- Redazione
- Categoria: Attualità
- Sabato, 21 Settembre 2024 07:51
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di Walter De Stradis
A rileggere la trascrizione dell'intervista, si evince che il suo verbo preferito è probabilmente “spingere”.
E ben si comprende, visto che il 25enne Donato Telesca (da qualche mese entrato nella Polizia di Stato come atleta-poliziotto), nel sollevare (cioè spingere in alto) pesi, ha vinto e stravinto dappertutto, battendo record mondiali e collezionato medaglie, ultima in ordine di tempo quella di bronzo ai recentissimi Giochi Paralimpici di Parigi.
L’atleta pietragallese in questi giorni è stato dunque celebrato e festeggiato dappertutto (a cominciare dal suo paese) e quando lo incontriamo al ristorante ha appena ricevuto, assieme alla fiorettista potentina Francesca Palumbo, una medaglia commemorativa dalle mani del presidente del Consiglio regionale Marcello Pittella.
d - Come giustifica la sua esistenza?
r - Cercando di lasciare un segno, di ispirare le persone. Come? Dimostrando, non a parole, ma con un esempio concreto, che è possibile non arrendersi mai e raggiungere i propri obiettivi nonostante le difficoltà.
d - A sua volta, mi pare di ricordare, lei è stato ispirato dall’esempio di qualcuno.
r - Ho incontrato Alex Zanardi quando ero piccolino. Eravamo in ortopedia e a entrambi stavano preparando le protesi. Conoscere un campione dello sport paralimpico per me è stato importantissimo e sicuramente ha influenzato molto le mie scelte, inculcandomi l’idea di potercela fare. Si può dire che è stata la proverbiale luce in fondo al tunnel. Il faro di cui avevo bisogno.
d - E perché lei scelse la pesistica?
r - Iniziai a praticarla in palestra molto giovane. Capii di aver imbroccato la strada giusta fin dall’inizio, poiché spendevo tutto me stesso, ma non mi pesava. Capii che gareggiare in quel mondo, rapportandomi con le giuste persone, era ciò che mi piaceva davvero.
d - A parte Zanardi, c’è un personaggio a cui deve dire grazie?
r - Sicuramente ad Arnold Schwarzenegger, un idolo che mi ha ispirato col suo esempio: “non importa da dove parti, ma dove vuoi andare”. Lui era un ragazzo con dei sogni, che una volta arrivato in America ha fatto diventare realtà, prima nel bodybuilding, poi nel cinema e poi ancora addirittura nella politica!
d - Schwarzenegger è stato infatti governatore della California per tanti anni; anche lei sogna, magari più in là, di entrare in politica?
r - Guardi, onestamente non so rispondere. Sicuramente vorrei lasciare un segno anche in altri ambiti...se poi il destino vorrà che io entri in politica, beh, dovrà essere in un ruolo che mi consentirà davvero di fare delle cose, perché a me non piace parlare a vuoto. Sono un uomo di sport e se ci sono le condizioni per dare il mio vero contributo, sono lieto di farlo. Mi percepisco come un uomo al servizio della Patria e del popolo.
d - Lei è di Pietragalla, comune in provincia di Potenza. Quando un Lucano ce la fa, siamo un po’ tutti portati a porci una domanda, che le rigiro: lei è andato alla conquista del mondo, ma è stato difficile partire da un piccolo centro della Basilicata?
r - Assolutamente sì. Molto difficile. Qui manca davvero tanto: le visioni, la reale voglia di fare, le persone giuste che ti possano accompagnare. Io ho sopperito a tutto questo con una estrema voglia di farcela, la voglia di spingere più forte degli altri. Ce l’ho fatta, ma non nascondo che è stato difficile. E infatti uno dei miei grandi progetti è proprio quello di consentire alle generazioni future di aver il giusto “ecosistema”, il giusto posto, per raggiungere alti livelli. Ho avuto già modo di accennarne, proprio oggi, al Presidente del Consiglio Regionale, Pittella: cambiare il tessuto sportivo della Basilicata, con il mio esempio e con la mia esperienza. Lui mi è sembrato molto ricettivo e chissà che nel giro di due-tre anni non accada già qualcosa.
d - Ma cosa è mancato finora? Le strutture, il personale formato, le società sportive...?
r - Un po’ tutto. Ma in ogni cosa ce la si può fare comunque, basta mettersi al lavoro con caparbietà e sistemare le situazioni varie. Io l’ho fatto, ma quanto è stato difficile! Il 99% delle persone non ce l’avrebbe fatta. Come dicevo, ci vuole tantissima forza di volontà e a volte si tratta di rimetterci anche di tasca propria. Quante persone lo farebbero? Questa è la vera domanda. Dunque va data una possibilità a tutti quanti, il che di conseguenza porterebbe a più persone formate e a più strutture.
d - Con Pittella ha parlato di un progetto: può essere più specifico?
r - L’idea è quella di una specie di centro regionale, multi-sportivo, di preparazione olimpica. Non parlerei però di “palazzetto”, perché quel tipo di modello ritengo non sia vincente, bensì di una palestra polivalente. Negli ultimi sei anni mi sono allenato nei più grandi centri di preparazione italiani e anche nelle palestre americane, e quindi ho compreso quale può essere il sistema vincente, utile a ospitare atleti, persone che amano lo sport e coloro che vogliono semplicemente allenarsi.
d - Lei attualmente, per ragioni sportive, vive in Campania. Tuttavia, come già accennato, gira per il mondo e spesso fa la spola da e per la Basilicata. Quando torna in questa terra, dopo aver osservato le altre le realtà, qual è la “carenza” che più di altre le salta all’occhio?
r - Quando torno in Basilicata noto desolazione, una situazione molto “spenta”, tanta rassegnazione. C’è una specie di paura del cambiamento, perché non ci è mai stata data la possibilità di vederlo accadere, e siamo scoraggiati. La mia non è una critica rivolta ad alcuno, per carità, ma sono per natura portato a osservare una situazione e a pensare a cosa si può fare in merito. Mancano le infrastrutture? Bene, mettiamoci al lavoro, perché le situazioni di altre regioni dimostrano che non è impossibile ottenere certi risultati. Sa, da sportivi noi siamo abituati a rimbeccarci le maniche, il discorso ci viene più facile.
d - C’è un qualche tipo di domanda, su di lei o sullo sport paralimpico in generale, che la stampa le rivolge sempre e che magari le infastidisce? (Sperando di non avergliela già fatta io).
r - Non credo ci siano domande scomode, se uno ha sempre il coraggio di rispondere. Più che altro a volte c’è il luogo comune, tra la gente, che ci vede come persone con grandi difficoltà che non riescono a fare tante altre cose. La verità è che fra il mondo paralimpico e quello olimpico non c’è alcuna differenza; anzi, nel nostro aumentano le difficoltà. La competitività degli atleti paralimpici ormai ha raggiunto livelli tali da raggiungere quella degli atleti olimpici.
d - Anche a livello mediatico, lo sport paralimpico, ormai da anni, non è più una semplice “curiosità”, come poteva esserlo tempo fa.
r - Certamente. Il mio amico Simone Barlaam, fortissimo nuotatore, nell’ultima gara ha stabilito un nuovo record mondiale: 23”90 nei 50 metri stile libero. Si tratta di velocità che non coprono nemmeno le persone “normali”. Pertanto, se una persona a cui magari manca un piede, riesce a ottenere certi risultati, beh, dimostra che parlare di “sport minori” è ormai quantomeno riduttivo.
d - Anche lei riesce a fare cose che la maggior parte delle persone non potrebbe mai fare.
r - Sì, è così.
d - Il film che la rappresenta?
r - “Rush”: è la storia, vera, dei due corridori Niki Lauda e James Hunt. L’idea è sempre quella di andare sempre oltre, di continuare a spingere sull’acceleratore, di spingere una vita ai limiti delle proprie possibilità.
d - Niki Lauda subì un incidente che avrebbe stroncato la carriera a chiunque.
r - E lui si è rialzato e ha spinto più forte che mai.
d - La canzone?
r - Non saprei dire, non sono un appassionato.
d - Il libro?
r - Beh, il mio! (risate). S’intitola “In piedi” e racconta la mia storia nel dettaglio.
d - Tra cent’anni scoprono una targa a suo nome: cosa le piacerebbe ci fosse scritto?
r - Domanda profonda. Direi: <<A colui che ha dimostrato che i limiti sono fatti per essere infranti>>.