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di Antonella Sabia

 

In questi mesi lo sguardo dei media nazionali si è focalizzato sulle grandi città deserte, piazze e monumenti senza turisti, i pochi rumori delle strade provenivano dalle sirene delle ambulanze. Ci sono luoghi, dove invece la vita scorre lenta, sempre, oggi più che mai. Questa settimana abbiamo spostato la nostra attenzione dalla città ai piccoli borghi della regione, più precisamente siamo andati ad Avigliano, nella frazione Sant’Angelo, tra bar chiusi, campetti non utilizzabili, treni quasi vuoti e strade semi deserte (complice il maltempo di questa settimana). Abbiamo fatto una chiacchierata con un'abitante del posto, la signora Tina Zaccagnino, a cui abbiamo chiesto sensazioni e timori di questo periodo.

D: Da sempre la vita della frazione è diversa dalla città, ma come si vive questo momento?

R: La percezione è quella di aver completamente chiuso i rapporti sociali, mentre prima, vivendo tutti vicini, avevamo l’appuntamento del caffè, ci vedevamo tutti i giorni alla fermata del pullman dove si scambiavano quattro chiacchiere con altre mamme. A causa del virus, queste cose non le facciamo più, anzi ci guardiamo quasi con una certa paura.

D: Quali sono le maggiori paure?

R: Avendo due genitori gravemente malati, la mia paura è quella di prendere il virus, e poterlo trasmettere a loro, ormai sappiamo benissimo che le persone anziane sono più a rischio.

D: Nelle frazioni non ci sono tanti posti dove ritrovarsi, i ragazzi erano abituati a incontrarsi in zona, come si è dovuto spiegare loro di doversi barricare in casa?

R: Quest’anno sono venute a mancare diverse certezze: gli incontri nel parchetto, le passeggiate o il centro estivo. I ragazzi oggi sono informati attraverso la televisione e i social, non lo vivono benissimo, in particolare per quanto riguarda la scuola e le lezioni a distanza. Le mie figlie fanno il primo e il quarto anno di scuola superiore, e non avrebbero mai pensato che gli potesse mancare la scuola, stare con i compagni, anche svegliarsi presto per prendere l’autobus.

D: Frequentare la classe prima oggi è come affrontare un mondo nuovo al buio.

R: Non ha proprio avuto modo di conoscere i compagni, considerando che i primi tempi in presenza, bisognava indossare la mascherina, non si potevano alzare dal banco, né fare ricreazione insieme. Come accaduto del resto lo scorso anno in terza media, senza salutare i vecchi compagni, senza gita dell’ultimo anno che coincide con la prima esperienza fuori casa senza genitori, nessun pranzo di fine anno. Questa situazione in generale provoca comunque un po’ di ansia in loro.

D: Si è detto spesso che i giovani sono superficiali...

R: Non sempre, sicuramente sono i più penalizzati, hanno dovuto rinunciare ai loro hobby, alle loro passioni. Praticamente non escono quasi più di casa, la spesa la facciamo noi genitori, passano la maggior parte del tempo a studiare, vicino al computer, spesso rimanendo in pigiama tutta la giornata. La tecnologia aiuta molto, se fosse successo quando eravamo ragazzini noi sarebbe stato decisamente peggio, ma sicuramente non può sostituire i rapporti umani, senza contare poi le varie difficoltà con le connessioni.

D: Le scuole aperte, secondo lei, erano davvero così rischiose?

R: La scuola in se era molto organizzata all'interno e sicura. Il problema forse sono stati gli autobus, più pieni rispetto alle normative, probabilmente serviva qualche linea in più. I trasporti hanno creato i maggiori disagi.

D: Cosa è mancato di più in questi mesi?

R: Proprio questa mattina in un negozio, la proprietaria ha detto una cosa che fa molto riflettere: “Come eravamo stupidi prima a lamentarci, che vita bella che avevamo!”. Effettivamente è così, quando si viene privati della libertà, dei rapporti umani, cose che prima davamo per scontate, ti rendi conto dell’importanza che hanno. L’essere umano secondo me non è fatto per vivere in solitudine, ma per interagire, confrontarsi. Nelle piccole frazioni non abbiamo mai fatto grande vita mondana, la nostra quotidianità si basa su piccole cose: incontrarsi al bar, ad un matrimonio. Così come negli eventi tristi, oggi non puoi essere presente, confortare un caro. Quest’anno ci sono mancate anche le feste patronali, vedere le statue dei Santi/Madonne sui furgoni girare per le frazioni, invece che portate in processione è stata un’emozione strana, forte, non consueta. Aspetto il giorno che il presidente Conte dirà “Potete tornare ad abbracciarvi”, andrò a bussare alle porte di tutte le amiche!!

D: Pasqua l’abbiamo trascorsa in lockdown, con quale spirito affronteremo il Natale quest’anno?

R: Per quanto mi riguarda, farò come sempre l’albero, metterò le luci e cercherò di creare la stessa atmosfera degli anni precedenti in casa. Bisogna essere comunque positivi, non farci travolgere da questa situazione grigia, che ci farebbe vivere ancora di più con angoscia. C’è proprio bisogno di avere questa sensazione di serenità, di festa. Speriamo che almeno si potrà festeggiare in famiglia, con gli affetti più cari, altrimenti ci adegueremo. Alla fine ti rendi conto che ciò che conta non è il pranzo in se, ma la condivisione della giornata, le nostre tradizioni e tutti i preparativi che fanno respirare l'aria di Natale. È rimasta l’unica festa davvero sentita, dove ci si ritrova tutti insieme, chi studia o lavora fuori rientra, ma quest’anno è tutto un punto interrogativo.