- Redazione
- Categoria: Attualità
- Sabato, 07 Settembre 2024 09:25
di Walter De Stradis
Quando, ogni
notte, negli
studi romani
di Via Teulada,
un ospite di
“Sottovoce” sceglie il “suo”
brano, è Dina Lopez ad
eseguirlo al piano e a cantarlo.
Ebolitana di nascita,
«orgogliosamente venosina»
d’adozione, residente a
Potenza da sempre, la cantante
e maestra di canto, da un paio
d’anni, nel celeberrimo salotto
televisivo di Gigi Marzullo su
Rai Uno, sta probabilmente
vivendo il momento più felice
della sua già lunga carriera,
ma senza perdere mai di
vista i “valori” che la musica
può infondere alla vita. E
viceversa.
d- Come giustifica la sua
esistenza?
r- Lo scopo della mia vita è
fare del bene e credere in
Dio. Tutto ciò che faccio è in
funzione di Gesù.
d- E si può far del bene
cantando?
r- Assolutamente sì.
d- Sant’Agostino diceva “chi
canta prega due volte”. Più
in generale, invece?
r- Più in generale, la musica è
aggregazione, un momento
sicuro per voler del bene a
qualcuno. Pertanto credo che
essa stessa sia un dono di Dio.
d- Tuttavia, di recente, al
Premio “Brassens” di
Marsico Nuovo (lei era in
giuria), dal palco è stato più
volte detto che la musica pop
italiana di oggi ha preso una
deriva preoccupante, per
quanto attiene al contenuto
dei testi. Esiste dunque
anche la musica negativa?
r- Assolutamente sì.
d- E qual è?
r- La musica che non viene
guidata, curata, quella che
cresce magari in contesti...
in una società diversa da
quella in cui, fortunatamente,
abbiamo vissuto noi. I
contenuti pertanto spesso
sono sterili, e penso sia una
situazione irrimediabile.
d- Indietro non si torna?
r- Io credo di no. E ci ho
provato, anche, con i ragazzi
della nostra scuola di canto.
Molti non sono assolutamente
disposti a tornare indietro. Ho
trovato, con alcuni di loro,
una vera barriera; con molti
altri, per fortuna, si riesce a
trasmettere il concetto che la
musica è un’altra.
d- Certi ragazzi, insomma,
sembrano attratti da quella
“Trap” (chiamiamola così)
con contenuti a volte anche
sessisti.
r- ...sessisti e pieni di parole
sconce. Non mi ci rivedo
affatto. La musica è anche
comunicazione, e comunicare
certi concetti sterili, e a volte
anche aberranti, per me non è
certo una cosa positiva.
d- Magari certi giovani
pensano che quello sia un
modo per avere successo
subito.
r- Purtroppo sì, e a volte
utilizzano persino un
linguaggio che io non capisco.
Ma noi siamo lì apposta, per
poterli ridimensionare, anche
e soprattutto dal punto di vista
tecnico.
d- Una volta perlomeno si
cantava.
r- (sorride) Infatti. La musica
di una volta prevedeva
le cosiddette “fioriture”:
“melismi”, “acciaccature”,
“mordenti”. Oggi sembra
quasi il contrario: se lei ci fa
caso, in un “Talent show”,
se un concorrente fa cose
del genere, viene subito fatto
fuori. Whitney Houston?
“Sorpassata”. Christina
Aguilera? “Troppo blues”. E
così si privilegiano melodie
più “lineari”, con dei testi
a volte privi di significato,
con arrangiamenti sempre
uguali. Sono queste le cose
che piacciono nei “Talent”.
Ma anche le voci stanno
diventando tutte uguali, e
a volte è davvero difficile
distinguere un brano da un
altro.
d- Facciamo un passo indietro:
lei quando ha capito che
nella sua vita avrebbe fatto
la musicista di professione?
r- Devo tutto a mio padre,
il primo ad accorgersi di
questo mio, chiamiamolo
così, talento. A due anni e
mezzo già cantavo bene e a
tre anni e mezzo mi ritrovai
allo “Zecchino D’Oro” col
Mago Zurlì. Vinsi due volte
le selezioni regionali e poi fu
chiamata a far parte del Coro
dell’Antoniano di Bologna.
Ero già stata presa, mancava
solo la firma, ma purtroppo
questa cosa avrebbe stravolto
la vita della mia
famiglia e per
i miei genitori
non fu possibile
acconsentire.
d- La mette nel
c u r r i c u l u m
questa cosa
dello Zecchino
d’Oro?
r- Sa che spesso
mi dimentico
di farlo? Però
di recente
credo di averlo
scritto. Poi sa,
in verità, è mio
marito Stefano
che si occupa
di tutte queste
cose, perché io
spesso faccio
c o n f u s i o n e !
(ride)
d- Molti anni
dopo quella
d e l u s i o n e ,
però, si è presa una
“rivincita”, approdando alla
trasmissione “Sottovoce” di
e con Gigi Marzullo.
r- Sì. E’ successo che ho mandato
un provino, ma devo dire
che nel corso degli anni ho
conosciuto diverse persone che
si sono rivelate fondamentali
per il mio percorso musicale.
Ringrazierò per sempre
Enzo Campagnoli (maestro
d’eccezione a Sanremo, dal
curriculum impressionante);
e poi ho avuto contatti con
Mario Rosini, con gente di
grande valore, insomma.
Tutto ciò mi ha convinto che
potevo andare avanti, e quindi
ho fatto il provino, e sono
piaciuta. Marzullo ha deciso
di farmi lavorare con lui.
d- Marzullo le ha detto
qualcosa in particolare?
r- Assolutamente no. E’ successo
che sono andata a fare questo
provino, e c’era il presentatore
di “Agorà”, Roberto Inciocchi
-che io stimo moltissimo- e
ho eseguito un brano di Pino
Daniele (“Vivo come te”). In
realtà quello doveva essere
solo un provino, appunto,
una “puntata zero”, e invece
è andato in onda! Per me
è stata una vera e propria
apoteosi, mi sono commossa,
sulle prime non capivo
cosa stesse succedendo. Poi
finalmente ho realizzato... e
grazie a Dio sono ancora lì.
d- Fa la pendolare Potenza-
Roma?
r- Sì, e non so se mi trasferirò
mai. Vivere Roma è molto
difficile, ho notato. E poi
non vorrei lasciare la nostra
scuola di canto (“Pianeta
Voce”), che esiste da dieci
anni. Se me ne andassi,
lascerei i miei ragazzi in balia
delle onde.
d- In balia della Trap.
r- Eh sì! (risate). Ma non
generalizziamo, perché ci
sono artisti che comunque
valgono.
d- Lavorare in Rai con
Marzullo l’ha in qualche
modo cambiata?
r- Direi di no, perché io
vivo e continuo a vivere
nell’umiltà. Certo, è un lavoro
impegnativo, che non tutti
possono fare, in cui non ci si
può permettere di sbagliare.
d- A chi le piacerebbe
rivolgere una domanda
“marzulliana”?
r- Non ci ho mai pensato.
Marzullo è introspettivo, e le
sue domande non sono mai un
caso. L’ho notato nel corso
delle puntate, quando gli
ospiti si fermano a riflettere,
perché vogliono rispondere
bene.
d- Le suggerisco allora la
domanda che sottopongo a
tutti: “Se potesse prendere
il presidente della Regione
sottobraccio, cosa gli
direbbe?”.
r- Eh. Purtroppo, credo che
qui da noi la musica debba
ancora crescere. Spesso
abbiamo umilmente chiesto
degli interventi, degli aiuti,
ma è difficile essere ascoltati.
Credo che ci voglia un po’ di
varietà nello scegliere anche
gli aspetti musicali e artistici.
Pertanto direi al Presidente:
“Per piacere, ci vuole aiutare
a crescere? E magari aiutare
anche persone che non
possono permettersi di pagare
un corso di canto?”.
d- Lei ha fatto anche studi
di etnomusicologia. Se
non ricordo male, una sua
registrazione effettuata “sul
campo” ha portato anche a
una piccola scoperta.
r- Già. Francesco Foschino,
della redazione del giornale
“MATHERA”, mi contattò
perché voleva delucidazioni
sul ritrovamento di un canto di
tradizione orale, che si diceva
fosse pugliese. Invece, grazie
ai miei studi -del 2000- sulla
tradizione orale acheruntina,
si è scoperto che quel canto,
presente nella mia raccolta,
potrebbe essere anche lucano.
Il condizionale in questi casi
è d’obbligo, ma l’articolo che
poi pubblicò“MATHERA”
aveva per titolo: «Un caso
risolto».
d- La mia domanda
tormentone: sarà mai
possibile creare qui in
Basilicata, così ricca di
tradizioni musicali, un
evento della portata de “La
Notte della Taranta”?
r- Penso di sì, ma, come dicevo
prima, ci dev’essere la
collaborazione della Regione
e dei comuni. Penso che il
problema sia quello: di natura
economica.