Antonio_Nicola_Bruno_int_pranzo.jpgdi Walter De Stradis

 

Nel prezioso libro di Antonio G. D’Errico (“Per Rabbia e per Amore” – Arcana) incentrato sui principali esponenti del “Neapolitan Power” (ovvero la nouvelle vague della musica partenopea che dagli anni 70 in poi, con Pino Daniele in testa, si è imposta a livello nazionale), c’è un capitolo dedicato a lui, unico artista non campano del testo: Antonio Nicola Bruno. Infatti il musicista, cantautore e produttore potentino (ma nativo di Tricarico), oltre che per i suoi personali progetti (il gruppo Bellitamburi), è noto anche per le importanti e stabili collaborazioni con artisti napoletani di grosso calibro: Tony Esposito, il compianto Franco Del Prete e diversi altri, Pino Daniele compreso.

D: Come giustifica la sua esistenza?

R: Me lo sono spesso domandato anch’io, chiedendomi in particolare da dove derivi questa mia inclinazione naturale verso la musica, che mi spinge – a volte in maniera incosciente- a proseguire su questa strada. Ma è da quando avevo tre anni che faccio questa cosa.

D: Qualcuno direbbe che ciò accade perché lei è nativo di Tricarico, che è un po’ “la Giamaica di Basilicata”, ovvero un paese con un alto tasso di musicisti per abitante.

R: E’vero, sentiamo sulla nostra pelle il doppio DNA arabo-normanno. Anche se, per la verità, io ho sempre vissuto a Potenza. Ma come sa, sono cugino di Antonio Infantino, e questa cosa è una delizia, ma anche un po’ una croce.

D: Perché una croce?

R: Perché a volte va a mio svantaggio. Spesso si è messi a confronto con le parentele illustri (“il figlio di”, “il fratello di” e così via) e limitati a questo, mentre io mi sento un artista e un compositore a tutto tondo e –pur dovendo molto ad Antonio- assai diverso da lui. Come nel caso di “Tarantella Tarantata”, con Infantino ci siamo anche influenzati a vicenda: lui iniziò a lavorare sul quel disco quando viveva qui a Potenza ed era fermo da un po’, e noi cominciammo a frequentarci. Il primo brano di quel lavoro, “Ondianì Ondianà”, è nato infatti nella mia stanza. Antonio mi fece entrare in un mondo che all’epoca non mi apparteneva più di tanto, facendomi capire l’importanza della musica tradizionale (anche se lui era tutt’altro che un artista “popolare”, bensì d’avanguardia).

D: Lei è un musicista di professione, nel senso che è il suo lavoro, e fa molti concerti al seguito di diversi artisti napoletani di fama. Domanda: senza i napoletani, avrebbe mai potuto vivere di musica, qui in Basilicata?

R: Assolutamente no. In Basilicata il musicista professionista non si può fare.

D: Perché?

R: Perché il mercato è troppo piccolo e chiuso su se stesso. E quando decide di aprirsi all’Italia o al mondo esterno, lo fa sempre con riverenza e soggezione. Soprattutto nei confronti della “Napoli Capitale” e dei suoi musicisti.

D: Ma è vero che fare musica in Basilicata ha molto a che fare con la politica? Dopotutto, la maggior parte dei concerti sono di piazza…

R: E’ sempre stato così. Se tu sei un “affiliato” di un partito, allora lavori. Diciamocelo. I partiti della sinistra hanno lottizzato tutto in Basilicata, spingendo avanti gruppi definiti “importanti”, ma che “importanti” non sono affatto, perché fuori non contano nulla. Anche se quest’ultima cosa, come dicevo, dipende anche dalla nostra “timidezza”.

D: Lei ha parlato di lottizzazione del centrosinistra, ma adesso al governo della regione c’è il centrodestra.

R: Già, un centrodestra che non ha proprio idea di cosa sia la musica. M’è capitato di lavorare con persone aperte, come Nicola Manfredelli, ma da questa giunta finora non è arrivato proprio alcun segnale. Mi sembra tutto campato in aria: l’arte non si sa proprio che cosa sia.

D: Qualcuno potrebbe obiettarle (ed è successo): vabè, ma in un momento come questo, lei ci parla di musica e di arte?

R: E io risponderei che con la Musica lavorano e ci campano migliaia e migliaia di persone. E non soltanto i musicisti, ma anche i service (che d’estate lavorano novanta giorni su novanta), i gestori di teatri (con annessi e connessi), i facchini… Tutta gente che adesso sta a casa, con camion e attrezzature ferme, con molte persone da licenziare. E poi il vero problema del Sud è il lavoro a nero: ecco, io lo dico e mi auto-denuncio.

D: Infatti, durante il lockdown, lei si è fatto promotore di una istanza che ha fatto discutere, ovvero la proposta di «un “SUSSIDIO per CALAMITA’” – la cito- per tutti quegli operatori che nel settore Arte, Cultura, Spettacolo e Intrattenimento rientrano in una fascia di lavoro considerata “lavoro sommerso” (…) in particolare gli iscritti al fondo ex-Enpals, che a prescindere dai versamenti regressi, non potendo contare sul minimo di almeno 30 contributi (in quanto il nero è prassi dilagante e condizionata dalla stessa burocrazia) sono lavoratori ancora più precari degli altri». Lei stesso, senza ipocrisie, ha ammesso di lavorare spesso e volentieri a nero, e di essere quindi senza tutele.

R: Io non mi posso permettere una partita Iva, e di conseguenza non ho potuto prendere i famosi 600 euro. Lavoro tantissimo, ma solo durante i tre mesi estivi e le feste natalizie. Come autore sono iscritto a tutte le associazioni, la Siae, l’Imaie, e devo dire che solo grazie all’emergenza Covid, e al periodo di ferma forzata, molti musicisti hanno preso coscienza dei loro diritti. Moltissimi di noi hanno sempre lavorato ignorando o fregandosene totalmente di certi aspetti, come quelli riguardanti, ad esempio, le spettanze derivanti dall’aver suonato in un disco altrui.

D: Mi diceva del “nero”. Mi spieghi meglio.

R: Io stesso, per avere i 600 euro, avrei dovuto avere trenta “bollini” ex Enpals (rispondenti ad altrettanti concerti), che sono in pratica i contributi, pagati e dichiarati all’Inps. Ma al Sud non si fa mai. Da Roma in giù non li pagano mai.

D: Cioè il committente dei concerti, in pratica il datore di lavoro, non li versa mai?

R: Purtroppo è una prassi alla quale, se vuoi lavorare, tocca sottostare, tuo malgrado.

Nel 2019, pur avendo fatto più di venti concerti a mio nome o con altri artisti, io non ho manco un “bollino”. Gli unici che mi ritrovo me li hanno messi: Pino Daniele (o meglio, la grande società di Milano dietro di lui, che faceva le cose in regola), quelli de “La Notte della Taranta”; e poi ne ho solo alcuni (una minoranza rispetto ai concerti fatti) riferibili alle serate che ho fatto con artisti napoletani. Stop. Ripeto, l’anno scorso ho pur suonato, ma non mi ritrovo alcun “bollino”. Eppure ho avuto a che fare con molte amministrazioni. Ma non mi faccia fare i nomi, tanto lo fanno tutte.

D: Vuol dire che le amministrazioni pubbliche sono le prime a comportarsi così?

R: In pratica sì, …secondo me alcuni non sanno proprio che il bollino è una cosa che va fatta.

D: Non teme un accertamento fiscale dopo queste sue dichiarazioni?

R: No, perché io ho sempre guadagnato pochissimo, sempre al di sotto dei seimila euro annui. Quando sento certi discorsi sulla povertà… e pensare che io sono laureato in musica elettronica, con 110 e lode, ho fatto i migliori concerti che si potevano fare in Italia, e mi ritrovo combinato in questa maniera. E questo accade, ripeto, perché sono un musicista del Sud.  

D: Diceva però che con il fermo del Covid avete acquisito una nuova consapevolezza.

R: Sì, ci siamo messi insieme, a partire dalla mia petizione online. Ho conosciuto tutto un mondo, fatto di associazioni di lavoratori (l’Aia, il Mei di Faenza), la calabrese It-Folk mi ha dato contratti discografici (grazie a Dio)… il tutto al fine di poter regolarizzare la posizione di musicisti come me.

D: Ma al Nord si comportano meglio con gli artisti?

R: Certo. Quando vado a suonare a Milano, a Torino o a Venezia, mi pagano regolarmente il “bollino” Inps. Quando lavoro qui al Sud, ammesso che capiti qualcuno che il benedetto “bollino” lo vuole versare, mi pagano al minimo sindacale: 42 euro e 50.

D: Quarantadue euro per un concerto???

R: Sì, però è ciò che fanno risultare “ufficialmente”: il resto me lo danno a nero. Un esempio pratico: al concerto organizzato da Tizio o dal Comune di Vattelappesca siamo quattro musicisti? Ci versano un “bollino” Inps da due euro e cinquanta ciascuno. Come dicevo, noi lavoriamo, quasi sempre, praticamente a nero: ma, attenzione, lo stesso succede coi privati. Secondo lei il localino in cui vai a suonare paga l’Inps? Già fanno storie sui diritti d’autore!

D: Lei sta tirando fuori una realtà piuttosto seria: non è che qualche collega le ha detto “fatti i cazzi tuoi”???

R: No, il contrario, mi hanno detto di insistere. Il Nuovo Imaie, società di “collecting” atta a corrispondere ai musicisti i “diritti connessi”, relativi a uscite discografiche (calcolati sul numero di copie vendute), ha stanziato dei soldi rivenienti da un “tesoretto” Siae di 13 milioni di euro, per tutti i soci. Io, ad esempio, ho già preso 1.500 euro, e un altro contributo ci dovrebbe arrivare a metà luglio. Questo è accaduto anche grazie a tutte le battaglie che stiamo facendo, io e gli altri che hanno rilanciato la mia raccolta firme alle altre associazioni e ai sindacati.

D: Una domanda che rivolgo spesso ai musicisti nostrani: un evento, lucano, di pari portata rispetto a La Notte della Taranta, è possibile?

R: Sì, se pensiamo che l’Agglutination Festival di Chiaromonte è diventato uno dei più grandi raduni metal. Lo stesso potrebbe accadere per la musica “tradizionale” (ammirata in tutta l’Italia, considerata la più “arcaica”), ma bisognerebbe prima abbattere tutti quei muri che ci sono fra noi musicisti lucani, che il più delle volte ci sparliamo dietro.

D: Se potesse prendere Bardi sottobraccio cosa gli direbbe?

R: Gli farei capire l’importanza dell’arte, della necessità di organizzare per compartimenti i vari settori, e di iniziare a fare cose CONCRETE perché il sistema migliori: guardi, non posso pensare che un artista del calibro di Antonio Infantino alla fine sia morto così, in mezzo alle difficoltà.

D: La canzone che la rappresenta?

R: Miles Davis: è tutto il suo mondo a rappresentarmi, un mondo fatto di libertà totale e di sentimenti che coloro come voglio io.

D: Il libro?

R: Direi “Cent’anni di solitudine”, di Garcia Marquez.

D: Il film?

R: “Pulp Fiction”, di Quentin Tarantino.

D: Fra cent’anni cosa vorrebbe fosse scritto sulla sua lapide?

R: «Antonio Nicola Bruno. Musicista»