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di Walter De Stradis

 

Lorenzo Bochicchio, giovanile quarantottenne nativo di Salerno, è dirigente di ruolo del Ministero dell’Economia. Si è occupato di verifiche di natura contabile e amministrativa negli enti pubblici. Per sette anni è stato direttore generale dell’Università degli studi della Basilicata e due anni fa è stato nominato, dalla giunta regionale, direttore generale dell’Azienda Sanitaria Locale della provincia di Potenza.

D: Come giustifica la sua esistenza?

R: In questo momento storico particolare, tutti siamo chiamati a dare un contributo importante, ciascuno con il proprio lavoro e ruolo, non ultimo quello di genitori e di consorti.

D: Lei è un manager della sanità pubblica nel momento più complicato che si possa immaginare. Tutti gli occhi sono puntati sull’Asp. Ma vorrei iniziare con la domanda che in questo momento probabilmente passa per la testa di molti lucani: ma cosa sta succedendo? Oggi (martedì) è il secondo giorno di “zona rossa”, un “marchio” determinato dall’ “indice di contagio” del Covid e non più di tanto dal numero di contagi stessi. Ci sono polemiche politiche in atto, lettere al Governo, ricorsi al Tar: mai come in questo caso, ai lucani non sembra andare giù questa ennesima decisione “dall’alto”. Secondo lei queste rimostranze hanno una ragione d’essere?

R: Il presidente Bardi e molti sindaci lo hanno già detto. L’ordinanza che ha dichiarato la Basilicata “zona rossa” è conseguenza degli esiti del sistema di monitoraggio nazionale, che ha talvolta offerto un quadro -se vogliamo- non facilmente “sovrapponibile” con la realtà sostanziale dei fatti. La Basilicata è classificata come regione “a rischio moderato” e gli indicatori diversi dall’Indice di Trasmissibilità presentano valori adeguati; le attività di tracciamento, di testing, di sorveglianza sanitaria vengono svolte in maniera puntuale. Sulla dichiarazione di zona rossa ha “impattato” l’oscillazione dell’Rt, che in regioni di piccole dimensioni (come anche il Molise), laddove la base di calcolo è bassa, risente facilmente della presenza di focolai anche contingenti: sono sufficienti numeri contenuti perché gli incrementi in termini percentuali siano elevati e tali da determinare un aumento significativo dell’Rt. In generale, mi sentirei di dire che sarebbe opportuno l’inserimento di alcuni correttivi o una diversa modulazione del sistema degli indicatori perché - quand’anche ispirati a un principio di correttezza scientifica e di ragionevolezza- può accadere che innestino valutazioni forzate.

D: Alcuni sostengono che sarebbe stato più giusto istituire singole zone rosse nei comuni con il più alto tasso di contagi.

R: Anche se non l’unica, è una scelta possibile. I focolai da noi sono sufficientemente circoscritti e interessano in maniera puntuale alcune realtà. Complessivamente posso dire che la situazione epidemiologica lucana è governata in maniera attenta.

D: Secondo lei cosa dobbiamo aspettarci? Sappiamo che le settimane di “zona rossa” -di base- sono due, ma questa variabile dell’Rt, così come l’abbiamo descritta, è piuttosto aleatoria.

R: Sì, soprattutto laddove i numeri sono contenuti: basti pensare che due settimane fa eravamo gli unici in Italia a presentare i requisiti per poter passare in “zona bianca”! La verità di fondo è che trovare un punto di sintesi tra esigenze di natura sanitaria ed istanze di carattere economico-sociale è difficile, e bisogna capire qual è l’interesse pubblico preponderante: in questa fase si pone attenzione prioritariamente ad esigenze di natura sanitaria e in virtù di queste vengono sacrificati interessi parimenti importanti e costituzionalmente tutelati. E’ evidente che un fermo di due settimane metterà ulteriormente in difficoltà tutti coloro i quali esercitano attività private e che hanno assoluta necessità di dare continuità alle stesse.

D: Se lei potesse prendere sottobraccio Bardi (che immagino contatti giornalmente) o meglio ancora Speranza, cosa direbbe loro?

R: La dichiarazione di zona rossa è conseguenza del valore degli indicatori assunti a riferimento dal Ministero per le attività di monitoraggio, ma è chiaro che a distanza di qualche tempo dalla definizione di quel sistema, sulla scorta dell’esperienza di questi mesi, lo stesso dovrebbe essere rimodulato, attraverso l’inserimento di variabili che tengano conto delle dimensioni delle regioni e della eventualità che i piccoli numeri possono indurre oscillazioni dell’RT rapide e significative.

D: Il “primo turno” delle vaccinazioni over 80 a Potenza è stato ultimato, mentre la situazione in alcuni paesi è un po’ più complicata, perché c’è stato un rinvio del programma così come inizialmente concepito, a causa del mancato arrivo delle dosi previste.

R: Sì, ma vi è un elemento da valorizzare: la Regione Basilicata è stata l’unica che ha deciso –scelta meritoria- di portare i punti vaccinali “presso i cittadini”. D’accordo con l’Assessorato alla Salute, abbiamo previsto l’istituzione di tante sedute vaccinali quanti sono i comuni della Basilicata, secondo un principio di prossimità molto spinto. Altrove non è stato fatto, e comprenderà che è molto più semplice chiedere a 550mila cittadini di convergere verso pochi punti vaccinali, piuttosto che raggiungere quegli stessi cittadini in 131 paesi della regione e, laddove necessario (lo stiamo facendo in maniera diffusa), anche presso i propri domicili. Le prime tre settimane di campagna vaccinale per gli over 80 -con il contributo determinante dei sindaci, delle amministrazioni e dei cittadini stessi, ai quali abbiamo chiesto un grande sforzo- si sono svolte in maniera ordinata, senza alcuna sbavatura. Dopodiché, sulla scorta dei prospetti di flusso da ultimo inviatici dalla Pfizer, abbiamo dovuto differire e riprogrammare la campagna vaccinale, atteso che per le prossime due settimane avremo forniture sufficienti per la somministrazione delle sole dosi di richiamo. Sarebbe del tutto irresponsabile non accantonare i quantitativi necessari per la seconda somministrazione. La ripresa della campagna vaccinale sugli over 80 nei restanti comuni della provincia di Potenza richiederà l’arrivo di forniture maggiori da parte della Pfizer o, anch’esse previste, da parte di Moderna. Non appena disporremo di quantitativi congrui, ripartiremo con grande solerzia.

D: Quanti sono i comuni interessati da questo stop momentaneo?

R: In questa settimana avremmo dovuto somministrare i vaccini in venti comuni della provincia di Potenza. Ricordo che la settimana passata abbiamo chiuso, tra le altre, la prima fase della campagna vaccinale sugli over 80 nel capoluogo di regione, somministrando circa 4mila e 100 vaccini e –devo dire- con grande soddisfazione da parte di tutti. Lo spiegamento di forze è stato imponente: abbiamo utilizzato ogni giorno contestualmente all’incirca venti squadre di operatori sanitarie, oltre che volontari della Protezione civile e di altre associazioni, e le operazioni si sono svolte in maniera esemplare.

D: E questi dati hanno fatto balzare Potenza al primo posto in Italia. Tuttavia lei citava i comuni e i sindaci: in un comunicato dell’Anci di stamane, si lamenta che i primi cittadini «si sono dovuti sostituire» al sistema sanitario regionale. Insomma, ci sarebbe stato quasi uno “scarica-barile” ai loro danni.

R: La scelta di portare i punti vaccinali nei comuni ha richiesto un contributo determinante ai sindaci e alle amministrazioni, chiamate sostanzialmente a gestire due fasi, di concerto con l’Asp: la convocazione dei cittadini e –per il tramite dei medici di famiglia- la compilazione della documentazione (schede anamnestiche) presupposte all’inoculazione del vaccino. Abbiamo chiesto uno sforzo significativo e di ciò abbiamo piena consapevolezza (e non ho perso occasione per ringraziare i sindaci), ma in questo momento storico siamo tutti chiamati (e i primi cittadini non si sono mai sottratti, anzi!) a spenderci anche in attività che in “tempo di pace” sarebbero irrituali. Detto ciò, scontiamo la presenza di una “variabile indipendente”: il vero fattore limitante per noi è l’insufficienza dei vaccini, ed è un dato contro il quale le Regioni, le aziende sanitarie e i sindaci nulla possono. Abbiamo una struttura organizzativa pensata in maniera accorta: quando arriveranno quantitativi più consistenti di dosi vaccinali, saremo nelle condizioni di riprendere rapidamente la campagna delle prime dosi per gli over 80.

D: Una “variabile indipendente” che, presumo, non ci consente di fare ipotesi sulle tempistiche delle vaccinazioni per le altre fasce di popolazione…

R: Sì, perché vi sono ancora alcuni elementi di indeterminatezza sulle forniture. La Pfizer–dopo un momento di flessione di alcune settimane fa- ha ricominciato a consegnare vaccini con sostanziale continuità; è ancora altalenante, invece, la fornitura di vaccini da parte di Moderna, mentre iniziano ad essere più consistenti quelle della AstraZeneca; tant’è che in questi giorni siamo partiti con la campagna vaccinale per gli under 65. Operiamo in una fase di grandi incertezze, che ci ha indotti ad allestire una macchina organizzativa “modulare” che, di volta in volta, dovrà adeguarsi alle condizioni di contesto. Comprendo che queste dinamiche hanno dei riverberi pesanti sui cittadini, sui sindaci e sulle amministrazioni comunali, che sono chiamati a gestire anche le interlocuzioni con le proprie comunità, ma questo momento storico richiede sacrificio ed intelligenza nella lettura degli eventi.

D: Tutti i giorni arrivano comunicati, da parte di varie categorie professionali (dagli avvocati ai veterinari etc.), sociali o –per così dire- sanitarie, con la richiesta di essere inserite, da subito, nelle fasce di popolazione da vaccinare. Lei non può fare certo classifiche, ma ritiene ugualmente che vi sia una qualche categoria da tenere prioritariamente in considerazione?

R: Gli scenari sono in continua evoluzione. Le aziende sanitarie non hanno alcun margine di discrezionalità nell’individuazione dei target della popolazione da sottoporre a vaccinazione. I principi sinora assunti a riferimento sono due: si è andati per “fragilità” o per “esposizione”. Per gli over 80 e i cittadini con patologie importanti e comorbilità siamo in tema di “fragilità”; gli insegnanti e le forze dell’ordine sono stati ricompresi in questa fase vaccinale in quanto esposti al rischio di infezione da Covid-19; sarebbe opportuno –ma si arriverà anche a questo- consentire un rapido accesso alla pratica vaccinale a tutti coloro i quali, per motivi professionali e sociali, versano in condizioni di particolare esposizione. Su queste categorie stiamo strutturando un progetto di mappatura epidemiologica, d’accordo con l’Assessorato alla Salute, perché siano oggetto di sorveglianza sanitaria in maniera specifica, anche attraverso la somministrazione periodica di tamponi molecolari.

Le cronache ci hanno narrato di presunte “filiere di privilegiati”, prima del tampone e successivamente del vaccino. Immagino che lei non possa dire più di tanto in presenza di indagini, ma qual è la sua sensazione quando legge queste cose?

R: Le competenti Autorità, nel doveroso esercizio delle loro prerogative, hanno ritenuto opportuna e necessaria un’attività di verifica, e ad essa ci affidiamo. Sui vaccini, allo stato delle mie conoscenze, non ho motivo di ritenere che la nostra Azienda Sanitaria abbia operato in deroga ai principi e alle direttive fissati a livello nazionale e regionale. Dico tutto questo al netto -ovviamente- degli esiti delle indagini in corso. I criteri di individuazione dei target sono codificati e – ripeto - superata una fase iniziale di maggiore incertezza nella declinazione delle Raccomandazioni ministeriali, al momento non sussistono margini di discrezionalità nella individuazione dei cittadini da sottoporre a vaccinazione.

D: Qual è stato il momento più difficile per lei, anche umanamente?

R: Chi lavora nel sistema sanitario deve inevitabilmente confrontarsi con la sofferenza e i bisogni delle persone. Ricordo sempre che quando arrivai qui, un bravo dirigente mi disse: «Direttore, se lei vuole lavorare bene, deve tenere presente soltanto una cosa: in fondo a tutto, c’è sempre la salute e la vita dei nostri concittadini». E’ dunque motivo di dolore per me e per noi tutti la notizia di una perdita umana, della condizione di sofferenza di un cittadino o del disagio di chi rivendica l’erogazione di servizi migliori.

D: Il suo omologo all’ospedale San Carlo -il dottor Spera, che tra l’altro era stato direttore amministrativo proprio qui all’Asp- mi raccontava delle prime fasi della Pandemia, caratterizzate da difficoltà tecniche -come quelle del reperimento dei tamponi- che inducevano quasi allo sconforto.

R: Sì, le abbiamo condivise quelle fasi. Gli approvvigionamenti –non soltanto di tamponi, ma anche di dispositivi di protezione individuali- erano davvero limitati e quantitativamente inadeguati; circostanza che in quella fase ha molto limitato la capacità di intervento delle aziende sanitarie: abbiamo dovuto inventarci di tutto perché i nostri operatori lavorassero senza soluzione di continuità e in condizioni di piena sicurezza. Ricordo che un giorno di allora fui finanche costretto a contattare un piccolo negozio di merceria di un piccolo paese dell’entroterra lucano, perché mi era stata segnalata la probabile presenza di un piccolo quantitativo di tute a bio-contenimento, necessarie per i servizi di emergenza urgenza del 118…. Dopodiché, con l’istituzione delle Unità speciali Covid nel mese di marzo e l’arrivo di approvvigionamenti via via più consistenti abbiamo strutturato un’organizzazione adeguata, che ha funzionato in maniera egregia per tutto il tempo e che ha reso l’Asp – e non lo dico soltanto io - un paradigma assoluto a livello nazionale nella gestione dell’emergenza pandemica.

D: Tuttavia in questi mesi si sono lette anche diverse critiche sull’Asp, in merito alle gestione pandemica. Ce n’è qualcuna che magari è stata detta con un fondo di verità? O non si rimprovera proprio nulla?

R: Ritengo che la gestione sia stata assolutamente virtuosa, pure in un momento di grandi difficoltà e a fronte di risorse limitate. Ho il dovere di dirlo, perché il merito è tutto degli operatori sanitari, socio-sanitari, amministrativi e tecnici dell’ASP, che hanno speso il proprio tempo e la propria professionalità in questo tempo, con serietà e senso di responsabilità. Saprà che molti ci riconoscono il primato di migliore azienda sanitaria territoriale a livello nazionale nella gestione dell’emergenza pandemica, tanto in relazione all’attività di sorveglianza sanitaria sui cittadini in isolamento domiciliare, quanto in relazione all’attività di testing (siamo stati diffusamente primi in Italia in moltissime operazioni di mappatura) e di tracciamento. Nel corso dell’ultimo anno abbiamo assunto all’incirca novanta infermieri ed ottanta medici di continuità assistenziale per le Unità Speciali Covid-19 e istituito una centrale di tracciamento con ulteriori operatori sanitari, a supporto dei circa venti medici di igiene e sanità pubblica già nei ruoli dell’Azienda. Lo sforzo organizzativo è stato notevole e ha prodotto risultati importanti. E’ fisiologico che quando i numeri dei contagi crescono (e ci sono state delle fasi in cui sono cresciuti in maniera esponenziale) alcune attività vadano sotto stress (ma non per demerito di alcuno) e scontino dei rallentamenti, ma mai nessun cittadino è stato lasciato solo.

D: Quindi l’Asp sta funzionando al 100% dei suoi servizi?

R: L’Azienda ha funzionato e funziona, ripeto. Inevitabilmente ci sono e sono stati sbavature e momenti di forte criticità (il Covid è un’emergenza storica, sovra-ordinata alle nostre capacità di azione, e tutto il sistema è andato in difficoltà). La struttura ha, però, retto bene ed è riuscita – elemento che spesso passa sottotraccia- ad assicurare anche la contestuale erogazione, senza interruzioni –fatto salvo il periodo di lockdown sanitario- delle attività ordinarie e delle prestazioni socio-assistenziali non riconducibili al Covid.

D: E allora cos’è che la fa incazzare quando legge i giornali?

R: Mah, ho come l’impressione che non si abbia sempre la capacità di leggere in maniera attenta gli accadimenti di questo tempo e la pregevolezza di quello che stiamo facendo. Riceviamo, d’altra parte, quotidianamente, da parte di cittadini ed amministratori, manifestazioni di encomio e di gratitudine per il lavoro dell’Azienda e dei nostri operatori. Dovremmo essere più bravi a valorizzare il lavoro e i risultati del nostro sistema sanitario e a credere più convintamente nelle nostre capacità.

D: Passiamo a una nota di colore, non “rosso”, ma rosa: qual è il rimprovero che le fa più spesso sua moglie?

R: Ah! (Ride). E’ una donna piuttosto paziente. Il rimprovero dovrebbe farmelo lei, ma me lo faccio io: ahimè, spesso sono poco presente a casa. Questo tipo di lavoro, purtroppo, è difficilmente conciliabile con dimensioni della vita molto importanti ed il prezzo che siamo chiamati a pagare è davvero alto.

D: Mi viene da pensare che lei a casa ha una specie di “telefono rosso” come quello dei film, che squilla nei momenti critici, anche di notte.

R: Esattamente (ride).

D: Suona spesso?

R: Ininterrottamente. Ma è giusto così.

D: Il libro che la rappresenta?

R: Mah, posso dirle quello che mi è piaciuto di più tra gli ultimi che ho letto: “Anna Karenina”.

D: La canzone?

R: Sono molto legato ai Radiohead.

D: Il film?

R: Amo Sergio Leone…

D: “C’era una volta l’Asp”.

R: (Risate).

D: Ma, a questo proposito, se fra cent’anni scoprissero una targa a suo nome in questi uffici, cosa vorrebbe ci fosse scritto?

R: Ho il piacere e l’onore di collaborare con professionisti e con uomini e donne di assoluto spessore. Alle figure apicali di un’Azienda è soprattutto richiesta la capacità di fare squadra e di coagulare forze, tanto più in un momento così difficile. Insomma, credo di poter dire, forse in maniera un po’ forzosa, di aver concorso, assieme ad altri e al pari di altri, a creare le condizioni perché in Azienda si potesse lavorare in un contesto di serenità ed in maniera strutturata.

D: L’ultimissima: un messaggio ai potentini e ai lucani tutti.

R: I lucani hanno gestito con senso di responsabilità questa emergenza storica. Adesso siamo tutti stanchi, nel corso dell’ultimo anno abbiamo dovuto ripensare le nostre vite. E’ forse il momento più difficile. Dobbiamo trovare la forza di guardare con speranza e fiducia al futuro e –come le accennavo- di credere più convintamente nelle capacità e nelle risorse della nostra terra e della nostra gente.