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Accogliere la modernità senza dimenticare la tradizione. È questo lo spirito che guida Don Carmine Lamonea, parroco della chiesa di San Michele Arcangelo a Potenza dal 2023, che ha introdotto l’utilizzo del Pos per la raccolta delle offerte. Un gesto innovativo, pensato per venire incontro ai fedeli e ai tanti turisti che spesso non hanno contanti con sé. In questa intervista, Don Carmine parla delle reazioni alla sua iniziativa, delle sfide del sacerdozio nell’era digitale e del ruolo della parrocchia come luogo di fede, cultura e aggregazione.

d- Tempi moderni, quindi le offerte le facciamo col pos. Come mai questa sua iniziativa?

Ho scoperto questo metodo di raccolta di offerte andando in giro nei santuari, al centro-nord è molto diffuso; e tramite un amico di Perugia, che ha messo questo sistema di raccolta nel Duomo, ho pensato anche io di anticipare un po' i tempi, perché prima o poi si diffonderà un po' dappertutto. Molta gente va in giro ormai senza contanti, quindi è un modo per raccogliere le offerte anche attraverso questo canale. Ma soprattutto la riflessione parte anche da un altro fatto: in chiesa raccogliamo le offerte secondo il modo tradizionale, col cestino, con le preghiere davanti ai santi, con le monetine, con l'accensione di candele, però entrano in questa bella chiesa molti turisti, e ce ne sono tanti che usano questo modo di pagare; pertanto molti turisti, anche non credenti, possono in questo modo anche fare un'offerta, senza per forza mettere una monetina sotto al santo: è un'offerta che si fa soprattutto per le bellezze artistiche della chiesa.

d- I fedeli cosa ne pensano di questa iniziativa?

Molti mi hanno detto che piace, altri forse non condividono, e non mi hanno detto nulla; però sinceramente io dico che è una cosa positiva, è anche trasparente, perché l’offerta va direttamente sul conto della parrocchia, quindi è un modo sicurissimo, è uno strumento che si aggiunge e che piano piano dobbiamo anche imparare a conoscere, a usare. Bisogna familiarizzare con questo nuovo metodo, tutto qui.

d- Cosa vuol dire oggi essere un parroco, essere un prete?

Io sono sacerdote da 24 anni, dal 2001, sono proprio di Potenza, originario della cattedrale di San Gerardo, e certamente in questi 25 anni è cambiato il modo di essere sacerdoti e parroci, perché è cambiato anche il modo di approccio dei fedeli alla vita parrocchiale. Il Covid, lo sappiamo tutti, ha veramente molto inciso: tanti non sono più ritornati a messa da allora, ma forse si è fatta una specie di scrematura, se vogliamo, tra chi forse veniva per determinati motivi e chi viene per una fede più profonda, oppure per una ricerca interiore, sincera, autentica. Oggi è molto difficile, è molto complicato, perché comunque è cambiato il modo di comunicare, lo sappiamo tutti, e quindi questo incide tantissimo.

d- Tanti entrano in chiesa con il telefonino: magari leggono le preghiere, forse mandano il messaggino, forse si distraggono: quindi non sempre ha il suo lato positivo l'utilizzo del telefonino?

Certo, io cerco sempre di evitare questo strumento tecnologico nei nostri ambienti. So che alcuni cori adottano i tablet o i telefonini per leggere i canti, gli spartiti. Noi preferiamo fare le fotocopie, e preferiamo anche acquistare i foglietti la domenica per portarli anche a casa dopo la messa. Diciamo che il foglietto ci ha un po' viziati, perché la parola di Dio va ascoltata, non va letta, però può essere uno strumento utile ancor di più dopo la messa, o meglio, al termine della domenica. La domenica sera io invito i fedeli a portare i foglietti a casa, perché poi io li dovrei buttare, ovviamente. All'inizio del mio sacerdozio, nei primi anni, mi arrabbiavo tantissimo quando a qualcuno squillava il cellulare e andava fuori a rispondere. Adesso mi sono un po' stancato, perché capita spesso. Veramente dovrei arrabbiarmi un giorno sì, un giorno no, perché comunque si è proprio persa l'abitudine a togliere la suoneria, a spegnere, oppure a rinviare. Quando si entra in chiesa, il telefonino bisogna dimenticarlo.

d- Frequentare una parrocchia vuol dire anche aggregazione e cultura, oltre che fede?

Certamente, qui dietro abbiamo un bell’oratorio, uno spazio che utilizziamo per accogliere tanti ragazzi che vogliamo ascoltare, incontrare, conoscere, di cui siamo amici ovviamente, e che speriamo contraccambino. Vogliamo educarli, soprattutto: da noi possono ascoltare delle parole che forse hanno dimenticato altrove, che non sentono più da nessuno. Spesso e volentieri io li rimprovero, anche, amorevolmente però, per il loro bene, loro lo sanno. Forse siamo rimasti in poche istituzioni a cercare di correggere ed educare i giovani, e ovviamente questa bella chiesa è una cultura che parla da sé.

testimonianza raccolta da Rocco Esposito