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“Le misure attivate per “favorire” il lavoro femminile a seguito dell’emergenza Covid-19 impongono delle riflessioni stringenti proprio in occasione della ricorrenza del I Maggio, Festa del Lavoro”. Lo afferma La Consigliera regionale di parità, Ivana Enrica Pipponzi. E aggiunge: “Quali le misure messe in campo dal Governo e quali i diritti calpestati? Quali, di contro, le azioni e le proposte da sollecitare come Consigliera regionale di parità, deputata istituzionalmente all’uopo?

L’attualità del temi del divario di genere, cosiddetto gender gap quanto all’accesso al lavoro (in Basilicata solo il 32% di donne lavora) e del gender pay gap (di media una donna guadagna circa il 30% in meno dell’uomo) emerge in modo ancor più evidente soprattutto in questo periodo emergenziale. Le misure di conciliazione vita/lavoro adottate nella fase del lockdown, segnatamente lo smart working, si sono rivelate, invero, una tagliola per le donne lavoratrici, aggiungendo al triste fenomeno della segregazione lavorativa, quella sociale.

La mancata riapertura dei nidi, delle scuole e dei centri estivi, con la connessa assenza dell’ausilio dei nonni, rappresentano un aggravio insostenibile.

E’ impensabile far ripartire il Paese in assenza della parte femminile; non si possono relegare le donne tra le mura domestiche, non sempre sicure (mi riferisco alla violenza domestica) ma perché tanto rappresenterebbe un inaccettabile passo indietro nella storia.

Molti sono i dubbi e le perplessità che sorgono spontanei: in realtà la scuola non può e non deve essere considerata un parcheggio; il diritto allo studio è un diritto fondamentale, garantito costituzionalmente!

Il lavoro a casa, opportunità di conciliazione, talvolta, diventa trappola e segregazione.

Ancora, come si gestirà la riapertura delle fabbriche?

Quali saranno i prossimi dati delle dimissioni raccolti dalle Consigliere di Parità e dall'Ispettorato del lavoro?

Tutto questo si inserisce in un contesto già di per sè negativo se si considera che nel 2019 si sono dimesse oltre 30.000 donne in Italia, impossibilitate a conciliare vita/lavoro, per assenza di welfare e di cultura di genere.

Per queste ragioni, sarà indispensabile sostenere le famiglie con figli onde permette la presenza del secondo stipendio.

Gli strumenti messi in campo attraverso la decretazione di urgenza, sono tutti palliativi una tantum. Servono misure strutturali, capaci di offrire garanzie di durata e favorire in modo definitivo l’accesso alle varie forme di welfare.

Quindi, ben accetti i bonus una tantum per le babysitter, ma per il futuro, sarebbero auspicabili forme da mutuare dall’esperienza del Nord Europa, quali il babisitteraggio e/o micro-nidi condominiali.

E’, altresì, inaccettabile l’assenza di donne tra gli esperti del comitato tecnico scientifico creato per affiancare il governo durante l’emergenza coronavirus. Né ha convinto la risposta data dal Capo della Protezione Civile Nazionale, Borrelli, secondo cui i membri della task force sarebbero stati individuati in base alla carica ricoperta. E’ necessario evidenziare, come fatto osservare allo stesso Borrelli, che in Italia c’è una forte discriminazione nelle carriere delle donne, una forbice che tende ad ampliarsi lungo tutto il corso della vita lavorativa, il c.d. fenomeno “leaky pipeline” (il tubo che perde) che descrive pienamente la perdita, durante i percorsi di carriera, di capitale umano femminile che non raggiunge, se non con numeri ridotti, i ruoli apicali. Le donne, infatti, per pregiudizi e stereotipi hanno meno chances rispetto ai colleghi maschi di occupare posizioni di potere, ma questo non significa che abbiano meno competenze.

Nel periodo storico che stiamo vivendo, infatti, le donne sono decisamente in prima linea non solo nell’emergenza sanitaria (due terzi degli operatori sanitari sono donne) o in casa dove stanno affrontando situazioni difficilissime di lavoro e cura dei figli, ma non hanno dimenticato di avere competenze altissime, come le mediche e scienziate che per prime hanno isolato il virus.

Sembra, però, che tutto ciò che le donne fanno per questo nostro Paese sia considerato di minor valore.

Certo, c’è la Commissione attivata dalla Ministra Bonetti che ha reclutato un team di esperte, ma ormai sappiamo bene che le decisioni sulla vita delle cittadine e dei cittadini vengono prese su altri tavoli. Si tratta, dunque, di infrangere quel monopolio maschile che dà vita soprattutto ad un sistema di democrazia ridotta ed imperfetta che caratterizza un modello di scienza che si permette di escludere la visione delle donne anche in una pandemia così devastante.

Abbiamo da poco festeggiato il 25 Aprile e tutte sappiamo come la Liberazione è stata anche la storia di donne straordinarie, staffette e combattenti che hanno fatto la Resistenza. Donne tornate a casa, dopo la Liberazione, e rinchiuse nel ruolo di madre, moglie, figlia. Dunque, non dobbiamo permettere che l’attuale emergenza sanitaria releghi ancora oggi le donne ad un ruolo subalterno, rientrando tra le mura domestiche.

Di contro, per quanto sopra esposto, abbiamo poco da festeggiare il I Maggio stante il permanere degli stereotipi, dell’’atavica assenza di lavoro e della persistenza del divario di genere, fenomeni che il Covid 19 ha amplificato.

L’auspicio, e da ciò le proposte – conclude Pipponzi - è che si possa cogliere il giorno della Festa del Lavoro come quello di un nuovo protagonismo delle donne, avviato nella prima fase emergenziale con l’apporto virtuoso del lavoro femminile nel campo della sanità, della ricerca e della scienza”.