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di Walter De Stradis

 

 

 

 

Il suo bisnonno, Enrique, italo-argentino originario della provincia di Como, ha giocato nella Roma e ha vinto il Mondiale con la nazionale italiana nel 1934. Anche suo padre (nipote di Enrique) era un giocatore dal curriculum importante, avendo militato nell’Estudiantes.

Lui, Leo Guaita (anch’egli con doppio passaporto) è un giocatore d’attacco (ala destra) di grande talento, ma il Potenza Calcio per lui è stata soltanto la porta d’ingresso in un mondo, che gli ha dato un calore (ricambiatissimo), che va ben oltre gli spalti del Viviani.

Simpatico e affabile, con la “cresta” (alla cui “tenuta” sembra tenere tanto) e la barba rossiccia, compirà trentasei anni il prossimo 19 maggio.

d: Come giustifica la sua esistenza?

La mia vita è sempre stata all’insegna della famiglia, avendone una davvero molto unita. Al punto che, quando ho cominciato seriamente con il calcio (a diciassette anni), fu davvero dura svegliarmi da solo la mattina presto, e senza colazione a letto!

d: Il suo idolo di allora (a parte Maradona)?

Mio padre, mio nonno per parte di madre e il mio bisnonno, come sa, avevano tutti giocato a calcio a livelli importanti. A casa avevo tutti i cimeli, ma mio padre per me era l’idolo principale.

d: Prima di arrivare a Potenza lei ha girato il mondo…

Eh, sì. Ho iniziato a 17 anni nell’Estudiantes de La Plata, poi sono stato in Francia, in Svizzera (Basilea), in Messico, in Italia una prima volta (Arezzo, serie B), poi a Sapri, in C2 in Sardegna con Emerson, poi a San Marino, in Equador (serie A), in Germania (serie C), in Cina, in Honduras…è dura ricordarle tutte (ride)… poi ho fatto la serie C in Argentina (vincendo il campionato), poi di nuovo in serie A in Honduras, poi ancora in Sardegna e infine a Potenza, a Taranto e poi di nuovo a Potenza.

d: Appunto, dopo aver girato il mondo, com’è stato il suo primo impatto con la nostra città?

Ha toccato un tasto difficile…Beh, arrivammo che la Società non c’era più, non c’era Presidente, né preparatore atletico, di stipendi non ne parliamo proprio (perché non ne prendevamo), non avevamo nemmeno l’acqua, io facevo avanti e dietro da Salerno con una macchina vecchia…

d: Viveva a Salerno?

Sì, per tre mesi, perché a Potenza non si trovava casa, e se dicevi che eri calciatore (non essendoci una società alle spalle) era peggio…

d: Al di là delle difficoltà del Potenza Calcio, la città in sé che impressione le aveva fatto?

La vedevo poco, perché facevo il pendolare e appena potevo scappavo da mio figlio. In un secondo momento, una casa a Potenza la trovammo, in via IV Novembre, ma fu un vero e proprio inferno, perché cadeva a pezzi…non mi vergogno a dire che dovemmo chiudere una camera (perché dopo sole due settimane si era riempita di muffa), e per due mesi con mia moglie e mio figlio abbiamo dormito in salotto, per terra!

d: Eppure, oggi, dopo qualche anno, in città si dice che lei si sia talmente innamorato del Capoluogo, da volerci rimanere anche dopo la carriera di calciatore.

Dopo essere stata la peggiore in assoluto (dal punto di vista calcistico e non), questa esperienza è diventata anche la migliore (seppur con alti e bassi). In quei primi mesi di difficoltà estrema, avevo infatti già trovato un accordo col Cerignola, ma poi non tenni fede a quanto già stabilito, perché arrivò Caiata, il Potenza si riformò, e io quasi divorziai con mia moglie: non sapevo come dirle che saremmo rimasti in “quell’inferno”! Ma avevo una sensazione forte e positiva, anche perché avevo trovato persone che –nella difficoltà- mi avevano voluto bene (e io a loro). Insomma, nonostante nessuno credesse, sperasse o sapesse che avremmo vinto il campionato, aveva una grande voglia di accettare la nuova scommessa qui a Potenza. Non so bene perché, ma era quello il mio sentimento…

d: Ma a lei adesso Potenza piace proprio COME CITTÀ, e ci vuol rimanere anche dopo…

Certo, sì. Dopo i due anni che mi hanno visto andar via per giocare a Taranto (a seguito di qualche incomprensione con Caiata), ove abbiamo anche vinto il campionato, avevo anche proposte migliori dal punto di vista calcistico, ma io, mia moglie e mio figlio volevamo tornare a Potenza, e abbiamo “circondato” il Presidente per questo scopo. Lui ha accettato, oggi siamo di nuovo qua, con la voglie di restare, anche dopo il calcio.

d: Spero e credo che la sua casa sia migliore, adesso.

Certamente, pian piano le cose si sono sistemate. Ripeto: la mia voglia è rimanere qua. Anche mio figlio me lo chiede sempre.

d: Scusi se mi ripeto. Abbiamo intervistato moltissimi giocatori, negli anni, che hanno ritenuto questa città (senza che sia una colpa, ovviamente) come un luogo di passaggio e che ne hanno usufruito come “dormitorio” o poco più. Perché lei, invece, dopo aver girato il mondo, vuole stabilirsi proprio qui?

Per le persone. Mi hanno dimostrato un affetto…guardi, ho qui amicizie vere che non ho neanche in Argentina. Farei dispetto a molte persone se le raccontassi un singolo episodio. In quei momenti di difficoltà, c’era gente che mi portava da mangiare (formaggi etc.), chi mi veniva a prendere all’aeroporto, di tutto di più. Si dispiacevano per me e per la mia famiglia: come dicevo, per mesi non ho percepito stipendio, mia moglie (per nostra scelta) non lavora …e ho rischiato quasi il divorzio. I potentini hanno dato a me e alla mia famiglia un amore immenso: sono stato in altre città, dove mi hanno trattato benissimo, ma non mi sono mai aperto come in questo caso. E’ questione di feeling, di un amore che è nato.

d: La città poi è tranquilla…

Sappiamo tutti che per i più giovani la città non ha molto da offrire come "movida"; pensi che mia moglie è abituata al centro di Buenos Aires, che non finisce più ed è pieno di persone e negozi, specie per i gusti femminili; ma come madre- e io come padre- pensa comunque che Potenza sia il posto più adatto per crescere un bambino. Lui può correre in via Pretoria, e magari dopo trecento metri lo ferma un mio amico, o comunque qualcuno che mi conosce, e gli dice “Che ci fai qui da solo? Aspetta tuo padre!”. C’è questo rapporto della città coi bambini… e in futuro io voglio lavorare con loro.

d: Da cittadino di Potenza, cosa chiederebbe al sindaco o comunque a chi comanda?

Gli direi che il futuro di ogni società sono i bambini, e quindi di attivarsi affinché loro abbiano le migliori possibilità. Mo’ non mi voglio mettere in politica (sorride)… ma direi di fare più cose per i bambini, più strutture, più campi da calcio, più parchi, per farli crescere meglio, affinché non stiano solo davanti la tv o ai videogiochi. Una volta c’era la strada per giocare, oggi non più…

d: Veniamo al calcio vero e proprio. Ma secondo lei Caiata se ne va veramente?

Posso dirle quello che mi auguro in cuor mio (poiché solo lui e la società, o forse manco loro, sanno come andrà a finire). Lui ha parlato di quote e cose del genere…e io non saprei dire, ma mi auguro possa continuare in un qualche ruolo: sarebbe un bene per la squadra e per la città.

d: Lei ha parlato anche di qualche incomprensione…

..sì, ma ci sono anche fatti di procuratori…cose del genere…

d: A me interessa sapere la cosa più bella che Caiata le ha detto finora.

Dopo quei famosi sei mesi difficili, di “inferno” a Potenza, lui mi chiamò in Argentina perché voleva tenermi qui e mi disse: «Signore Guaita, le offro una possibilità irripetibile, non la sprechi». Dopo cinque anni, è una frase che ancora ho in mente. Va detto che a livello economico avevo proposte molto migliori, ma lui come imprenditore sa fare il suo lavoro, sa convincerti, è un numero uno. Oggi è un politico, ma lui già di suo sa parlare, ha questa dote che magari altri non hanno.

d: Il suo momento più emozionante qui a Potenza?

Il gol della salvezza, senza il quale il sogno di questi ultimi cinque anni non ci sarebbe stato.

d: I potentini quando la vedono per strada, che frase le dicono per caricarla?

Sicuramente quella più famosa…

d: “U’ Putenza è semb nu squadron”?

Sì! (ride). Tutti si identificano in quella frase.

d: Lei è uno che non si nega quando viene invitato a eventi e manifestazioni…quest’anno –se tutto va bene- tornerà anche la Festività di San Gerardo, con le canzoni popolari, quelle di Michele di Potenza…

Sì, mi piacciono! Sono stato anche a un pranzo con lui!

d: Probabilmente si confonde con Agostino Gerardi.

Sì, scusa, con Agostino Gerardi(in effetti il suo erede – ndr) Proprio lui. Con la mia famiglia ho avuto modo di partecipare a tre festività, e l’ultima volta, durante la Sfilata, mi hanno riconosciuto e mi hanno chiesto di tirare la “carrozza”: io ho iniziato a tirare, ma a un certo punto mi sono accorto che gli altri si erano fermati e tiravo solo io (risate). E’ stato bellissimo, uscì pure sul giornale.

d: A Potenza quando c’è qualche problema si dice “San Gerardo pensaci tu!”. Ha qualcosa di particolare da raccomandare al Santo?

Parliamo a livello calcistico: spero che le cose vadano bene, come nei miei primi tre anni, tornando a fare campionati di vertice. I tifosi potentini lo meritano: le altre squadre non ne hanno di supporters così, e non lo dico per piaggeria.

d: Intanto Leo Guaita ci sarà l’anno prossimo.

Mi auguro di sì. Deve decidere la società che verrà, ma finché non mi cacciano, io resto (ride).

d: Il film che la rappresenta?

Mi piace la serie di Rocky, in particolare quella scena nel film “Rocky Balboa” (del 2006 – ndr), in cui lui dà una lezione di vita al figlio, spiegandogli che dopo le sberle bisogna rialzarsi. Io stesso ho preso quel tipo di schiaffi che ti lasciano al tappeto…

d: La scomparsa di suo fratello.

Sì. Ma se non ti rialzi, rimani lì a terra per sempre, e poi io ho una famiglia che conta su di me...

d: La canzone?

Una canzone argentina che ha anche a che fare con questo, “Resistirè”. E’ la sigla di una trasmissione televisiva: «Resistere contro i venti forti, la pioggia e la neve».

d: Il libro?

Mi piacciono le biografie di calciatori come Guardiola, Simeone. Nel calcio c’è la vita.

d: Mettiamo che fra cent’anni scoprano una targa a suo nome qui al “Viviani”, cosa le piacerebbe ci fosse scritto?

Un domani voglio insegnare ai ragazzini il vero spirito del calcio e dello sport in generale. Voglio lasciare soprattutto qualcosa a loro. E vorrei essere ricordato per quello.