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Non piace il nuovo logo di Matera 2019. Su questo la Fondazione Matera Basilicata 2019 è riuscita a mettere tutti d’accordo. Tutta la città, unanimemente, si è espressa in tal senso.

Anzi già nell’aprile 2016 la massima assise cittadina riunita in un consiglio straordinario proprio per discutere sul mantenimento del vecchio logo ribadì, attraverso i vari interventi dei consiglieri, la ferma ed unanime volontà di non cambiare il vecchio marchio di Matera 2019. Alla fi ne della seduta il Sindaco di Matera dichiarò con fermezza la volontà di non cambiare il logo di Matera 2019. Oggi quelle dichiarazioni suonano come le “ultime parole famose”. Il logo è stato già adottato e si “affianca” al vecchio da usare nelle “cerimonie altamente istituzionali”. Con il risultato certo di ingenerare soltanto confusione e con la mesta presa d’atto che la volontà dei cittadini conta quanto il due di picche. Del resto il nuovo logo non è nato sotto una buona stella. Infatti il logo “vincente” del bando indetto nel febbraio 2016 era l’unico che ha raggiunto la suffi cienza su 450 loghi partecipanti. Dunque l’adozione del logo di Ettore Concetti è stata una scelta obbligata da parte della Fondazione essendo tutti gli altri loghi “impresentabili”. In ogni caso il logo è stato bocciato anche dagli esperti non fosse altro perché la sua adozione ha creato un serio problema di comunicazione. Abbiamo un nuovo logo ma il titolo di “Capitale europea della cultura” abbinato a Matera si è perso: così hanno deciso i guru della comunicazione che hanno fatto il bando. Sul nuovo logo è sparita la dicitura “Capitale Europea della Cultura” che fino a ieri accompagnava il nome di Matera e l’anno in cui ciò avverrà, il 2019. In sostanza il vecchio logo era completo perché sotto la scritta “Matera 2019” compariva sempre “Capitale Europea della Cultura” cioè l’oggetto stesso della comunicazione. Nel nuovo logo, dal punto di vista della comunicazione il nome Matera e l’anno 2019 insieme a “Open Future” (cioè il tema scelto per la città culturale) non sono sufficienti a spiegare l’essenziale, cioè l’investitura a Capitale Europea della Cultura. A cosa serve un logo con il nome di una città, un anno di riferimento ed il tema “Open Future”? Per chi legge potrebbe trattarsi di una fiera che avrà luogo in città il prossimo anno, o di un evento generico riguardante il tema “futuro aperto”. Del resto il bando per il nuovo logo nemmeno lo prevedeva che alla scritta “Matera 2019” fosse abbinato il suo ruolo di Capitale della cultura europea, ma soltanto l’inglesismo “Open Future” (ma se stiamo in Italia perché dobbiamo parlare inglese ?). Il vero problema del nuovo logo non è il suo essere incomprensibile come ideogramma, il vero problema è che scompare la dicitura Capitale Europea della Cultura. Rimangono il “dove” e il “quando” ma non il “cosa”. E’ come dare un appuntamento a qualcuno in un posto senza specificargli il motivo. Ma la responsabilità non è della giuria ne del progettista del logo. La responsabilità è di chi ha fatto il bando che ai grafi ci ha richiesto (come si legge all’articolo 2.5 e 6) “una versione a colori, riportante la scritta MATERA-BASILICATA 2019; una versione a colori, riportante la scritta MATERA 2019. OPEN FUTURE; una versione in bianco e nero in riduzione del 50% riportante la scritta MATERA-BASILICATA 2019; una versione a colori in riduzione del 50% riportante la scritta MATERA 2019. OPEN FUTURE”. La scritta Capitale Europea della Cultura non è mai richiesta dal bando. E’ sparita già nel bando. E con essa sembra essere andato a farsi benedire pure il titolo conquistato il 17 ottobre 2014. Le conseguenze di questo grave errore di comunicazione sono evidenti: sulla home page del sito istituzionale di Matera 2019 non si legge da nessuna parte che Matera è Capitale Europea della Cultura nel 2019. Dunque il logo parla dell’appuntamento a Matera nel 2019, ma non dice il perché...

 

IL PARERE DELL’ESPERTO: PINO OLIVA
«Il logo-marchio “balla” troppo: questa città non è un’Azienda»

PinoOliva

Pino Oliva, grafico materano, riassume non solo le perplessità tecniche sul marchio, ma anche la gestione dell’intera vicenda che ha escluso la giuria popolare. “Difficilmente mi esprimo su lavoro di altri soprattutto in questo caso in quanto non ho partecipato al regolare Bando. Un parere tecnico posso però serenamente esprimerlo con massimo rispetto per il realizzatore: il logo-marchio “balla” troppo nella costruzione, non ha un centro ottico facilmente individuabile e mi sembra vetusto e freddo nel visual. In riduzione i colori si impastano e ne risente la leggibilità. Abbandonarsi a speculazioni complesse per descriverlo a tutti i costi sembra una inutile forzatura, rincorrere connessioni con il Borgo La Martella e il suo ordine architettonico in contrapposizione al Caos naturale dei Sassi mi sembra anche questa una debole riflessione, scomodare il solito Fibonacci per richiamare armonia e continuità evolutiva risente di torpore retorico. Di converso le applicazioni video dinamiche e sonore con il marchio in movimento funzionano, e anche molto bene. Ai marchi ci si abitua e nel tempo funzionerà. La mancata scelta popolare del marchio così come da regolamento da Bando invece è saltata: un solo marchio su oltre 400 ha ottenuto dalla commissione giudicante il punteggio richiesto. Ne sarebbero bastati tre con punteggio consono e si sarebbe proceduto a voto popolare sui tre con massimo punteggio. Una città intera avrebbe scelto, un dibattito diverso si sarebbe creato, l’Open avrebbe infine vinto su tutto, si sarebbe magicamente materializzato, la Fondazione avrebbe riallacciato i suoi intenti con i cittadini, i cittadini si sarebbero nuovamente sentiti parte di un progetto che, attenzione, li riguarda fortemente, i giornali di tutto il paese avrebbero lodato la commistione tra istituzioni e la gente comune: si chiama processo democratico costruttivo. No, niente di tutto questo è accaduto. Si è deciso matematicamente per un solo marchio meritevole su oltre 400 evidentemente ritenuti di bassissimo profi lo scavalcando così l’opzione della giuria popolare. Si è deciso che i marchi li scelgono i professionisti e basta. Ma questa è una città con una storia immensa, non un’azienda. Qui non si fanno solo denari, qui si gioca con il passato e con il futuro della collettività. È altra cosa. E la collettività ama essere “collettiva” , partecipe, coinvolta, coinvolgente, amata, considerata. Una grande occasione persa. Ne sono molto dispiaciuto, e questo nulla ha a che vedere con le “forme del marchio”. Il marchio sarà commisurato al contenuto che ci metteranno dentro. La scelta popolare sarebbe stata madre e padre del contenuto. Matera è unica e tale resterà. Sempre”.