libro_vedo_con_le_mani.jpgdi Antonella Sabia

 

 

 

È entusiasta, e anche un po’ incredulo, di questo successo che gli è piombato addosso all’improvviso, dopo la “prima” del libro “Vedo il mondo con le mani”. Abbiamo incontrato Marco Rafaniello, potentino doc, non vedente, proprio nel Parco Baden Powell dove familiari, amici e conoscenti solo qualche giorno fa lo hanno inondato di affetto, lo stesso che ha mostrato a noi, donandoci un pezzetto della sua lezione di vita.

d: Su Facebook ha scritto che si è avverato il suo sogno, ma quando nasce questo sogno?

r: Durante un pomeriggio d’inverno, il periodo buio della mia storia, da vedente a non vedente, e risalta un po’ il contrasto con il giorno d’estate che equivale alla rinascita. Sin da piccolo avevo il sogno di scrivere un libro per portare la mia testimonianza, il mio saper fare tante cose per portare gioia e spensieratezza agli altri. In questo pomeriggio, contattai alcune persone tra cui Eva Bonitatibus che oggi reputo un’amica, una mamma, una persona davvero speciale che mi rispose subito di sì, raccogliendo questo mio progetto di diario collettivo, e una settimana dopo ci mettemmo al lavoro.

d: Chi c’è dunque nel libro?

r: Io sono stato la voce, Eva la penna e la forma. Ci sono poi le testimonianze di controcanto dei miei genitori, delle mie cugine, di due amiche importanti, senza dimenticare mio fratello, che ha la passione del canto e della musica e a gennaio ha composto una canzone da cui ho preso in prestito il titolo “Vedo il mondo con le mani”. Questo legame familiare si concretizza attraverso scrittura e canto, con lui sono presenti anche mia cognata e i miei due nipoti, nella mia storia sono stampate anche le loro nascite. Ho trovato alcune persone fondamentali nel mio percorso, e li ho voluti nel libro affinché i momenti belli e brutti venissero raccontati anche in maniera diversa dalla mia, secondo la loro esperienza, perché non è stato facile nemmeno per loro elaborare.

d: La casa editrice scrive che è la storia di un ragazzo “nato sano e diventato cieco”: come ha affrontato questo viaggio nel buio?

r: Nasco sano, avevo dei piccoli problemi dalla nascita che potevano tranquillamente resistere nel corso degli anni, fin quando i miei genitori per amore, hanno cercato di trovare una soluzione per farmi vivere in maniera più serena, affidandosi ai consigli della medicina, la stessa che però mi ha causato questo grande problema. Oggi non so se però devo maledire o ringraziare quanto accaduto, perché dopo un periodo di elaborazione, c’è stata la mia rinascita. È pur vero che abbiamo vissuto questo calvario, ma oggi non chiedo più la guarigione, ho riscoperto il mondo da un altro punto di vista. Il ragazzo che prima vedeva, faceva animazione, teatro, catechismo e tanto altro, si ritrova oggi a fare il doppio delle cose di prima con una capacità altrettanto potenziata. Quando si parla di diversamente abile, si tratta dell’abilità nell’essere diverso, non vedo quindi l’ostacolo o la difficoltà, è proprio in quel momento che riesco dire di avere un’abilità diversa dalla tua, che forse arriva anche di più a livello emozionale.

d: Potenza è una città accessibile?

r: Potenza non è per niente una città accessibile, è difficile muoversi da soli, io spesso lo faccio ma perché fino a qualche anno fa vedevo e quindi mi so orientare, ma in generale devo essere sempre accompagnato perché ci sono molti ostacoli. Quando ci confrontiamo con l’amministrazione, sottolineiamo sempre che Potenza “non ha bisogno del”, ma “bisogna togliere per”. Un esempio, qualche mese fa al Parco Mondo abbiamo organizzato una camminata al buio, invitando gli amministratori e chiunque volesse a camminare bendati. In quel parco sono stati messi muretti, panchine, fioriere, cose che dovrebbero abbellire ma in realtà creano un ostacolo. Già è diversa la nuova Piazza dei Comuni a Parco Aurora dove ci sono molto meno ostacoli. Ci sono tante tantissime barriere architettoniche che rendono la città inaccessibile, uno alla fine si adatta, ma il nostro invito all’amministrazione è di ascoltarci, non solo per il nostro bene ma per tutta la comunità. Le commissioni comunali ci hanno chiamato più volte a fare dei sopralluoghi, anche per capire come lavorare per migliorarsi. Partendo dai parchi come emblema della città, abbiamo chiesto di fare dei piccoli interventi. Tra l’altro evitando gli sprechi, si potrebbe anche risparmiare in termini economici.

d: Invece come città è accogliente?

r: Io amo la mia città nonostante le tante difficoltà, non la cambierei mai per nulla al mondo. È pur vero che nei viaggi si sperimentano tante cose belle, ma casa è sempre casa. Potenza per me è accogliente, forse perché sono io accogliente con gli altri, alla fine. Con l’associazione ciechi lottiamo per far vivere la città in maniera uguale a tutti, dal disabile, all’anziano, al giovane.

d: Nel libro, racconta più momenti bui o luminosi?

r: Racconto momenti bui, non so quantificarli, ma subito dopo c’è la ripresa. Appena cado mi rialzo, e il libro finisce proprio con l’immagine dei puzzle, a significare che ognuno è importante per l’altro, tanti tasselli compongono la mia storia. Non sono frasi fatte, ma è l’esempio che porto della mia vita, quando trovi un incastro che non va bene, è dura, non si va avanti.

d: Rifacendoci al titolo, le sue mani cosa dicono del mondo intorno?

r: Quando si è vedenti non si nota il particolare, anche quando cerchi qualcosa su una scrivania, la vista ti dà l’occhiata generale, mentre con le mani inizi a capire realmente cosa c’è: senti il foglio ruvido, il vetro liscio, una spilla che magari non avresti visto, hai una percezione più concreta delle cose. L’invito è a chiudere gli occhi e sperimentare, un po’ come facciamo nelle “cene al buio”, utilizzando gli altri sensi.

d: C’è qualcosa che per paura non ha detto nel libro?

r: Mi sono messo a nudo, volevo raccontare tutto della mia storia relativa al mio problema. Negli incontri che abbiamo tenuto online a causa della pandemia, ogni mercoledì per me era un modo per rielaborare, ho pianto molto. Non so se è sfuggita qualche cosa, ma so che ho raccontato la storia di uno che voleva salvare il mondo, dare la vita per gli altri, ma che ad un certo punto ha dovuto imparare a chiedere aiuto.

d: Quanto l’ha aiutata il suo carattere?

r: Carattere, famiglia e amici, tutto ciò che ti circonda è fondamentale perché da soli non si va da nessuna parte. Se alla base non hai una famiglia che ti sta vicino, che ti sostiene e che soprattutto accetta la malattia, rimani crocifisso a vita.

d: C’è un altro libro nel suo futuro?

r: Voglio sottolineare intanto che tutti i proventi di questo libro andranno in beneficenza a Magazzini Sociali, di cui sono socio, che si occupa di eccedenze alimentari, e all'Unione Italiana Ciechi di Potenza, di cui sono vicepresidente, per sostenere i nostri progetti. Nel futuro ad oggi non c’è nulla, ma amo molto il teatro, perciò un giorno si potrebbe pensare ad un lungometraggio, perché no.