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di Walter De Stradis

 

 

 

 

Il Commissario di Polizia in pensione (pluri-decorato con medaglie ed encomi vari, nonché Segretario Nazionale dell’Associazione Ispettori), Gianfranco Di Santo è da tempo anche scrittore.

Dopo essersi occupato di Brigate Rosse (“Le Verità Nascoste - Il Terrorismo Rosso in Italia”, 2008), e di reparti speciali (“Sicut Nox Silentes” 2021), per il suo ultimo libro ha deciso di dar corpo alla “sua verità” («che E’ la verità», afferma), sul caso del Commissario Anna Esposito, dirigente della Digos di Potenza trovata morta nel suo alloggio (presso la caserma “Zaccagnino”, in via Lazio), in circostanze quantomeno insolite (appesa alla maniglia della porta del bagno con una cintura stretta al collo), nel marzo del 2001.

Rimandando i lettori a un migliore, eventuale approfondimento, tramite la lettura del testo di Di Santo (“Il Commissario Anna Esposito”), con l’autore abbiamo più che altro cercato di far emergere quelle che possono essere questioni di natura più generale, ancora oggi urgenti per le forze dell’ordine.

d: Perché, dopo che si è scritto così tanto, e che il caso di Anna Esposito è stato ri-aperto e ri-chiuso, definitivamente (con l’archiviazione, ormai anni or sono, delle accuse nei confronti dell’unico indagato, il giornalista che aveva avuto una relazione con lei, e che è risultato estraneo alla vicenda - ndr), lei ha voluto tornarci sopra con questo libro?

r: Io ero il suo vice alla Digos, e la conoscevo benissimo, dal giorno in cui arrivò alla questura di Potenza. Era una persona davvero in gamba. Arrivò direttamente dalla Scuola Superiore di Polizia, ma aveva già avuto esperienze con la pubblica amministrazione, avendo ricoperto il ruolo di segretario comunale a Sant’Angelo Le Fratte. Perché questo libro? Perché non mi è piaciuto ciò che è stato scritto altrove, con ipotesi fantasiose, presenti in un altro testo, in particolare.

d: Si riferisce alla tesi dell’omicidio.

r: Esatto. Io fui tra quelli che trovarono Anna Esposito impiccata nel suo alloggio. Ripeto, la conoscevo bene, all’epoca passavo più tempo in ufficio che a casa con la mia famiglia.

d: Lei scrive che, come già ritenuto dalla magistratura, si tratta effettivamente di suicidio.

r: E’ASSOLUTAMENTE un suicidio. Io con questo libro ho voluto scrivere la mia verità. Che E’ la verità. Anna apparentemente sembrava una persona molto forte di carattere, ma non era così. Aveva vissuto, come un primo fallimento della sua vita, il matrimonio naufragato. Inoltre, una volta arrivata alla questura di Potenza, non tutti l’accolsero benevolmente, anzi, c’era molta invidia da parte di alcuni suoi colleghi funzionari; dopo un primo periodo di affiancamento, infatti, il Questore le aveva dato in carico la direzione della Digos di Potenza, uno degli incarichi più prestigiosi. Questo suscitò le invidie di alcuni colleghi più anziani che dirigevano uffici meno importanti. Anche il fatto che lei fosse molto preparata dal punto di vista giuridico suscitava delle invidie.

d: Anche perché era una donna?

r: No, questo non c’entra niente. In Polizia le donne ci sono dal 1981. Tuttavia, il questore fu sostituito da un altro, più anziano, prossimo alla pensione, che era assai influenzato da una moglie che non aveva molto in simpatia la Esposito. Di conseguenza, non l’ebbe in simpatia neanche lui e le rese la vita davvero difficile, sovente riprendendola. Nel libro io lo scrivo a chiare lettere, senza tema di smentite: sono tutte cose che possono essere confermate (alla Digos eravamo in quindici) e che ho riferito anche al magistrato, a margine del ritrovamento del corpo di Anna.

d: Insomma, in questura non c’era un clima facile.

r: No. Poi lei conobbe Luigi Di Lauro, giornalista Rai, se ne innamorò, e inizialmente sembravano felici, tanto che, a un certo punto, decisero di andare a convivere in una villetta. Mi rimase impressa la loro cucina blu, perché in quella casa ci andavo spesso, con mia moglie e mia figlia, che era coetanea di una delle due figlie di Anna. Lei era davvero una brava persona, sempre pronta ad aiutare gli altri...

d: Lei insomma dice che alla base del suo gesto c’erano forti delusioni affettive e problemi professionali.

r: Sì, sul piano sentimentale c’era il matrimonio fallito. Sul piano lavorativo, in questura addirittura lei iniziò a trovare, in ufficio o nella sua borsa, addirittura dei bigliettini denigratori, anonimi. Chi altri poteva metterli? Se non uno della Digos, anche se magari scritti da altri? Sono tutte cose dette al magistrato e messe agli atti. Poi, dopo essersi buttata a capofitto nella storia d’amore con Di Lauro, anche questa, come a volte succede, naufragò. Un’ennesima delusione, quindi: Anna, che aveva già un carattere non molto forte, si vide crollare il mondo addosso.

d: Nel libro lei critica il comportamento del cappellano della questura di allora, che –secondo quanto lei riporta, e che sarebbe agli atti- avrebbe raccolto le confessioni di Anna Esposito. Lei dice: sarebbe stato molto più utile, a quel punto, il sostegno di uno psicologo. Ci faccia capire: in Polizia, a parte le visite iniziali, non c’è poi l’assistenza di uno psicologo?

r: A seguito di un accordo Stato-Chiesa, in tutte le forze dell’ordine e nelle forze armate, ci sono i cappellani “militari”. Anche noi avevamo il nostro, don Pierluigi Vignola, per l’assistenza spirituale dei poliziotti e delle loro famiglie. Anna Esposito parlò con lui di questi suoi disagi, e gli confidò di aver già tentato il suicidio in passato, con le stesse modalità poi verificatesi. Quando gli fu contestato di non averlo detto alla famiglia o al questore, lui affermò che ciò gli era stato impedito dal segreto confessionale. Allora dico io: a cosa serve l’assistenza spirituale nelle forze dell’ordine? A niente, se poi i risultati sono questi! Noi facciamo una visita dallo psicologo, non appena arruolati. Dopodiché, io che sono stato in Polizia per quarant’anni, non sono stato mai più visitato, né da psicologi, né da psichiatri.

d: Oltretutto, se uno non è cattolico, con chi parla?

r: Con nessuno.

d: Lei è stato anche nel sindacato…

r: Sì, sono stato nell’Associazione Nazionale Ispettori.

d: Qual erano dunque le problematiche che emergevano principalmente, e che magari ci sono ancora oggi?

r: Noi abbiamo bisogno di visite psicologiche, addirittura anche psichiatriche, durante TUTTO il percorso della carriera! Noi vediamo tutto ciò che c’è di negativo a questo mondo: morti ammazzati, bambini violentati, donne picchiate. Questa è la nostra realtà di tutti i giorni. Un mio collega, compagno di corso, che prestava servizio alla POLFER di Bologna, dopo aver assistito alla strage dell’Italicus, dopo aver visto quel macello, la sera tornò in caserma e si suicidò! Non resse allo stress. Poliziotti, carabinieri e finanzieri, sono sottoposti QUOTIDIANAMENTE a stress. Esci fuori e devi dar conto alla gente, stai dentro, e devi dare conto ai superiori: un poliziotto, come fa fa, sbaglia. Pertanto, credo che un cappellano in ogni questura, abbia un costo per lo Stato, di milioni e milioni. Quelle stesse cifre potrebbero essere spese per l’assistenza psicologica in ogni questura. Io posso essere anche credente, ma non mi va di raccontare i fatti miei al cappellano: quel che serve è un’assistenza psicologica e, ripeto, nei casi più gravi, anche psichiatrica. E si potrebbero evitare centinaia di suicidi nelle forze dell’ordine e nelle forze armate. Una ricerca ci dice quella del poliziotto rientra nelle categorie lavorative maggiormente a rischio di condotte suicidiarie, con percentuali di suicidio più elevate rispetto alla media generale della popolazione civile.

d: Un ultimo passaggio sul libro (chi vuole approfondire può recarsi in libreria, ovviamente): in passato si è letto di possibili collegamenti del caso Esposito con alcuni altri cosiddetti “misteri lucani”, il caso Claps e quello dell’omicidio dei coniugi Gianfredi, ma lei smentisce anche questi collegamenti.

r: La Digos si occupa di antiterrorismo, di tutela dell’ordine pubblico. E’ la competenza di tutte le Digos d’Italia. La competenza sulla criminalità comune, su quella organizzata, su omicidi e rapine, è della Squadra Mobile.

d: Lei dice insomma che Anna Esposito non stava indagando su quelle faccende.

r: Assolutamente no. La Digos di Potenza, dico anche questo senza paura di essere smentito, non ha mai –e dico mai- svolto indagini sul caso di Elisa Claps o dei coniugi Gianfredi. E’ vero, svolgemmo un’attività d’indagine sul movimento politico di Forza Nuova…

d: …anche questa chiamata in causa dalle ipotesi giornalistiche…

r: …sì, ma non erano emersi elementi così gravi da giustificare un omicidio.

d: A parte il caso di Anna Esposito, ovviamente, c’è stato qualche altro episodio lavorativo che l’ha segnata?

r: Potrei raccontarle centinaia e centinaia di casi, tutti brutti. Sono stato cinque anni all’antiterrorismo a Roma, e ho visto tanti morti ammazzati dalla Brigate Rosse, da Prima Linea. Diciamo che Potenza è una città …“più tranquilla”, ma vaglielo a dire alla famiglia dell’agente Tammone! Lui faceva servizio al reparto scorte di Palermo, scortava i magistrati, e non gli successe niente; poi venne nella città “tranquilla” e fu ucciso, sparato da un pregiudicato. Non esiste, per un poliziotto, il “posto tranquillo”. Anche nel paesino piccolissimo qualcuno può perdere la testa e sparare. E tu puoi trovartici in mezzo.

d: Se dovesse dare un consiglio a un giovane che vuole entrare in polizia?

r: Quello del poliziotto è il mestiere più bello che possa esistere. Sin da piccolo avevo questo sogno, anche se i miei genitori si opposero in ogni maniera. Sa, quando entrai io, nel 1978, le Brigate Rosse ammazzavano poliziotti, carabinieri e giornalisti, uno a settimana. Tuttavia ci sono riuscito: sono entrato come agente semplice e sono andato in pensione da commissario. Però è un lavoro che va fatto con passione, perché è pieno di sacrifici. Ogni momento può essere quello buono perché ti accada qualche cosa. Non puoi mai prevederlo. Noi, i guai, ce li andiamo a cercare, per lavoro. Noi andiamo dove c’è bisogno. Ricordo che come primi stipendi prendevo meno di un operaio Fiat; poi, iniziarono i morti, uccisi dalle Brigate Rosse, e contestualmente le domande di dimissioni dal Corpo e dalle forze armate. A migliaia. Per fermare questa ondata, a ogni morte, il Governo ci dava un aumento di cinquantamila lire. Insomma, si può dire che dobbiamo dire grazie ai nostri colleghi ammazzati, se poi abbiamo avuto stipendi dignitosi!