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Cari Contro-Lettori,

c’è qualcosa di tragicomico, da commedia all’italiana (a rischio di essere ripetitivi), nel modo in cui la Basilicata “affronta” – da decenni – i propri guai. L’acqua scarseggia? Abbondano i tavoli. Lavori pubblici eterni, agricoltori furibondi e politici che rispolverano il latino –come suggerisce il nostro opinionista Mario petrone- per promettere miracoli nel tempo futuro. “Spero, Promitto, Iuro”: come dire, l’“infinito” delle promesse.

Intanto, nelle campagne, coltivare è diventato un atto di fede. Ma non c’è solo la siccità idrica: è l’intero sistema ad avere sete di buon senso. Il sistema sicurezza, per esempio: le forze dell’ordine fanno miracoli quotidiani con personale ridotto all’osso. E mentre la regione arranca in mezzo a deserti – fisici e istituzionali – c’è chi continua a vendere oasi. I giovani fuggono, i borghi si svuotano, e intanto siamo il lunapark del Mezzogiorno, dice qualcuno, con montagne russe che vanno solo in discesa.

Nel frattempo, i borghi si svuotano come le sale consiliari dopo i buffet.

La prima dignità da restituire? No, non la “meritocrazia” (che ormai è un “meme”), ma il salario. E forse ha ragione il professor Carmine Cassino: se vuoi trattenere i tuoi figli, devi almeno pagarli. Dignitosamente.

Ma in Basilicata, si sa, la pazienza è l’unico bene davvero distribuito a pioggia. Che in ogni caso non è infinita. Infatti, in questa tragicommedia lucana, la vera notizia è che la gente – pur incazzata – continua a portare pazienza. Ma per quanto ancora?

Perché il rischio più grande, alla fine, non è la siccità. È che anche la speranza, un giorno, vada in esilio.

Walter De Stradis

La foto (archivio Alliegro) è tratta del volume                                

"Io già mi parto, o Madre cara",                      

a cura del Prof. Carmine Cassino - Comune di Lauria