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E’ passato un anno esatto da quel giorno infame (2 aprile), da quando cioè, la telefonata di un amico ci strappò dal sonnolento languire casalingo di un pomeriggio da lockdown.

Erano sostanzialmente ancora i primi tempi della Pandemia, quando c’erano gli ultimi irriducibili e indefessi –sempre i soliti- propugnatori “social” della “potentinità” che invitavano a intonare “San Gerardo…” a una certa ora dal balcone. La laconica, fredda telefonata di quel pomeriggio in un unico istante azzittì non solo tutte le amenità residue, canore o meno, ma anche le ultime inconfessate speranze che si stesse tutti vivendo in un (brutto) sogno, una sorta di ir-realtà che, in uno dei mattini seguenti, si sarebbe sciolta come neve al sole.

Ma così non fu.

A distanza di un anno lo sappiamo bene tutti, ma quel “Guarda che Antonio è morto” risuonò nelle orecchie come un colpo di pistola a distanza ravvicinata, riversandoci addosso come lava bollente tutta la concretezza di una tragedia che ci avrebbe scorticato la schiena –e sta continuando a farlo- con delle unghie di strega. Lo stordimento, si sa, in certi casi annebbia la mente, ma il vero dolore, quello senza appello, senza consolazione, arrivò nei giorni seguenti, quando la ragione ratificò il fatto che Astronik forse veramente morto di Covid. E che se ne fosse andato, veramente, dopo aver aspettato per giorni –alla sua maniera, mai scomposta- un tampone che infine gli fu praticato, quando ormai della sua situazione s’era accorta anche la stampa.

Se il destino, come suol dirsi, ha un certo senso dell’umorismo, quella volta ha voluto raccontarci una barzelletta sarcastica che non fa ridere, o magari ha voluto tratteggiare una di quelle vignette amare, che pungolano la pazienza: se ne andava a quel modo un giornalista (altro che “blogger”, come si ostineranno sempre a scrivere i quotidiani, anche quelli che smaccatamente copiavano i suoi articoli apparsi su questo giornale e poi riversati sul suo blog) che i ritardi, i disservizi, le angosce dei potentini le aveva sempre denunciate.

A distanza di un anno, l’assenza di Antonio Nicastro sulle pagine di questo giornale è evidente in maniera tangibile, come se ogni settimana questo periodico uscisse con una pagina recante un grosso buco o un grande rettangolo privo di carta.

Ma Antonio manca terribilmente a tutta la Città, a tutti quelli a cui aveva dato voce, ma anche a quelli (praticamente tutti) che lo conoscevano solo come quel gran signore, vestito con una polo e un paio di pantaloni larghi, che si occupava, cuore grande e capa tosta, di sport cittadino, di tematiche sociali, di ambiente, di attivismo e volontariato.

Potenza, nel dare anima e corpo a uno come Astronik (senza contare Palmiro, Sabia a molti altri come loro), ne gettò via lo stampo, come dicono gli Americani.

Ma il suo esempio di un giornalismo pulito, concreto, ostinato, non sarà dimenticato, e si confida che Ordine dei Giornalisti e Assostampa vogliano, presto o tardi, accogliere l’invito di istituire un evento o premio giornalistico -rivolto ai giovani- intitolato alla sua Memoria.

Walter De Stradis