, infatti, a Sanremo ci eravamo andati fra le nuove proposte. Fummo eliminati la prima sera e Beppe Grillo, che stava nel nostro albergo, venne e disse a tutti «Ma come, mi avete eliminato Mango? Ma siete impazziti!?». (imita la vocetta – ndr).


Ma nel corso di quella gavetta lunga e dura, avevate mai pensato di mollare?

Certo, ma la passione ti fotte sempre.


Ma Sanremo è truccato?
Scusi, ma che vuol dire “truccato”?! Anche se fosse, chi se ne frega? Mi spiego: anche se vince Tiziana Rivale nell’anno di Vasco Rossi, cosa cambia? Alla fi ne è comunque “l’anno” di Vasco Rossi! Se Ravera “truccava” –in senso lato- in qualcosa, era piuttosto nello spingere quegli artisti che secondo lui erano sul punto di sfondare. La vittoria del Festival non c’entrava nulla in tutto questo.


Una volta c’era Mango, oggi il personaggio pop più forte della Basilicata –o meglio, “dalla” Basilicata- è Arisa. Le piace?
Sì che mi piace. Quella volta che esordì a Sanremo, alcuni amici musicisti mi dissero «Non puoi immaginare chi si presenterà quest’anno, una cagata immane, un personaggio ridicolo!». E così, eravamo lì davanti alla tv, ma quando vidi e sentii Arisa, dissi subito a quegli stessi amici «Voi non capite un cazzo. Questa vince, sfonda e spacca il culo a tutti».


Dopo la morte improvvisa di suo fratello ci furono molte polemiche. Quand’è che iniziò a non gradire il lavoro che si stava facendo con lui e su di lui?
Molto prima che morisse, cioè da quando aveva iniziato a fare delle cose senza di me. Pino che si mette a fare cover di altri? Ai nostri tempi non se ne parlava neanche! Non era più quel Mango…. ritengo dipendesse dalle persone che lo circondavano.


Parla dal punto di vista artistico?
Non solo (da quel punto di vista era in atto un disastro), ma anche da quello emotivo ed emozionale. Che poi negli ultimi anni Pino stesse bene o stesse male, non saprei dirlo. Non ci sentivamo più. Ma avrei alcune domande. Primo: se stava male, è possibile che non lo sapesse nessuno? Secondo: se stava male, che ci faceva su quei palchi? Terzo: se invece stava benissimo, perché è morto, allora? Ma ora io domando a lei: un personaggio pubblico muore davanti a un pubblico, in un luogo pubblico, e nessuno pensa di fare l’autopsia? In che Paese viviamo?Allora, cosa mi risponde?


Che siamo in Italia.
Ecco, cazzo! Farsi delle domande è importantissimo! Io non do delle risposte, ma invito lei e i lettori a farsi delle domande.


Ma lei perché litigò con suo fratello?
La domanda non è ben posta. Io non ci ho mai litigato, semplicemente perché da un certo momento in poi non l’ho visto più. Abbiamo interrotto i rapporti. E’ diverso.


Qual è la maniera giusta per preservarne la memoria? C’è l’ottimo progetto di Graziano Accinni…
Certo, con cover e proposte intelligenti. Ma Mango stesso bisogna anche farlo sentire! Dalla sua morte mi sembra che invece sia calato una specie di silenzio. Voluto? Non lo so, ma questo non dipende più da me: c’è una moglie, ci sono dei figli. A meno che, come nel caso di David Bowie, una moglie poi rinunci alle gestione dell’immagine del defunto marito, ritenendo che appartenga ai fan. Se la moglie di Bowie, invece, imponesse un silenzio, significherebbe farlo morire due volte. Vorrei però precisare una cosa: in quell’occasione io non ho perso un fratello solo, bensì due (poche ore dopo, per il dispiacere, morì anche Giovanni – ndr). Il valore affettivo, così come il dolore derivante, è assolutamente lo stesso.


Spesso si sente dire che le canzoni di Mango può contarle solo Mango.
Sì, lo dicono, ma è una cosa che mi manda in bestia. E’ una cosa che allontana dal “Mondo Mango”, piuttosto che avvicinare. E’ come dire che quello è un pianeta irraggiungibile, quindi meglio non provarci neanche. E’ sbagliato. Ed è fastidioso. Una cosa è “imitare” Mango, o cercare di cantare come lui, altra cosa è cantare le sue canzoni! In tantissimi lo hanno fatto: Mina, Scialpi, Patty Pravo, Mia Martini, Mietta, Loredana Bertè, Andrea Mirò, Michele Zarrillo (che ha cantato “Amore per te”, un brano che ha venduto in totale tre milioni di copie)… quindi qual è il problema?


Veniamo alle questioni lucane. Sabato prossimo (oggi, per chi legge – ndr), qui al Lanificio Mango, suoneranno i “Brexit”. A Potenza, all’esito delle ultime elezioni, i grillini hanno molto parlato di “Pittellexit”. Posso chiederle per chi ha votato?
Per il Movimento Cinque Stelle, sul mio profilo facebook è scritto ovunque. E “Pittellexit” è carino. In questi ultimi anni la stanchezza del “già saputo” è arrivata al limite. Non è possibile che con tutto quello che abbiamo, acqua, boschi, mare, petrolio compreso (anche se di benefici ne ha portati ben pochi), non si sia combinato nulla. Non è possibile.


L’obiezione più spesso mossa ai pentastellati è però l’inesperienza: “Non hanno mai governato”.
Ma che ragionamento è? Allora, chi non ha mai cantato è meglio che non canti? Come si fa a dare le colpe a priori? Quando Pittella è stato eletto la sua primissima volta aveva già “governato”? Contano l’entusiasmo, la passione, la volontà che ci metti, non certo l’errore grammaticale (come imputato invece a Di Maio), che può scappare a tutti.


Ha detto che dalla politica lei e Pino non avete mai avuto nulla. Ma, al contrario, la politica vi ha mai cercato? Vi ha mai chiesto delle cose?
L’avessero fatto! Io glielo dicevo sempre «Usateci, in Basilicata!». Eravamo primi in classifica con “Sirtaki”, avevamo venduto un milione di copie, e quelli niente! Pensi che certi politici li incontravo per strada e mi dicevano, «Ma nella vita, poi, cosa fate?». Assurdo. Avremmo potuto fare promozione, gratuita, alla Basilicata. Ma lo facevamo comunque: Pippo Baudo –e non solo lui- lo ammonivo sempre: «Non ti confondere, eh? Noi siamo della Basilicata, non della Calabria!».


Ma adesso, con Matera 2019, le cose stanno migliorando, secondo lei?
E io chiedo a lei: a Matera chi è che viene chiamato, Armando Mango o il primo Mogol di turno?


Mogol ci è andato spesso.
E’ questo il punto! E’il politico che cerca Mogol? O il contrario? Secondo me è il contrario. Chi chiameranno a Matera: Graziano Accinni o il primo chitarrista che viene da Milano? Ma, ovvio, quello di Milano! Ma allora, dico io, che “Cultura” è se non portiamo acqua al nostro mulino? E’ la terza volta, da quando è morto Mango, che la Regione Basilicata sostiene il CET, Centro Europeo di Toscolano, di Mogol, che è in Umbria. Ma, allora, di che stiamo parlando? E le dico un’altra cosa: gli artisti non si creano certo a scuola. Glielo garantisce Armando Mango.


Qual è una sua canzone che meglio si adatterebbe alla Basilicata di adesso?
“Amore per te”, perché noi Lucani dovremmo volerci molto più bene.


Adesso mi dica la canzone non sua che preferisce.

“Vita Spericolata” di Vasco Rossi.


Il film?

“Il pranzo di Babette”.


Il Libro?
“Cent’anni di Solitudine”, di Gabriel Garcia Marquez.


Fra cent’anni cosa vorrebbe fosse scritto sulla sua lapide?
Niente, a parte nome e cognome. In effetti, non è che me ne freghi poi molto.